Prospettive assistenziali, n. 70, aprile - giugno 1985

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

BREVI RIFLESSIONI SULL'ADOZIONE DI UN MINORE STRANIERO IN ITALIA

 

A due anni dall'entrata in vigore della legge 184/83 che regolamenta per la prima volta nel nostro Paese l'adozione di un minore straniero, sentiamo l'esigenza di fare una riflessione sul concetto stesso di adozione.

Fin dai primi anni la proposta del CIAI è stata una proposta severa che non cede ad interessi di parte che non siano di esclusivo interesse del «bambino solo». Il CIAI non si è lasciato coin­volgere da sollecitazioni e pressioni fortissime che provenivano dall'adulto. Per questo si è sem­pre fatto portavoce di tale linea a vari livelli. E se è vero che alcune cose sono cambiate nel corso di questi anni e alcune spinte a migliorare si sono verificate almeno nel settore giuridico, dove si è tentato di rimediare a una situazione talora caotica con una legislazione che aveva degli aspetti di grande lungimiranza, bisogna non dimeno ammettere che tale politica di apertura è tuttora ben lontana dall'aver raggiunto i suoi traguardi.

A distanza di due anni dall'entrata in vigore della nuova legge sull'ordinamento dell'adozione non è ancora corrisposta un'adeguata normativa che permetta l'attuazione della legge stessa.

I Ministeri degli affari esteri e di grazia e giu­stizia non hanno ancora emesso le autorizzazioni agli enti che devono operare nel settore. Si assi­ste così a una corsa di accaparramento da parte di piccoli gruppi, spesso senza esperienza, per trovare strade collaterali e sotterranee che per­mettano loro di continuare a lavorare.

Proprio a questo riguardo, preoccupato dallo stato delle cose, lo stesso Presidente Pertini, in una prefazione ad un libro dossier intitolato: «Protagonista il minore» accoratamente scrive: «... ai grandi orientamenti di principio non ha corrisposto, se non parzialmente, l'adeguamento delle strutture, l'affinamento delle professionali­tà, la maturazione del costume e della menta­lità... si assiste al funzionamento intermittente e spesso superficiale dei presidi assistenziali ecc...» e ancora «... In presenza di una normati­va coraggiosa e moderna e a fronte di migliaia di fanciulli in stato di oggettivo abbandono, anco­ra oggi innumerevoli coppie sono condannate ad attese snervanti per poter legalmente accogliere nel proprio seno un bambino senza famiglia, mentre non cessa parallelamente di prosperare un vergognoso mercato che disonora il nostro Paese».

Dunque le difficoltà che ogni giorno il CIAI si trova ad affrontare e a combattere sono diffi­coltà reali che lo stesso Presidente della Repub­blica denuncia e sollecita perché si mobiliti lo scrupolo professionale e umano dei magistrati, degli operatori, delle forze politiche in genere, delle forze sociali e culturali affinché un così importante obiettivo venga raggiunto.

Vi è poi un altro confronto a cui dobbiamo ri­spondere quotidianamente che è quello con la gente. Anche qui, se da una parte si è verificata una buona presa di coscienza rispetto al proble­ma - ma è ancora una fascia esigua - dall'altra (mi spiace doverlo sottolineare perché purtroppo è la porzione più vasta) si va registrando un cambiamento lento, anche se costante, del modo di concepire l'adozione. È una domanda di ado­zione che diventa sempre più la domanda di «qualcosa» che si pensa di aver diritto ad avere. Voglio dire il bambino a tutti i costi.

Dunque il problema vero è un problema cultu­rale: si tratta quindi di sapere come si conce­pisce l'adozione. Vengono a scontrarsi conce­zioni su come e perché accogliere un bambino, sul concetto di famiglia ecc. Sono concezioni ideologiche e culturali differenti, diverse perfino nel mondo cattolico dove si riscontrano lacera­zioni: posizioni pre-conciliari e post-conciliari. E non di rado capita di doversi misurare con queste mentalità così opposte e povere (il bambino è fortunato perché avrà una famiglia che è ricca e lo riempirà di cose che neppure sognava), di non trovarsi d'accordo neppure con le stesse religio­se che quasi sempre gestiscono gli istituti di provenienza.

Ora io non credo che, attraverso una normati­va o una legge, il divario di opinioni sarà col­mato. È necessario che se ne discuta e che que­sto dibattito venga fatto crescere e maturato; così che si possa dilatare una coscienza più ampia di accettazione delle necessità di un minore.

Tutto questo, se avverrà, avverrà nel tempo e noi non dobbiamo stancarci. In Italia siamo anco­ra molto indietro rispetto a queste tematiche, siamo ancora a una concezione molto ristretta della disponibilità nei confronti dei bambini in stato di bisogno. Non esiste neppure letteratura in proposito, mentre in altri stati europei è già stata approfondita da tempo.

In questo quadro di analisi non possiamo ta­cere un altro grande problema innescatosi anche in Italia con l'avvento dell'ingegneria-genetica (vedi fecondazione in vitro e embroy-transfert). Questo problema ci tocca da vicino anche se a un primo impatto superficiale potremmo pensare che non ci riguardi. È il problema della «tecno­logizzazione degli esseri umani», una tendenza sempre più diffusa alla «cosificazione dell'uomo» in un'era dove tutto diviene oggetto di consumo e rende l'uomo schiavo di questa civiltà che lo manipola.

Tutto ciò ci interpella prima di tutto sotto l'aspetto etico culturale, coinvolge tematiche più ampie che comprendono aspetti sociali, giuridici e morali.

Molte questioni aperte dunque, e possibilità di lavoro per quanti sentono queste tematiche per le quali penso valga la pena di offrire, anche se con molta fatica, un contributo personale.

 

ELENA GANDOLFI NEGRINI

Presidente del CIAI

 

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