Prospettive assistenziali, n. 70, aprile - giugno 1985
NO AL VILLAGGIO DEL SUBNORMALE
DI RIVAROLO CANAVESE
La sede nazionale dell’ANFFAS (Associazione
nazionale famiglie fanciulli ed adulti subnormali) ha
avviato i lavori per completare la realizzazione dell’ex «Villaggio del subnormale» di Rivarolo Canavese (Torino).
L’iniziativa è resa possibile dalla concessione di
un finanziamento a fondo perduto di 3 miliardi e 350 milioni
stanziato dall’Istituto bancario San Paolo di Torino.
L’opera (avviata all’inizio degli anni ’70 e per la
quale lo Stato ha già concesso prima un mutuo di 500 milioni, poi un altro
mutuo di 383 milioni; la Regione Piemonte ha stanziato altri 250 milioni a
fondo perduto) è stata contestata sin dal suo nascere da forze sociali e
politiche torinesi (1), essenzialmente per tre
ragioni:
- la deresponsabilizzazione
dell’opinione pubblica e delle autorità.
Anziché
sollecitare gli amministratori locali perché, a livello del territorio delle
singole Unità socio sanitarie locali, predispongano gli interventi ed i
servizi necessari a far fronte a tutte le necessità dei cittadini, compresi
quelli handicappati, l’ANFFAS nazionale vuole
predisporre una nuova struttura centralizzata che finirebbe col
deresponsabilizzare gli enti pubblici, risolvendo con l’emarginazione i
problemi di alcune decine di assistiti;
- l’isolamento
degli insufficienti mentali dal loro normale contesto
sociale di vita;
- la
progressiva passivizzazione dei ricoverati.
E
ciò, mentre in questi anni, è andato intensificandosi il dibattito politico e
culturale sulla emarginazione e sono state avviate
iniziative concrete contro il ricovero negli istituti a carattere di
internato: l’affidamento familiare, l’inserimento in comunità
alloggio, ecc. In particolare, per quanto riguarda gli handicappati, positivi e
spesso insperati risultati si sono avuti con il loro inserimento nelle normali
strutture prescolastiche e scolastiche, di formazione professionale, di tempo
libero, ecc.
Queste critiche rimangono valide tutt’oggi, anche se l’ANFFAS nazionale ha cambiato idea rispetto alle intenzioni strenuamente difese all’inizio degli anni ‘70 (la costruzione di un «villaggio» per 80 insufficienti mentali) ed ha ridotto il numero dei potenziali utenti.
Analoga resta, però, la filosofia di fondo che
sottende all’iniziativa: creare un servizio per soli insufficienti mentali; dar
vita ad una struttura sovra-dimensionata rispetto alle esigenze del territorio
in cui è inserita; predisporre le condizioni per nuova «deportazione
assistenziale» da unità sanitaria locale all’altra, da una Regione all’altra
(alcuni posti della nuova struttura di Rivarolo
dovrebbero essere riservati a subnormali orfani provenienti da tutto il Nord
Italia; anziché premere sui rispettivi enti locali per creare servizi da dove
nascono i bisogni, si tolgono le castagne dal fuoco agli enti, allontanando i
ragazzi handicappati e chiedendo al massimo il pagamento di una retta).
Anche in
questi ultimi mesi, numerose sono state le iniziative proposte a Torino e in Piemonte da gruppi di base e da operatori del settore,
contro il progetto dell’ANFFAS nazionale realizzato col contributo del San
Paolo. Va segnalata, fra l’altro, la costituzione di un Comitato di gruppi e
persone «No al villaggio del subnormale
di Rivarolo»; prima iniziativa, una lettera al
Presidente del San Paolo, sottoscritta da rappresentanti di associazioni
e da operatori, in cui sono precisati i motivi di opposizione al villaggio e
si avanzano proposte alternative.
A scopo di documentazione, pubblichiamo qui di
seguito una serie di documenti relativi al dibattito
sulle iniziative di Rivarolo Canavese
ed alla corrispondenza epistolare con ANFFAS, altri organismi ed enti locali:
- breve cronistoria del villaggio del subnormale
di Rivarolo;
- lettera inviata al San Paolo dal Comitato di
gruppi e persone «No al villaggio del subnormale di Rivarolo»;
- progetto dell’ANFFAS nazionale relativo alla struttura di Rivarolo;
- lettera
dell’Assessore alla sicurezza sociale della Provincia di Torino al Presidente
dell’ANFFAS;
- proposte degli operatori dell’USSL 38;
- interrogazioni presentate dall’On. Calamida.
In merito alla posizione dell’ANFFAS nazionale ci
sembra di dover ancora sottolineare che:
1) non è vero che il Comitato di gruppi e persone «No al villaggio del subnormale»
abbia intrapreso le sue iniziative contro il progetto, senza preventivamente
cercare il confronto con l’ANFFAS nazionale stessa. L’Unione per la lotta
contro l’emarginazione sociale (una delle associazioni
facente parte del Comitato) ha scritto sin dal 17 maggio 1984 al presidente del
San Paolo e al Presidente nazionale ANFFAS per
chiedere informazioni in merito al progetto di destinazione dell’ex
«villaggio». Il primo non ha mai risposto; il Presidente nazionale ANFFAS ha replicato
il 29 maggio 1984 con le seguenti parole: «Abbiamo
ricevuto la Vostra del 17 maggio della quale
rileviamo la disinvolta scelta del destinatario principale e la
disinformazione sull’argomento trattato»;
2) non è vero che per la struttura di Rivarolo «sia stata riconosciuta l’utilità anche da parte di enti locali e dalle Organizzazioni sindacali» (lettera
ANFFAS di Roma, 27 aprile 1985, alle sezioni provinciali ed ai comitati
regionali). È sufficiente leggere il resoconto del dibattito svoltosi al
Consiglio provinciale di Torino il 4 marzo 1985, la risposta dell’assessore
regionale alla sanità ad una interrogazione e le
lettere dell’assessore provinciale alla sicurezza sociale per sostenere il
contrario;
3) non è vero che sulla iniziativa
ha dato il consenso la presidenza dell’ANFFAS torinese;
4) l’ANFFAS nazionale non ha provveduto
ad informare preventivamente gli enti pubblici locali (Regione, USSL e
Provincia di Torino) in merito al suo progetto. Solo dopo la richiesta di informazioni sollecitate dagli enti locali stessi, sono
stati presi i primi contatti. Sul progetto di Rivarolo
non è stata messa al corrente nemmeno la sezione
ANFFAS di Torino;
5) i lavori di ristrutturazione edilizia sono stati
iniziati sulla base di un progetto di destinazione
degli immobili che non corrisponde a quello successivamente presentato agli
enti locali. Si ha addirittura notizia di ulteriori
importanti cambiamenti rispetto all’ultimo progetto;
6) fino ad oggi l’ANFFAS nazionale non ha stipulato
alcuna intesa con gli enti ai quali intende affidare
la gestione delle strutture che sta costruendo a Rivarolo,
nonostante che le spese di conduzione del villaggio ammontino ad almeno un
miliardo e mezzo all’anno.
La realizzazione dell’ex
«Villaggio del subnormale», dunque, può favorire una inversione
di tendenza delle attuali positive iniziative in corso, iniziative ottenute -
è bene ricordarlo - dopo anni di dure lotte.
Ripetiamo qui, quanto già scritto nel 1973: «Ciò
che preoccupa maggiormente è il fatto che “nel
concreto” l’ideologia di fondo che guida la creazione della struttura di Rivarolo continua ad essere quella che finora ha ispirato
l’emarginazione di migliaia di persone con i risultati deleteri più volte
denunciati» (2).
Non crediamo
che la linea dell’inserimento degli handicappati nel normale contesto
di vita, di studio, di lavoro, debba essere bruscamente fermata o invertita dai
dirigenti di una associazione di categoria i quali - per risolvere il problema
di una struttura immobiliare mai utilizzata e di cui non sanno cosa farsene -
pensano di creare un nuovo «ghetto».
Non è un po’ troppo pretendere di risolvere i
problemi interni di una associazione facendo pagare i
propri errori ai più deboli?
Inoltre, vi è il fondato dubbio, espresso nella interrogazione dell’onorevole Calamida
che riportiamo, che «l’erogazione del contributo all’ANFFAS sia stata fatta
dall’Istituto bancario San Paolo di Torino, con lo scopo di favorire concretamente
l’affermazione della linea politica diretta all’emarginazione fisica degli
handicappati, esercitando, quindi, un appoggio reale alle forze politiche e
sociali che rifiutano di riconoscere agli handicappati il diritto
all’inserimento sociale e quindi il diritto alla formazione, alla casa, al
lavoro, ecc.».
Infine vogliamo sottolineare
con vivissima preoccupazione l’affermazione del Presidente nazionale
dell’ANFFAS secondo cui «non è purtroppo vero che la persona con handicap
psichico nella maggior parte dei casi trovi giovamento dal proprio contesto
familiare» (3).
Se questo è un riferimento che l’ANFFAS ha assunto
per la «sistemazione» degli insufficienti mentali, è evidente il pericolo
della individuazione di soluzioni esclusivamente o
prevalentemente emarginanti.
Allegati
BREVE CRONISTORIA DEL VILLAGGIO DEL SUBNORMALE DI
RIVAROLO
- 14.11.1972 - Concessione all’ANFFAS da parte del Ministero dei
lavori pubblici di un mutuo di L. 500 milioni per la
costruzione del villaggio del subnormale a Rivarolo
per 80 insufficienti mentali. Per l’estinzione del mutuo l’ANFFAS
si impegna a versare 35 rate annuali di L. 14 milioni
ciascuna.
- 27.6.1973 - Concessione all’ANFFAS di un altro mutuo di L. 383 milioni, sempre da parte del Ministero dei lavori
pubblici. L’importo di ciascuna delle 35 rate annuali a carico della ANFAS è di L. 11 milioni.
- 1977 -
La Regione Piemonte eroga alla ANFFAS un contributo a
fondo perso di 250 milioni per lavori di conservazione degli edifici costruiti
a Rivarolo.
- 17.5.1984
- L’ULCES scrive ai Presidenti del San Paolo e dell’ANFFAS per chiedere informazioni
circa le trattative in corso fra i due enti.
- 29.5.1984
- Il Presidente nazionale della ANFFAS risponde
all’ULCES nei seguenti termini: «Abbiamo ricevuto la Vostra
del 17 maggio della quale rileviamo la disinvolta scelta del
destinatario principale e la disinformazione sull’argomento trattato». Nessuna risposta da parte del San Paolo.
- 5.2.1985
- Il Consigliere Adriano Andruetto presenta una interrogazione, poi trasformata in interpellanza alla
Giunta provinciale e all’Assessore alla sicurezza sociale della Provincia di
Torino.
- 12.2.1985
- Il CSA scrive al Presidente del San Paolo chiedendo un incontro. Nessuna risposta.
- 21.2.1985
- L’Assessore alla sanità e assistenza della Regione Piemonte risponde all’interrogazione presentata dal Consigliere Carazzoni.
- 4.3.1985
- Ha luogo il dibattito sull’interpellanza presentata
dal Consigliere Andruetto. L’Assessore Gattini
precisa che «il San Paolo non ha chiesto niente a nessuno, né alla Regione, né
a noi, né alla USSL». Allo stesso modo si è comportata
l’ANFFAS nazionale.
- 11.3.1985
- Lettera dell’Assessore Gattini al Presidente della USSL
38 e al Sindaco di Rivarolo in cui, fra l’altro,
afferma quanto segue: «Nel contempo prendo occasione
per esprimere fin d’ora la opposizione al progetto, così come lo conosciamo,
di intervento su tale villaggio che creerà nuovamente un megacentro di
difficile gestione, con costi elevati, sovradimensionato».
- 18.3.1985 - Lettera inviata al Presidente del San Paolo dal
Comitato di gruppi e persone «No al villaggio del
subnormale di Rivarolo», sottoscritta da
rappresentanti di associazioni e da operatori in cui
sono precisati i motivi di opposizione al villaggio del subnormale e sono
avanzate proposte alternative.
- 1.4.1985
- Inizia la distribuzione di volantini contro il villaggio del subnormale.
- 19.4.1985
- La sezione ANFFAS di Torino scrive alla propria sede nazionale affermando che
in merito al villaggio «a tutt’oggi non abbiamo ufficialmente in mano strumenti informativi
che ci consentono di smentire il contenuto del volantino».
- 25.4.1985
- L’ANFFAS nazionale predispone una «relazione sul progetto per la struttura di
Rivarolo Canavese».
Tuttavia i lavori di ristrutturazione degli immobili procedono nel contempo in base all’originario progetto.
- 30.4.1985
- Le quote del mutuo maturate a carico dell’ANFFAS al 30.4.1985 ammonterebbero
a quasi 300 milioni. Non risulta che l’ANFFAS abbia
versato alcunché della cifra suddetta. Sul fatto, l’On. Calamida
ha presentato due interrogazioni in Parlamento.
- 9.5.1985
- L’Assessore alla sicurezza sociale della Provincia di Torino risponde al
Presidente nazionale ANFFAS, precisando in modo dettagliato i motivi in base
ai quali respinge il nuovo progetto dell’ANFFAS.
LETTERA INVIATA AL SAN PAOLO DAL COMITATO DI GRUPPI E PERSONE
«NO AL VILLAGGIO DEL SUBNORMALE DI RIVAROLO» (1)
(1) Lettera inviata al
presidente, ai consiglieri di amministrazione ed ai sindaci dell’Istituto
Bancario il 18 marzo 1985.
I sottoscritti esprimono le più
vive preoccupazioni in merito al finanziamento a fondo perduto di L. 3 miliardi e 350 milioni erogato dall’Istituto bancario
San Paolo di Torino alla Sede nazionale dell’Associazione nazionale famiglie
di fanciulli e adulti subnormali per il completamento del Villaggio del
subnormale di Rivarolo (Torino).
Dalle notizie assunte in merito, risulta
che il Villaggio suddetto dovrebbe comprendere:
- una scuola per operatori di assistenza
agli handicappati psichici (90 allievi in tre corsi);
- alcune comunità alloggio;
- un centro diagnostico e
di riabilitazione per gli handicappati della zona;
- alcune camere per ospiti (parenti, ecc.);
- appartamenti per allievi, direttore, portinaio;
- locali per visite mediche, infermeria, ecc.
Si tratta dunque di un vero e proprio «Villaggio»
destinato ad emarginare dal contesto sociale gli
insufficienti mentali. Sono previste strutture o assolutamente non necessarie
(come la scuola per operatori di assistenza agli
handicappati di cui ne esistono due a Torino per la formazione di educatori
specializzati senza che finora nessuno ne abbia chiesto né una terza, né una
diversa) o che si configurano come inutili doppioni (come il centro diagnostico
e di riabilitazione per handicappati della zona, servizi che devono essere
svolti dai poliambulatori e rivolti a tutta la popolazione
come previsto anche dal piano socio-sanitario regionale), o certamente inidonee
(come la concentrazione di più comunità alloggio, di cui ne sono previste tre
nella prima fase dei lavori).
Vi é da tener presente che le esigenze della USSL 38 per gli insufficienti mentali privi di sostegno
familiare riguardano 14-15 persone, di cui tre accolte nella comunità alloggio
di Locana. Questa comunità nei prossimi mesi sarà
trasferita a Pont con una capienza di 6-7 posti letto. L’esigenza della zona si riduce pertanto a 7-8 posti letto e cioè ad una seconda comunità alloggio.
Occorre anche precisare che l’istituto bancario
San Paolo di Torino, in un settore in cui non ha né conoscenze dirette, né
esperienze vissute, ha deciso l’erogazione di ben 3
miliardi e 350 rnilioni senza nemmeno consultare
l’Assessorato alla sanità e assistenza della Regione Piemonte, l’Assessorato
alla Sicurezza sociale della Provincia di Torino, l’USSL 38 ed i movimenti di
base che operano (alcuni da oltre vent’anni) nel settore
degli handicappati.
Rileviamo altresì che il previsto inserimento nelle
cosiddette comunità alloggio del Villaggio del
subnormale di Rivarolo (in realtà si tratta di un
tradizionalissimo istituto di ricovero) di orfani di altre regioni, impedisce
alle suddette persone di conservare i rapporti instaurati con fratelli,
sorelle ed altri parenti. Inoltre tale modalità contraddice uno dei principi
fondamentali della riorganizzazione del settore assistenziale
secondo cui ogni USSL deve provvedere ai propri abitanti. Va anche osservato
che la retta giornaliera di ricovero in istituto di insufficienti
mentali gravi e gravissimi varia da L. 80.000 a L. 152.000 al giorno, importi corrispondenti alle rette
richieste alla Provincia di Torino dalle Soc. ARCIS e Giovannea che gestiscono
istituti a Volpiano, Casalgrasso
e Racconigi.
Pertanto sarebbe di fondamentale importanza
conoscere i piani finanziari predisposti dall’istituto bancario San Paolo di
Torino (o dalI’ANFFAS) per la gestione del villaggio
del subnormale, il cui costo può essere
indicativamente indicato come segue:
30 ricoverati x L.
100.000 x 365 giorni L. 1.000.000.000
altre
attività » 500.000.000
L. 1.500.000.000
Non vorremmo che le spese suddette - conseguenti
ad una iniziativa decisa dall’Istituto bancario San
Paolo di Torino e dalla sede nazionale dell’ANFFAS - ricadessero sugli Enti
pubblici competenti in materia di assistenza, sanità e formazione
professionale che, come già rilevato, non sono stati nemmeno interpellati ed i
cui orientamenti sono nettamente contrastanti con la creazione di un Villaggio
per il subnormale.
Ad avviso degli scriventi, l’istituto bancario San
Paolo di Torino dovrebbe riesaminare l’intera questione tenendo conto delle
esperienze acquisite, esperienze che sono unanimi nel riconoscere la
necessità che i servizi assistenziali nei riguardi
degli handicappati (e degli altri cittadini) siano predisposti nel loro
territorio di appartenenza. A questo riguardo si ricorda che le 15
organizzazioni aderenti al CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i
movimenti di base (Torino, Via Assietta 13), fra cui
la Sezione di Torino dell’ANFFAS, avevano concordato
di richiedere alla Regione ed agli enti locali l’istituzione di una comunità
alloggio o di un centro socio-terapeutico in ciascuna USSL per insufficienti
mentali, oltre ad altre comunità alloggio per anziani e per minori
handicappati e non, programma che é in corso di realizzazione soprattutto in
Torino e provincia.
Allo sviluppo di dette iniziative, la cui validità è
riconosciuta da tutte le organizzazioni aderenti al CSA, l’Istituto bancario
San Paolo di Torino potrebbe dare un notevole contributo, utilizzando a tal
fine la somma destinata al Villaggio di Rivarolo.
Si unisce fotocopia della risposta dell’Assessore
regionale alla sanità e assistenza ad una interrogazione
in merito al Villaggio di Rivarolo.
Si resta a disposizione per ogni proficua collaborazione.
Seguono
le firme:
– F. Santanera - Presidente Unione
per la lotta contro l’emarginazione sociale;
– S. Bonnet - V. Presidente Sezione di Torino
dell’Associazione italiana assistenza spastici;
– P. Rollero - Ispettore scolastico;
– M. Falloppa - Insegnante comandata dal Ministero della
pubblica istruzione presso la ANFFAS di Torino per
l’inserimento scolastico degli alunni handicappati;
– D. Imarisio e M.R. Guerrini -
Coordinamento comunità alloggio dell’Assessorato
all’assistenza del Comune di Torino;
– G. Pallavicini -
Presidente Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie;
– G.
Tedeschi - Centro informazione politica economica;
– P. Otelli - Coordinamento sanità e assistenza
USSL 39, Chivasso (Torino);
– G.
De Leo - Segretaria regionale Società italiana di neuropsichiatria infantile -
Coordinatrice dei Servizi di neuropsichiatria infantile di
territorio dell’USSL Torino 1-23;
– F. Malerba - Gruppo inserimento sociale
USSL 27, Ciriè (Torino);
– M. Lucà - Presidente ACLI, Torino;
– R. Foti - Funzionario Regione Piemonte - Assessorato
formazione e lavoro - Settore handicappati;
– G. Tarditi -
Direttore Scuola Terapisti della riabilitazione dell’USSL Torino 1-2-3;
– E. Gaveglio - Servizio promozione e ricerca Provincia di
Torino;
– D. Vanara - Coordinamento Gestioni Provincia di Torino;
– E. Venesia - Responsabile Servizio promozione
e ricerca Provincia di Torino;
– E. Boni - Coordinamento autogestione handicappati;
– A.
Tassinari - Coordinatrice Scuola superiore servizi sociali;
– R. Tarditi - Lega nazionale per il diritto al lavoro degli
handicappati;
– R. Rubin Saglia - Coordinamento
Comitati spontanei di quartiere;
– B.
Fresia - Presidente regionale Unione italiana ciechi.
PROGETTO DELL’ANFFAS NAZIONALE RELATIVO ALLA STRUTTURA DI RIVAROLO (1)
(1) Relazione predisposta dalla
Presidenza nazionale ANFFAS in data 25 aprile 1985. È necessario ricordare che
i lavori di ristrutturazione degli immobili di Rivarolo
procedono secondo il progetto presentato dall’ANFFAS nel 1984, le cui
caratteristiche essenziali sono indicate nella lettera
inviata al San Paolo dal comitato «No al villaggio di Rivarolo»
in data 18 marzo 1985.
Va premesso che, come prospettato dall’Associazione
all’Assessore all’assistenza della Amministrazione
Provinciale di Torino, all’Assessore regionale alla sanità, alle Organizzazioni
sindacali del comprensorio CGIL/CISL - e prima ancora all’Istituto Bancario
San Paolo di Torino - l’ANFFAS Sede nazionale con l’approvazione rinnovata da
parte dell’Assemblea Nazionale associativa (Rimini, 29 aprile 1984 / Roma,
22-24 marzo 1985) ha in programma di utilizzare, una volta ultimati i lavori
di completamento, la struttura in Rivarolo Canavese con le seguenti realizzazioni:
- due comunità-alloggio per handicappati psichici
medio/gravi che siano privi di ogni sostegno
familiare o di rapporti con parenti di qualsiasi grado; comunità
caratterizzate da una attività lavorativa con finalità di produzione di beni e
di servizi;
- Centro socio-terapeutico, come da indicazioni che seguiranno;
- corsi di specializzazione professionale - a
livello parauniversitario - per operatori nei servizi di assistenza
e riabilitazione;
- centro di raccolta
dati sulla problematica dell’handicap mentale: nella sua genesi, nella ricerca
scientifica, nelle sperimentazioni; e questo a livello internazionale;
- servizi territoriali mediante cessioni in uso
gratuito all’USL territorialmente competente di parte della struttura per
l’attivazione dei servizi che riterrà opportuni;
- destinazione degli spazi liberi - circa ventimila
mq. - ad installazioni sportive e di tempo libero, per chiunque nel territorio intenda
usufruirne.
Sui punti indicati schematicamente nella «premessa»
riteniamo necessarie alcune considerazioni teoriche e
operative, sicché chiunque sia interessato all’iniziativa possa con cognizione
di causa dare un contributo di idee o di collaborazione per la migliore
realizzazione del progetto.
Indichiamo pertanto:
1) Indagine
conoscitiva sulle necessità degli utenti:
riteniamo che,
al di là di vuote polemiche per es. sulla «territorialità» o meno di certi
servizi (che riducono una problematica complessa e di alto impegno etico, quale
quella che attiene agli handicappati psichici, a schematismi ed etichette in
ottica retrograda) parli chiaro una indagine effettuata tramite schede inviate
a ottocento famiglie con un congiunto handicappato della Sezione di Torino.
Dalle 367 risposte ricevute sono emersi i seguenti
dati:
1.A) allo
stato attuale circa cento famiglie torinesi e del comprensorio gestiscono in
proprio una persona adulta handicappata, senza altro sostegno che non sia
quello della pensione per invalidità e/o l’indennità di accompagnamento. Tra
gli iscritti all’ANFFAS risultano 18 famiglie con due
congiunti handicappati; ci sono 65 genitori ultrasettantenni, di cui 31 vedove
e 6 vedovi. I problemi emersi da una serie di assemblee
di genitori con figli invalidi al 100% sono stati esplicitati nello stress
logorante per la famiglia, nella domanda urgente di una idonea assistenza, nel
vero terrore per il futuro quando cioè quegli invalidi resteranno orfani.
1.B) I
dati della Provincia di Torino al marzo 1985 presentano i seguenti elementi:
- handicappati psichici
istituzionalizzati, a carico dell’Amministrazione Provinciale di Torino, n.
439;
- di essi: n. 47 nel
Comune di Torino; n. 216 nella Provincia; n. 140 nella Regione; n. 36 fuori
Regione.
Dalla fredda analisi di quelle cifre e dei bisogni
emersi dall’indagine condotta all’interno dell’Associazione non vi è chi non veda come la istituzione di una comunità-alloggio (della cui
specifica tipologia diremo di seguito) costituisca, purtroppo, una necessità e
non - come qualcuno va strombazzando - un tentativo di... emarginazione.
È a partire da questa dura
realtà che si svolgono le altre nostre indicazioni e riflessioni che seppure
provocheranno amare constatazioni rispetteranno i dati oggettivi del problema,
ben al di là di certa demagogia parolaia che si aggancia a quello che potremmo
definire terrorismo verbale.
2) Riconsiderazione
della situazione familiare:
Non è purtroppo vero che la persona con handicap
psichico nella maggior parte dei casi trovi giovamento dal proprio contesto familiare: quando, per certi dati oggettivi (si
pensi agli elementi, emersi dalla citata indagine conoscitiva), il clima familiare
diventa irrespirabile qual è l’alternativa? È un fatto denunciato dall’esperienza
e d’altra parte lo stesso Assessore Dr. Gattini nella
sua introduzione al Convegno Nazionale sul ruolo delle comunità-alloggio
(Torino, 27/29 settembre 1984) affermava: «Le
manifestazioni di autonomia che il figlio può
esprimere vengono sovente represse nella famiglia. Difficilmente si incontrano famiglie dell’handicappato in grado di assicurare
lo sviluppo del proprio figlio e di aiutarlo nell’apprendimento e nella
crescita psicofisica. Spesso l’intervento familiare consiste nel soffocamento
della volontà e degli stimoli del ragazzo».
Dobbiamo concordare pienamente con queste
affermazioni: esse, mentre denotano una vera conoscenza di certi problemi da
parte del Dr. Gattini, confermano anche una consapevolezza e un impegno che
l’ANFFAS porta avanti da anni, che cioè specialmente
per l’handicappato adulto (che magari ha passato una vita nel chiuso dell’ambiente
familiare, di un caseggiato indifferente, di un quartiere che magari non gli è
nemmeno ostile perché per esso l’handicappato rappresenta men
che zero) l’unica via di uscita e di speranza è quella di sperimentare un
ambiente vitale del tutto nuovo, nel quale non sia portato a ripetere i suoi
abituali gesti di obbedienza o di ribellione e in cui soltanto sarà possibile
recuperare quelle latenti risorse che sappiamo per esperienza recuperabili
perfino nel soggetto gravissimo.
3) Significato
della territorialità dei servizi:
È anche alla luce di questi dati che va considerato un altro aspetto attinente allo studio di un
progetto di servizi: la loro «territorialità».
Quando questa categoria viene
assunta in modo dogmatico si scontra, oltre tutto, con precise indicazioni
della legge sul servizio sanitario nazionale (n. 883/1978) secondo cui il
cittadino ha diritto all’assistenza anche riabilitativa attraverso servizi che
spetta a lui scegliere.
Per un’Associazione «di famiglie» come la ANFFAS è inconcepibile che, appunto in nome della
«territorialità» - laddove manchino strutture e servizi (e dal nord
all’estremo sud d’Italia le carenze sono sotto gli occhi di tutti) - si lasci
anche un solo handicappato in attesa della necessaria assistenza (necessaria
per lui «oggi»... non nel futuro prossimo o remoto) per non sottrarlo o alla
famiglia (che spesso non ha più) o all’ambiente in cui è cresciuto, fingendo di
ignorare la realtà familiare e sociale in cui troppi handicappati, quelli
psichici specialmente, sono costretti a vivere in assenza di alternative più
umane.
Ben diversa credibilità
acquisterebbe per le nostre famiglie un discorso sulla territorialità dei
servizi fatto a partire da una riconsiderazione globale di questo concetto
all’interno dell’intero problema sociosanitario, a sua volta rapportato a ben
diverso modello culturale, economico, sociale. Senza mai dimenticare però che
mentre i tecnici e i politici fanno il loro dialogo sui massimi sistemi la
persona che soffre non può aspettare che altri si mettano
d’accordo su ciò che è bene per lei oggi e qui.
4) Alcune
indicazioni sulle linee amministrative del progetto:
Per avviare una corretta metodologia amministrativa
l’Associazione intende affidare la conduzione della struttura in Rivarolo Canavese a un Consiglio di Amministrazione cui, accanto ai Soci
dell’ANFFAS - anche regionali e interregionali - saranno invitati a
partecipare rappresentanze del Comune di Rivarolo,
della USL competente, delle Organizzazioni Sindacali del comprensorio, degli
organismi di base riconosciuti che - ben inteso, sul piano di un confronto
serio e non rissoso - possano dare un concreto apporto per la loro parte.
L’articolazione e l’organico generale della struttura
saranno decisi dallo stesso Consiglio di Amministrazione
in relazione alle necessità cui risponderanno i servizi e in armonia con
l’apporto di quel volontariato che è il fondamento specifico di ogni nostra
iniziativa.
5) Ipotesi di
lavoro per le comunità alloggio:
Diciamo anzitutto che già tale nomenclatura intende
essere puramente indicativa di un tipo di servizio che acquisterà nel tempo una
fisionomia sempre più adeguata agli obiettivi.
Le comunità ospiteranno fino a 16/20 persone adulte
con handicap psichico medio/grave, completamente prive di parenti o affini,
senza escludere la eventuale ospitalità temporanea di
altri handicappati la cui famiglia si trovi nella occasionale e assoluta
necessità di affidare ad altri la cura del proprio congiunto.
Il supporto organizzativo di base della vita comunitaria
sarà lo svolgimento di attività lavorative, di
servizi o di produzione di beni, svolte dagli ospiti anche all’esterno della
sfera abitativa, finalizzando i proventi di tali attività ad un fondo unico
collettivo appartenente alla comunità secondo un principio di mutualità
interna tra i membri della comunità stessa.
L’obiettivo è di caratterizzare la comunità come
una struttura elastica in cui l’alloggio serva come
casa di abitazione e punto di riferimento per la identificazione del gruppo:
privilegiando la ricerca di inserimento lavorativo nell’ambito del territorio.
In alternativa, progettando attività di lavoro sul
modello delle esperienze già in atto in altre nostre strutture.
Come prima indicazione di massima, l’onere
finanziario di avvio del progetto potrà aggirarsi -
salvo logiche revisioni - su una spesa mensile, per il settore comunità, di 40
milioni pari a 480 milioni in un anno. Il numero di addetti,
tra operatori e personale per la collaborazione domestica, non dovrebbe
superare le quindici unità; a livello di coordinamento e direzione del settore
comunità si conta sulla partecipazione diretta e volontaria di nuclei familiari
della Associazione.
Per il primo anno di gestione - che si presume possa iniziare nella primavera del 1986 - si
dovrà provvedere alle seguenti risorse finanziarie:
- per lire 180 milioni, con la contribuzione degli
utenti (pensioni di invalidità e/o dell’indennità di
accompagnamento degli ospiti della struttura);
- per la differenza si provvederà, a nostro intendimento,
tramite convenzione con l’Ente Pubblico di competenza, per un contributo
integrativo determinato sulla scorta di un bilancio
di previsione che l’Associazione intende presentare per lo stanziamento di
quel contributo.
Non è inopportuno rilevare che, per un tipo diverso
di assistenza - in strutture ben diverse da quella di Rivarolo - la Pubblica Amministrazione sopporta l’onere di
una retta per L. 130.000 giornaliere per assistito:
vale a dire che un convenzionamento con rette, per i
previsti venti assistiti della struttura in qu-estione, porterebbe ad un onere
per la Pubblica Amministrazione di L. 950.000.000 annui.
La formulazione della nostra ipotesi di finanziamento ci sembra che risponda,
oltretutto, ad un doveroso rispetto dell’Associazione per il pubblico denaro.
Per il secondo anno di svolgimento dell’attività le
cifre suindicate subiranno variazioni. Potrebbe però entrare già in funzione l’attività produttiva
degli ospiti del servizio, che potrà parzialmente sopperire alle necessità
finanziarie, in concomitanza con l’incremento delle pensioni e delle
indennità; non escludendo eventuali interventi dell’Associazione. Si cercherà
in tal moda che un contributo integrativo dell’Ente Pubblico rappresenti una
quota fissa e che tale quota vada in progressiva
diminuzione man mano che aumenti la produttività dell’attività degli ospiti
delle comunità.
È un progetto difficile, ambizioso? Anche venticinque anni fa sembravano troppo difficili certe
mete che oggi l’Associazione ha raggiunto. Noi riteniamo che questa
ipotesi di lavoro per le comunità-alloggio
possa restituire alle persone handicappate che le costituiranno una dignità
civile, molto più concreta dei discorsi sul territorio e dei tecnicismi che
infiorano una dialettica magari «a la page» venti anni fa, ma del tutto priva
di contenuti.
6) Corsi di
specializzazione per operatori nei servizi di assistenza
e di riabilitazione:
Anche qui è
opportuno una premessa che può fare riferimento a quanto - in sede di quel convegno
sulle comunità-alloggio ricordato nel 2° paragrafo di questa nota - il Dr. Foggetti (analizzando la figura dell’operatore e i
problemi concreti legati alla gestione quotidiana dei servizi, in particolare
per le comunità alloggio) affermava, dicendo che dopo
due anni di gestione territoriale il bilancio che se ne può trarre è veramente
sconfortante.
I corsi di avviamento
professionale sono ormai riservati a individui stupendamente normodotati e la mancanza di una professionalità
appiattisce i rapporti tra gli operatori, sempre più coinvolti in virtuosismi
personalistici. Mentre (e siamo perfettamente
d’accordo) tutta l’attività in materia ha un unico comune denominatore: vale a
dire l’operatore.
L’ANFFAS vuole aggiungere che nei venticinque anni
di esperienza sul campo ha potuto osservare - anche
con la comparazione di quanto si fa all’estero - che la figura dell’operatore «normodotato», a contatto quotidiano con l’handicappato
psichico - finisce col determinare da un lato effetti negativi sull’assistito e
dall’altro una fuga dalle responsabilità dell’assistente stesso. Ciò perché il
soggetto che metodicamente e con ritmo cronologico prefissato viene sottoposto a separate esperienze di fisioterapia, di
logopedia, di psicomotricità o di terapia occupazionale attraverso
l’intervento di operatori di diversa formazione - spesso oberati da personali
preoccupazioni, soprattutto economiche - finisce con il manifestare una vera e
propria crisi di rigetto nei confronti degli operatori stessi e delle strutture
in cui è ospitato.
Se a questo dato di esperienza
aggiungiamo che l’handicappato psichico non è un «malato di mente» (una persona
riconducibile magari con psicofarmaci a stadi medi di comportamento) bensì -
nella variegata gamma di manifestazioni dell’handicap mentale - egli
rappresenta una miriade di mondi a sé, dobbiamo dedurne ancor più motivatamente
la necessità di un tipo nuovo di operatore: una persona dotata di un’ampia
gamma di conoscenze, che vadano dalla psichiatria alla psicologia alla
conoscenza delle diverse tecniche riabilitative, fino alla pratica intelligente
del tempo libero.
In altri termini, si tratta di un ruolo polivalente:
senza essere un’arca di scienza questo operatore può
maturare capacità professionali e umane tali da costituire per la persona
handicappata un importante punto di riferimento, tanto il compagno di giochi
quanto, se necessario, l’infermiere di pronto soccorso nel caso di crisi e, comunque,
l’amico che con il suo comportamento rappresenti per l’handicappato un alter
ego in positivo.
A nostro avviso, saper esercitare ad esempio fisioterapia
e logoterapia utilizzando le reazioni emotive del
l’handicappato che partecipa ad una gara sportiva, significa
formare un nuovo operatore, a misura della persona; un professionista al quale
logicamente dovrà essere riconosciuta una retribuzione che gli consenta - senza
preoccupazioni di doppio lavoro o di altre attività contingenti - di svolgere
in pieno il ruolo di «docente» di comportamenti progressivamente autonomi e
normali dei soggetti handicappati a lui affidati.
Se questo obiettivo è
vero, e tale noi genitori lo riteniamo, i corsi che l’ANFFAS intende programmare
nella struttura di Rivarolo Canavese
- in collaborazione con l’Università di Torino e con gli altri Enti di
competenza (e contatti in tal senso sono già stati avviati) - dovrebbero articolarsi
in cicli triennali vertenti su un ventaglio di dieci/quindici discipline
attinenti a: parte medica (neuropsichiatria, fisioterapia, ecc.); parte
pedagogica (pedagogia, psicologia, sociologia, ecc.); e parte pratica
(didattica differenziata, tecniche del comportamento, vita di gruppo, ecc.)
vissuta a contatto diretto con le persone handicappate. Tali corsi si
differenziano dalle scuole locali in quanto saranno a livello nazionale, adeguandosi
al D.P.R. 14.2.1974 che regolamenta istituzione di scuole di specializzazione e perfezionamento dirette a fini speciali.
Ciò anche in previsione del disegno di legge Falcucci-Degan per il riordino di tutta la materia.
Anche qui una analisi dei
costi e ricavi porta a concludere che le quote di frequenza dei partecipanti ai
corsi (mediamente calcolate in via provvisoria per L.
300.000 per ogni corso) potranno finanziare in buona parte i costi dei docenti
a livello universitario, considerando che si pensa di regolare i rapporti con
questi ultimi con gettoni mensili o periodici e che in parallelo allo svolgimento
dei corsi, sarà possibile una attività di pubblicazioni scientifiche e
divulgative che potrebbero costituire fonti di finanziamento dell’attività.
I corsi in questione dovrebbero giungere ad un
livello talmente qualificato e qualificante da poter conferire ai partecipanti
un diploma che equivalga nella sostanza ad una vera e
propria «laurea per la riabilitazione»; se tale obiettivo sarà realizzato, l’ANFFAS
intende proporre anche la costituzione di un albo che - anche formalmente -
riconosce la professionalità dei diplomati, valorizzandone la qualifica, il
ruolo e conseguentemente anche le retribuzioni ed i compensi.
7) Costituzione
di un centro-dati sull’handicap:
È noto che - a parte la scarsità della ricerca e
della produzione scientifica, soprattutto in materia di prevenzione dell’handicap
psichico - gli studi, le nuove tecniche e le iniziative in fase sperimentale
finiscono col frazionarsi nel mare magnum delle
pubblicazioni scientifiche (quando vi trovino spazio) determinando la
dispersione di un plafond di conoscenza che invece potrebbe/dovrebbe costituire
la base da un lato per una ulteriore indagine
scientifica sugli aspetti del complesso problema e dall’altra la fonte di una
divulgazione dei risultati e delle esperienze che possono rappresentare un
aiuto alla soluzione del problema stesso nella convivenza quotidiana.
Qui non dovrebbero esserci gravosi problemi di
carattere finanziario dal momento che il centro-dati rappresenta un servizio culturale che, a
nostro avviso, raccoglierà l’interessamento sia di istituzioni similari
all’ANFFAS che potranno avvantaggiarsene, sia delle facoltà universitarie
interessate che di centri studi e probabilmente di iniziative editoriali
interessate alla divulgazione sociosanitaria.
8) Servizi
territoriali attivati dalla Unità sanitaria locale:
Una parte della struttura in argomento non potrà essere completata per carenza dei fondi necessari;
tuttavia l’ANFFAS fin d’ora si impegna ad offrirne l’uso gratuito alla Unità
Sanitaria Locale territorialmente competente e al Comune di Rivarolo per la destinazione che riterranno di darle.
Sia ben chiaro che esula
dal nostro progetto qualsiasi ipotesi speculativa, nel senso che semmai i
lavori di completamento di quella parte della struttura dovessero ricadere a
carico dell’Ente Pubblico che ne vorrà usufruire, il
corrispondente uso gratuito sarà esteso a tutto il periodo di tempo almeno
necessario all’ammortamento di quei costi.
9) Centro
diurno socioterapeutico:
La creazione di questo centro deve soddisfare le esigenze
del territorio salvaguardando se è il caso 4 posti al massimo per eventuali
utenti provenienti da altre realtà.
Quindi, su
un numero massimo di 25 posti, 21 resterebbero a disposizione delle esigenze
del territorio, 4 a disposizione, senza spesa alcuna, dei soggetti gestiti
dalla fondazione.
La gestione di questo centro deve essere proposta
a carico della USL: vanno evitate, per quanto
possibile, soluzioni diverse. Gli utenti sono individuati
in soggetti handicappati medio/gravi in età superiore ai 15 anni, in condizioni
personali di autonomia talmente limitata da rendere impossibile qualsiasi
forma di inserimento lavorativo e che hanno comunque diritto ad un servizio
loro confacente.
10) Destinazione
degli spazi liberi:
Anche questo ultimo elemento
della articolazione del progetto in discorso è finalizzato alla migliore
qualità della vita degli ospiti dei servizi della struttura e delle altre
persone che in essa opereranno o ad essa faranno in qualche modo riferimento. Infatti negli spazi liberi per una superficie di oltre
20.000 mq. sarà possibile la installazione di
attrezzature sportive e per il tempo libero fruibili per tutti coloro che vorranno
accedervi.
I costi di impianto
potranno anche essere rilevanti ma sappiamo di poter contare anche sulla
considerazione più attenta del CONI-FISNa, mentre
nel tempo la spesa di manutenzione e di gestione potrà essere in parte
integrata dalle quote che saranno versate dagli utenti delle strutture stesse.
Considerazione
finale
Una ultima
considerazione: vogliamo rilevare che la realizzazione così brevemente
disegnata, una volta giunta alla operatività nei servizi previsti, nel
movimento di persone e di beni, comporterà sotto il profilo occupazionale un
concreto beneficio per il territorio di Rivarolo Canavese determinando quel positivo rapporto economico e
sociale che l’ANFFAS riesce a costruire laddove opera per tutelare gli
interessi degli handicappati psichici in piena sintonia con il contesto
familiare, territoriale, e quindi sociale, economico, politico e culturale. È
questa la più vera nozione di «territorialità» della quale da
anni siamo portatori e sulla quale vorremmo attirare l’attenzione di
coloro che credono in una società di uguali e che combattono modestamente nella
quotidianità per costruirla a vantaggio di tutti i suoi componenti.
Abbiamo qui voluto delineare
- con riserva di un ulteriore testo più articolato e preciso - uno schema della
nostra importante iniziative e crediamo che tale schema sia già sufficiente a
dimostrare che la sensibilità dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino
concretamente manifestata dalla erogazione di quel contributo (contro il quale
certuni polemizzano) rappresenta una vera manifestazione di civiltà ossia di
impegno civile e politico nel senso più elevato del termine. Ci si permetta una
battuta ironica: abbiamo letto di recente sul «Corriere della Sera» un articolo
di Luca Goldoni che commentando il problema di un
handicappato scriveva: «Costruire è veramente
difficile e le vere rivoluzioni sono quelle di chi faticosamente riesce a...
distruggere quanto hanno costruito rivoluzionari idioti».
LETTERA INVIATA DALL’ASSESSORE ALLA SICUREZZA
SOCIALE DELLA PROVINCIA DI TORINO AL PRESIDENTE NAZIONALE DELL’ANFFAS (1)
(1)
Lettera inviata il 9 maggio 1985.
In data 2.5 u.s. ho
ricevuto il telegramma di codesta Associazione e successivamente il documento
illustrativo del piano di interventi che l’Associazione intende effettuare sul
Villaggio in oggetto con i fondi messi a disposizione da parte dell’Istituto Bancario
San Paolo di Torino.
Ritengo doveroso che vi siano, da parte di questo Assessorato, alcune precisazioni ed osservazioni in
merito.
Non si comprende come l’ANFFAS Nazionale abbia
inviato al sottoscritto tale telegramma con simili contenuti in quanto questa
Amministrazione non ha mai in alcun modo operato né tantomeno preso
iniziative tendenti a prefigurare l’azione dell’ANFFAS come emarginante.
Quindi il destinatario di tale telegramma non può essere fa Provincia di
Torino, che ha, in questi anni, affrontato il problema dell’emarginazione
dell’handicap in modo positivo tale da non avere, ci
permettiamo di affermarlo, l’eguale in Italia, sia come mezzi che come
orientamenti. Ciò è riconosciuto da tutte le forze politiche e sociali, organizzazioni
e movimenti che si interessano di questi problemi
ANFFAS di Torino compresa. Abbiamo rivolto una critica a codesta Presidenza Nazionale
per il fatto che non ha ritenuto interessante avere un incontro con le Amministrazioni locali, Comune, Provincia e Regione, le
quali hanno, in questi dieci anni, stimolato ed impostato un grosso dibattito
e confronto su questi programmi, che hanno visto in primo luogo il coinvolgimento
di tutte le organizzazioni che operano nel settore dell’emarginazione, compresa
la ANFFAS di Torino, le sezioni della provincia e il C.S.A.
È con queste organizzazioni che sono stati concordati e realizzati tutti gli interventi nel
settore, interventi che hanno portato a realizzare un piano completo su tutto
il territorio della provincia, tendente a soddisfare i bisogni nel settore,
superando vecchie istituzioni e consolidate emarginazioni.
Pertanto riteniamo assurde e gratuite le affermazioni,
se a noi dirette, del testo del telegramma e di tutti gli altri riferimenti di
vuote affermazioni tecnicistiche da voi affermate. Tali riferimenti sarebbe bene fossero
indirizzati ad altri in campo nazionale che poco o nulla hanno realizzato.
Sul
villaggio di Rivarolo
Credo che non vi possano essere dubbi sul
diritto-dovere, da parte delle Amministrazioni locali interessate, di
esprimere il loro pensiero tanto più quando si tratta
di una iniziativa che investe il proprio territorio, nel quale erano già decisi
interventi nel settore in accordo con gli Enti locali. La prima critica che
abbiamo rivolto a codesta Presidenza e che qui fermamente ribadiamo, riguarda il fatto che tutto è stato deciso sulla testa degli
Enti che si interessano di tale problema, senza che vi fosse la benché minima
informazione preventiva, così come pare sia avvenuto anche nei confronti
dell’Associazione ANFFAS di Torino ponendo pertanto le Amministrazioni locali
di fronte al fatto compiuto. Solo dopo una nostra ferma protesta sono giunte informazioni dirette da codesta Presidenza, e
nei due colloqui succedutisi, sono state, da parte del sottoscritto, espresse
riserve sull’intera operazione, illustrandone i motivi quali:
- non si comprendeva come la USSL
38 di Rivarolo Canavese
avesse potuto accedere al piano ANFFAS, quando precedentemente aveva concordato
con questo Assessorato un certo tipo di intervento che escludeva l’utilizzo del
Villaggio. Tant’è vero che in una apposita
riunione fu dichiarata la disponibilità da parte nostra di un intervento
settoriale per costituire una comunità alloggio ed un centro diurno in parte
del Villaggio, limitatamente a questi due servizi. La proposta non venne accolta perché, disse il Presidente della USSL, era
necessario un intervento globale sul Villaggio e che ne avrebbe investito la
Regione, intervento che questa Amministrazione non poteva e non riteneva
opportuno effettuare. In alternativa fu decisa la
realizzazione di una comunità alloggio e di un centro diurno in località Valperga, previa ristrutturazione di una scuola materna che
quel Comune metteva a disposizione. Per questa soluzione sono
stati realizzati i progetti e i finanziamenti; solo per ritardi
burocratici i lavori non hanno avuto inizio.
Appare quindi evidente la gratuità di tutte le
osservazioni che vengono espresse nel documento di
codesta Presidenza. Ecco perché abbiamo ritenuto e riteniamo un errore il
mancato coinvolgimento degli Enti locali prima di
ogni decisione.
Sul
piano proposte per l’utilizzo del VillaggioComunità alloggio
Il documento si sofferma e ne illustra i contenuti riferendosi al Convegno Nazionale di Torino.
Vogliamo qui precisare alcuni problemi che emergono proprio nel vostro
documento.
La Comunità che è stata individuata deve essere
intesa come comunità famiglia contenendo nel numero i componenti.
L’esperienza fatta, su un territorio come quello
del Piemonte, con particolari caratteristiche di non poco conto,
le quali devono essere sempre tenute presenti, ci hanno fatto scegliere un nucleo
non superiore ad otto utenti. Tant’è vero che precedentemente avevamo un nucleo di ventun
soggetti i quali occupavano ben 63 educatori ed è stato superato. Non
dimentichiamo che l’orario di lavoro è di 36 ore settimanali per cinque giorni
la settimana mentre la comunità residenziale
abbisogna di una presenza di sette giorni su sette, oltre alla presenza
notturna.
Abbiamo trasformato il primitivo nucleo in cinque
comunità dove sono stati inseriti 7/8 utenti per ognuna con undici educatori,
il che ha voluto dire inserire in cinque comunità 36 utenti, non ventuno, con
meno personale. Piaccia o no un centro per venti persone medio-gravi,
come previsto da Voi nella comunità si configura già come un piccolo istituto
e richiederà una gestione di servizi generali (vestiario, mensa, ecc.) di
notevole proporzione e costi elevati, mentre una comunità tipo
è più autonoma nella sua gestione, dall’acquisto delle vivande alla
gestione in proprio della casa con l’attiva partecipazione degli utenti nell’autogestirsi la giornata, iniziando dalla preparazione del
pranzo.
Ecco il perché delle nostre riserve sull’inserimento
in quel territorio di un nucleo di venti utenti, in considerazione anche del
fatto che una piccola comunità famiglia 4/6 utenti è già funzionante a carico
di questa Amministrazione in località Locana.
Il piano di questa Amministrazione,
concordato con la Regione e le singole amministrazioni locali, è in fase di
attuazione e tende a soddisfare i bisogni di ogni singola USSL, con una comunità
alloggio ed un centro diurno. Quando si parla di servizi sul territorio, è
questo che vogliamo affermare, cioè che in ogni
singola zona indicata come USSL, possa esservi un servizio capace di soddisfare
i bisogni di quella popolazione gestito autonomamente in loco con un continuo
confronto con la gente, con le famiglie.
La territorializzazione
dei servizi autosufficienti sul territorio non è un’ottica retrograda, come viene affermato nel Vostro documento, al contrario è intesa
come un servizio di dimensione umana rispondente alle esigenze ed ai bisogni
di quel territorio, altrimenti, di fatto, si tornerebbe a ricreare grandi
contenitori che raccolgono utenza da ogni parte e che comunque vengano gestiti,
tendono a ricreare forme istituzionalizzanti.
Falso é che nel nome della territorializzazione non si faccia nulla altrove anzi é proprio in
questo contesto che il problema del migliore inserimento nel sociale della
persona handicappata viene maggiormente socializzato, con l’integrazione con
i servizi socio-sanitari di base.
L’inserimento nell’ambito di un determinato
territorio di una comunità al di fuori di ogni schematismo,
il più possibile vicino alla normalità del vivere nel contesto cittadino che lo
circonda, è il primo atto per una immediata socializzazione del problema
dell’handicap e della comunità stessa. Per questo sono necessarie dimensioni
minime per tali servizi, come è stato rilevato nel
Convegno citato. Tali esperienze sono state fatte da alcuni anni a Torino con
ragazzi e uomini di trent’anni e più, che avevano vissuto la loro intera vita in istituto, e che
abbiamo in questi anni inserito nel contesto sociale in nuove comunità, anche
di due-tre persone, con determinati appoggi tecnici,
ottenendo dei riscontri positivi.
La Regione Piemonte ha emanato una legge già nel
1982, con la quale assegna l’organizzazione e la gestione di tutti i servizi
socio-assistenziali alle USSL, e ciò per una corretta integrazione di questo
settore nel contesto del socio-sanitario con strumenti
e strutture adeguate.
Vi sono già sul territorio, nelle 21 USSL della
provincia, come nelle 23 della città, équipes tecniche
di personale specialistico, comprese le équipes
psichiatriche. L’integrazione dei servizi è necessaria se non si vuole fare
sempre il distinguo, ed affinché tutti gli interventi para-sanitari e
riabilitativi, psicologi, con psicoterapisti, fisioterapisti - personale questo
dipendente dalla USSL in quanto para-sanitario -
necessari per ricupero e riabilitazione per i diversi tipi di handicap possano
seguire costantemente l’evolversi dei singoli casi, cosi come sta già avvenendo
nei nostri servizi sul territorio, che sono strettamente collegati alle varie
specialità tecniche di cui dispongono le USSL. Questo è il decentramento sul
territorio. Non è quindi solo un fatto geografico come
qualcuno pare intendere.
Che senso
avrebbe un servizio asettico a tutto ciò, non solo, ma anche staccato da ogni
condizione socio-economica e ambientale della zona?
Un macro-servizio non può che avere questi limiti.
Questa Amministrazione ha impiegato troppo tempo per
superare una struttura (Repartino) che presentava
queste stesse caratteristiche.
Era opportuno quindi conoscere, informarsi, prima
di esprimere giudizi affrettati.
Abbiamo una storia alle spalle e un modello tecnico
di riferimento. Ma forse per un’opportuna conoscenza,
è opportuno rammentare quanti e quali servizi sono stati istituiti in materia
di comunità alloggio:
Torino:
- 5 in città a carico della Provincia;
- 1 di pronto intervento, convenzionata con l’ANFFAS
di Torino, proprio per rispondere alle esigenze di quelle
famiglie che hanno necessità di lasciare il figlio per un tempo determinato;
in
provincia:
- n. 4 e precisamente:
USSL 35 Giaveno, USSL 33 Nichelino, USSL 38 Cuorgnè, USSL 44 Pinerolo.
Sono inoltre in allestimento: USSL 25 Rivoli, USSL
27 Ciriè, USSL 31 Carmagnola,
USSL 32 Moncalieri, USSL 36 Susa, USSL 39 Chivasso, USSL 40 Ivrea, USSL 41 Caluso,
tutti progetti finanziati ed in via di realizzazione.
Per questi fattori non secondari e degni di considerazione, era necessario esaminare con gli Enti
locali torinesi, l’utilizzo dei fondi del San Paolo. Quante comunità potevano e
possono essere realizzate con quei fondi? Questa è la domanda che ci siamo posti. Certamente non meno di
dieci, il che vuol dire investire su dieci aree, con la immissione
in esse di 70/80 utenti e non di 20. Questo è un problema, visto che, giustamente,
si invocano le esigenze di quegli utenti che hanno
genitori anziani o magari sono già rimasti soli.
Sui
costi
L’esperienza ci fa dire
che quanto preventivato dall’ANFFAS è molto inferiore alla realtà. Le previsioni
non potranno essere rispettate e quelle cifre dovranno essere aumentate, ciò
per varie ragioni.
Si dice che saranno
ospitati handicappati medio-gravi, molti senza alcun
riferimento familiare o comunque con la famiglia in gravi difficoltà. Come è possibile allora avere un contributo di partecipazione
di volontariato d’intervento da parte di queste famiglie? Inoltre appaiono poco
credibili i rapporti che si ipotizzano, utenti-educatori
e altro personale: come potranno gli stessi effettuare le 36 ore settimanali
previste dal contratto di lavoro, visto che ci sono da coprire i tempi di
assenze, le ferie, i due giorni (sabato e domenica) di riposo, il servizio
notturno. Da un esame attento e dalle esperienze maturate in questi anni, il
numero del personale da Voi previsto dovrà necessariamente raddoppiare.
Se si intende gestire una
comunità in modo serio, che non si limiti soltanto alla sorveglianza
dell’utenza, il personale proposto è insufficiente perché in quel caso non si
potrebbe svolgere alcuna delle attività ipotizzate, ma semplicemente si
parcheggerebbero gli utenti, così come avviene in molti istituti dove non si
svolgono attività di recupero, di stimolo e di riabilitazione.
Si ipotizza
l’utilizzo dell’utenza per un’attività produttiva. Ci domandiamo allora quale
tipo di utenza viene considerata. Come
è possibile credere che tali utenti siano in grado di produrre per
ricavare utili così elevati? Un utente con tale handicap non può essere
considerato produttore, anche perché la sua condizione psico-fisica non gli
permetterebbe una continuità lavorativa. Lo riscontriamo ogni giorno nei nostri
Centri diurni, dove si svolgono determinate attività. Si ricavano pochi fondi
che vengono poi, giustamente, ridistribuiti a chi lavora e non incamerati dall’Ente.
Non si pensi di avere volontari che svolgono il lavoro all’interno della
comunità o del centro diurno, anche in questo caso l’esperienza è negativa.
In questo senso abbiamo fatto svariate esperienze
in tutte le direzioni, ma mai hanno potuto dare risultati economici
apprezzabili. Per quanti hanno possibilità di essere
utilizzabili in lavori, l’unica strada più giusta è l’inserimento lavorativo
pilotato o la formazione di cooperative miste, come già esistono in Torino ed
in provincia, nel Canavese e ad Ivrea, in accordo con
l’Amministrazione Comunale. Si parla anche della trattenuta dell’assegno di accompagnamento da parte dell’Associazione. È bene
ricordare che nel momento in cui l’utente è inserito in una comunità, la
Prefettura revoca immediatamente la concessione dell’assegno.
Centro
diurno
Già abbiamo accennato all’accordo che era intercorso
tra la USSL, la quale ha dato il proprio parere
favorevole, e l’Amministrazione di Valperga che ha
messo a disposizione una scuola dove un centro diurno era previsto per 20/25
posti. Riteniamo tale dimensione idonea per una buona gestione e conduzione, tant’è vero che questa Amministrazione
ne ha progettati diversi, oltre ad aver ristrutturato altri locali idonei allo
scopo, sia in città che in Provincia.
Vogliamo qui ricordarlo:
Torino
città: funzionano 6 centri gestiti dalla Provincia e numerosi
altri del Comune.
In
provincia: sono funzionanti i centri di Grugliasco
USSL 24, Venaria USSL 26, Ciriè
USSL 27, Settimo USSL 28, Gassino USSL 29, Chieri USSL 30, Moncalieri USSL 32, Nichelino USSL 33, Giaveno USSL 35, Buttigliera USSL
36, Ivrea USSL 40, Perosa Argentina USSL 42, Torre Pellice USSL 43, Pinerolo USSL
44.
Sono inoltre in stato di allestimento
nuovi centri costruiti appositamente dalla Provincia e di prossima apertura: Volpiano USSL 28, nuova costruzione; Moncalieri USSL 32,
nuova costruzione; Carmagnola USSL 31,
ristrutturazione di una scuola; Giaveno USSL 35,
ristrutturazione di una scuola; S. Antonino di Susa
USSL 36, nuova costruzione; Caluso USSL 41,
ristrutturazione di un ex IPAB con comunità; Torre Pellice
USSL 43, nuova costruzione.
Inoltre sono già stati finanziati con progetto approvato
ed in corso di appalto: Nichelino USSL 33 in corso di
appalto; Orbassano USSL 34 nuova costruzione in corso
di appalto; Salbertrand USSL 36, lavori in corso; Chivasso USSL 39, finanziati i lavori di ristrutturazione
di locali messi a disposizione dal Comune.
Tale programma è frutto di un immenso lavoro tra
Amministrazione Provinciale, USSL territoriali, amministrazioni comunali e la
partecipazione intensa dell’ANFFAS provinciale di
Torino, alla quale va riconosciuto il merito di essersi sempre battuta per il
miglioramento ed il decentramento dei servizi facendo superare quelle
resistenze, che talora si manifestavano, in alcuni Amministratori locali.
Formazione
professionale
Il progetto ci pare molto improvvisato. Bisogna
rendersi conto che c’è un piano regionale in tal senso, che l’esperienza ha
maturato degli specifici orientamenti e che la formazione di tale personale è
strettamente legata ad un piano di utilizzo dello
stesso e non è possibile tale formazione senza un preventivo coinvolgimento
delle istituzioni scolastiche (Università ecc.).
A Torino esistono 2 scuole di formazione di operatori sociali ed educatori che hanno lunga esperienza
e che, adeguatamente potenziate possono assolvere questo compito, scuole
peraltro riconosciute dalla Regione. Come potrà la Regione
prevederne una terza?
Le competenze per la formazione professionale sono proprie della Regione, anche per quanto riguarda tutto
il settore della riabilitazione. Tali corsi si dovranno svolgere laddove
esistono ospedali e cliniche o comunque centri
specializzati dove venga praticata la riabilitazione.
Centro
raccolta dati
Anche tale servizio dovrà essere ampiamente
inserito in un contesto di strutture d’alto contenuto
tecnico-scientifico, con riferimento agli istituti di ricerca e di studio.
In questi due punti, non essendo gli stessi di
competenza di questo Ente non siamo in grado di
entrare nel merito, ma ci pare che vi sia molta improvvisazione da parte
Vostra, quale prova che neppure su questi aspetti sono stati sollecitati
riscontri e confronti.
Tutte queste osservazioni sono ampiamente e
chiaramente emerse nel dibattito in Consiglio Provinciale, da parte di tutte le
forze politiche.
Infine visto che da codesta Presidenza giungono
dei giudizi veramente fuori luogo e totalmente gratuiti all’operato
di questa Amministrazione, mentre i fatti cui si è fatto cenno dimostrano il
contrario, mi permetto di osservare che l’Associazione dovrebbe assolvere ad
una maggiore azione di stimolo e di lotta verso il potere pubblico a vari
livelli, sia per contribuire ad affrontare seriamente il problema della emarginazione
con una legge-quadro sull’assistenza e più specificamente per gli handicappati
e perché siano dati fondi adeguati per la gestione dei servizi, per il
collocamento e l’avviamento al lavoro degli invalidi, per un effettivo
inserimento scolastico (e non come avvenuto in questi ultimi tempi con
provvedimenti legislativi che hanno decurtato il personale d’appoggio nelle
scuole).
Questa Amministrazione si è sostituita disponendo di insegnanti specializzati e non sostituendosi nella
organizzazione e gestione dei servizi al potere pubblico, sostituzione se pur
lodevole nell’impegno sarà sempre e comunque limitata a singoli episodi e non
potrà mai determinare una alternativa consistente al servizio pubblico in
tutto il paese.
Da troppo tempo vengono
fatte promesse e programmi legislativi, mai rispettati. Le iniziative singole
possono dimostrare che è possibile realizzare un dato servizio, ma una rondine
non fa primavera.
Si spiega in questo modo l’impegno della Provincia
di Torino e del Comune, emerso in questi anni ai fini di elaborare un piano
generale per la istituzione di servizi e per una
maggiore integrazione possibile nel sociale e nel contesto generale del
socio-sanitario; tale sforzo ha sostituito l’assenza dello Stato, rispondendo
giustamente alle previsioni della legge regionale ed agli indirizzi del piano
socio-sanitario della Regione Piemonte recentemente approvato.
Queste le ragioni delle
nostre osservazioni critiche che tendono ad inquadrare nei giusti orientamenti
ogni intervento negli interessi degli utenti, così pure delineare l’intervento
del settore pubblico nel socio-assistenziale, come abbiamo cercato di
costruire in questi anni a Torino.
Così abbiamo distrutto quanto avevano costruito «rivoluzionari...
idioti». Sì, distrutto i vecchi ghetti, le varie Ville Azzurre, i centri di
lavoro protetto, per costruire, con difficoltà e contro resistenze, nuovi
centri di vita per gli emarginati, abbattendo steccati e muri. Tutto ciò senza mai avere il Vostro contributo e senza ritenerci
«rivoluzionari», ma semplicemente individui che si battono per una società più
giusta, che non emargini nessuno ed all’interno della quale ognuno possa
trovare un proprio spazio per esprimere la propria personalità, anche se porta
i segni della sofferenza. Ma soprattutto non abbiamo mai avuto la
presunzione di avere la verità in tasca; con l’esperienza e la conoscenza abbiamo maturato nuovi orientamenti, con il costante
confronto e contributo delle organizzazioni di base. Sì, in questo modo, da rivoluzionari
che cercando di risolvere i problemi della gente, con la gente,
senza mai passare sulla testa di alcuno.
Per questo riteniamo di avere, in questi anni,
operato non solo nell’interesse di una determinata utenza, ma anche di aver
dato un contributo a modificare situazioni ferme da tempo, compito questo delle
forze democratiche che si battono per rinnovare la società, anche governando
gli enti locali e le valutazioni su questo operato saranno espresse dai
cittadini.
PROPOSTE DEGLI OPERATORI DELL’USSL 38 (1)
(1)
Documento del 15 maggio 1985.
Gli operatori della riabilitazione, assistenti sociali,
psicologi che direttamente agiscono per rispondere ai bisogni dell’utenza sia
in termini operativi sia di programmazione, venuti a conoscenza del progetto
ANFFAS e delle trattative in corso fra questa e l’USSL chiedono all’USSL di
prendere in considerazione e valutare le proposte alternative sottoelencate.
- Si ribadisce che
qualsiasi intervento deve essere programmato in un’ottica di globalità che pertanto
esclude la settorializzazione.
- Ogni intervento rivolto a rispondere alle esigenze
dell’utenza deve essere programmato con gli operatori interessati.
- Inoltre va ricordato che l’assenza dei P.A.S. e la mancata attivazione dei Distretti continuano a
consentire, sia da parte di organismi esterni, sia da
parte dell’USSL stessa, la messa in atto di progetti disarticolati, confusi e settorializzati che comportano un cattivo utilizzo delle
risorse ed un dispendio di tempo e denaro.
Ciò premesso si ritiene utile riesaminare il
progetto ANFFAS collegandolo alle più generali attività dell’USSL, all’interno
delle quali anche il problema dell’handicap dovrà trovare la sua risposta.
Proponiamo uno schema in cui al parere negativo
rispetto ad alcune delle proposte della ANFFAS si
contrappongono delle proposte operative rivolte sia alla Associazione, sia
all’USSL.
Utilizzo locali
SI
1. Comunità alloggio a Rivarolo.
2. Terminale per collegamento con banche dati.
3. Locali attrezzati per attività aperte a tutti.
4. Utilizzo stanze per attività C.S.T.
5. Miniappartamenti per obiettori di coscienza.
6. Locali per cooperative di solidarietà sociale.
NO
7. Centro diagnostico e di rieducazione ANFFAS.
9. Centro di documentazione.
8. Scuola per operatori.
13. C.S.T. ANFFAS.
10. Piscina-doppione per handicappati.
11. Palestra-doppione.
SI
12. Attivazione dei Distretti e dei servizi di recupero
e riabilitazione funzionale.
14. Formazione permanente.
15. Progetto giovani, anziani e handicappati.
16. C.S.T. nei Distretti.
17. Richiesta di obiettori.
18. Personale.
19. Potenziamento piscine esistenti. Potenziamento palestre esistenti.
20. Fondi per comunità alloggio in altri
distretti.
21. Interventi per eliminare le barriere architettoniche (private,
pubbliche) in zona.
22. Potenziamento trasporti per disabili.
23. Attivazione officina-cooperativa per la costruzione di
ortesi ed ausilii.
24. Fondo spesa per ausilii extra tariffario,
indispensabili.
Legenda
20 - Le due comunità alloggio previste dalla ANFFAS devono essere ubicate in distretti differenti
per garantire l’integrazione con il territorio.
9 - Non ha senso proporre un nuovo centro di
documentazione dal momento che ne esistono già alcuni
(anche dell’ANFFAS). In alternativa si propone
l’attivazione di un collegamento, tramite terminale, con Centri esistenti.
4 / 8 / 15 - Nel territorio mancano locali attrezzati
per accogliere attività quali le integrative scolastiche, attività
di tempo libero per adolescenti e giovani, attività occupazionali per gruppi
a rischio, ecc. Si propone di utilizzare ed attrezzare un numero adeguato di
locali che possano essere fruiti da gruppi e persone che ne facciano
richiesta. Tali locali potranno essere utilizzati all’interno dei progetti
«giovani», «anziani», «handicappati», in particolare per i Distretti 4, 5, 6.
Potranno ospitare laboratori, ad esempio per attività musicali, teatrali,
artigianali, di falegnameria, ceramica, ecc.
16 - Nell’ottica di quanto
affermato precedentemente, si sostiene che il C.S.T,
non si caratterizza in base ai locali in cui si svolgono le attività, ma in
base alle attività ed al personale via via coinvolto.
Pertanto il C.S.T. va visto come sede di riferimento
per il personale e gli utenti in vista di una programmazione circa l’utilizzo
delle risorse territoriali, tra cui anche i locali ANFFAS (vedi punti 3-4-6). Per questa ragione e per evitare che i locali in
oggetto si connotino esclusivamente per gli «handicappati», si ritiene utile
che i punti di riferimento (C.S.T.) siano altri e
distribuiti nei distretti, secondo le necessità (Valperga,
ecc.).
17 - Si ritiene importante utilizzare anche la
risorsa degli obiettori, quale forma di collaborazione ed integrazione delle
attività. A tale fine va individuata una residenza per gli stessi.
7 - Queste sono attività di specifica competenza
dell’USSL, rispetto alle quali sono inutili e dannosi i doppioni. L’unico modo
corretto per affrontare adeguatamente il problema è quello di attivare, da
parte dell’USSL sia le attività distrettuali, sia il
Servizio di recupero e rieducazione funzionale, come previsto dal piano sociosanitario
regionale.
8 / 14 - La scuola ipotizzata non ha ragione di
essere in rapporto alla normativa vigente che regola la materia della
formazione degli educatori e soprattutto in rapporto al fatto che prevede la
formazione di operatori per una categoria di utenti,
cosa contraria alle linee di indirizzo nazionali e regionali. In alternativa si richiede all’USSL di attivare un serio
programma di formazione permanente che inglobi anche le tematiche specifiche
tra cui quella dell’handicap.
10 / 11 / 19 - Non si ritiene, per i motivi già
richiamati, che si debbano attivare strutture quali
piscine, palestre, ecc., specifiche per handicappati, in un territorio che ne è
già fornito. Si ritiene invece utile adeguare quelle
esistenti alle esigenze specifiche di questa utenza (barriere architettoniche,
ecc.).
22 - La configurazione del territorio e la rete dei
servizi pubblici di trasporto rendono assai difficoltoso lo spostamento delle persone
disabili. Si ritiene pertanto necessario potenziare i servizi di trasporto
finalizzati a consentire la vita di relazione e l’accesso ai Servizi.
23 / 24 - L’esperienza operativa evidenzia la
necessità per molte persone disabili di poter utilizzare ortesi
ed ausilii cari e non sempre reperibili in
commercio. L’attivazione di questa officina
consentirebbe di produrre gli ausilii più semplici,
mentre la costituzione di un fondo spese consentirebbe di acquistare quegli ausilii necessari, ma extra tariffari.
INTERROGAZIONI PRESENTATE DALL’ON. CALAMIDA (1)
(1) Camera dei deputati, 16
maggio 1985.
I
Al Ministro del tesoro. - Per
sapere:
quali
urgenti iniziative intende assumere nei confronti dell’Istituto bancario San
Paolo di Torino che ha erogato a fondo perduto all’Associazione nazionale
famiglie di fanciulli e adulti subnormali (ANFFAS), sede nazionale, la somma
di lire 3 miliardi e 350 milioni per il completamento del villaggio del
subnormale sito a Rivarolo, Torino;
se è a
conoscenza che per il villaggio suddetto, l’ANFFAS aveva già ricevuto 882
milioni dal Ministero dei lavori pubblici quale contributo trentacinquennale
al 4 per cento e 153 milioni a fondo perduto della regione Piemonte;
se è a
conoscenza che l’istituto bancario San Paolo di Torino ha provveduto
all’erogazione della somma sopra indicata - di evidente notevole entità -
senza consultare la regione Piemonte, la provincia di Torino e l’USSL 38 che
sono gli enti competenti per legge nel campo degli handicappati. Non sono nemmeno
stati interpellati i movimenti di base e le
associazioni torinesi (compresa la sezione di Torino della stessa ANFFAS) che
si occupano da anni di handicappati;
se è a
conoscenza che è stato calcolato che la gestione del villaggio del subnormale
costerà un miliardo e mezzo all’anno: però né il San Paolo, né l’ANFFAS
nazionale garantiscono la copertura di dette spese.
Ciò premesso, vi è il fondato dubbio che l’erogazione del contributo all’ANFFAS sia stata fatta
dall’Istituto bancario San Paolo di Torino con lo scopo di favorire
concretamente l’affermazione della linea politica diretta all’emarginazione
fisica degli handicappati, esercitando, quindi, un appoggio reale alle forze
politiche e sociali che rifiutano di riconoscere agli handicappati il diritto
all’inserimento sociale e quindi il diritto alla formazione, alla casa, al
lavoro, ecc.
All’iniziativa dell’ANFFAS e dell’Istituto bancario
San Paolo di Torino hanno preso decisa posizione contraria le forze sociali più
vive della zona: ACLI, Unione italiana ciechi sezione regionale,
ANFAA, ULCES, AIAS, Coordinamento autogestione handicappati, segretario
regionale della Lega per le autonomie locali, nonché operatori impegnati
(direttori scuole per assistenti sociali, per terapisti della riabilitazione,
responsabili dei servizi per handicappati del comune e della provincia di
Torino, e del servizio di neuropsichiatria infantile dell’USL Torino 1-23,
ecc.).
Si chiede pertanto al ministro del tesoro di agire
con la massima celerità possibile nei confronti
dell’Istituto bancario San Paolo di Torino affinché rinunci ad esercitare
tramite l’erogazione di contributi di beneficenza finalità politiche spettanti
alle regioni e agli enti locali e disponga una diversa destinazione dei fondi -
da concordare con gli enti suddetti - erogati per il villaggio dei
subnormali;
si
chiede inoltre al ministro di assumere analoghe iniziative nei confronti delle
altre banche, affinché episodi come quello denunciato non si verifichino
più. (4-09429)
II
Ai Ministri
del tesoro e dei lavori pubblici. - Per sapere:
in base
a quali disposizioni di legge sia stato finora consentito alla sede nazionale
dell’Associazione nazionale famiglie di fanciulli e adulti subnormalí
(ANFFAS) di non versare le rate dovute allo Stato a seguito della concessione
di mutuo di lire 500 milioni per la costruzione del villaggio del subnormale di
Rivarolo (Torino) come da decreto del Ministero dei
lavori pubblici, Provveditorato alle opere pubbliche del Piemonte n. 97.159 del
14 novembre 1972 e di un ulteriore mutuo di lire 382.981.000 come da decreto
del Provveditorato alle opere pubbliche del Piemonte del 27 giugno 1973, n.
60958, Div. I. Per l’erogazione del mutuo di lire 500
milioni, la ANFFAS avrebbe dovuto versare con decorrenza
1° gennaio 1975, 35 rate annuali di L. 14.133.600;
per il mutuo di lire 382.981.000, le rate annuali sono di lire 10.825.800 con
decorrenza 1° gennaio 1976. Pertanto alla data del 1° gennaio 1985 l’ANFFAS
avrebbe dovuto versare allo Stato la somma complessiva di lire 263.727.600;
ciò
premesso, quali urgenti iniziative intendono assumere per ottenere il regolare
pagamento delle quote concordate e per il recupero di quelle scadute e per
accertare se vi sono state omissioni da parte dei funzionari dei loro
Ministeri che debbono essere segnalate all’autorità giudiziaria;
se
valutino l’opportunità, nel caso in cui la ANFFAS non corrisponda le somme
dovute, di non provvedere più all’erogazione del contributo dello Stato a
favore dell’ANFFAS stabilito in lire 245 milioni dalla legge 6 febbraio 1985,
n. 14. (4-09432)
(1) Cfr.
Prospettive assistenziali,
n. 24, 1973, p. 68.
(2) Ibidem.
(3) Cfr.,
in allegato, il progetto dell’ANFFAS nazionale relativo alla struttura di Rivarolo.
www.fondazionepromozionesociale.it