Prospettive assistenziali, n. 71, luglio - settembre 1985
CASE PROTETTE IN PIEMONTE: UNA
SIGNIFICATIVA EVOLUZIONE SOTTO
Come più volte abbiamo segnalato su Prospettive assistenziali, è in corso a
Torino da parte del Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti una
campagna per il riconoscimento agli anziani malati cronici non autosufficienti
del diritto alle cure ospedaliere nei casi non sia possibile intervenire a
livello domiciliare e/o ambulatoriale.
Le conseguenze principali di questa iniziativa sono
state le seguenti:
- l'eliminazione dei trasferimenti dagli ospedali
alle case di riposo degli anziani in coma;
- una maggiore attenzione da parte del personale
sanitario nel disporre le dimissioni dagli ospedali. Ciò anche in conseguenza
della sentenza penale a carico di due operatori dell'Ospedale Molinette di
Torino (Cfr. Prospettive assistenziali,
n. 68, ottobre-dicembre 1984);
- l'approvazione da parte dell'USSL Torino 1-23 della
delibera istitutiva del servizio di ospedalizzazione a domicilio (Cfr. Prospettive assistenziali, n. 69,
gennaio-marzo 1985) e la previsione di analogo servizio nella legge regionale
3 maggio 1985 n. 59 «Piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il
triennio 1985-1987» (1);
- la garanzia della permanenza in ospedale fino al
momento in cui è stato predisposto un posto letto in uno dei cronicari scelti
dal servizio socio-assistenziale, sempre che i parenti dell'anziano abbiano
accettato questa soluzione. Nel caso di non accettazione della suddetta soluzione
assistenziale, i pazienti restano in ospedale;
- la cessazione delle proposte di soppressione delle
medicine generali;
- l'acquisizione da parte di moltissime persone di
una maggiore consapevolezza dei diritti degli anziani malati.
Contemporaneamente vi è stata, da parte delle
Autorità regionali e locali, un ripensamento del ruolo delle case protette.
Nel primo piano della Regione Piemonte per il
triennio 1982-1984 (legge 10 marzo 1982 n. 7) le case protette erano definite
come segue: «La casa protetta è anch'essa
destinata ad ospitare cittadini in regime di assistenza, ma solo quando essi
presentano un bisogno di assistenza tutelare che, per la richiesta di
continuità, non può essere garantita né a domicilio, né dalla comunità
alloggio. La richiesta di assistenza tutelare viene espressa particolarmente da
persone in stato di grave o totale invalidità, da portatori di esiti di
malattie che hanno lasciato gravi invalidità permanenti o forte deterioramento
motorio (quali postumi di vasculopatie acute, artropatie gravemente invalidanti
e simili - si citano, ad esempio - i giovani affetti da malattie neuromotorie),
da persone il cui equilibrio fisico si scompensa facilmente e che alternano
periodi di equilibrio a sempre più lunghi periodi di scompenso
(cardio-pneumoartropatie), da persone, ancora, che presentano fenomeni o di
grande senilità o di confusione mentale o incapaci di svolgere azioni che si
succedono correntemente: lavarsi, asciugarsi, pettinarsi, etc., che ne saltano
alcune o lasciano incompiuto l'atto che volevano formulare, da persone
incapaci di determinare l'uso del tempo e da persone affette da incontinenza».
In sostanza alle case protette veniva affidato il compito
di isolare dal contesto sociale i minori, gli adulti e gli anziani
handicappati, aventi un non meglio definito «bisogno
di assistenza tutelare».
Erano
previsti tre tipi di utenza:
«1° gruppo:
persone che sono in stato di invalidità parziale o totale per lesione agli
apparati motori (offesa cerebrale o altre cause);
2° gruppo:
soggetti con equilibrio fisico particolarmente labile;
3° gruppo:
grandi senili, confusi mentali».
Poiché per i soggetti sopra indicati non era previsto
alcun tentativo di recupero, la legge n. 7/1982 prevedeva esclusivamente una «assistenza tutelare continua non di
carattere terapeutico».
Veniva inoltre precisato che «le uniche prestazioni sanitarie che potranno essere fornite
all'interno della struttura (...) saranno quelle fornite a domicilio a tutti i
cittadini dagli operatori dei servizi di base e integrativi di base» (2).
Questa posizione è stata costantemente criticata dal
Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti.
In particolare dal Comitato sono stati messi in
rilievo i seguenti problemi:
- non è accettabile la rinuncia alla terapia e alla
riabilitazione dei pazienti (anziani o giovani o adulti) qualsiasi sia la
diagnosi. Anche nei confronti delle malattie inguaribili, la cura, se appropriata,
può portare effetti positivi, se non altro per evitare ulteriori aggravamenti o
per limitarli;
- occorre aiutare le famiglie disponibili a
provvedere alla ospedalizzazione a domicilio di loro congiunti o di terzi;
- devono essere rispettati i diritti acquisiti dagli anziani
malati cronici non autosufficienti (diritto alle cure sanitarie comprese quelle
ospedaliere, gratuità delle prestazioni).
Sotto la denominazione «Comitato per la difesa dei
diritti degli assistiti» e «Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti
di base» (3), sono state organizzate varie manifestazioni:
- cortei di protesta;
- volantinaggi (finora sono stati distribuiti 30 mila
volantini);
- posa di 9 mila locandine sui mezzi pubblici della
città di Torino e intercomunali;
- partecipazione a convegni, dibattiti e consultazioni
indette dalla Regione e dagli Enti locali;
- rapporti con persone e organizzazioni interessate
al problema;
- stampa e distribuzione di 25 mila copie del
libretto informativo «Che cosa fare per evitare le dimissioni selvagge degli
anziani»;
- consulenza ai familiari ed ai conoscenti (4).
Anche a seguito delle iniziative suddette, vi è stato
un ripensamento degli amministratori della Regione e degli Enti locali,
ripensamento che ancora non soddisfa le esigenze degli utenti, né rispetta in
misura adeguata i loro diritti acquisiti.
In ogni caso, costituisce un passo innanzi e
dimostra, ancora una volta, il ruolo positivo che possono svolgere i movimenti
di base.
Va rilevato - e questa constatazione è molto
preoccupante - che i funzionari e gli operatori della Regione e degli Enti
locali, salvo alcune rarissime eccezioni, non hanno mai collaborato per
l'affermazione dei diritti degli anziani cronici non autosufficienti, né hanno
tentato di sensibilizzare gli amministratori.
Solo dopo che questi ultimi hanno ritenuto non più
politicamente ed operativamente sostenibile attribuire esclusivamente al
settore assistenziale la competenza ad intervenire nei confronti degli anziani
cronici non autosufficienti, i funzionari e gli operatori hanno incominciato a
modificare le loro posizioni.
Vi sono addirittura alcuni operatori (fra di essi
anche coordinatori socio-assistenziali di USSL) che continuano ad ostacolare
l'assunzione di responsabilità da parte del settore sanitario.
Da sottolineare inoltre - purtroppo - la totale
assenza di iniziative da parte dei Sindacati confederali, del Tribunale per i
diritti del malato, dell'Università della terza età e delle varie associazioni
di e per gli anziani.
Nel piano socio-sanitario per il triennio 19851987,
Infatti la legge 3 maggio 1985 n. 59 prevede quanto
segue:
- art. 21, ultimi due commi - «I presidi residenziali socio-assistenziali possono essere utilizzati,
anche a fini sanitari, soprattutto per la deospedalizzazione protetta, nonché
per la tutela della salute mentale, per la cura e la riabilitazione dei
tossicodipendenti.
In tal caso
la gestione è a carico dei servizi sanitari e del relativo fondo sanitario,
fermo restando il supporto che viene garantito dal servizio
socio-assistenziale»;
- punto 2.3.3.13 -
«I presidi a carattere residenziale possono essere utilizzati dalla USSL direttamente,
ove del caso, anche a scopi sanitari, soprattutto per la deospedalizzazione
protetta.
In tal caso
va prevista la presenza continuativa di persona-le specifico, dimensionato a
seconda del carico di lavoro, conseguente al numero ed alle caratteristiche
degli ospiti. Tale personale viene distaccato dal distretto in cui ha sede il
presidio. Di conseguenza, le UU.SS.LL. provvedono a dimensionare adeguatamente
l'organico del distretto. Tale personale può essere saltuariamente integrato,
secondo le esigenze, da personale dipendente dal servizio integrativo di base.
Il gruppo
operativo di base viene integrato altresì con figure professionali mediche a
rapporto d'impiego, con funzioni diagnostico-terapeutiche, collegate
funzionalmente o organicamente con i reparti ospedalieri di medicina generale o
di geriatria, ove esistenti, competenti per territorio»;
- punto 2.3.5.32
- «Possono essere avviate forme sperimentali tese a garantire, esaurita la fase
acuta, la continuità delle cure mediante idonee soluzioni organizzative e, se
del caso, strutturali, attraverso la piena integrazione funzionale dei vari
servizi e dei distretti socio-sanitari. In questo quadro la prima iniziativa di
sperimentazione viene individuata nell'uso della sede dell'ex stabilimento ospedaliero
Birago di Vische integrato con lo stabilimento ospedaliero Maria Vittoria».
Segnaliamo inoltre che nel programma elettorale del
PCI di Torino per le elezioni del 12-13 maggio 1985 (che fino a quella data
aveva sempre sostenuto la competenza del settore socio-assistenziale in
materia di anziani cronici non autosufficienti) è previsto quanto segue: «Una particolare attenzione va rivolta agli
anziani lungodegenti e a quelli cronici non autosufficienti:
a) favorendo
la loro ospedalizzazione a domicilio di parenti o di terzi disponibili, sia
con l'erogazione di contributi economici, sia mediante idonee prestazioni di
medici, infermieri e riabilitatori;
b) evitando
le dimissioni dagli ospedali di pazienti non ancora completamente guariti o in
fase terminale o con piaghe da decubito;
c) riducendo
a zero il trasferimento in strutture sanitarie situate fuori dal territorio
comunale di pazienti abitanti a Torino, salvo i casi in cui detti
trasferimenti siano determinati da specifiche esigenze terapeutiche;
d) favorendo
l'avvicinamento a Torino di anziani, specialmente se autosufficienti, che desiderano
vivere insieme o vicino ai figli o ad altri parenti residenti nella nostra
città.
La linea da perseguire
dovrà inoltre essere diretta al progressivo trasferimento delle competenze nei
confronti degli anziani non autosufficienti dal settore assistenziale (che
richiede il pagamento delle prestazioni agli interessati ed ai parenti, fino a
60-70 mila lire al giorno) a quello sanitario».
* * *
L'attività del Comitato per la difesa dei diritti
degli assistiti prosegue per ottenere il pieno riconoscimento dell'obbligo del
settore sanitario di assumere in toto, come previsto dalle leggi vigenti, il compito
di intervenire nei confronti degli anziani cronici non autosufficienti.
(1) Il punto 2.3.5.31 della legge 59
prevede quanto segue: «Nel corso del triennio le UU.SS.LL., con particolare
riferimento a quelle i cui servizi operano in consistenti agglomerati urbani,
potranno avviare forme sperimentali di trattamento ospedaliero a domicilio,
prevedendo anche gli oneri relativi, ivi compresi i contributi eventuali alle
famiglie degli assistiti».
(2) Questa è ancora la posizione
dell'Emilia-Romagna. Cfr. F. Santanera, «Valorizzazione delle IPAB ed
emarginazione degli anziani non autosufficienti in Emilia-Romagna», in Prospettive assistenziali, n. 65,
gennaio-marzo 1984 e «Valorizzazione delle IPAB e delle case protette.
L'intervento del Comune di Modena e la replica della redazione», ibidem, n. 68, ottobre-dicembre 1984.
(3) Il Comitato per la difesa dei
diritti degli assistiti è un organismo promosso dal Coordinamento sanità e assistenza
fra i movimenti di base.
(4) È stato superiore alle nostre
aspettative (giudicate ottimistiche da molti esperti) il numero delle persone
non legate da vincoli di parentela o di affinità che si interessano di
anziani. Per la maggior parte di essi, l'interessamento consiste in
prestazioni anche di notevole consistenza: assistenza domiciliare, presenza al
letto del paziente ricoverato in ospedale, disbrigo di pratiche, ecc.
www.fondazionepromozionesociale.it