Prospettive assistenziali, n. 69, gennaio - marzo 1985
IL POTERE DELLA
BENEFICENZA
Nell'ambito
delle attività scientifiche della Fondazione Einaudi, Piercarlo e Renato Grimaldi
hanno effettuato una ricerca sulla situazione patrimoniale delle IPAB,
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, di Torino.
La ricerca
suddetta è stata pubblicata da Franco Angeli con il titolo «Il potere della beneficenza», Milano, 1983, pp. 209, L.
18.000.
L'unico neo
del libro è contenuto nella prefazione di Luciano Gallino del Dipartimento di scienze sociali dell'Università
di Torino.
Infatti non corrisponde al vero l'affermazione secondo cui
il passaggio delle IPAB all'ente locale «non può avvenire d'ufficio, poiché la legge prevede che siano le
istituzioni a deliberare, se credono, la propria estinzione, consentendo alla
Regione di avviare il procedimento legislativo per trasferire le funzioni, il
patrimonio e il personale ai Comuni» (p.
9).
È invece
vero il contrario. Nel caso di inattività dell'IPAB o
di impossibilità a raggiungere i fini statutari, la Regione può procedere
d'ufficio all'estinzione dell'ente e al trasferimento delle funzioni, del
patrimonio e del personale ai Comuni
(*).
Ciò
nonostante, la pubblicazione è di enorme importanza
sia ai fini di una esatta conoscenza del ruolo politico e patrimoniale che le
IPAB continuano a svolgere, sia per le iniziative dirette ad impedire la loro
privatizzazione.
Pertanto riportiamo una sintesi dell'opera, redatta a cura
degli Autori della stessa, sintesi tratta da un più ampio lavoro pubblicato in «Politica ed economia», n. 4, aprile 1983, pp. 39-46.
In questi ultimi anni si è svolto in Italia un ampio
dibattito sulla opportunità di sciogliere le molte
migliaia di enti inutili che operano pure con il contributo pubblico. Molto si
è discusso sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza (Ipab); si tratta delle ex opere pie che
da alcuni secoli sono attive nel campo della beneficenza e che a partire dalla
metà dell'Ottocento hanno subito un lento processo di pubblicizzazione.
È opinione corrente che tali istituzioni assistenziali rappresentino
un ingente potere economico e politico gestito in particolare da organizzazioni
religiose. La ricerca di cui si dà conto, che ha analizzato le Ipab con sede in una grande città
industrializzata, è pervenuta ad interessanti risultati.
Le Ipab organizzano
un'assistenza che è funzione prevalente della
formazione sociale contadina-artigianale (1); sono nate in particolare per controllare
la povertà che ha caratterizzato per molti secoli la nostra storia e per inibirne
il potenziale di protesta che poteva rappresentare una minaccia per l'ordine
sociale. Questa forma di beneficenza ha quindi potuto contare sull'appoggio
economico di alcuni strati di popolazione, in particolare
di quelli nobiliare e borghese. Tutto questo ha determinato un notevole
accumulo di patrimonio immobiliare urbano e rurale, specialmente per quelle
istituzioni che hanno scelto precise linee assistenziali
di intervento volte al recupero fisico e morale dell'assistito; questo a
differenza di molte istituzioni che sorgevano per difendere gli interessi di
specifiche categorie e corporazioni di cittadini. Inoltre il buon funzionamento
delle opere pie era un fattore che produceva nuove donazioni.
Il controllo della parte di popolazione che viveva
la qualità della vita peggiore, si trasformava spesso in un evidente consenso
verso l'organizzazione sociale e politica della società che quindi risultava maggiormente governabile (2). Il sorgere di
formazioni capitalistiche, la conseguente richiesta di sicurezza sociale e di
prevenzione, non più legata alla beneficenza e all'assistenza, alla
frammentarietà tipica del mondo contadino tradizionale, ha messo in crisi il
modello assistenziale delle opere pie svuotandole di contenuto. Nella società
contemporanea la lotta alla povertà e ai bisogni sociali viene
affrontata con il welfare state. In questo ambito molta importanza hanno avuto le domande di
trasformazione e le lotte portate avanti dalla classe operaia organizzata per
ottenere migliori condizioni sociali. Questa nuova prospettiva assistenziale determina l'estinzione, in termini di
funzionamento e di patrimonio, principalmente delle opere pie elemosiniere e di
quelle legate a particolari corporazioni o categorie di cittadini.
Il potere economico misurato attraverso il patrimonio
immobiliare delle opere pie è ancora oggi di notevole entità. È però concentrato in poche istituzioni che hanno assolto
nei secoli importanti ruoli educativi ed assistenziali e che hanno acquisito,
in particolare attraverso donazioni di terreni, patrimoni ingentissimi.
Tali Ipab, in questi ultimi decenni contrassegnati da
un notevole sviluppo delle città e dell'industria, hanno convertito le
proprietà terriere interessate dallo sviluppo urbano
in immobili edili. Questo patrimonio è quindi di recente costruzione, ad
eccezione naturalmente delle sedi delle istituzioni che molte volte sono
monumenti storici, veri e propri musei d'arte; inoltre tali proprietà, data la
localizzazione privilegiata (grande città) hanno un
valore commerciale molto elevato anche se la categoria economico-popolare
degli edifici e la legge sull'equo canone ne penalizzano fortemente la rendita.
Tutte queste proprietà edili, assieme a ciò che è rimasto dei beni fondiari,
costituiscono un patrimonio di ingente valore
commerciale ma con una rendita bassa che non è più un contributo per
l'attività statutaria dell'ente, e a volte non riesce a compensare le spese di
normale manutenzione.
L'attuale patrimonio delle Ipab
si configura come un prodotto di determinati fatti o vicende storiche (lasciti,
permute di terreni in fabbricati, espropriazioni) piuttosto che di un preciso
obiettivo perseguito dai consigli di amministrazione.
Inoltre la ricerca ha rifiutato l'opinione corrente che attribuisce il governo
delle opere pie essenzialmente a figure ecclesiastiche. Infatti
l'ente pubblico registra una presenza non indifferente nei consigli di
amministrazione, per cui vanno ripartite eventuali responsabilità di gestione.
In conclusione sono istituzioni in gran parte obsolete, superate dai tempi, e
la lotta che ancora oggi divide i vari schieramenti politici è
dovuta in gran parte agli interessi patrimoniali che ancora sussistono.
Le Ipab attraverso il controllo sul personale, sugli
assistiti e quindi indirettamente anche sui loro familiari, sui cittadini che a
vario titolo utilizzano le proprietà, rappresentano ancora un momento di
consenso, di conservatorismo e non a caso dalla loro parte si sono schierate le forze pubbliche e sociali che ne hanno
goduto e godono i favori.
Conoscere l'attuale patrimonio edile e terriero delle
Ipab in funzione della sua formazione storica,
confrontare i dati con le inchieste regie che sono state
condotte nel corso dell'Ottocento, analizzare la composizione dei consigli di
amministrazione, controllare le caratteristiche dell'utenza, le finalità
statutarie ecc., rappresenta un importante modello di analisi per comprendere
il ruolo assunta dalle opere pie nei secoli, un complesso sistema
assistenziale per molti versi superato dai moderni bisogni sociali.
Il comune di Torino, con circa
cento Ipab, costituisce un importante laboratorio
per la ricerca empirica. Data la
vastità e complessità del problema si è scelto di lavorare sull'universo
anziché su di un campione. I dati rilevanti sono quindi sia fonte per
l'analisi, sia informazioni di censimento. Nei secoli scorsi, in cui nascevano
e si sviluppavano le opere pie, Torino era una
importante capitale del Risorgimento italiano mentre in quest'ultimo
secolo è diventata un centro industriale internazionale. Studiare l'assistenza
e la beneficenza in una grande città offre la
possibilità di analizzare istituzioni aventi finalità statutarie molto
diversificate. Inoltre quelle che operano nel territorio urbano sono le più
importanti, le più conosciute ed erano oggetto di
lasciti e donazioni da parte della nobiltà e della borghesia che abitava
prevalentemente in città; ben altra cosa sono le piccole opere pie che sorgono
nelle comunità rurali. Lo stesso consiglio di amministrazione
risente della dinamicità, dello spirito imprenditoriale che caratterizza la
vita urbana; tale dimensione offre maggiori motivazioni al sorgere di nuove Ipab.
L'indagine di cui si dà conto è stata condotta a partire dal 1977, anno assunto come riferimento per il
rilevamento dei dati; alcune informazioni relative ai bilanci e al canone di
locazione, sono riferite al 1976. I nostri dati sono quindi precedenti al
decreto attuativo di scioglimento delle Ipab n. 616, 1977. All'inizio del 1980 il presidente del
Consiglio dei ministri riconosceva in Italia 1.766 Ipab
a finalità «educativo-religiose», di cui 506 localizzate nella Regione Piemonte; a Torino tali enti
ammontavano a 32, circa un terzo del totale cittadino. Occorre però osservare
che sia il processo di riconoscimento delle Ipab a finalità educativo-religiose,
sia il trasferimento di funzioni, personale e beni patrimoniali delle istituzioni
agli enti locali (che la Regione Piemonte attuava attraverso la legge regionale
n. 20 del 1980), è stato dichiarato illegittimo con una sentenza della Corte
costituzionale del 17 luglio 1981, n. 173. Lo strumento legislativo
che attualmente permette l'estinzione delle Ipab ed
il relativo trasferimento delle competenze, fa riferimento alla legge del
17.7.1890 n. 6972 e successive modificazioni ed integrazioni e del
relativo Regolamento amministrativo approvato con R.D. 5 febbraio 1891, n. 99,
nonché degli articoli 27 e 31 del Codice civile e del
D.P.R. 15.1.71 n. 9 e gli articoli 13 e 25 del D.P.R. 24.7.1977 n. 616 e la L.R. n. 20 del 23.8.1982.
All'inizio del 1983, gli interventi istituzionali
regionali sulle Ipab hanno prodotto la seguente
situazione: 15 enti torinesi, aventi proprietà immobiliari, sono stati
dichiarati estinti e i patrimoni sono stati trasferiti all'ente pubblico; per
gli altri il dibattito sullo scioglimento rimane aperto. Alla luce di questa
particolare situazione legislativa occorre chiarire che nell'ambito del nostro
lavoro, le Ipab educativo-religiose
assumono il significato di istituzioni ad alta
probabilità di riprivatizzazione (soprattutto in
funzione di una futura riforma generale dell'assistenza) cioè di un ritorno
della gestione di beni e funzioni sotto il controllo del Consiglio di
amministrazione «storico» dell'ente.
Il patrimonio delle IPAB torinesi
Per verificare l'entità del patrimonio oggetto della
ricerca, riassumiamo i principali dati emersi dall'indagine condotta sui
fabbricati e sui terreni. Sono 89 le istituzioni censite mediante schede
somministrate dal competente ufficio dell'assessorato all'Assistenza della
Regione Piemonte. La ricerca ha messo in evidenza come
di questo universo assistenziale cittadino, solamente 71 istituzioni siano
proprietarie di fabbricati per un totale di 2.609 unità immobiliari (u.i.); di
questi enti, 26 sono proprietari oltre che di fabbricati anche di terreni. Un'Ipab possiede solo terreni, per cui
le istituzioni con proprietà fondiarie ammontano a 27 e realizzano un totale
di 451 particelle catastali (p.c.); quindi quelle che sono proprietarie di
fabbricati o terreni risultano essere 72. In Torino sono presenti 1.892 u.i., pari al 73 per cento.
È intanto interessante verificare come l'insieme
delle Ipab che possiedono sia terreni sia fabbricati
(come abbiamo visto sono 26) costituiscono un nucleo molto importante per
quanto riguarda il possesso del patrimonio; infatti
questi enti detengono circa il 67 per cento delle u.i. e il 95 per cento delle
p.c. Analisi più approfondite pongono ancora in evidenza come si manifesti una
notevole concentrazione del patrimonio in poche istituzioni. Ad esempio
l'istituto di riposo per la vecchiaia, l'Opera pia Barolo e l'istituto agrario
Bonafous realizzano oltre il 50 per cento delle u.i.
e circa il 40 per cento delle p.c. Sono infine 17 le Ipab che non possiedano patrimonio immobiliare.
Un'indagine condotta dalla Regione Lazio sul finire
degli anni settanta, volta al censimento delle Ipab,
ha evidenziato come nel comune di Roma vi sia una
concentrazione di proprietà in mano a poche istituzioni assistenziali; infatti
le diciannove maggiori Ipab (su 113) controllano
«circa i due terzi della proprietà immobiliare da reddito delle opere pie del
comune di Roma, mentre, viceversa, le strutture immobiliari destinate a servizi
si distribuiscono proporzionalmente tra le varie opere pie» (3). Queste
istituzioni principali possiedono 18 immobili sedi di attività
assistenziale, 25 palazzi e palazzine e 341 appartamenti per uso di abitazione
e ufficio, 154 negozi, magazzini e autorimesse, e altri edifici così
destinati: 5 chiese, 3 cinema, 3 alberghi, 1 albergo diurno, 2 edifici
scolastici, e infine 6 terreni urbani (4).
Su 2.609 u.i. di proprietà
delle Ipab torinesi, 17 sono fuori regione, per cui
in Piemonte ne sono localizzate 2.592; di queste, 1.833 sono ad uso di
abitazioni (categoria A: alloggi, ecc.) con una media di 4,6 vani catastali per
u.i. (v.c./u.i.) ed un totale quindi di 8.338 v.c. Le proprietà ad uso di alloggi
collettivi (categoria B: collegi, convitti, ecc.) sono 110 con una dimensione
media di 17.687 metri cubi per u.i. (mc/u.i.) e per
un totale di 1.945.557 mc. Le proprietà a destinazioni
ordinarie commerciali (categoria C: negozi, botteghe, autorimesse ecc.) sono
612 per una media di 35 metri quadri per u.i. (mq/u1) ed un totale di 21.419
mq. Inoltre sono state censite 9 proprietà a destinazione speciale (categoria
D: opifici ed in genere fabbricati per speciali esigenze di un'attività
industriale e commerciale non suscettibili di una destinazione estranea
alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni) e 3 di proprietà a
destinazione particolare (categoria E: altre unità immobiliari che per la
singolarità delle loro caratteristiche, non siano raggruppabili in classi)
(5).
Le 27 istituzioni che possiedono dei terreni
realizzano in totale 451 p.c. con una media di 13.243 mq/p.c. e per una estensione complessiva di 5.972.764 mq (circa
seicento ettari). L'intera attuale proprietà fondiaria si può immaginare
concentrata in un quadrato che misura poco meno di due chilometri e mezzo di
lato; la quasi totalità dei terreni è localizzata fuori Torino. Inoltre di 384
particelle (pari all'85 per cento) si conosce il reddito dominicale e il
reddito agrario, parametri che servono ad individuare il terreno ad uso
agricolo; le altre sono cortili interni di abitazioni
e collegi, spazi per usi vari.
Le Ipab di Torino
possiedono dunque un considerevole patrimonio immobiliare che per mancanza di
dati omogenei è difficile confrontare con quello di
altre realtà italiane. Una recente ricerca condotta dalla Regione Emilia-Romagna relativa a 900 opere pie, rappresentanti i
due terzi della totalità delle istituzioni di beneficenza presenti sul territorio regionale, indica un patrimonio edile
che ammonta a circa un milione di metri quadrati. Esso è «localizzato
prevalentemente nel centro degli agglomerati e costituito da una serie molto differenziata di tipi edilizi: accanto a moderni collegi,
ricoveri, case di cura, scuole, si possono trovare antichi palazzi signorili,
vecchi conventi, chiese, edifici per abitazioni, ville rurali ecc.» (6).
Se operiamo una trasformazione delle misure del
patrimonio delle opere pie torinesi convertendolo interamente in metri quadri notiamo che esso ammonta approssimativamente ad oltre
800 mila mq ed è ripartito nel seguente modo: 16 per cento categoria A, 81 per
cento categoria B e 3 per cento categoria C. Esso rappresenta circa i quattro
quinti di quello censito nella intera regione Emilia-Romagna. Per quanto riguarda le proprietà terriere i
600 ettari che appartengono alle Ipab torinesi
rappresentano appena il 3 per cento dei 19 mila ettari del terreno agricolo che
fa capo alle istituzioni di assistenza dell'Emilia-Romagna (7) e il 40 per cento dei 1.500 ettari di
proprietà delle Ipab della regione Lazio (8). Da
questo confronto emerge che il patrimonio torinese è di notevole entità e con
caratteristiche essenzialmente edili.
La formazione storica
Generalmente l'opera pia si costituiva su di
un'ingente donazione, ulteriori lasciti ne aumentavano
il patrimonio. È sufficiente pensare ai numerosissimi benefattori
dell'Istituto di riposo per la vecchiaia che dal XVII secolo in poi hanno contribuito alla formazione di una grassa istituzione.
Quando questa ha trasferito la sua sede dalla centrale via
Po alle porte di Torino (allora aperta campagna, attualmente assorbita dallo
sviluppo della città) (9), è riuscita a costruire l'attuale imponente
fabbricato con la vendita di parte di una grandissima tenuta, lascito del
marchese Ainardo di Cavour - valutata allora oltre
tre milioni di lire (circa mille ettari) - con la vendita di titoli dello
Stato, di piccoli e grandi stabili, frutto anch'essi di lasciti. Le donazioni
devolute al real ospizio fra il 1884 e il 1898 ammontavano a 1 milione 600 mila lire (10).
Nel corso dei decenni, le leggi dello Stato e una
nuova coscienza civile, favorita anche dalle migliori condizioni economiche
della popolazione, hanno mutato il ruolo dell'assistenza nella società e hanno
posto in secondo piano l'operato di queste istituzioni
rispetto ai nuovi impegni e interventi dello Stato. Una minore rendita del
patrimonio fondiario rispetto a quello edile, una forte richiesta di terreni
da utilizzare come aree fabbricabili, inseriscono i
consigli di amministrazione delle Ipab nel più
imponente mercato immobiliare che doveva mutare il volto della città di
Torino. In questo contesto una diminuzione delle
donazioni, la riconversione dei terreni in fabbricati, acquisiti sia in
periferia sia al di fuori dei confini cittadini, porta alla costituzione del
patrimonio attuale prettamente edile. Sembrano essere in particolare le Ipab più piccole a mantenere titoli pubblici soggetti ad un
pesante processo di inflazione. anziché
capitalizzare in beni edili.
Si può stabilire che i fabbricati acquisiti dal 1945 ai
giorni nostri rappresentino i due terzi dell'attuale patrimonio e siano in mano
a istituzioni di antica fondazione; infatti il 60 per
cento del patrimonio totale è proprietà di enti sorti prima dell'unità d'Italia
e il 90 per cento di Ipab fondate prima del
fascismo. Questo discorso sostiene l'ipotesi che il
patrimonio edile rappresenta la trasformazione del capitale fondiario acquisito
nel tempo, in particolare dalle vecchie Ipab durante
il secolo scorso. Anche per quanto riguarda i terreni la quasi totalità delle
proprietà sono in mano ad enti sorti precedentemente
all'epoca fascista. Il 60 per cento delle particelle catastali sono state acquisite tra l'unità d'Italia e l'inizio del
periodo fascista (circa 270 p.c.) e rappresenta ciò che rimane del grande
patrimonio fondiario delle Ipab nel secolo scorso.
Dal 1945 al 1977 è stato ancora acquisito circa il 37 per cento delle attuali
particelle. Questa quota di per sé elevata non deve trarre in inganno poiché è riferita all'attuale patrimonio fondiario,
che rispetto al passato è estremamente limitato. Si tratta anche di terreni
annessi a fabbricati, cortili, aree per scuole, giardini; terreni siti in
località balneari di proprietà di colonie ecc.;
alcune donazioni, tra cui una di una certa consistenza (del 1956) ancora oggi
in usufrutto. La proprietà più vasta va però riferita a
un cambio di sede di un importante istituto agrario per l'istruzione professionale,
attuato recentemente dal centro della città alla cintura (11).
Si può quindi concludere con
questa ipotesi di formazione del patrimonio. Quello edile è recente, interessa
soprattutto le Ipab sorte prima del 1860 che hanno trasformato gran parte del loro patrimonio terriero.
Le Ipab fondate invece tra il 1861 e il 1920 si caratterizzano per non aver attuato questa grossa
trasformazione di terreni in fabbricati per cui se ne registra ancora una certa
quota, anche se esigua al confronta del patrimonio rustico originale.
Alcune considerazioni
A conclusione dell'analisi relativa
alla struttura patrimoniale delle ex opere pie, pare opportuno fornire
una più precisa valutazione economica di tali proprietà. Una stima del valore
dei beni immobiliari può rappresentare un importante indicatore del potere che
la beneficenza torinese ha gestito in particolare nel passato; nel trattare
tale stima occorre tenere conto che nei secoli scorsi il patrimonio
dell'assistenza doveva essere di alcune volte superiore all'attuale, per cui la valutazione che ne diamo oggi solo in parte mette
in luce il reale potere che hanno gestito le opere pie.
Cercare di dare un valore di mercato agli immobili
in questione, se da una parte è un aspetto importante dell'indagine, dall'altra
è un impegnativo esercizio di estimo. Allo scopo sono
state condotte numerose interviste presso gli uffici tecnici del comune di
Torino, presso uffici del catasto, l'Ufficio del registro, presso alcune ditte
immobiliari, che ci hanno fornito consigli, tabelle di valutazione di immobili per aree di localizzazione e tipo di
prefabbricato. Anche se le nostre stime risultano
necessariamente datate (1977), riteniamo importante soprattutto l'averle condotte
con metodo rigoroso, che le rende quindi rivalutabili e confrontabili con
altri lavori. Va inoltre osservato che sono stati adottati più procedimenti di
stima che hanno portato a soddisfacenti valori comuni.
A conclusione di questa analisi
si è pervenuti ai seguenti risultati. I circa due milioni di mc di categoria B, rappresentano un valore di mercato che
si può stimare compreso tra 100-150 miliardi di lire. Agli alloggi, categoria
A, si può assegnare un valore che varia da 30 a 40
miliardi di lire (somma questa relativa al valore locativo degli immobili
calcolato secondo la legge sull'equo canone). Gli immobili
di categoria C, costituiti in gran parte da negozi e da autorimesse, raggiungono
un valore che si aggira sui 5 miliardi di lire. Tenendo ancora conto di
una dozzina di fabbricati a destinazione speciale o particolare (categorie D e E) si raggiunge una valutazione
complessiva che va da 135 a 200 miliardi.
Sommando ancora il calcolo relativo
ai terreni, che ha determinato una cifra di 15 miliardi di lire, si può
infine osservare come le proprietà immobiliari dell'assistenza torinese si
possano stimare in circa 150-215 miliardi di lire. Valore quest'ultimo circa dieci volte superiore a quello indicato a
bilancio dai consigli di amministrazione delle Ipab.
Infine se consideriamo che, a partire dalla legge
dell'equo canone, abbiamo stimato il prezzo base di costruzione pari a 250 mila
lire al mq, appare evidente come attualmente una rivalutazione del patrimonio
torinese possa forse moltiplicare di circa cinque volte i valori a cui siamo
pervenuti. Se inoltre, come abbiamo detto precedentemente,
l'attuale valutazione del patrimonio solo in parte indica il ruolo assunto dalle
opere pie nel passato, ben si comprende quale sia stata la loro funzione nei
processi del consenso e della governabilità, e il potere che la beneficenza ha
gestito.
Rimane ora, in ultima analisi, da chiarire quale sia stata la più recente storia della beneficenza torinese,
in particolare del suo patrimonio, alla luce dei controversi interventi
legislativi emanati in questi ultimi anni, a partire dalla metà degli anni
settanta sino al 1981. In base al D.P.R. 616 del 1977 sono state dichiarate educativo-religiose circa un terzo delle Ipab torinesi, riprivatizzandone i patrimoni. Successivamente,
nel 1981, come abbiamo già detto, una sentenza della Corte costituzionale ha
dichiarato l'illegittimità di parte dell'art. 25, riguardante appunto i
trasferimenti delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e dei
relativi patrimoni ai Comuni. Si è creata dunque una situazione di attesa di provvedimenti legislativi statali che
dovrebbero portare alla definizione di una nuova riforma dell'assistenza,
riforma che per molti versi ha trovato il suo maggior ostacolo proprio nella
risoluzione del problema delle Ipab.
In questi ultimi anni la Regione Piemonte ha operato
attivamente ed in modo efficiente, rispetto alle iniziative delle altre
Regioni, nell'opera di estinzione delle Ipab. Al gennaio 1983 sono oltre trecento le istituzioni
estinte in Piemonte, mentre ammontano a 15 quelle torinesi sciolte, sulle 71
che detengono proprietà immobiliari da noi considerate. Tale processo viene favorito dalla situazione di crisi finanziaria che
attraversano le ex opere pie, in particolare asili e scuole, con poche
proprietà e numeroso personale da retribuire. Sono proprio questi enti che
deliberano la propria estinzione, mettendo in condizione la
Regione di poter trasferire i beni, il personale e le funzioni ai
Comuni. Queste indicazioni confermano ulteriormente
l'ipotesi espressa precedentemente, che considera, in generale, l'attuale patrimonio
insufficiente, per la maggior parte delle Ipab, a
finanziare lo svolgimento della loro funzione, evidenziando inoltre come uno
scarso patrimonio indichi un minore potere istituzionale.
Data questa premessa, pare forse opportuno proporre
un quadro generale della situazione patrimoniale delle ex
opere pie, secondo lo scenario appena delineato. Gli enti estinti sono
il 21 per cento. Sono circa il trenta per cento le Ipab
riconosciute educativo-religiose, mentre il restante
cinquanta per cento è rappresentato da istituzioni in
attesa di provvedimenti e di una definitiva normativa sull'assistenza. Alle Ipab definite educativo-religiose
viene attribuito circa l'ottanta per cento della
superficie del patrimonio rustico complessivo. Di scarsa consistenza il patrimonio
edile attribuibile a questa categoria di Ipab: circa il 20 per cento dei vani catastali (categoria
A), il 15 dei mc (categoria B) e il 13 dei mq (categoria
C).
Queste prime indicazioni vanno contro il senso comune
che prevede le Ipab dichiarate educativo-religiose,
quelle di rilevante consistenza patrimoniale e che quindi gestiscono gran
parte del potere assistenziale. Si tratta infatti di asili in fantili,
scuole materne, fatta eccezione di alcuni enti di particolare rilievo quali le
Opere pie israelitiche, l'Opera pia collegio artigianelli
e l'Opera pia Barolo.
Per quanto riguarda le istituzioni sino ad ora
estinte, occorre osservare che rispetto alla loro presenza, che occupa il 21,1
per cento del totale, possiedono una considerevole quota di vani (categoria A,
32,8 per cento), di metri cubi (categoria B, 27,7 per cento) e di metri quadri
(categoria C, 36,2 per cento); di scarsa rilevanza i terreni (3,9 per cento
della superficie complessiva). Tale situazione è in gran parte determinata dall'istituto
di riposo per la vecchiaia e, in misura minore, dall'Istituto nazionale per le
figlie dei militari italiani. A questo punto dell'analisi si può osservare che
mentre le istituzioni riconosciute educativo-religiose
registrano un maggior patrimonio rustico, quelle
finora estinte denunciano un considerevole capitale edile; alle altre Ipab che rimangono si può attribuire una proprietà con
caratteristiche essenzialmente edili che eguagliano all'incirca, come quota,
pari circa al cinquanta per cento, la loro presenza nell'ambito della assistenza
cittadina.
Facendo eccezione per i beni rustici, l'ente pubblico
potrebbe usufruire di oltre i quattro quinti dei beni urbani della beneficenza
torinese, da indirizzare nel quadro di un corretto
sistema socio sanitario. In questa prospettiva, il potere economico della
beneficenza, da rilevante strumento storico di consenso e di governabilità
funziona,le a specifici ceti sociali, può diventare
una importante risorsa nell'ambito di una più giusta e corretta
programmazione sociale.
(*) Si vedano al riguardo M. TORTELLO e
F. SANTANERA, L'assistenza
espropriata, Nuova Guaraldi Editrice, Firenze, 1982, pp. 237 e G.U. RESCIGNO, «Lo stato
giuridico delle IPAB dopo le sentenze della Corte costituzionale», in Prospettive assistenziali,
n. 65, gennaio-marzo 1984.
(1) Per il concetto di formazione
sociale si veda L. GALLINO, La società. Perché cambia, come funziona,
Paravia, Torino, 1980.
(2) Cfr. L. GALLINO, «Della ingovernabilità»,
in G. STATERA (a cura di), Consenso e
conflitto nella società contemporanea, Franco Angeli, Milano, 1982.
(3) AA.VV., Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza
della Regione Lazio, Regione Lazio, Roma, 1979, p. XXVII.
(4) Ivi, tab. 6, p. XXVIII.
(5) Di queste dodici u.i. di categoria
D e E non si hanno le dimensioni.
(6) AA.W., Arte e pietà. I patrimoni
culturali delle opere pie, Clueb,
Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna,
Bologna, 1980, p. 117.
(7) Ibidem.
(8) AA.VV., Le istituzioni..., cit. p. XXIV.
(9) L'istituto di riposo per la
vecchiaia spostò la propria sede dal centro verso la periferia per evidenti
motivi igienici e di spazio per i mille ricoverati; fu questa una tendenza
che interessò altre istituzioni che spostarono la propria sede verso la
periferia della città.
(10) Cfr. R.
Ospizio generale di carità di Torino, Relazione presentata dalla direzione dell'ospizio all'Esposizione
generale italiana dell'anno 1898, Tip. Baravalle & Falconieri, Torino, 1898, pp. 11 e 19.
(11) Si tratta dell'istituto agrario Bonafous che «ha speso 5 miliardi per costruire la nuova
sede di Chieri, destinata alla formazione
professionale in agricoltura, ma praticamente non fa nulla» (G. Berti, L. Cavaglià della Commissione
interna del Bonafous, «È
IPAB, non è "partecipato", cosa dovrebbe essere?», Nuova Società,
VII, 144, 16-3-1979, p. 48).
www.fondazionepromozionesociale.it