Prospettive assistenziali, n. 69, gennaio - marzo 1985
Notizie
POLITICHE
SOCIALI PER I MINORI E PER GLI HANDICAPPATI
Alla
presenza di oltre mille partecipanti italiani e stranieri, dal 2 al 6 maggio
1984 ha avuto luogo a Roma il convegno internazionale
sul tema «Le terre di nessuno - Controllo sociale tra internamento e abbandono»,
organizzato dal Reseau europeo di alternativa
alla psichiatria.
Riportiamo
la relazione conclusiva della Commissione n. 6, il cui argomento
di analisi e approfondimento riguardava «Le politiche sociali per i minori e
le esperienze di lavoro con soggetti portatori di handicap».
I partecipanti francesi, italiani, belgi, spagnoli,
hanno ritenuto molto importante che nell'ambito del Reseau
sia esistita una commissione riguardante la politiche
sociali per i minori ed il lavoro con i soggetti portatori di handicap.
Constatiamo a tutt'oggi che ci sono più minori internati in strutture segregative che adulti (200.000 solo in Francia), la
maggior parte dei quali provengono dalle classi sociali disagiate. Rileviamo
inoltre una tendenza a considerare i minori in difficoltà
terreno di sperimentazione delle nuove tecniche «psy».
Non è un caso che i minori e i soggetti portatori di handicap siano le prime vittime di un tale sistema di controllo
sociale avendo loro meno potere e meno contrattualità
per affermarsi; in rapporto all'adulto in difficoltà hanno ancora meno
possibilità di esprimere la propria opposizione.
È importante ricollegare la storia dell'esclusione
nelle strutture segreganti con la situazione attuale. Precedentemente
venivano rinchiusi coloro che presentavano devianze sociali, oggi le prime
vittime dell'esclusione sono i minori che non hanno un «buon rendimento» come
unico mezzo di integrazione.
Desideriamo affrontare sinteticamente i differenti
temi emersi durante i lavori della commissione.
Noi diciamo no alla parcellizzazione
dei bisogni e delle risposte date. Troppo spesso la sola preoccupazione è
quella di dare una risposta tecnica, nel senso della normalizzazione:
vita all'interno della famiglia, integrazione scolastica, alloggio, lavoro,
tempo libero. Queste risposte non devono essere un fine in sé ma una tappa
nella lotta per il cambiamento della quotidianità. A tutt'oggi
il minore è fatto oggetto di appropriazione da parte
della scuola, delle istituzioni psichiatriche e sociali, che trasformano
l'infanzia in difficoltà in «merce» per il circuito istituzionale. Queste
pratiche determinano un rigonfiamento artificiale
dell'infanzia marginalizzata.
Rifiuto della «certificazione di handicap» e
dell'invalidità che ne consegue come requisito per ottenere «aiuti» economici,
pedagogici, tecnici, ecc., come occasione per
inventare posti di lavoro per i nuovi disoccupati.
Rifiuto delle categorie diagnostiche nosografiche come approccio alla persona, bensì ricostruzione
della sua biografia tenendo conto delle sue modalità di espressione.
Il portatore di handicap è qualcuno che è socialmente controllato che diviene
veicolo di controllo per tutte le persone che lo
circondano. Allo stesso modo il minore è oggi controllato diagnosticato e
diviene l'oggetto di appropriazione dei tecnici.
No alla riabilitazione come normalizzazione ma
abilitazione come creazione di occasione e di spazi
all'interno della vita quotidiana per realizzarsi ed autodeterminarsi.
Noi denunciamo tutte le forme di contenzione fisica e
farmacologica, di manipolazione «psy»
e di sopraffazione che si esercitano nei confronti dei minori e dei soggetti
portatori di handicap. Questa violenza ingiustificata di cui è vittima il
minore sta alla base della delinquenza che poi riproduce.
Si riafferma che la scuola deve essere realmente di
tutti. Diciamo no a tutte le forme di scuola e di insegnamento
speciale: il minore deve frequentare la scuola di competenza territoriale. In
questo senso ribadiamo la necessità di lottare contro
la selezione per una politica di non esclusione così come ribadiamo la
necessità di lottare contro ogni forma di risposta speciale (trasporti,
laboratori protetti, ecc.). Infatti le istituzioni segregative non sono solo quelle totali ma ogni situazione
separata legata alla stigmatizzazione di una
differenza.
No al ricovero. La spesa pubblica deve essere
riconvertita per attivare interventi nel contesto di
vita quotidiana. Gli interventi sanitari non devono e non possono essere
separati da quelli socio-assistenziali. Questi sono gli obiettivi essenziali
di una politica di prevenzione dell'handicap,
dell'esclusione e dell'abbandono da realizzare compiutamente. Segnaliamo il
pericolo della riproduzione della stessa logica che è
alla base delle istituzioni totali nei nuovi servizi.
Il lavoro con i minori ed i soggetti portatori di
handicap deve svolgersi nel pieno rispetto delle
soggettività evitando allo stesso tempo il rischio di creare un alibi per una
pratica di abbandono, soprattutto dopo l'obbligo scolastico.
La gravità non è determinabile oggettivamente
ma è in rapporto alle condizioni di esistenza essendo correlata alle
inadeguatezze ambientali. e al non pieno utilizzo di
tutti gli ausili e delle risorse della comunità.
Sottolineiamo l'importanza delle diverse esperienze che hanno
concretizzato una pratica di collocamento al lavoro dei soggetti portatori di
handicap e delle lotte contro tutte le leggi e le normative che ostacolano
questo diritto.
Noi denunciamo le leggi speciali per i minori e
sentiamo l'esigenza impellente di un approfondimento su tale problematica al
fine di arrivare a redigere delle proposte per un vero diritto dei minori.
In conclusione sottolineiamo
l'importanza dei Reseau di assemblare le occasioni e
le esperienze più diverse ma comuni negli obiettivi di non internamento e non
abbandono.
Noi ci costituiamo come coordinamento permanente
articolato nelle diverse realtà nazionali.
MOZIONE
CONCLUSIVA DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE DELL'ANIEP
Pubblichiamo
la mozione conclusiva dell'Assemblea nazionale dell'ANIEP, svoltasi il 16 settembre
1984 che contiene indicazioni molto valide. Abbiamo solo alcune perplessità
circa le proposte (peraltro marginali) riguardanti la fiscalizzazione degli
oneri sociali (punto 2) e le esenzioni fiscali (punto 4).
L'Assemblea nazionale dei delegati dell'ANIEP, dopo
un ampio dibattito sui problemi degli handicappati, ha constatato il
rafforzarsi di tendenze involutive nella politica sociale, sia per quanta
riguarda l'efficacia, sia per quanto riguarda le
modalità delle prestazioni e dei servizi.
Anziché impegnarsi per l'adozione di un sistema
fiscale più equa che consenta allo Stato solidarietà e giustizia distributiva,
il Governo, con una serie di decreti scoordinati, cerca di ridurre la spesa
pubblica tagliando soprattutto nei confronti di chi
non ha la forza contrattuale.
Così, mentre si cerca di controllare la spesa sociale
a vantaggio degli investimenti produttivi, si finisce per ridurre i diritti
civili e sociali e la coscienza solidaristica del
Paese e si creano nuove ingiustizie, nuove povertà,
nuove disuguaglianze.
L'Assemblea nazionale dei delegati dell'ANIEP
denuncia inoltre il riproporsi di una cultura e di una pratica dell'assistenzialismo
che costringe gli handicappati ad autoescludersi
dalla vita attiva in cambio del minimo vitale.
Il blocco della legge sul collocamento al lavoro
(art. 9, legge n. 638/1983) e la contestuale disponibilità sia a livello
statale, sia a livello degli enti locali, ad aumentare l'entità delle pensioni,
delle indennità e dei sussidi (per favorire la gestione privata dei bisogni), costituisce un dato ambivalente dal punto di vista culturale
e provoca comunque emarginazione, passività, esclusione dalla vita produttiva e
dalla comunicazione sociale.
Da parte degli handicappati (delle loro famiglie e
di molte associazioni) si accentuano atteggiamenti di subalternità, di ricerca
di protezione, di clientelismo e di vittimismo; da parte del potere politico e
delle istituzioni si esprime sempre più frequentemente
una cultura pietistico-assistenziale: queste due
tendenze, che si rafforzano reciprocamente, creano una atmosfera di esclusione
psicologica e sociale fortemente regressiva.
L'Assemblea nazionale dei delegati dell'ANIEP denuncia
infine la pratica neo-corporativa del contrattualismo
di vertice (inteso come scambio politico fra Stato, sindacati e imprenditori)
come causa di ingiustizia sociale. Soltanto chi ha capacità
di pressione organizzata ottiene sicurezza sociale e benefìci, mentre i poveri, i vecchi, gli handicappati e i
disoccupati (giovani e donne) restano sempre più emarginati, capaci soltanto di
contendersi l'un l'altro qualche beneficio materiale, rimanendo in una
situazione di frammentazione politica che dà accesso a qualche privilegio o
al minimo vitale ma che produce e conferma marginalità e isolamento.
Per uscire da questa involuzione neo-liberistica della
politica sociale, l'Assemblea nazionale dei delegati dell'ANIEP ritiene che sia
necessario e urgente uno stretto collegamento con i partiti democratici, il
movimento sindacale unitario, i movimenti di volontariato di base, non salo
per la difesa dei diritti acquisiti, ma soprattutto per riaffermare la
priorità della giustizia e della solidarietà rispetto ai problemi economici e
di mercato.
In particolare si chiede l'attuazione dei seguenti
punti:
1. Autonomia degli interventi socio-assistenziali
Occorre che le spese per l'assistenza sociale, ora
confuse con quelle sanitarie e previdenziali, abbiano una definizione
finanziaria di bilancio precisa, sia per la selettività e l'equità degli stanziamenti,
sia per la conseguente precisazione degli obiettivi di integrazione
sociale 2 per l'identificazione di corrispondenti professionalità.
2. Riforma del collocamento
Subito dopo l'immediata abrogazione dell'articolo 9
della legge 638/83, è necessario, per riaffermare il diritto al lavoro dei
portatori di handicaps, approvare una nuova
disciplina delle assunzioni obbligatorie che contenga
i seguenti principi:
- particolare attenzione per i veri invalidi;
- unicità dell'aliquota impositiva
(7%) e soppressione delle categorie giuridiche;
- fiscalizzazione degli
oneri sociali per gli handicappati medio-gravi;
- sostegno alle cooperative integrate;
- attuazione di una reale organizzazione dell'orientamento
e della formazione professionale;
- promozione nell'ambito del mondo del lavora di una attività di educazione sociale che elimini i
pregiudizi sull'incapacità e l'improduttività degli handicappati.
Si ritiene che ogni sforzo per l'integrazione
lavorativa, che costituisce la tappa conclusiva di ogni
processo di riabilitazione, rappresenti il punto discriminante tra le tendenze assistenzialistiche e riduttive della dignità delle
persone e l'impegno per la partecipazione e l'integrazione sociale.
3. Prestazioni economiche
È necessario un riordinamento che elimini ogni
privilegio o disparità di trattamento tra le diverse categorie, che attui il principio che ad uguali bisogni debbono
corrispondere uguali prestazioni, che tenga conto del fatto che un handicap
quanto più è grave tanto più richiede alti costi per la sopravvivenza e per
consentire la vita attiva.
Si propongono i seguenti obiettivi:
- adeguamento delle pensioni di invalidità
ai minimi INPS;
- innalzamento della fascia pensionabile dal 67% all'80%;
- limiti di reddito proporzionali al grado di
handicap;
- trattamenti speciali per gli handicappati
gravissimi.
Occorre infine stabilire il principio che nessun tipo
di assistenza economica può escludere, come ora
avviene, la riabilitazione e l'integrazione (interventi di recupero,
istruzione, formazione professionale e collocamento al lavoro).
4. Handicappati gravissimi
Vi sono nel nostro Paese migliaia di famiglie che
vivono o scontano senza nessun appoggio la presenza di un congiunto
handicappato gravissimo.
Per queste situazioni si richiedono
essenzialmente le seguenti iniziative:
- assistenza domiciliare continuativa o occasionale;
- servizi di consulenza familiare interdisciplinare;
- centri diurni polivalenti ad alta intensità assistenziale e riabilitativa;
- diritto alle normali assicurazioni previdenziali e
sociali e al trattamento pensionistico per il genitore o il familiare che assista continuamente un handicappato grave;
- esenzioni fiscali per il nucleo
familiare proporzionali al costo dell'assistenza al congiunto handicappato
grave;
- esenzione da ogni imposta diretta
reale e dall'imposta sulle successioni per ogni trasferimento di patrimonio a
titolo gratuito destinato ad un
handicappato grave.
5. Barriere architettoniche
È necessario:
- rendere vincolanti e obbligatorie
le norme del DPR 384/78 (che attualmente non prevede sanzioni per gli
inadempienti);
- stabilire punteggi preferenziali
per l'assegnazione degli alloggi dell'edilizia residenziale sovvenzionata;
- stabilire i requisiti costruttivi
per l'edilizia abitativa al fine di consentirne l'accessibilità a tutti i
portatori di handicaps motori;
- concedere contributi per l'adattamento degli
alloggi in cui risiedano handicappati;
- facilitare i trasporti e l'accessibilità ai mezzi
pubblici.
6. Revisione
delle tabelle di invalidità
Si rileva che il complesso dei diritti degli handicappati
e le prospettive di ulteriori e necessari interventi
sono gravemente compromessi dalla distorta ed eccessivamente estensiva
normativa per l'attribuzione dell'invalidità. I criteri attuali per la
definizione del grado di invalidità, derivati dalle
tabelle dell'infortunistica (che hanno scopi assistenziali e non
riabilitativi), per la possibilità di sommare danni concorrenti o concomitanti,
favoriscono l'incremento della fascia inferiore (handicappati lievi) e della
fascia superiore (totalmente inabili), rendendo impossibile, e finanziariamente
insostenibile, ogni progetto di reale integrazione sociale.
Occorre perciò adottare le classificazioni dell'Organizzazione
mondiale della sanità, al fine di ridurre l'entità numerica dei soggetti e
quindi rendere efficaci e qualificati la tutela e gli interventi per la socializzazione e la vita attiva.
CONVEGNO
NAZIONALE DI STUDIO SU «RICERCA SOCIO-SANITARIA SULLE CAUSE DEL DISADATTAMENTO
AL LAVORO»
Presso la sede dell'Istituto italiano di medicina
sociale a Roma si è svolto l'11.5.1984 un Convegno
nazionale di studio su: «Ricerca socio-sanitaria
sulle cause del disadattamento al lavoro».
Si è trattato della esposizione
dei risultati di un interessante studio interdisciplinare che è stato condotto
dall'Istituto italiano di medicina sociale di Roma, dagli Istituti di medicina
del lavoro dell'Università di Bari e dell'Università cattolica di Roma, dal
Dipartimento di sociologia dell'Università di Bologna e dall'Istituto di psicologia
dell'Università cattolica di Roma.
Richiamando il tema specifico del convegno, il Prof. Reale, Presidente dell'Istituto, ha sostenuto come «la
salute del lavoratore non debba limitarsi a considerare solo le noxae patogene derivanti dalla nocività ambientale, ma
debbano essere considerati tutti quei fattori di
rischio legati alla organizzazione del lavoro e all'organizzazione sociale».
Il convegno dell'11 maggio è stato organizzato
nell'ambito del progetto per una ricerca sul lavoro umano approvato dal
Ministero del lavoro per condurre una indagine su una
tematica assai complessa quale quella sul rapporto uomo-lavoro e delle cause
del disadattamento in diverse realtà.
Nel concludere il suo intervento il Prof. Reale ha sottolineato come
certamente «le problematiche del disadattamento al lavoro costituiscono uno
degli aspetti più rilevanti verificatesi nella nostra società.
Infatti esso va inteso come variabile psicologica dell'uomo
di fronte al lavoro, e non va riferita solo all'organizzazione aziendale nei
sistemi e modi di produttività ma forse va vista ancor più in relazione alla
carenza di motivazioni intrinseche del lavoro come tratto distintivo dell'uomo».
Secondo una definizione del Prof.
Luigi Parmeggiani, professore invitato
dall'Università di Ginevra che ha svolta la relazione introduttiva generale, il
disadattamento dei lavoratori è la «condizione comunemente associata ad uno stato
di insoddisfazione, che si traduce sui luoghi di
lavoro in manifestazioni psichiche, psicosomatiche o di comportamenti
anormali».
Ovviamente sul suo manifestarsi incidono la
personalità dell'interessato, le condizioni sociopolitiche ed economiche e gli
usi ed i costumi del luogo e del momento.
Anche alla luce delle indagini internazionali sul
problema, risulta importante il ruolo assunto dal
medico del lavoro che, pur non essendo direttamente competente al
disadattamento, può tuttavia con il suo ruolo attenuare alcuni dei motivi che
lo inducono. Per agire efficacemente, il medico del lavoro deve essere
integrato all'azienda come membro di un gruppo che
riunisca i rappresentanti della Direzione e dei lavoratori.
Nella sua relazione il Prof.
Parmeggiani ha riassunto le principali teorie di
scuole di varie nazioni sullo stress e sui suoi fattori psico-sociali,
e ricordato gli studi condotti sull'assenteismo derivanti dal disadattamento.
Prima di passare in rassegna la legislazione del
lavoro degli anni 70 e le nuove forme di organizzazione del lavoro con
riferimento alla tematica in oggetto, parlando della umanizzazione
del lavoro l'oratore ha sostenuto che «non basta la lotta contro i rischi
professionali, occorre la partecipazione dei lavoratori alle attività di prevenzione,
al miglioramento dell'organizzazione e del contenuto del lavoro, al migliore
impiego del loro tempo di lavoro, e al pieno recupero del loro tempo libero».
Allo stato attuale lo studio delle cause sociosanitarie
del disadattamento sembra presentare possibilità di sostanziale progresso a
condizione di essere condotto mediante una metodologia interdisciplinare,
di avere un carattere sistematico, e di svolgersi sul luogo di lavoro. In
questa logica il programma di ricerca dell'Istituto di medicina sociale assume
un interesse particolare, ed i suoi risultati contribuiranno ad arricchire il
dibattito internazionale sulla identificazione e sul
controllo dei fattori psico-sociali nocivi sui luoghi
di lavoro, che sarà il tema della IX Sessione del Comitato misto OIL-OMS per
la medicina del lavoro nel settembre '84.
Moderatori della I Sezione
del Convegno sono stati i professori Luigi Ambrosi,
Leonardo Ancona e Nicolò Castellino; della II Sezione, i professori Arminio
Lama, Michele
www.fondazionepromozionesociale.it