Prospettive assistenziali, n. 68, ottobre - dicembre 1984

 

 

VALORIZZAZIONE DELLE IPAB E DELLE CASE PROTETTE - L'INTERVENTO DEL COMUNE DI MODENA E LA REPLICA DELLA REDAZIONE

 

 

Nel n. 65 del gennaio-marzo 1984, «Prospet­tive assistenziali» ha pubblicato un articolo a firma di Francesco Santanera dal titolo: «Valoriz­zazione delle IPAB ed emarginazione degli an­ziani non autosufficienti in Emilia Romagna», relativo al convegno «Le istituzioni di assistenza e beneficenza a Modena» (Modena, 25-26 novem­bre 1983) e ad una visita alle case protette «Ra­mazzini» e «Giovanni Bosco».

Alle affermazioni riportate in quella sede, ha risposto l'Assessorato ai servizi sociali del Co­mune di Modena, con una lettera che ospitiamo integralmente qui di seguito e in coda alla quale riportiamo la replica di Francesco Santanera.

 

 

L'INTERVENTO DEL COMUNE DI MODENA

 

L'articolo apparso sulla rivista «Prospettive assistenziali» n. 65 del gennaio-marzo 1984 me­riterebbe una risposta molto più ampia e artico­lata, ma ci preme sottolineare due aspetti:

- la valorizzazione o meno delle IPAB e le pre­sunte strutture emarginanti delle case pro­tette modenesi ed emiliane;

- la finalità e i contenuti che abbiamo voluto dare al convegno.

Riconfermiamo, che il convegno si è collocato come momento di studio su temi, il cui confronto è di grande attualità dopo la sentenza della Corte Costituzionale e la Legislazione Regionale, in assenza di una legge nazionale di riforma che da oltre un decennio viene rimandata.

Pertanto, l'obiettivo dell'Amministrazione Co­munale, di proseguire il confronto sulle prospet­tive di recuperare strumenti, mezzi per consoli­dare una rete di servizi e interventi territoriali socio-assistenziali, di cui l'Ente locale governa la titolarità attraverso la programmazione e con la collaborazione anche di diversi soggetti isti­tuzionali e sociali, ci sembra non una posizione di debolezza ma di forza nel momento in cui peraltro, una parte di queste istituzioni è portata a trasformarsi in organizzazioni private per non sottostare a nessun confronto, a nessuna verifi­ca sulle finalità e sui contenuti da dare agli interventi.

D'altronde l'Emilia Romagna è una fra le po­che regioni, che ha tentato, dopo l'entrata in vigore del DPR 616, di regolamentare la materia (legge reg. n. 25 del 1980), anche se buona parte di queste norme sono state messe in discussio­ne dalla sentenza della Corte Costituzionale.

Tutto ciò non ha però impedito di mantenere alti i livelli di prestazioni, di aprire il processo di integrazione, proprio perché i modelli organiz­zativi e i contenuti non crescano solo attraverso una normativa legislativa seppure necessaria. Ed è stata veramente solo un'impressione dell'arti­colista ritenere che si fosse abbassata la guardia sul tema della prevenzione e della partecipa­zione.

Richiamiamo solo due dati: la mortalità infan­tile nel primo anno di vita è ridotta a Modena all'8 per mille, e ciò per un costante ed esteso impegno di prevenzione. Se non sbaglio tali li­velli sono raggiunti in pochi Paesi europei. Così dicasi della partecipazione. Vi sono diversi esem­pi che confermano la nascita di nuove forme di partecipazione e di autogestione dei servizi di giovani, di anziani, delle donne; si ha la confer­ma di ciò nello stesso volontariato del settore socio-sanitario che ha raggiunto oltre 10.000 uni­tà nella nostra città, come dimostra la rileva­zione effettuata in occasione del convegno sul volontariato dall'Amministrazione l'1-2 giugno u.s. Tutto ciò non è in contrapposizione ad altri momenti in cui si articola la vita democratica, ma semmai è integrativo e si sviluppa per ragioni ideali, morali molto diversificati. Non vanno per­ciò mortificati, se gli interventi vengono svolti gratuitamente e senza scopo di lucro.

Precisiamo, sempre sulle IPAB, che anche nel­l'immediato non abbiamo rinunciato ad un impe­gno per la modifica degli statuti, per rendere più funzionante la vigilanza, per lo scioglimento delle IPAB, che non hanno nessuna ragione di esistere come precisa l'o.d.g. votato unitariamente dal Consiglio Comunale il 10-3-1983.

Sulle strutture protette gestite dal Comune di Modena va subito precisato che questo è uno dei tanti servizi e interventi rivolti agli anziani e non è un servizio sanitario come si vorrebbe fare intendere, anche se gli ospiti non autosuffi­cienti, debbono avere il diritto di usufruire delle prestazioni sanitarie di base, extra-ospedaliere, come tutti gli altri cittadini. Si è parlato di im­pressioni, e capisco bene le difficoltà di chi in due ore non riesce ad ottenere tutte quelle infor­mazioni che caratterizzano l'insieme dei servizi sulla nostra città.

Ribadiamo che, l'obiettivo dell'Amministrazio­ne Comunale è quello di fare rimanere l'anziano il più possibile nel suo ambiente di vita ed è per questo, che eroghiamo un contributo a coloro che hanno una pensione minima e non hanno nessun aiuto dai famigliari (minimo garantito), che vi è funzionante il servizio di assistenza domiciliare, le comunità alloggio, i centri diurni, i centri so­ciali, si sono attivati interventi per la casa, le attività motorie, iniziative ricreative-culturali. In queste attività promozionali e di socializzazione, mediamente ogni giorno si integrano nella vita cittadina migliaia di persone anziane.

Va aggiunto che gli interventi integrati fra sociale-sanitario si stanno realizzando proprio nelle strutture protette (anche se i due servizi hanno gestioni diverse), dando prevalenza ai mo­menti preventivi e riabilitativi attraverso una me­todologia di lavoro compiuto da operatori con diverse professionalità, per mantenere uno stato di benessere fisico-psichico degli ospiti e per far sì che la struttura sia aperta alle altre attività del territorio.

La presenza di anziani che sono in struttura protetta, ai soggiorni, alle mostre, alle iniziative culturali, nei centri aggregativi non sono che po­chi esempi.

Non vedo infine quale «marchio malevole» possa imprimere l'infermiere o il medico che va nelle strutture protette per curare e riabilitare persone, utilizzando il predominio raggiunto dal­la scienza medica sulle malattie invalidanti, che rende possibile interventi riabilitativi, che solo pochi anni fa erano impensabili. Certo tutto ciò richiede uno sforzo notevole degli stessi presidi ospedalieri per evitare ricoveri impropri, e non considerare l'anziano un paziente a perdere.

Questa caratterizzazione non modifica la strut­tura e la funzione sociale del servizio ed è anche per questo, che è arbitrario ritenere che la retta sociale di L. 28.000 lire al giorno, sia paragonata al ticket sui farmaci, tanto più che viene appli­cata in base a norme di equità e lasciando anche ai pensionati con la minima, una percentuale di circa il 25% della pensione per la gestione di piccole spese, che lo mantengono autonomo ed assumono, quindi un notevole valore morale e psicologico.

Riteniamo, che la retta anche per questo ser­vizio, se applicata proporzionalmente alle possi­bilità, sia giusta, tanto più che nei criteri di am­missione si dà priorità alle condizioni sociali e quelle economiche, nell'intento di sostenere i cittadini in condizioni di maggior bisogno.

Questi obiettivi si realizzano con non poche difficoltà e, le esperienze dimostrano, che le fina­lità vanno rapportate alla realtà sociale, nell'in­tento di fare assolvere all'Ente locale non solo la funzione di ente di erogazione di servizio, ma anche quello di indirizzo e programmazione; es­sere punto di riferimento anche di altri soggetti che intervengono in questo campo, con l'obiet­tivo di estendere e consolidare l'uniformità degli indirizzi nella realizzazione degli interventi assi­stenziali e sociali.

L'ASSESSORATO AI SERVIZI SOCIALI DEL COMUNE DI MODENA

 

 

LA REPLICA DELLA REDAZIONE

 

L'Assessorato ai servizi sociali del Comune di Modena non smentisce quanto avevo scritto nel­l'articolo in oggetto (1), e cioè che nel convegno «Le istituzioni di assistenza e beneficenza a Mo­dena», svoltosi a Modena il 25 e 26 novembre 1983 «di fronte a 15 relazioni e interventi preor­dinati per un totale di 9 ore, lo spazio lasciato al pubblico è stato complessivamente di 45 minuti (5 interventi)».

Se ne potrebbe arguire che o a Modena la partecipazione è silenziosa, oppure che gli orga­nizzatori del convegno non volevano sentir parla­re i gruppi di base.

È molto positivo che a Modena (180.000 abi­tanti) ci siano 10.000 volontari che operano nel settore socio-assistenziale, ma ciò rende ancora più preoccupante la concessione di soli 45 minu­ti per gli interventi.

L'Assessorato non smentisce nemmeno che «sia nell'introduzione del sindaco di Modena, che nelle relazioni, negli interventi preordinati e nelle conclusioni dell'assessore all'assistenza della Regione Emilia Romagna, mai sono stati affrontati i temi della prevenzione del bisogno assistenziale e della partecipazione dei cittadini e delle forze sociali. Si aveva l'impressione che le parole "prevenzione", e "partecipazione", fos­sero state cancellate dal vocabolario dei politici e dei tecnici intervenuti» (2).

La riduzione della mortalità infantile nella cit­tà di Modena all'8 per mille è un fatto molto valido e importante, ma questo dato nulla ha a che fare con la prevenzione del bisogno assi­stenziale.

Per quanto riguarda il problema delle IPAB non metto in dubbio che l'Amministrazione di Mode­na non abbia «rinunciato ad un impegno per la modifica degli statuti, per rendere più funzionan­te la vigilanza, per lo scioglimento delle IPAB che non hanno nessuna ragione di esistere».

Ma, a parte il fatto che lo scioglimento delle IPAB che non hanno nessuna ragione di esistere è consentito da quasi un secolo dalla legge 17 luglio 1890 n. 6972 (e perciò è preoccupante che detti scioglimenti non siano ancora stati com­piuti), la modifica degli statuti è vista proprio con l'obiettivo di valorizzare le IPAB!

Illuminante al riguardo sono:

a) l'affermazione fatta dall'assessore all'assi­stenza del Comune di Modena che ha rias­sunto lo scopo del convegno con le seguenti parole: «L'intento con cui abbiamo preparato questa iniziativa è stato quello di riprendere un confronto comune animato da uno spirito costruttivo sui temi dell'assistenza e dei ser­vizi sociali di cui le IPAB hanno svolto e svol­gono tuttora un impegno concreto»;

b) l'erogazione da parte della Regione Emilia Romagna di 8 miliardi a 21 IPAB (su 30 pro­grammi finanziati) per la trasformazione di case di riposo in strutture protette ai sensi della legge regionale 1° settembre 1979 n. 30. Altri miliardi sono stati versati alle IPAB in base alla legge regionale 9 maggio 1983 n. 15;

c) la dichiarazione fatta nel convegno sopracita­to dall'on. Adriana Lodi, responsabile nazio­nale del Pci per il settore assistenziale, se­condo cui occorre dare attuazione all'accordo Andreotti del 1979, accordo che prevedeva una massiccia privatizzazione delle IPAB;

d) la creazione di un'organizzazione del tutto separata rispetto ai Comuni per le IPAB già concretate nei disciolti enti comunali di assi­stenza, come previsto dalla legge della Re­gione Emilia Romagna 2 settembre 1983 n. 35. Questa organizzazione separata è stata deci­sa in alternativa al trasferimento delle IPAB e del relativo personale ai Comuni, proce­dura attuata da molte altre Regioni.

Circa il problema delle strutture protette, cre­do che le due ore da me impiegate per visitare le case protette «Ramazzini» e «Giovanni Bo­sco» siano state più che sufficienti per accer­tare (e l'Assessorato non contesta nessuno dei punti sottoelencati), ciò che avevo evidenziato nell'articolo in oggetto:

- i due edifici sono scarsamente funzionanti a causa della presenza di barriere architettoni­che. Nel secondo - addirittura - non è pos­sibile alle persone in carrozzella di spostarsi da un piano all'altro;

- si tratta sostanzialmente di due strutture sanitarie sia per le loro caratteristiche edili­zie, sia per il fatto che le indicazioni di tratta­mento sono fornite dai medici, sia per i con­tenuti degli interventi forniti ai pazienti. In­fatti, non c'è nulla di quanto viene fatto all'interno della casa protetta che non possa essere realizzato nell'ospedale. Certo, non l'ospedale di oggi che molti vorrebbero desti­nato solo alla «acuzie», ma all'ospedale pre­visto dalla normativa vigente, che dovrebbe tener conto delle esigenze dei malati «acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti» (Leg­ge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 29).

Quanto al pagamento della retta giornaliera di L. 28.000 a carico di ciascun anziano ricoverato nelle strutture protette di Modena, è ridicolo sostenere, come fa l'Assessorato ai servizi socia­li, che non è una spesa paragonabile ai ticket sui farmaci: è infatti incontestabile che si tratta di denaro che gli utenti (e/o i loro familiari) devono sborsare, mentre le leggi vigenti stabiliscono che le cure sanitarie devono essere prestate gratui­tamente dal servizio nazionale sanitario.

Ho scritto nell'articolo sopra richiamato che si trattava di una « truffa»; ribadisco che questa è una «truffa» vergognosa perché fatta nei con­fronti della fascia più debole della popolazione.

FRANCESCO SANTANERA

 

www.fondazionepromozionesociale.it