Prospettive assistenziali, n. 70, aprile - giugno 1985
IL «PASTICCIO» DEGLI
ENTI ECCLESIASTICI E IL DESTINO DELLE IPAB
MASSIMO DOGLIOTTI
1. I giornali quotidiani hanno dato ampie informazioni
sull'iter parlamentare assai
contestato (conclusosi nelle scorse settimane con
l'approvazione del provvedimento) del disegno di legge n. 2337 «Disposizioni
sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero
cattolico in servizio nelle diocesi»: sostegno formalmente assai vasto,
ostruzionismo radicale, vivace opposizione di DP e di alcuni indipendenti di
sinistra, assenze «pilotate», franchi tiratori, votazioni contestate e ripetute, ecc.
Si tratta com'è noto di un disegno di legge
presentato dal Governo, che recepisce il risultato
dei lavori di una Commissione paritetica italo-vaticana,
costituita ai sensi dell'art. 7, n. 6 degli Accordi di modificazione del
Concordato lateranense, del 18 febbraio 1984. La
Commissione ha concluso i lavori all'inizio
dell'agosto 1984. Di ciò il Presidente del Consiglio ha dato
notizia alle Camere. Successivamente il 15 novembre
1984 le parti contraenti hanno approvato con separato protocollo, le norme,
che appunto formano oggetto del d.d.l. all'esame del Parlamento.
È stato indubbiamente opportuno che le difficoltà
dell'iter parlamentare abbiano condotto ad una più ampia informazione, anche
per i non «addetti ai lavori», e forse ad una maggior consapevolezza da parte
dell'opinione pubblica: e infatti, al di là della
apparente razionalizzazione e specificazione della normativa del 1929, senza
alcun miglioramento sostanziale (ma già questo sarebbe un risultato ben poco
confortante!), la nuova disciplina sembra introdurre elementi notevolmente
peggiorativi, con possibili gravi e funeste conseguenze sul sistema
assistenziale.
2. L'argomento richiederebbe un'approfondita analisi:
riservandoci di tornarvi sopra, sia lecito in questa sede impostare
sommariamente i termini della questione. La legge 27 maggio 1929 n. 848, in
attuazione degli accordi lateranensi, precisava che
gli enti ecclesiastici di qualsiasi natura e gli enti di culto possano essere riconosciuti agli effetti civili, con
decreto del Capo dello Stato, udito il Consiglio di Stato. Non dava la legge
una definizione precisa di istituto ecclesiastico ed
ente di culto, che peraltro si ricavava indirettamente dal contesto normativo
(e soprattutto dalle indicazioni del regolamento di attuazione). Si trattava
in sostanza di una nozione piuttosto ristretta: istituti ecclesiastici erano
quelli «economicamente eretti e approvati» e comunque
nella dizione «istituti ecclesiastici ed enti di culto» si facevano rientrare
soprattutto organismi inquadrati direttamente nell'organizzazione della Chiesa
o sotto stretto controllo da parte di essa: ordini, congregazioni, province e
case religiose, chiese aperte al culto pubblico, confraternite ed associazioni
laicali a scopo di religione e di culto, ecc.
Tali enti venivano
sicuramente considerati di diritto privato, parzialmente (ma non del tutto)
assimilati alle persone giuridiche private disciplinate dal codice civile, con
un controllo tuttavia in varia misura più incisivo da parte dell'autorità
amministrativa. Si precisava poi che gli istituti ecclesiastici, civilmente
riconosciuti, in quanto esercitassero attività di carattere educativo, assistenziale
o comunque di interesse sociale a favore di laici,
erano sottoposti alle leggi civili concernenti tali attività. Ciò poteva
comportare qualche problema (e qualcuno ne comportò a livello
interpretativo), limitato però dal fatto che, come si è detto, la
nozione di istituto ecclesiastico, canonicamente eretto ed organizzato, era
abbastanza precisa e circoscritta.
D'altro canto vi era (e vi è ancor oggi) la disciplina
delle IPAB, risalente, com'è noto, al 1890 e
variamente modificata in epoca successiva. Sono istituzioni di
assistenza e beneficenza le opere pie ed ogni ente morale che abbia «in
tutto o in parte» il fine di prestare assistenza ai poveri tanto in stato di
sanità quanto di malattia, di procurarne l'educazione, l'istruzione, l'avviamento
a qualche professione, arte, mestiere o comunque il miglioramento morale ed economico. In virtù del fine di beneficenza considerato «pubblico»,
diventano sicuramente pubblici (e sul punto è sostanzialmente concorde la maggior
parte degli interpreti), salvo qualche limitata eccezione (comitati di
soccorso, istituzioni temporanee, fondazioni familiari, società ed associazioni
rette dal codice civile) enti di diversa origine, tradizione, carattere,
operanti «in tutto o in parte» nel settore. Essi si trovano sottoposti ad una
penetrante ingerenza da parte dello Stato (e oggi delle Regioni) che può
incidere in profondità sulla gestione, la struttura e perfino sulle finalità
dell'ente.
È nota la vicenda più recente relativa alle IPAB. Ai
sensi del D.P.R. 616/77 è previsto lo scioglimento e il trasferimento di
funzioni, beni e personale ai Comuni, salvo per quelle svolgenti in modo
precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa (per queste ultime peraltro non si parla
affatto di privatizzazione). Violentissime sono state le proteste da parte
degli esponenti dell'apparato assistenziale, che si
sentono per la prima volta minacciati nelle loro posizioni di potere. Vanno
anche ricordati i tentativi di ridimensionamento da
parte del Governo, e in particolare il D.L. 29.3.1979 n. 113 non convertito,
che amplia notevolmente le eccezioni allo scioglimento; con un'interpretazione
assai lata, tra l'altro dell'attività educativa o
religiosa: attività istituzionale diretta a indirizzi e finalità religiose,
collegamento ad una confessione religiosa mediante la designazione negli
organi deliberanti di ministri di culto o appartenenti ad istituti religiosi
e mediante la collaborazione di personale religioso, comprendono anche, per la
prima volta, la previsione di privatizzare tali enti. L'intervento della Corte
costituzionale (sentenza n. 173 del 1981) che blocca il trasferimento delle
IPAB ai Comuni, per un vizio formale: il Governo sarebbe andato oltre la
delega, ed è ricco peraltro di «segnali» squisitamente politici, sulla esigenza di rispettare l'autonomia, la struttura, la
tradizione delle IPAB (quasi a prefigurare possibili ulteriori dichiarazioni di
incostituzionalità). Infine rammentiamo l’iter
parlamentare dei progetti di riforma dell'assistenza, assai tormentato, e
ancora ben lungi dal concludersi, che si arena ogni
volta proprio - guarda caso - sullo scoglio delle IPAB tra chi vorrebbe una
generale privatizzazione e chi, con più o meno profonda convinzione, cerca di
contrastare tale disegno.
3. In questo contesto si
colloca la recente vicenda concordataria, relativamente agli enti ecclesiastici,
in vario modo preparata dall'accordo dello Stato con la Chiesa Valdese, che
qualcuno ha definito come una sorta di prova generale delle nuove intese con
la Chiesa cattolica. Certamente va visto positivamente un accordo tra lo Stato
e la Tavola valdese, quasi un risarcimento doveroso alle tante discriminazioni
e soprusi che tale confessione ha subito in un passato ancora assai vicino. Ma il problema è evidentemente più generale. L'art. 12 della
legge 11 agosto 1984 n. 449 prevede appunto la possibilità di riconoscere la
personalità giuridica di diritto privato degli enti ecclesiastici valdesi
aventi congiuntamente fini di culto, istruzione e
beneficenza. Gli acquisti di beni immobili, l'accettazione di donazioni ed eredità, il conseguimento di legati sono
soggetti alle autorizzazioni previste dalle leggi civili per gli acquisti delle
persone giuridiche. La gestione ordinaria e gli atti di straordinaria
amministrazione si svolgono senza alcuna ingerenza da
parte dello Stato, Regioni, Enti territoriali.
Si dimentica, o meglio si finge di dimenticare che
il fine esclusivo o prevalente di beneficenza di un ente ne determina la
natura di IPAB, con sottoposizione, come si è visto,
ad un ben più penetrante controllo pubblico. La norma si
limita ambiguamente a precisare che le attività di istruzione e beneficenza
svolte dagli enti ecclesiastici sono soggette «alle leggi dello Stato
concernenti le stesse attività svolte da enti non ecclesiastici», ma «nel rispetto
dei fini e dell'autonomia degli enti che le svolgono». Ma
sarebbe ipotizzabile allora l'uso dei poteri attribuiti una volta allo Stato
e ora alle Regioni sulle IPAB: concentramenti, raggruppamenti, fusioni, frazionamenti,
consorzi, federazioni, mutazioni del fine nei confronti degli enti
ecclesiastici valdesi? Probabilmente no. E del resto
le finalità «segrete» della legge trovano preciso riscontro nella disciplina di alcuni enti particolari: ad es. l'istituto artigianelli valdesi di Torino, che non a caso ha lo
statuto di IPAB, viene soppresso e il relativo patrimonio è devoluto alla
Tavola Valdese.
4. La breccia si è aperta, senza particolari opposizioni:
e puntualmente i risultati della Commissione paritetica italo-vaticana
sugli enti ecclesiastici e il disegno di legge che recepisce
l'accordo ricalcano almeno in parte la disciplina valdese. Il protocollo del 18
febbraio 1984 si limitava a precisare che lo Stato
può riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici, eretti o
approvati secondo le norme del diritto canonico, che abbiano finalità di
religione e di culto; e ad ammettere che attività diverse da religione e culto
svolte dagli enti ecclesiastici sono soggette, nel rispetto della struttura e
finalità di tali enti, alle leggi dello Stato, concernenti tale attività. Una
certa ambiguità di fondo certamente, che peraltro era
già presente nella normativa del 1929. Di ben altra portata è il contenuto
del d.d.l. recentemente approvato dal Parlamento; enti ecclesiastici sono
bensì quelli costituiti o approvati dall'autorità
ecclesiastica, che hanno fine di religione e di culto, e che sono inquadrati
nella costituzione gerarchica della Chiesa (e fin qui si rispetta la
definizione più tradizionale), ma il fine di religione e culto di enti che non
abbiano personalità giuridica nell'ordinamento della Chiesa può essere
accertato di volta in volta in quanto essi esercitino attività dirette all'esercizio
del culto e alla cura d'anime, alla formazione del clero e - assai
genericamente - alla educazione cristiana.
Tali enti possono essere riconosciuti agli effetti
civili come persone giuridiche. E il loro status
viene sostanzialmente assimilato a quello delle
persone giuridiche private disciplinate dal Codice civile. Si aggiunge - per
essere ancor più chiari - che il fine di religione e
culto, nell'accezione estremamente dilatata di cui si è detto, può essere «connesso»
a finalità di carattere caritativo. E comunque gli
enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse
da quelle di religione e di culto (soggetti - è vero - alle leggi dello Stato
concernenti tali attività, ma nel rigoroso rispetto, come si è visto, della
struttura e finalità degli enti) e cioè assistenza, beneficenza, istruzione,
educazione, cultura e pure (sic)
attività commerciali a scopo di lucro (e magari compra-vendita immobiliare).
5. È palese a questo punto il profondo distacco dalla
disciplina del 1929, che viene esplicitamente abrogata: un'inaccettabile
estensione della nozione di ente ecclesiastico, di
religione e culto, in cui potrebbero a buon diritto rientrare quasi tutte le
IPAB - e sono la grande maggioranza - gestite anche solo parzialmente da religiosi
(e chi potrebbe negare che sia escluso il fine di cura d'anime o di educazione
cristiana?); una sostanziale equiparazione di tali enti alle persone giuridiche
private.
Sarebbe stato auspicabile che la disciplina all'esame
del Parlamento fosse emendata, escludendo dalla definizione di
ente ecclesiastico, quegli organismi che hanno o potrebbero avere lo
stato di IPAB. Poiché il disegno di legge è stato
approvato nell'attuale formulazione, sarà compito dell'interprete escludere
dall'ambito operativo della nuova normativa tali enti. Ma sarà pure necessario
un'opera capillare di informazione e sensibilizzazione
dell'opinione pubblica, altrimenti potrebbe verificarsi una vera e propria
corsa delle IPAB al riconoscimento quali enti ecclesiastici e alla
privatizzazione. E a quel punto le disquisizioni in
sede di riforma dell'assistenza sul destino delle IPAB non avrebbero più alcun
senso.
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