Prospettive assistenziali, n. 69, gennaio - marzo 1985
Editoriale
IL CASO BACCHELLI ED IL DIRITTO ALLE
CURE OSPEDALIERE DEGLI ANZIANI CRONICI - NON SIAMO PIÙ I SOLI A DIRLO
Ieri Elsa Morante; oggi Riccardo Bacchelli.
Pare tocchi agli scrittori - a quei nomi che «hanno dato un senso, offerto più di un
segno di riscatto alla vita culturale e letteraria, e non solo a quella del
nostro Paese» (1) - riportare in prima pagina il problema drammatico degli
anziani malati e respinti dal sistema sanitario pubblico.
Tocca a loro. Ma, strano a dirsi,
non alla loro penna. Dei vecchi ci si vergogna; e, salvo casi rari, così
sembrano pensarla anche i nostrani intellettuali. Caso vuole, comunque, che spetti a loro farne parlare. Bacchelli, novantaquattrenne, dimissionato dalla clinica la
cui retta era a carico del Comune di Milano; Elsa Morante ed il caroretta
nella casa di cura; Carlo Betocchi che passa gli
ultimi suoi anni di vita in un ospizio; Sandro Penna
che muore «in una condizione di folle e disperata degradazione» (2).
Che fare? Riservare a loro, scrittori, un trattamento
di riguardo, per assolvere ad un debito di
riconoscenza che la collettività ha nei loro confronti?
Com'era già successo per Elsa Morante, anche per
l'autore de «Il Mulino del Po» si
sono mossi in tanti: gli altri scrittori, i
giornalisti, il Capo dello Stato, il Presidente del Consiglio, il segretario
della dc (3), democrazia proletaria...
Più difficile è stato, pure in questa
occasione, collegare la situazione di Bacchelli
a quella di migliaia di altri anziani, anch'essi malati e respinti. Non rivendicare «privilegi» di categoria, non invocare nuove leggi,
ma il rispetto di quelle in vigore. Tanto basterebbe.
A quando un appello anche per i vecchi non illustri?
La legge c'è,
facciamola applicare
La situazione di Bacchelli
è uguale a quella di migliaia di altri anziani malati
cronici non autosufficienti e le leggi vigenti, tanto per Bacchelli
quanto ovviamente per tutti gli altri, stabiliscono che il servizio sanitario
nazionale deve curarli senza limiti di durata e gratuitamente.
Questo diritto, sancito dalla legge 4.8.55 n. 692 e
dal decreto del Ministro del lavoro del 21.12.56, è stato ribadito
dalla riforma ospedaliera del 1968 (L. 12.2.68, n.
132), il cui art. 29 prevede che il fabbisogno di posti letto ospedalieri va
calcolato per i pazienti acuti, cronici,
lungodegenti e convalescenti. La legge di riforma sanitaria ha
confermato il diritto alla prevenzione, cura e riabilitazione di tutte le
malattie, quali ne siano le cause, la natura e la durata.
Accade, invece, continuamente che, a seguito di illegali dimissioni o non ammissioni in ospedale di
malati cronici, all'anziano od ai suoi parenti rimanga la sola alternativa del
ricovero in clinica privata (con costi di 200/250 mila lire al giorno) o in
istituto di assistenza, ove con spesa comunque pesantissima (40-60 mila lire
al giorno) il paziente rimarrà privo di assistenza riabilitativa e sanitaria.
È troppo chiedere a Pertini,
a Craxi, a tutti gli altri, che il caso di Riccardo Bacchelli serva almeno a far considerare il grave problema
con maggiore attenzione e non solo a promuovere un intervento eccezionale
quanto sporadico, determinato dalla popolarità di uno scrittore?
Anziani scomodi
Anziani scomodi, i vecchi malati. E
gli ospedali, spesso, li mettono alla porta. Non c'è posto. Non c'è tempo. A
volte, non c'è voglia. E poi: «Avete mai visto, voi, come funziona un ospedale? Vi sembra il posto
per un anziano?». Già. Meglio il cronicario; meglio la
casa di cura (convenzionata o no). Meglio, per chi? Per
il vecchio o per il sistema sanitario nel suo insieme, le statistiche sulle
degenze, il personale medico e paramedico.
Intanto, non passa settimana che in Italia i giornali
non registrino qualche nuovo presunto caso di violenza ed abusi contro gli
anziani:
«Per il
terribile ospizio lager rinviato a giudizio un vescovo. Un alto prelato della
chiesa assira d'Oriente maltrattava gli anziani» (La Repubblica, 9 agosto 1984).
«Como, blitz dei carabinieri in tre ricoveri per anziani» (L'Unità, 31 agosto 1984).
«Como, inchiesta sullo scandalo della casa di riposo» (La Stampa, 2 settembre 1984).
«Catania,
Villa Gardenia era convenzionata con il Comune. La casa di riposo era un lager.
Blitz della polizia, 3 arresti»
(La Stampa, 12 settembre 1984).
«I vecchi
della Saggina accusano: inefficienza, violenze, cibo scadente» (Il Giornale, 18 novembre 1984).
«Nell'inferno degli ospedali geriatrici dove
la vecchiaia è peggio della morte. Coraggiosa inchiesta
della Cisl pensionati sulla situazione dei cronicari
nel Lazio» (Corriere della Sera, 21 dicembre
1984).
«Su Villa
delle Querce a Velletri processo per corruzione e
tangenti» (Corriere della Sera, 19
gennaio 1985).
«Erano
ceffoni e tranquillanti le sole cure a Verrua Savoia.
L'inchiesta sulla casa per anziani Villa Giovanni
XXIII» (La Stampa, 15 febbraio
1985).
«Quando la casa di riposo non è proprio serena. Dopo i
clamorosi arresti a Cortemilia» (Stampa Sera, 23 febbraio 1985).
Qualcosa si muove...
Qualcosa si muove, comunque
(4). Ad esempio, sul piano delle responsabilità amministrative.
Al convegno promosso dalla Lega piemontese delle autonomie
locali e dalla Regione Piemonte (Torino, 10 dicembre 1984), Luigi Massa,
segretario regionale della Lega stessa, presidente dell'Ussl
39 del Piemonte, ed esponente di rilievo del PCI, ha sostenuto:
«I problemi
che dal nostro osservatorio abbiamo colto sono di duplice natura: in primo luogo
il problema dell'erogazione dei servizi sanitari in strutture protette e
quindi la complessa questione di come gestire la fase certo non breve di
transizione verso la situazione a regime tenendo conto anche dell'esistenza di ampi settori privati. Un nodo quindi di non poco conto
che dobbiamo affrontare oggi, alla vigilia della discussione
sul secondo piano socio-sanitario regionale. Rispetto al primo punto il mio
amico Francesco Santanera affermava che l'anziano,
tra l'essere emarginato gratis nei repartini di Degan e a pagamento nelle case-protette di Bajardi, preferiva essere emarginato gratis. Pur contestando
a Santanera che le Case-protette previste dal PSSR piemontese dovevano essere
tutt'altro che momenti emarginanti, resta però certamente
il problema dell'anziano, ma anche del cittadino non annoverabile fra la
popolazione anziana, che pur abbisognando di cure in strutture protette deve
essere dimesso dal reparto ospedaliero perché ha superato la fase di acuzia e perché è necessario far spazio ad altri ammalati
in fase acuta.
«Secondo la
nostra legislazione regionale oggi in vigore questo cittadino va a finire in
casa protetta passando dall'assistenza gratuita a rette che sicuramente saranno
molto alte. Ciò noni è sicuramente giusto.
«La
situazione in futuro sarà ulteriormente aggravata sia dalle disposizioni della
legge finanziaria che indicano i livelli di durata media di degenza
ospedaliera sia, nel momento in cui finalmente riusciremo ad attuarla, dalla impostazione "budgettaria"
dei bilanci delle USSL che incrementeranno ulteriormente la fuoriuscita anticipata
di soggetti a degenza prolungata d'agli ospedali. Tra l'altro, questa situazione
irrisolta finirà di non consentire alcun riordino regionale nel settore delle
infermerie oltreché favorire migrazioni verso le
cliniche private convenzionate con evidenti incrementi della spesa sanitaria
delle USSL.
«Con il
nostro sistema nemmeno il pronunciamento del
Consiglio Sanitario Nazionale sul concorso del fondo sanitario alla spesa
socio-assistenziale risolve il problema (anche se certamente riduce
consistentemente il livello diversamente inaccettabile delle rette delle
strutture protette). Qui il rischio di riaffacciarsi di tendenze per la
riapertura dei reparti geriatrici è grande: occorre
sicuramente non cedere a tali tentazioni perché, fra l'altro, non
risolverebbero neanch'essi il problema aumentando
invece questi sì, il livello di emarginazione della
condizione dell'anziano ammalato. Non risolverebbero nulla perché il problema
delle degenze prolungate, delle cure minime in strutture protette, degli interventi di riabilitazione riguardano anche non anziani;
pensiamo agli esiti di infortuni sul lavoro, di incidenti stradali, di ictus
cerebrali o di infarti del miocardio, pensiamo agli ammalati di cancro in fase
terminale che hanno diritto di morire con dignità e senza dolore. A tutti
questi non si può certo fornire la risposta con l'apertura dei reparti geriatrici!
«La risposta
può essere allora il riservare posti in case-protette
al settore sanitario, con i costi coperti integralmente dalla sanità? Può essere
strada anche se non ci convince pienamente perché ci
sarebbe allora diversità di trattamento in medesima struttura tra soggetto e
soggetto. Personalmente sono molto più convinto delle proposte che si stanno
formulando in Umbria, con la nascita di un terzo
livello sanitario che là chiamano "struttura para-ospedaliera" e che
si configura similarmente come le nostre case-protette con la differenza che
all'interno è presente un minimo di personale sanitario (un medico, un
infermiere) e che le stesse sono gestite dalla sanità e non dall'assistenza. Se
scegliessimo questa strada anche in Piemonte (con il vantaggio di risolvere
definitivamente il problema delle infermerie) avremmo quindi anche noi tre
livelli di intervento: le case-protette in cui sono
ospitate persone che abbisognano di cure minime simili a quelle ospedaliere, le
case-protette assistenziali in cui trovano ospitalità (in sostituzione della
propria casa) persone anziane non autosufficienti ma non inseribili nel settore
della sanità, le comunità alloggio per le persone autosufficienti in
sostituzione del proprio domicilio.
«In tal caso
sarebbe anche possibile normare in modo diverso le
strutture paraospedaliere delle case-protette in modo
da far gravare meno i costi (diversamente molto grandi) su queste ultime,
riducendo quindi il peso insostenibile di certe rette). Restando fermo il
problema del superamento delle barriere architettoniche (totalmente e
rigidamente per le nuove realizzazioni e con gradualità e deroghe per le
vecchie costruzioni rendendo quindi possibile anche questo processo) gli standards di personale delle case protette dovrebbero
essere rivisti: diversamente la riduzione delle risorse a disposizione degli
Enti locali unitamente ad un maggior impoverimento di larghe fasce già
emarginate di popolazione provocherebbero la reale
impossibilità di creare queste strutture e di trasformare le case di riposo
esistenti».
La posizione del presidente della Lega piemontese
per le autonomie locali non rappresenta certo la soluzione che da anni andiamo
auspicando (del resto, come è possibile distinguere
fra gli anziani non autosufficienti chi deve essere inserito in casa protetta
para-ospedaliera e chi in casa protetta assistenziale?). Tuttavia, è indubbio
che Luigi Massa riconosce, sia pure parzialmente, la competenza del settore sanità in questi casi e, quindi, l'esigenza che
sia il sistema sanitario nazionale a farsi carico di tali problemi.
Dal Piemonte alla Lombardia. Nella «Relazione anziani
per l'anno 1983» della Ripartizione assistenza sociale del Comune di
Milano, l'Assessore all'assistenza e sicurezza sociale Attilio
Schemmari (Psi) riferisce
che «gli esperti dell'amministrazione
comunale (il professor Alessandro Marco Maderna, dell'Istituto di psicologia dell'Università
Statale, ed i suoi collaboratori) per quanto riguarda il settore degli interventi
in direzione degli anziani ci confermano in un indirizzo e una linea di
comportamento che possono così riassumersi: per i lungodegenti non si tratta
di aumentare il numero delle case di riposo o i posti letto nelle case di
riposo esistenti, occorre realizzare nell'ambito sanitario (che tenga presenti
anche alcuni aspetti di necessaria socializzazione) presidi di riabilitazione e
di lungodegenza che prevedano standard di servizi (radiodiagnostici, laboratori, palestre di riabilitazione,
ecc.) e di personale specializzato in grado di rispondere correttamente sia ai
pazienti da riabilitare che a quelli "totalmente non autosufficienti".
Non è pensabile che questi ultimi cittadini siano inseriti in strutture
esclusivamente socioassistenziali a isolate: occorre
inserirli in un presidio che sia strutturalmente, funzionalmente e,
soprattutto, culturalmente in grado di rispondere anche ai non pochi problemi
sanitari emergenti. Non si può (e non si deve, al di là dell'esistente)
costruire presidi solo per loro» (5).
Anche il dottor Luciano Onida
- che, in precedenza, aveva avuto una vivace polemica con chi, come noi,
sosteneva per gli anziani malati il diritto alla permanenza
in ambito ospedaliero sino a quando ciò è necessaria, così come prevedono
le leggi vigenti (6) - ha modificato la sua posizione (7).
Ora, fra le soluzioni «per una valida ed efficace assistenza per: a) soggetti con
deterioramento mentale da demenza senile o presenile a genesi non vascolare;
b) soggetti con neoplasie primitive o più spesso metastatiche,
trattati o non trattati con terapie chirurgiche a mediche, nella fase di
refrattarietà ad ogni altro trattamento che non sia quello strettamente
sintomatico; c) soggetti con malattie neurologiche croniche
passibili di recupero funzionale a lungo termine», Onida indica la «creazione
di reparti di degenza riabilitativa in ogni ospedale, come previsto dal
progetto di legge n. 60 e dal piano ospedaliero 1974-78 della Regione
Lombardia; questi reparti dovrebbero essere gestiti da medici internisti in
stretta collaborazione con il SRRF, concentrando in un unico settore pazienti
provenienti da diversi reparti (medicina, neurologia, cardiologia,
rianimazione, chirurgia, pediatria, ecc.) e quindi riunendo diverse competenze
specialistiche secondo un concetto dipartimentale. L'ambiente, studiato anche dal punta di vista architettonico (abolizione di barriere,
spazi aperti facilmente raggiungibili, ecc.) sarebbe nettamente più favorevole,
anche psicologicamente, ad un recupero non solo puramente fisico, meccanico, ma
anche della volontà di vita».
Il dottor Onida sostiene
altresì che «questa soluzione appare a
chi scrive, ed a altri, la migliore e la più
razionale al giorno d'oggi nella realtà milanese e probabilmente di altre
grandi città, ed anche la più facilmente ed economicamente realizzabile,
tenendo conto che in ogni ospedale esiste probabilmente qualche reparto chiuso
per mancanza di personale; ovviamente, occorre che venga superato l'attuale
indiscriminato blocco delle assunzioni specie per il personale paramedico.
Paradossalmente, al Consiglio dei sanitari del "San Carlo", una
raccomandazione in tal senso è stata bocciata anche dai suoi stessi
sostenitori perché, realizzata a Milano in un solo
ospedale, porterebbe ad una immediata totale
saturazione, anche per un richiamo di potenziali clienti dal territorio e
magari d'altre regioni, con impossibilità pratica di gestione delle
accettazioni».
Una lettera aperta ai cattolici
Sul problema degli anziani (e, più in particolare,
su quello della emarginazione) non è infrequente che
gruppi, organizzazioni o istituzioni ecclesiali (per lo più legati alla chiesa
cattolica) assumano posizioni attraverso la pubblicazione di documenti o altre
iniziative. Tuttavia, molto spesso, si tratta di prese di posizione che riguardano,
in primis, non le persone e le loro condizioni di vita, ma le istituzioni assistenziali.
Per questo, ci sembra estremamente
significativa la «Lettera aperta ai
cattolici sul problema degli anziani cronici non autosufficienti», che un
gruppo di cristiani torinesi ha inviato alla presidenza della Cei ed ai vescovi italiani, e che è stata pubblicata sul
numero 68 di Prospettive assistenziali (9).
L'ospedalizzazione
a domicilio
Come abbiamo sostenuto da
tempo su Prospettive assistenziali,
una parte del problema degli anziani malati non autosufficienti potrebbe essere
risolta con il sostegno dei familiari, se il sistema sanitario nazionale
istituisse un «servizio di
ospedalizzazione a domicilio» (10).
A conferma della validità di questa nostra tesi,
segnaliamo che - nella sua seduta del 30 ottobre 1984
- l'Assemblea dell'Unità socio-sanitaria locale 1-23 di Torino ha approvato
una delibera dal tema: «Progetto
sperimentale di assistenza ospedaliera a domicilio»,
che pubblichiamo integralmente in questo numero della rivista.
È previsto che tale forma di intervento,
liberamente chiesta dal paziente e dai suoi familiari, venga svolta a
domicilio, «con il concorso dei medici e
degli infermieri dello stesso ospedale che in precedenza hanno avuto in cura il
malato ricoverato». In primo momento, il progetto è rivolto ad «ammalati selezionati» che rientrino in una determinata casistica (si veda la citata
delibera).
Il piano di assistenza deve
coinvolgere fra gli altri, la famiglia del paziente, il medico di base, i
medici specialisti, gli infermieri ospedalieri, i terapisti della
riabilitazione. Sono previste, infine, particolari
attrezzature presso l'abitazione del malata.
La delibera non fa cenno, invece, alla corresponsione ai familiari di una somma in denaro, in modo
che essi possano coprire le spese sostenute per ottenere, ad esempio, l'aiuto
di una colf per alcune ore. A nostro avviso, si tratta di una lacuna grave del
provvedimento, in quanta il sistema sanitario non può chiedere ai familiari di essere presenti 24 ore su 24 al capezzale del malato
(tanta più che, spesso, il problema riguarda persone ultraottantenni i cui
figli o congiunti non sono certo degli atletici giovanotti). Merita, comunque, segnalare che la delibera dell'USSL di Torino
segna una netta inversione di tendenza rispetto alla linea di delegare «in toto» ai familiari la gestione di anziani malati non autosufficienti
e bisognosi di cure sanitarie ospedaliere. Ma,
soprattutto, riconosce la competenza della sanità in questi casi; il che non è
cosa di poco conto rispetto a quanto si continua a scrivere e a dire «sui vecchi parcheggiati che tolgono il posto
letto ai giovani ammalati».
(1) Cfr. E. SICILIANO, Vecchi illustri o no, comunque abbandonati, in
«Corriere della Sera», 13 febbraio 1985.
(2) Ibidem.
(3) Questo il testo della interpellanza
presentata dagli On.li De
Mita, Piccoli, Rognoni e Bodrato alla Camera dei
deputati in data 12 febbraio 1985: «I
sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri per sapere, premesso che:
le idee e le opere di Riccardo Bacchelli hanno dato e recano lustro non solo alla cultura
italiana, ma all'intero paese, costituendo un patrimonio irripetibile che è
acquisito alla coscienza comune dei cittadini e che è dovere dello Stato
difendere e proteggere;
altresì che la tutela morale e fisica di uno
dei più grandi scrittori contemporanei non può essere affidata alla semplice
pietà dei singoli o ad una occasionale pietà pubblica;
infine, che, venuta meno la disponibilità
dell'amministrazione comunale di Milano a coprire le spese ospedaliere e
sanitarie per conservare in vita Riccardo Bacchelli,
e non essendo mai stato dato corpo ad un intervento organico che le più alte
autorità dello Stato avevano sollecitato e le più alte autorità di Governo
avevano assicurato, le stesse capacità di resistenza dello scrittore più noto e
più amato d'Italia si sono decisamente affievolite:
quali misure immediate, ordinarie e
straordinarie, il Governo intenda assumere per riportare Riccardo Bacchelli in una adeguata struttura ospedaliera che possa
consentirgli le cure di cui ha urgente bisogno».
(4) Sul problema del diritto alle cure
ospedaliere degli anziani cronici non autosufficienti, si vedano gli articoli
pubblicati in questi ultimi anni da Prospettive
assistenziali. Cfr. Prospettive assistenziali, n. 66, nota 1,
p. 29.
(5) Cfr. Comune di Milano, Ripartizione assistenza e sicurezza sociale, Relazione anziani, anno 1983, Interventi e
problemi, p. XVII.
(6) Si vedano gli articoli pubblicati
da Prospettive sociali e sanitarie, nn. 16/82, 21/82, 3/83, 9/83, 3/84 ed, in
particolare, le posizioni sostenute rispettivamente da F.
Santanera, L. Onida, G. Brugnone.
(7) Cfr. L. ONIDA, Cronici ed anziani in ospedale: un problema
drammatico, in La ca'
granda, n. 2-3/1984, pp. 45-47.
(8) Per la verità, occorre ricordare
che l'ospedale inteso come luogo di cura, lungodegenza
e riabilitazione non è - come parrebbe - una idea del progetto di legge n. 60 e
del piano ospedaliero 1974-78 della Regione Lombardia, ma una disposizione di
legge (per la verità assai poco seguita) della riforma ospedaliera del 7968.
(9) La lettera è stata pubblicata,
anche, dai periodici La Voce del Popolo,
Tempi di fraternità, Controcittà, Il Foglio.
(10) Sul significato ed i contenuti
della proposta, cfr. Prospettive assistenziali, n. 67, pp. 5 e
segg.
www.fondazionepromozionesociale.it