Prospettive assistenziali, n. 69, gennaio - marzo 1985
FINANZIAMENTI DELLA REGIONE FRIULI-VENEZIA GIULIA A
FAVORE DEGLI ISTITUTI DI RICOVERO
Riceviamo e pubblichiamo:
Leggo su «Prospettive assistenziali»
n. 67/1984 (pag. 54) la notizia «Regione Friuli-Venezia
Giulia e Lombardia: per gli istituti i soldi ci sono»
Il commento, pur se decisamente
critico, è ben al di sotto della gravità della questione (almeno per il Friuli-Venezia Giulia) e per comprendere il basso livello
della situazione è bene far riferimento ad altri fatti che cercherò di esporre
sinteticamente:
- legge regionale 21 novembre 1983 n. 82. Viene stanziato un miliardo per contributi ad «istituti
privati operanti nel campo dell'assistenza ai minorati psichici e fisici».
Gli istituti in realtà sono «l'istituto»: si tratta de «La Nostra Famiglia» (sede legale Ponte Lambro - Como) che sta costruendo un considerevole
edificio a Pasian di Prato (provincia di Udine) per avviarvi un centro polivalente di riabilitazione
motoria (1).
L'associazione «La Nostra Famiglia» - che ha già
ignorato ogni forma di rapporto con la realtà circostante e
rifiutato anche un contatto operativo con un contiguo servizio pubblico
per handicappati - ha già ricevuto con una precedente analoga leggina (legge
regionale 2 settembre 1981 n. 60) seicento milioni, sempre per opere murarie.
Con la legge 83/1982 ne riceve settecento (trecento
sono stati aggiunti all'ultimo momento dall'assessore per altro istituto). Fra
la Regione e le associazioni non c'è, né si prevede, alcuna forma di
convenzione: è certo che poi interverremo significativamente nella gestione
dei servizi (s'intende solo per finanziarli).
A norma di statuto in caso di scioglimento de «La Nostra Famiglia» i beni dell'associazione andranno alla
Santa Sede: la Regione Friuli-Venezia Giulia quindi
non solo finanzia gli istituti ma, indirettamente, anche... gli stati esteri.
Ma non basta:
- legge regionale 3 giugno 1981 n. 35. Si tratta di
una norma per molti aspetti discutibile che però
ribadisce nel rapporto sanità assistenza il principio fondamentalmente valido
della centralità dell'ente locale e indica le modalità del rapporto Comuni-UU.SS.LL. per l'erogazione
dei servizi sociali.
Ovviamente tale principio, per essere realizzato,
richiede tutta una serie di specifiche norme attuative, di cui può essere
interessante considerare l'iter;
- la legge regionale 15 dicembre 1981 n. 83 così
precisa il principio richiamato sopra: «I contributi regionali di cui alla
presente legge sono concessi ai Comuni singoli o associati negli ambiti
territoriali delle Unità locali dei servizi sanitari e socio-assistenziali, nonché ad altri idonei soggetti pubblici o privati... I
soggetti diversi dai Comuni singoli o associati devono previamente stipulare
apposita convenzione con il Comune nel cui territorio è ubicata la struttura o
con l'Unità locale socio-sanitaria di cui il Comune stesso fa parte, secondo le
direttive all'uopo emanate dalla Giunta regionale» (art. 3).
Tale legge è stata modificata diventando la legge regionale 10 aprile 1984 n. 9 dove il principio sopra
enunciato non esiste più. Ecco il nuovo art. 3 «I contributi regionali di cui
alla presente legge sono concessi ai Comuni singoli o associati negli ambiti
territoriali delle Unità locali dei servizi sanitari e socio assistenziali,
nonché ad altri idonei soggetti pubblici o privati, in armonia con i principi e
con le procedure della programmazione regionale». (In entrambi i casi si tratta
di contributi per realizzare centri e residenze sociali).
Nella seconda dizione scompare - nel rapporto col
privato - l'ente locale e si ripropone (come nella
legge da voi criticata su Prospettive
assistenziali) l'immagine di una regione che eroga «soccorsi» ai privati,
secondo una loro progettazione e al di fuori di qualsiasi tipo di programmazione.
Ma sorge un altro problema: chi sono i privati?;
- la legge regionale 3 giugno 1981 n. 35 così recita:
«La Giunta regionale formula e aggiorna annualmente l'elenco delle case per
anziani ed inabili, dotate dei necessari requisiti. Chiunque intenda aprire o
trasformare strutture residenziali per soggetti in stato di non
autosufficienza, parziale o totale, è tenuto, oltre
agli adempimenti previsti dalla normativa vigente, a richiedere alla Giunta
regionale l'autorizzazione al funzionamento» (art. 14). Può sembrare (ed è) un
criterio assai largo, ma si è fatto di peggio. Anche
questa norma è stata modificata ed è diventata la legge regionale 23 luglio
1984 n. 31 che suona così: «La Giunta regionale formula e aggiorna annualmente
l'elenco delle case per anziani e inabili - facenti capo ad enti, istituzioni,
associazioni e donazioni pubbliche e private - e dotate dei requisiti di cui
al presente articolo e alle relative direttive regionali.
... I soggetti privati diversi da quelli indicati al
presente... comma che intendono accogliere in abitazioni collettive anziani
autosufficienti ovvero in stato di parziale non autosufficienza (anche
eventualmente in convivenza con altre persone soggette a rischi di istituzionalizzazione) sono tenuti, oltre agli
adempimenti previsti dalle norme vigenti, a richiedere all'Unità sanitaria
locale di pertinenza l'autorizzazione al funzionamento. La Giunta regionale
determinerà con apposite direttive i requisiti
condizionanti il rilascio dell'autorizzazione» (art. 1).
Chi sono «i soggetti privati
diversi...»? Si tratta (ed è stato dichiarato in corso di dibattito) di affittacamere che per consolidata tradizione (in
particolare a Trieste) accolgono soggetti con situazioni di difficoltà,
soprattutto anziani. Ovviamente ciò avviene per
motivi di lucro.
Con la legge regionale 31/1984 si è voluto «legalizzare»
questa situazione, ritenendo di sanarla con l'autorizzazione, la verifica e il
controllo delle UU.SS.LL.
E infine (ma tanto ci sarebbe da dire) è il caso di
far riferimento al
- Piano regionale di sviluppo
(1984/86) che stanzia 18 miliardi in tre anni per un «intervento complessivo a
favore degli anziani».
Nel mese di agosto 1984
veniva approvata la legge attuativa di tale piano
(legge regionale 30-8-1984 n. 44) che stanzia finanziamenti per edifici di
varia natura, in una regione già sovraccarica di case di riposo. Naturalmente,
anche in questo caso, la strada per i privati è aperta senza vincolo di
convenzione alcuna (è sufficiente un parere favorevole del comune competente
per territorio) e non c'è cenno a una più efficace politica
dei servizi.
Le domande di finanziamento di cui si ha notizia,
presentate finora da parecchi comuni, hanno avuto
risposta negativa. Non si sa a chi (e in quali zone del territorio regionale) vadano i finanziamenti della legge regionale 44/1984, né si
sa quale beneficio ne conseguiranno gli anziani interessati.
AUGUSTA DE PIERO BARBINA
Pubblichiamo
inoltre una nota sull'argomento inviataci dall'Autrice.
13 ottobre 1983: la VI Commissione del
Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia
discute una legge di finanziamento a un'associazione privata che gestisce
istituti d'assistenza a motulesi. Sono «in gioco» 700 milioni (la medesima associazione, per il medesimo scopo, ne ha
avuti 600 nel 1981).
Propongo una serie di motivazioni per un prevedibile
voto contrario del mio gruppo (PCI) e ricordo anche che, a quanto mi consta, i
beni dell'associazione (che noi con quel finanziamento potenzieremo) in caso
di scioglimento della stessa andranno - sempre per scopi assistenziali - alla
Santa Sede. Prevedendo reazioni emotive (la nostra storia individuale sembra collegata alla... questione romana) propongo di pensare
anziché alla Santa Sede alla repubblica di Andorra e di considerare il ridicolo
di un finanziamento a uno stato estero. Purtroppo non possiedo lo statuto
dell'Associazione, ne ho notizia per sentito dire e chiedo di prenderne
visione.
I commissari si arroccano a difesa de «La Nostra
Famiglia», il compagno di Democrazia Proletaria è dovuto
correre in altra commissione, lo statuto non mi viene consegnato, ma io lo
voglio prima del consiglio (che avrà luogo il 19) quando si voterà formalmente
la legge.
Cerco di riassumere ciò che è accaduto in seguito.
Il giorno 14 ottobre telefono a Trieste, lo statuto in consiglio non c'è;
sembra scomparso in corso di pulizie... a fine legislatura.
Per due giorni taccio: di sabato e di domenica non si
cercano statuti. Il lunedì ricomincio. Risulta che una copia sia in possesso del democristiano relatore della legge:
viene avvicinato. Lo statuto è nella sua borsa ma, in
un contatto successivo (ogni atto di questa operazione costa... alcune
telefonate interurbane: viva la Sip!), risulta
scomparso. Non riesco ad appurare se la borsa sia
rotta, ma comincio a pensare che non sia stato opportuno fare una simile
richiesta il giorno 13. Avvicino il presidente della commissione e gli dico che per il 19 (giorno del consiglio) voglio lo statuto
sul mio tavolo. Trova «lecita» (bontà sua!) la mia richiesta
ma mi fa capire di ritenere esagerata la mia insistenza. Purtroppo non
riesco ad aderire al suo senso della misura e insisto.
Il 19 lo statuto non c'è. Vengo
avvicinata dal relatore-con-borsa-rotta che mi dice
di aver tentato di andare da Pordenone (sua residenza) a San Vito («casa
madre» de «La Nostra Famiglia») ma di esserne stato
impedito da un improvviso e inatteso guasto all'automobile. Ringrazio il
collega per tanta inutile premura (lo statuto doveva essere in qualche luogo
degli uffici regionali) e mi preoccupo sempre di più. Il 13 comincia a ossessionarmi.
Faccio presente che comunque
- essendo stata approvata una legge di finanziamento due anni prima - lo
statuto deve trovarsi negli uffici dell'assessorato alla sanità: in mancanza di
tale documentazione non sarebbe stato possibile concedere il finanziamento.
Mi vengono recapitati due
statuti: quello dell'Unione Italiana Ciechi e quello dell'Ente Nazionale
Sordomuti. Ho l'impressione di giocare a Monopoli (quattro case, un
albergo...).
Poco dopo arriva un affannato funzionario dell'assessorato alla sanità (ma perché mortificare così
la professionalità dei lavoratori?) al quale hanno detto di dirmi
che lo statuto naturalmente c'era ma che, in un precedente controllo, è andato
perso alla... Corte dei Conti (che sia un nuovo sistema di archiviazione
perpetua?).
Si avvicina il momento del dibattito.
Arriva un usciere con anonima busta bianca a mio
nome. L'apro: c'è lo statuto. Così posso dar lettura
della norma che, indirettamente, rende la Santa Sede erede della Regione Friuli-Venezia Giulia ma non so chi ringraziare per
l'invio dello statuto.
(1) Gli articoli pubblicati su Prospettive assistenziali, riguardanti
«La Nostra Famiglia» sono stati i seguenti: G. BRUGNONE, Servizi di riabilitazione: la «Nostra Famiglia»
- Un ente privato con bilancio in attivo, n. 43, luglio-settembre 1978; Precisazioni e repliche sull'articolo riguardante
«La Nostra Famiglia», n. 45, gennaio-marzo 1979 (N.d.r.).
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