Prospettive assistenziali, n. 71, luglio - settembre 1985

 

 

MINORI, TUTELA DEL DIRITTO ALLA FAMIGLIA E RUOLO DEI MASS-MEDIA

MARIO TORTELLO

 

 

Pubblichiamo la relazione svolta al convegno regionale «Affidamento familiare: perché», pro­mosso dall'Unità sanitaria locale n. 40 dell'Emilia Romagna, Rimini, 19-20 aprile 1985.

 

Questa relazione ha lo scopo di formulare al­cune osservazioni sul ruolo che hanno o possono avere i mass-media di fronte ai problemi infor­mativi, e formativi che riguardano l'adozione, l'affidamento familiare e, più in generale, la tu­tela del diritto dei minori alla famiglia.

È un tema assai ampio e complesso; non fa­cile da analizzare. Ma è argomento di estrema importanza, proprio perché in una società carat­terizzata sempre più dalla massima comunica­zione, l'informazione - questa materia prima che pure non figura in nessun atlante - gioca un ruolo determinante anche nei confronti delle «nuove povertà» e della lotta contro l'emargi­nazione.

La nostra attenzione è volutamente limitata all'influenza della sola carta stampata. Non pren­diamo in esame, invece, il contributo positivo o negativo degli altri mezzi di comunicazione di massa; la televisione, innanzitutto.

Inoltre, non si tratta di una analisi di tipo se­miotico (che pure sarebbe interessante e utile), ma di alcune considerazioni generali su questi temi. Negli ultimi anni, la stampa italiana quoti­diana e periodica non specializzata ha prestato una crescente attenzione a questi temi; tuttavia, per esprimere un giudizio meno epidermico, oc­corre analizzare meglio i contenuti degli articoli e rapportarli anche con quelli che, più in genera­le, si riferiscono ai servizi assistenziali e socio­sanitari di territorio.

 

La necessità di un quadro più ampio di riferimento

Pur soffermandoci solamente sulla stampa quo­tidiana e periodica non specializzata, è necessa­rio, tuttavia, a nostro avviso, non perdere di vi­sta il fatto che il discorso va collocato in un quadro più ampio di riferimento, tenendo ben pre­sente il ruolo dei mass-media nel loro complesso:

- sia rispetto alla educazione dei minori stes­si ed all'allargamento del sistema formativo;

- sia, in specifico, per quanto riguarda quei cambiamenti di mentalità e di atteggiamento in­dividuali e comunitari relativi alla assistenza al­l'infanzia in situazione di abbandono temporaneo o definitivo e alla prevenzione del bisogno assi­stenziale.

In merito a quest'ultimo ordine di problemi, ad esempio, ci sembra il caso di ricordare la crescente insistenza con cui proprio certi mass­media vogliono far credere ai cittadini che tutti i mali discendono dalla esasperata espansione degli interventi pubblici, dai costi eccessivi dei servizi, dalla loro scarsa efficacia ed efficienza. In altre parole, anche gli organi di informazione contribuiscono a far credere alla gente che certi diritti (alla casa, alla salute, alla non emargina­zione) non possono per adesso e per chissà quanto altro tempo essere soddisfatti. E che, giocoforza, occorre accontentarsi di quel che vor­ranno fare i privati ed il volontariato gestio­nale (1).

Per ciò che riguarda, invece, la presenza dei mass-media e l'allargamento del sistema forma­tivo, credo sia opportuno ribadire - citando il magistrato Alfredo Carlo Moro - che «una adeguata socializzazione del minore può essere facilitata - o anche gravemente compromes­sa - dal modo con cui altri strumenti diversi dalla famiglia, dalla scuola, dall'ambiente di la­voro, dall'ambiente sociale in cui è inserito gli trasmetteranno determinati valori e lo aiuteran­no, o condizioneranno, nel suo difficile passag­gio dalla vita infantile a quella adulta (...). Nel processo di formazione alla vita sociale, i mezzi di comunicazione di massa hanno perciò una rile­vanza particolare e conseguentemente una re­sponsabilità assai grande. Non può certo dirsi che nell'attuale fase della nostra vita sociale questi mezzi aiutino effettivamente il minore e non abbiano invece spesso conseguenze in qual­che modo devastanti» (2).

Basti pensare al rapporto fra il minore e la pubblicità, sia quando si tratta di prodotti che interessano il bambino consumatore, sia a mag­gior ragione per quelli propriamente per adulti. Sostiene Roberto Farnè nel «Bambino incompiu­to», la stimolante rivista curata dalla Associa­zione italiana per la prevenzione dell'abuso all'infanzia: «Se il bambino una volta era il più adatto ad entrare nei cunicoli sotterranei più stretti delle miniere di zolfo, o a lavorare meglio, grazie alle sue dita sottili, a certe tessiture, oggi è ancora il suo corpo al centro dello sfrutta­mento pubblicitario, sottoposto non più allo sfor­zo fisico del lavoro manuale, ma alla forza libidi­ca della sua immagine che gli viene prima co­struita addosso e poi rubata» (3).

Il discorso sull'uso e sull'abuso del minore in pubblicità ci porterebbe lontano. Ma non ci sem­bra del tutto fuori luogo farne cenno in questa sede; proprio perché è possibile, così, sottoli­neare come la rappresentazione della infanzia nella pubblicità sia ben lontana dalla realtà. Que­sti «bimbamboli» degli spot («paffuti, sani, sorri­denti, vispe lentiggini, caschetto biondo o ric­cioloni, rare lacrime che un biscotta può con­solare») (4) somigliano poco al bambino reale e, certo, non somigliano per nulla a quei minori che vivono in famiglie con problemi o in istituto, che ritroviamo ripetenti a scuola o per i quali viene proposto l'affidamento familiare a scopo educativo.

Crediamo sia bene parlarne, perché questo ri­tratto idilliaco del bimbo bionda e con gli occhi azzurri che mangia omogeneizzati o che consu­ma pannolini, questo messaggio della pubblicità che non corre il rischio di svegliare cattive co­scienze, si ritrova poi, molto spesso, negli ar­ticoli che trattano dell'adozione e dell'affidamen­to familiare. Un messaggio che tende a raffor­zare, a consolidare credenze e valori tradizio­nalmente diffusi nel tessuto sociale (bella fa­miglia, giusta maternità, sempre buona condot­ta), anziché sollecitare una analisi dei problemi sociali sottesi all'abbandono cd alla richiesta di assistenza.

 

Adozione e affidamento sulla stampa quotidiana e periodica

Ma torniamo al sottoinsieme che vogliamo prendere in considerazione: gli articoli sull'ado­zione, sull'affidamento (e, più in generale, sui minori con problemi familiari) apparsi negli ul­timi anni sulla stampa quotidiana e periodica non specializzata in Italia.

A questo scopo, ci può essere di valido aiuto la ricerca che la Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie cura, a partire dal 1975, per conto prima dell'ex A.A.I., poi della Direzio­ne generale servizi sociali del Ministero dell'In­terno, il cui aggiornamento è stato effettuato sino a tutto il 1982 (5).

Nel 1975, gli articoli pubblicati dalla stampa nazionale e segnalati dall'«Eco della stampa» all'ANFAA, relativi ad adozione, affidamento fa­miliare, comunità alloggio sono stati 493; nel 1976, sono scesi a 449; nel 1977 sono saliti a 509, per ridiscendere a 472 nel 1978. L'ascesa rapida inizia nel 1979, con 856 articoli, per bal­zare ai 1292 del 1980, ai 1400 dell'81 e, infine, ai 1600 dell'82.

In otto anni, dunque, si è passati da una media di poco più di un articolo al giorno nel 1975, a 3 articoli al giorno nel 1980, per giungere a quattro al giorno nel 1982, ultimo anno di rile­vazione.

Una media di 4 articoli al giorno, sia pure ripartiti fra le centinaia di testate pubblicate in tutta Italia, potrebbe far pensare - come si di­ceva - ad un accresciuto interesse della stam­pa per questi problemi. Ma se non ci limitiamo al solo conteggio numerico degli articoli, balza subito in evidenza che, spesso, è l'immediatezza e l'emotività del fatto di cronaca a tenere banco. Dei 1400 servizi apparsi nell'81:

- 700 riguardano casi di bambini adottati o affidati;

- 120 la riforma della legge su adozione e affido;

- 100 l'adozione internazionale;

- 70 trattano i temi dell'adozione e dell'affi­do insieme ai problemi più generali dei servizi socio-sanitari del territorio;

- in circa 300 articoli, infine, l'argomento dell'adozione è riportato in modo del tutto ca­suale.

Dei 1600 articoli apparsi nell'82:

- 400 riguardano casi singoli;

- 150 la riforma della normativa;

- 350 l'adozione internazionale;

- 150 se ne occupano, più in generale, nell'ambito dei problemi dei servizi.

 

Due opposte concezioni dell'adozione anche sulla stampa

Ma, oltre allo spazio notevole tuttora riservato dagli organi di stampa alle informazioni su sin­goli fatti di cronaca (minori contesi da due fa­miglie, bambini venduti a coppie senza eredi, falsi riconoscimenti, adolescenti in affidamento che vogliono tornare dalla madre d'origine, casi di minori «a rischio giuridico di adozione» affi­dati a coniugi troppo anziani per poter eventual­mente adottarli), possiamo osservare che, anche sulla carta stampata, continuano a scontrarsi le due opposte concezioni dell'adozione:

- l'una, che si colloca dalla parte dei minori e considera prevalenti, in modo assoluto, i loro diritti e le loro esigenze;

- l'altra, che si colloca dalla parte degli adul­ti e ritiene invece l'adozione un rimedio alla mancanza di discendenti o uno strumento di re­denzione di potenziali disadatti (6).

Occorre constatare che - nonostante una attenzione crescente verso i diritti dei minori - la seconda concezione sembra tutt'oggi preva­lere sulla prima, specie sulla stampa periodica non specializzata.

Ad esempio, affrontando problemi relativi a minori in difficoltà, a bambini contesi o ad ado­lescenti in affido, viene data spesso una versio­ne unilaterale dei fatti; in genere, quella soste­nuta dai genitori di origine e non ci si preoccupa di approfondire il problema, verificando tale ver­sione con quanti hanno avuto modo di seguire le vicende del bambino (insegnanti, operatori so­ciali, magistrati, famiglia affidataria).

Insomma, una informazione che, troppo spes­so, resta «dalla parte degli adulti». Basti ri­cordare che gli articoli inerenti le modifiche delle norme sulla adozione, parlano di queste quasi esclusivamente in termini di «adozione più facile» per chi vuole adottare, non di stru­mento per garantire nel più breve tempo possi­bile una famiglia idonea e stabile ad un mino­re solo.

Si tratta di atteggiamenti pericolosi, perché finiscono con l'assecondare la tendenza a con­siderare il minore non come un soggetto por­tatore di diritti autonomi, ma come proprietà dei genitori che ne possono disporre a loro piaci­mento.

Un altro esempio: tutte le volte che vengono riportati episodi di cronaca nera riguardanti mi­nori adottati, il fatto che siano figli adottivi è considerato determinante per la notizia e ciò viene spesso messo in particolare risalto nel titolo o nel sommario. Emblematico, l'esempio dei suicidi che hanno per protagonisti minoren­ni adottati.

Pubblicare nome e cognome dei minori coin­volti in fatti sui quali si potrebbe benissimo ri­ferire omettendo le generalità, rappresenta una violenza inutile e dannosa (7). Ma è soprattutto grave l'immagine che si dà ai lettori, sia dei ge­nitori adottivi, sia dei figli adottati, legati reci­procamente da un rapporto affettivo ed educa­tivo, ma non da quello mitico del «sangue». Una immagine deformata, perché tende a sottolinea­re implicitamente una situazione di presunta «diversità».

Sotto questo profilo, possiamo dire che il pae­se reale (di cui la stampa è specchio) resta an­cora lontano dal paese legale, nonostante il no­tevole passo in avanti contro la mentalità del «padre-padrone».

La legge 4 maggio 1983, n. 184 sancisce che «l'adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti». Più indietro ancora negli anni, il Concilio Vaticano II, con il «Decreto sull'apo­stolato dei laici» (18 novembre 1965), invita «ad adottare i bambini abbandonati facendoli diventare propri figli»: infantes derelictos in filios adoptare, una formulazione che esprime la risultanza effettiva di piena filiazione.

Invece, certa stampa sembra restare ancorata - a volte anche in modo sottile - al richiamo della «voce del sangue», un vincolo che la scienza ha dimostrato privo di consistenza se inteso in senso letterale, o non sostanziale per fondare il rapporto genitori-figli. Cito testual­mente da un articolo, nel quale si parla di due bimbi adottati come di «quei minori che hanno trovato famiglie più serene e persone che si cu­rano di loro come se fossero i veri "papà" e le vere "mamme"».

La paternità e la maternità, sembrano lasciar intendere numerosi articoli, o è «biologica» o è solo un surrogato.

Nemmeno l'ampio dibattito sulla fecondazio­ne artificiale, sulle gravidanze su commissione, sulla «procreazione senza sessualità», sembra rappresentare l'occasione propizia per ricordare alla opinione pubblica che il rapporto genitori­figli non si radica esclusivamente nell'atto ri­produttivo, che esiste una profonda differenza fra «l'avere un figlio» e «l'essere genitori».

E c'è da chiedersi quali ripercussioni possa avere questo perdurante atteggiamento della stampa nei confronti della paternità e della ma­ternità sulla applicazione concreta dell'istituto dell'affidamento familiare.

 

L'adozione internazionale

Diverso, a partire dall'inizio degli anni '80, ci sembra invece, l'atteggiamento della carta stampata nei confronti dell'adozione interna­zionale.

Nel 1981, un fatto di cronaca (il «caso Mil­ton», il bambino ecuadoriano ripetutamente per­cosso dalla madre adottiva torinese) richiama la attenzione di quasi tutta la stampa nazionale. Questa volta, quotidiani e periodici non specia­lizzati non si limitano soltanto a riferire su un episodio di violenza contro un minore, a interro­garsi sul fatto se il bimbo è stato o meno pic­chiato dalla madre adottiva, ma pongono anche in rilievo alcuni problemi di carattere generale:

- come Milton e tanti altri minori stranieri sono stati adottati;

- quali garanzie sulle capacità educative dei genitori adottivi erano state richieste e da chi;

- come la non specificità delle norme con­sentiva allora anche a coppie anziane o già giu­dicate inidonee ad una adozione dai Tribunali per minorenni italiani, o addirittura a persone singole di prendere contatto diretto con Paesi stranieri e tornare in Italia con uno o più minori.

Col «caso Milton» la stampa apre finalmente il discorso sull'insieme delle problematiche che concernono le adozioni internazionali (non è ca­suale se 90 dei 100 articoli sull'adozione inter­nazionale pubblicati nel 1981 appaiono dopo questo fatto di cronaca).

In riferimento a tale episodio e al successivo arresto di una italo-americana accusata di «trat­ta di schiavi» per aver ceduto a famiglie italia­ne bambini in arrivo dal Guatemala, la stampa comincia a parlare con una certa insistenza della necessità di regolamentare seriamente l'adozio­ne di minori stranieri.

Considerazioni analoghe a quelle fatte per il 1981, sono possibili per gli articoli apparsi nel 1982. In questo anno, vengono pubblicati ben 350 servizi sulla adozione internazionale, anche in riferimento ai tanti casi di minori bloccati alle dogane degli aeroporti, perché privi dei docu­menti necessari. Nella maggioranza degli articoli si parla di questo o di quel caso specifico di bambini fermati, ma è anche pressoché costante il richiamo alla necessità di emanare al più presto nuove norme sull'adozione internazionale.

Di fronte a questo tema, dunque, dobbiamo riconoscere che nel suo complesso la stampa italiana­

- si mostra più attenta all'insieme dei pro­blemi, che non alla singola situazione venuta alla ribalta della cronaca;

- sollecita maggiori garanzie a tutela dei mi­nori che arrivano dall'estero;

- concentra la sua attenzione sul bambino e sulle sue esigenze; prime fra tutte, quella di non essere strappato dalla sua terra senza reali mo­tivi, quindi ad avere una famiglia adottiva che dia sufficienti garanzie per il suo futuro.

 

Alcune considerazioni conclusive

Che cosa concludere? E quali indicazioni ope­rative trarre dalle numerose osservazioni sinora formulate?

Crediamo, innanzitutto, che per gli operatori dell'informazione esista il dovere fondamentale di aggiornarsi. Non sono ammissibili, ad esem­pio, confusioni fra istituti giuridici diversi pre­disposti dal legislatore per garantire il diritto di un minore alla famiglia.

Ora, la nuova normativa ha semplificato mol­to le cose: è stato fortemente limitato il campo di intervento dell'adozione ordinaria (che cambia anche nome in «adozione in casi particolari»); è stata soppressa l'affiliazione. Tuttavia, occorre prestare una adeguata attenzione nell'illustrare gli interventi previsti dalla legge.

Inoltre, vi è l'esigenza di una informazione che sia rispettosa delle situazioni personali e fami­liari. Rispetto che significa anche, preoccuparsi di non dare una versione unilaterale dei fatti; ma ascoltare chi ha avuto modo di seguire il minore e di vivere certe situazioni. E, soprat­tutto, analizzare l'atteggiamento di tutte le parti in causa, non solo di alcune. Ad esempio, quan­do si parla di un affidamento non riuscito, non è corretto attribuire alla sola famiglia adottiva la responsabilità del «fallimento»; occorrereb­be anche andare a vedere come gli operatori hanno fatto la selezione della famiglia stessa, quali iniziative siano state avviate per una seria formazione, quali servizi siano stati messi a di­sposizione per sostenere l'affido, ecc.

Infine, occorre interrogarsi su quale rapporto possa e debba esistere fra il mondo della infor­mazione, operatori dei servizi, amministratori, magistrati minorili. Come esce l'informazione dagli enti e dai servizi preposti agli interventi di assistenza all'infanzia in situazione di abban­dono?

Fra i tanti problemi che è possibile prendere in esame, ci sembra il caso di sottolineare:

1) la necessità che gli organi di informazione continuino a ricordare gli oltre 80 mila minori italiani che ancora vivono in istituti assistenziali (dati ISTAT 1981, ultimi disponibili), ribadendo i rischi gravi del ricorso all'istituzionalizzazione e le sue conseguenze negative sullo sviluppo del minore;

2) l'opportunità di sollecitare Regioni ed enti locali ad attivare i servizi per sostenere la fa­miglia di origine, quando questa è adeguata (legge 184/1983, art. 1), e più in generale gli in­terventi a tutela del diritto dei minori alla fami­glia e per fa prevenzione del bisogno assisten­ziale

3) l'importanza di una idonea informazione su tali interventi, senza ripetere alcuni errori del passato. Per molti anni, ad esempio, gli arti­coli sulla adozione hanno spesso considerato (e pubblicizzato) questa come «la soluzione» per tutti i minori ricoverati negli istituti, senza affrontare le cause sociali, economiche, culturali che hanno continuato a determinare la loro isti­tuzionalizzazione. Oggi, vi è il rischio di una mi­tizzazione dell'affidamento familiare, anche attra­verso la stampa non specializzata. È forse il caso, invece, di non enfatizzare questo istituto, certamente molto importante per dare un con­creto aiuto a molti minori, ma che non può - co­me precisa autorevolmente ancora A.C. Moro - essere la chiave di volta di tutti i problemi della infanzia e della famiglia in difficoltà;

4) l'importanza di sorreggere anche con i mez­zi di informazione il volontariato; non solo quel­lo delle associazioni, ma anche quello dei singoli e delle famiglie che operano attivamente contro l'emarginazione (pensiamo ad esempio, al ruolo dei gruppi di famiglie affidatarie, là dove esisto­no), sostenere non solo il volontariato che ge­stisce servizi, ma anche quello che intraprende prevalentemente o esclusivamente iniziative di promozione e denuncia, oggi ancora troppo poco aiutato dal punto di vista culturale;

5) la necessità di una informazione «mirata», tempestiva e precisa in partenza; cioè degli enti, dei servizi, degli operatori. A volte, articoli far­raginosi e confusi dipendono anche dal fatto che, spesso, l'emittente (gli operatori sociali, in par­ticolare) non ha saputo fissare l'attenzione del destinatario (il giornalista) su un problema spe­cifico, su una singola iniziativa;

6) infine, l'esigenza di ribadire, anche attra­verso i mass-media, l'importanza di una corretta informazione al bambino adottato sulla sua situa­zione di figlio adottivo. Ancora oggi, purtroppo, molte famiglie non informano i minori sulla loro adozione, con risultati preoccupanti.

 

 

 

(1) M. TORTELLO, F. SANTANERA, «Il ruolo del volon­tariato», in AA.VV., Adozione e affidamento: proposte per l'attuazione della legge, Rosenberg & Sellier, Torino, 1984, pp. 185-194.

(2) A.C. MORO, I diritti inattuati del minore, La Scuola, Brescia, 1984, pp. 188-189.

(3) R. FARNÈ, «I bambini ci guardano», in Bambino incompiuto, Unicopli, Milano, n. 2/1984, pp. 46-47. Cfr., anche, E. MANNA, «La televisione consapevole», ibidem, pp. 61 e segg. e G. DELFINI, «La pubblicità e il diritto del minore alla immagine», ibidem, pp. 76 e segg.

(4) A. CHIANTERI, C. FERRARESI, « I bimbamboli: dell'uso del bambino nella pubblicità», in Infanzia, n. 46, 1981.

(5) A.A.I., L'adozione e l'affidamento: problemi e pro­spettive, Roma, 1977, pp. 21 e segg.; Ministero dell'Inter­no, Adozione affidamento familiare comunità alloggio: le­gislazione esperienze dibattiti, Roma, 1980, pp. 175 e segg.; ibidem, Roma, 1982, pp. 259 e segg.; ibidem, Roma, in corso di pubblicazione.

(6) AA.VV., Adozione e affidamento: proposte per l'at­tuazione della legge, cit.

(7) A questo proposito, è bene ricordare - fra l'al­tro - che l'art. 425 del codice di procedura penale e l'art. 16 del rdl 20 luglio 1934, n. 1404, vietano di dare pubblicità ad udienze penali relative a minorenni; inoltre, l'art. 684 del codice penale, l'art. 164 del codice di pro­cedura penale e l'art. 16 del rdl 1404/1934, vietano di dare notizia di procedimenti penali a carico di minorenni. La legittimità del regime di riservatezza riguardante i proce­dimenti penali nei confronti dei minori, è stata ribadita dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 16 e n. 17 del 10 febbraio 1981 (cfr. G. LA GRECA, «Il minore nella giurisprudenza costituzionale», in Bambino incompiuto, Milano, 1, 1984).

 

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