Prospettive assistenziali, n. 71, luglio - settembre 1985

 

 

RIFLESSIONI SULL'INSERIMENTO NEI RUOLI DEL COMUNE DI TORINO DI PERSONE CON HANDICAP

GIANNI CALLEGARI

 

 

Molte esperienze sono rimaste, spesso, sco­nosciute perché non si è fatta opera di raccolta ed analisi dei dati disponibili e non si sono divul­gati i risultati dello sforzo congiunto di tanti operatori.

Questa riflessione tende a colmare il vuoto di informazione in merito all'iniziativa di inseri­mento lavorativo di persone con handicap che è stata condotta dal Comune di Torino negli an­ni passati.

Eravamo nel 1979 ed, a più livelli, negli Enti locali si prospettavano interventi a favore di cittadini con handicap.

In Regione era in funzione il piano di promo­zione degli inserimenti nella formazione pro­fessionale e nel lavoro attuato, in via sperimen­tale, con il contributo del Fondo sociale europeo.

L'Amministrazione provinciale iniziava il siste­matico decentramento delle strutture diurne di accoglimento degli handicappati che si caratte­rizzava:

- in città con il ridimensionamento dei labo­ratori protetti e la conseguente apertura di più agili strutture - i centri socioterapeutici - dislocate nei diversi quartieri;

- in provincia con l'apertura progressiva di una serie di centri socioterapeutici in aree che, precedentemente, per avere servizio dovevano fare capo alla città di Torino causando di con­seguenza un negativo effetto di polo.

L'Amministrazione comunale, oltre al tradizio­nale impegno nell'ambito dei servizi di supporto alla scuola dell'obbligo, si proponeva di attivare una serie di risorse a favore di persone in diffi­coltà di età superiore ai quattordici anni:

- apertura di centri socioterapeutici diurni riservati a insufficienti mentali o pluriminorati ultraquindicenni che, per la gravità della loro si­tuazione, non possono aspirare alla frequenza scolastica o ad una collocazione lavorativa;

- promozione di inserimenti nei corsi di for­mazione professionale;

- promozione di tirocini ed inserimenti la­vorativi;

- aiuti economici integrativi, assistenza do­miciliare, affidamenti educativi, inserimenti in comunità alloggio;

- servizio di trasporto, mediante taxi, a fa­vore di persone fisicamente impedite. Potenzialmente si trattava di una situazione abbastanza favorevole a cui si era giunti sia per la stretta collaborazione degli enti interessati, sia per l'azione propositiva e di stimolo condotta dalle Associazioni rappresentative delle persone con handicap ed in particolare dall'ANFFAS e dal CSA.

Però, nonostante le iniziative di coinvolgimen­to degli imprenditori, delle organizzazioni sin­dacali, dell'ufficio del lavoro e della massima occupazione, la maggiore difficoltà rimaneva ot­tenere inserimenti positivi e duraturi nel mondo del lavoro.

Di conseguenza si decise che, per avere cre­dibilità gli enti locali, per primi, dovessero dimostrare la capacità di integrare nei propri ruo­li organici queste persone.

Così l'Amministrazione provinciale dispone­va l'assunzione di 18 persone in qualità di ad­detti ai servizi di pulizia ed il Comune delibera­va, nel marzo del 1979, la riserva di 40 posti nei ruoli organici delle diverse qualifiche salariali.

 

CARATTERISTICHE DELLA DELIBERAZIONE

 

Il provvedimento era significativo perché di­sponeva che fossero coperti i posti vacanti e non la creazione di posti di lavoro artificiosi e protetti.

Inoltre prevedeva che i candidati provenisse­ro da strutture socio-assistenziali o che, comun­que, fossero casi segnalati da enti o servizi ope­ranti nel settore con l'evidente intendimento di far uscire dal circuito assistenziale persone che avevano potenzialità da esprimere nel lavoro.

Un'apposita commissione era stata prevista per selezionare i candidati secondo i criteri: «ac­certamenti, mediante prova pratica, dell'idonei­tà degli aspiranti all'espletamento delle funzio­ni loro attribuibili» e «accertamento delle con­dizioni generali degli aspiranti e delle condizio­ni della famiglia di appartenenza».

La licenza elementare era il titolo di studio richiesto per poter partecipare alla prova.

 

LA SELEZIONE

 

Ricordo che l'uscita del bando provocò tra gli interessati, le loro famiglie e gli operatori, delle grandi aspettative.

Si trattava di una occasione importante e molti mancavano dei requisiti richiesti dal bando:

- alcuni non avevano conseguito la licenza elementare e gli operatori si attivarono per fare sostenere a tutti gli aspiranti gli accertamenti di cultura nelle scuole proposte dal Provvedi­torato agli studi;

- alcuni possedevano una attestazione di invalidità al 100%.

Ciò nonostante ritenevano di essere idonei al lavoro e fecero richiesta di revisione dell'invali­dità all'apposita commissione sanitaria.

Alla fine i candidati ammessi furono 200 e la prova selettiva consisté, come già accennato, in due tipi di accertamento.

Fu predisposto un questionario per rilevare quali fossero le condizioni del candidato e della sua famiglia.

In particolare si tendeva a verificare la com­posizione del nucleo famigliare, la relazione tra il nucleo famigliare ed il reddito, la situazione abitativa, l'eventuale disponibilità di pensione o di sussidi, l'attuale collocazione residenziale di­stinguendo se il candidato abitava in famiglia, in istituto, in comunità alloggio, e, ancora, l'at­tuale collocazione diurna distinguendo se e da quanto tempo frequentava centri per handicap­pati o istituti oppure se era a casa in attesa di collocazione.

Inoltre si tendeva ad accertare, per i casi in istituto, se l'eventualità di un lavoro stabile avrebbe potuto garantire il rientra in famiglia, o comunque una soluzione autonoma.

Infine erano previste documentazioni su even­tuali esperienze lavorative, sul livello di autono­mia per accedere al posto di lavoro, e sulla eventuale esigenza di ausili.

Oltre alla raccolta di queste informazioni, per ogni candidato si era prevista una prova pra­tica che consisteva in un colloquio su temi di ordine generale tendente a far emergere la ca­pacità del candidato a relazionare con gli altri ed a comprendere degli ordini semplici e com­plessi.

Gli ordini potevano consistere nella richiesta d'eseguire:

- una o più copie di un documento;

- imbustare;

- intercalare dei fogli;

- contare;

- pinzare;

- portare o ritirare un documento da un mem­bro della commissione;

- far pulizia in un ufficio;

- mettere in ordine una scrivania.

I candidati risultati idonei dopo queste prove furono 185 e tra questi, con due provvedimenti successivi, si deliberò di assumere i primi qua­ranta candidati in graduatoria.

 

LA RICERCA DEI POSTI DI LAVORO

 

Ci rendemmo immediatamente conto che l'a­vere concluso la prova selettiva era appena l'ini­zio di un lungo lavoro di ricerca e di mediazio­ne per trovare e «conquistare» le collocazioni più idonee.

In quel frangente si decise, in via preliminare, di prendere in esame la situazione di ogni sin­golo vincitore e si organizzò un incontro con gli interessati e con i loro famigliari per appurare:

- quartiere di residenza;

- ultima scuola, centro, istituzione frequen­tata;

- operatore o educatore a conoscenza del caso;

- potenzialità collaborativa della famiglia;

- desideri e aspettative nei confronti del luo­go di lavoro;

- specifiche preferenze;

- capacità di muoversi autonomamente nel­la città;

- uso dei mezzi pubblici;

- eventuali difficoltà oggettive tali da richie­dere la predisposizione di ausili o di interventi per l'eliminazione di barriere architettoniche;

- difficoltà a svolgere eventuali lavori pe­santi.

Avevamo ipotizzato la collocazione in alcune mansioni tipo nell'ambito della qualifica di ap­partenenza:

- fattorino;

- usciere;

- bidello;

- addetto alle pulizie;

- addetto archivio/fotocopie;

- addetto magazzino;

- addetto tipografia/riprografia;

- addetto mensa;

- addetto lavanderia/stireria;

ed un certo numero di alternative tra tutti gli uffici comunali sia in sede centrale sia nei ser­vizi decentrati.

L'Assessorato al personale, con una circolare informativa, aveva dato l'autorizzazione a muo­verci con una elevata autonomia nel contattare i responsabili delle diverse aree dipartimentali ed uffici dell'Amministrazione e ciò si rivelò di particolare importanza in sede di valutazione delle caratteristiche logistiche e personali pro­prie di ogni ambiente preso in esame.

Dall'incontro con molti responsabili e dalla visita sistematica di numerose situazioni di la­voro fu ben presto chiaro che il successo della nostra iniziativa poteva e doveva fondarsi sulla collaborazione.

La prospettiva dell'inserimento poteva esse­re un obiettivo realistico solo dove era previsto il lavoro integrato tra utenti, operatori, servizi centrali e decentrati.

Ricordando che parliamo di inserimenti lavorativi proposti in un ente pubblico, si danno per esauriti a monte i rapporti con le organizzazioni sindacali e le associazioni.

Ma esistono altre condizioni che, a priori, si devono prevedere per puntare al migliore inse­rimento possibile.

• Un servizio centrale che coordini gli inseri­menti in stretta collaborazione con gli uffici del personale; che abbia una buona conoscenza com­plessiva e specifica delle caratteristiche dei ser­vizi in cui si propongono gli inserimenti; che sia in grado di svolgere una indagine conosciti­va preliminare sulle effettive possibilità di inse­rimento in modo da eliminare dispersioni di ener­gie e di disporre di un quadro informativo com­plessivo; che abbia la competenza per fornire consulenza agli operatori coinvolti nel processo di integrazione; che sia punto di riferimento preciso per i servizi disponibili agli inserimenti quando si verifichino delle difficoltà; che sia punto di riferimento preciso per gli interessati e per le loro famiglie.

• Un contingente di operatori educativi che conoscano e seguano da tempo la persona da inserire; che sappiano aiutare l'handicappato ad entrare in relazione con il nuovo mondo senza soffocare l'espressione della sua personalità ma nel contempo cercando di prevenire l'impatto con situazioni negative o abbassando le tensio­ni là dove si riscontra una minore disponibilità all'accettazione.

L'operatore educativo è figura centrale e de­licata di questa operazione poiché deve essere in grado di essere presente quando occorre, ma essere sensibile ai mutamenti in modo da sa­persi eclissare appena la persona handicappata può andare avanti da sola.

L'educatore deve essere attento ad evitare di essere considerato un indispensabile appog­gio della persona handicappata: sia da parte del posto di lavoro sia dal l'handicappato stesso.

• Ci vuole poi un rapporto collaborativo con l'interessato e con la sua famiglia perché l'in­serimento lavorativo incide significativamente sulla rete di relazioni costruite intorno alla e con la persona handicappata.

Si assiste ad un mutamento di ruolo dei vari componenti del nucleo famigliare; l'essere pro­duttore di reddito fa crescere in autonomia; la minore dipendenza fa nascere nuove esigenze e fa esprimere in modo diverso le vecchie; questo sostanziale desiderio di libertà, a volte, è visto con ansia dai genitori.

• Un rapporto di collaborazione con il servizio dove avviene l'inserimento perché una volta in­dividuato il posto di lavoro si è appena alla pri­ma tappa.

Non ci si può permettere di essere latitanti quando il servizio chiede di essere aiutato a favorire l'inserimento.

L'esperienza ci ha insegnato che è meglio pro­cedere secondo una linea di condotta che pre­veda una serie di passi consequenziali.

Noi abbiamo seguito per ogni inserimento la procedura prevista nella lista di controllo che riportiamo in sintesi.

 

ASSUNZIONI LISTA DI CONTROLLO SINTETICA

 

1. Prendere accordi con la Direzione e visio­nare il potenziale posto di lavoro.

2. Comunicare con l'interessato, con la fami­glia e con l'eventuale operatore di riferimento al fine di confermare la validità, almeno a prio­ri, della collocazione proposta.

3. Definire con l'operatore la strategia da adot­tare.

4. Incontro sul posto di lavoro per definire:

- esatta mansione, collocazione fisica, ac­cessi, percorsi;

- orario di lavoro;

- modalità di accesso, mezzi di trasporto, eventuali necessità di accompagnamento;

- mensa;

- bollatrice;

- abbigliamento;

- strumentazione o macchinari da usare;

- conoscenza ambiente e colleghi.

5. Individuazione collega di lavoro che fa da riferimento interno.

6. Definizione, caso per caso, dell'eventuale tempo e delle modalità di supporto della persona handicappata, da parte di un operatore educati­vo, nel primo periodo di inserimento.

7. Eventuale collaborazione della famiglia.

8. Presentazione del nuovo assunto, definizio­ne della data di presa servizio ed in parallelo conclusione delle pratiche amministrative con gli uffici del personale.

Il meccanismo descritto aveva lo scopo di puntare al migliore inserimento possibile ed alla riduzione massima delle possibili «crisi di ri­getto».

Si deve sottolineare l'estrema importanza di considerare ogni caso come un progetto a sé. L'educatore ha la fondamentale responsabilità di mediazione ed è, a nostro parere, nell'abilità e precisione con cui vengono presi gli accordi iniziali che si prefigurano le possibilità della buona riuscita dell'inserimento.

L'esperienza ci ha fornito preziosi insegnamenti che richiamiamo alla memoria e che devono essere spunto di azione in occasione di nuove possibilità di lavoro.

Una amministrazione pubblica come quella di Torino, che conta più di 10.000 dipendenti e che ha una distribuzione capillare di servizi ed uffici in tutta la città, deve essere considerata, ai fini dell'inserimento, una aggregazione di parti diso­mogenee.

Si intende sostenere che ogni ambiente o ser­vizio deve essere considerato come una unità che fatti salvi i riferimenti normativi generali, si modella secondo un insieme di regole e di tipi di comportamento che sono determinati dalla collocazione territoriale, dalla strutturazione fi­sica, dalla dotazione di arredi e macchinari, dalla organizzazione del lavoro propria delle persone quantitativamente e qualitativamente presenti nel servizio.

L'operatore, che concorda l'inserimento, de­ve entrare nel dettaglio della collocazione fisica e delle esatte prestazioni che si richiederanno al nuovo assunto perché una carente precisazio­ne può consentire ambiguità o inopportune atte­se con conseguenti illusioni o cadute di moti­vazione.

La precisazione serve anche a comprendere se ed in quale misura sono necessari ausili ed interventi addestrativi per consentire l'ap­prendimento e l'ottimale svolgimento della man­sione.

A questo proposito si ritiene più positivo che l'eventuale addestramento al lavoro venga ef­fettuato dal collega di lavoro che si è individua­to come riferimento piuttosto che puntare sull'in­tervento dell'educatore.

In quest'ultimo caso infatti si creano i già ac­cennati processi di dipendenza che allungano i tempi di integrazione ed a volte impediscono il corretto rapporto tra la persona con handicap e i colleghi.

E poiché nelle fasi iniziali di inserimento è facile che i colleghi instaurino un rapporto ba­sato in particolare su atteggiamenti protettivi, la permanenza dell'educatore può avere la con­seguenza di rendere più difficile o impossibile la trasformazione dalla «presa in carico» ad un rapporto paritetico.

L'orario di lavoro è una carta importante da considerare perché consente, usato con flessibi­lità, il graduale inserimento in situazioni dove esistono oggettive difficoltà personali o am­bientali.

L'educatore deve rivolgere una attenzione spe­cifica al problema della distribuzione degli spa­zi interni, del loro uso, dei flussi di percorrenza, della più o meno elevata circolazione di perso­ne esterne, dei tempi e degli spazi mensa, di accertare se esistono dei tempi di non lavoro per valutare come è possibile organizzarli.

Spesso abbiamo rilevato come ambienti aper­ti ai pubblico siano inadatti a persone che pre­sentano instabilità o esprimono elevato bisogno di protezione.

La preparazione dell'inserimento e la sua con­duzione impongono che sia valutato con l'inte­ressato il tempo e la modalità di accesso al posto di lavoro, provando, se necessario, insie­me a fare i percorsi di andata e ritorno.

Occorre accertare la capacità di autogestione, verificare la capacità di uso della bollatrice là dove si usa; predisporre i contatti e stabilire le modalità per consentire la regolare fruizione di mensa, trasporti, ferie, permessi, e così via.

Però non si sottolineerà mai abbastanza che i processi di emarginazione non sono sconfitti dalla semplice affermazione della volontà di ac­cettare una persona con handicap.

Abbiamo potuto constatare che, a fronte di una iniziale accettazione, esistono svariati modi per operare nei fatti tentativi di allontanamento: a volte anche senza una precisa consapevolezza!

Intanto la persona con handicap è spesso in condizioni di debolezza nel gruppo dei pari e se è naturale che riceva ordini dai superiori, è meno logico che prenda ordini da colleghi che sono inquadrati al medesimo livello; a volte ciò è causa di difficoltà di adattamento.

È curioso poi constatare che se succede qual­cosa in un ambiente ove lavora un handicappa­to, il primo pensiero è sovente quello di colpe­volizzarlo.

Ancora, stranamente, le eventuali effettive mancanze, imprecisioni, errori assumono un va­lore negativo molto più accentuato qualora sia­no commessi da un lavoratore handicappato.

Queste considerazioni ci hanno convinti della necessità di fare, in primo luogo, interventi sui colleghi ed in particolare su quello che sostiene il ruolo di figura di riferimento.

È a queste persone con le quali si sono con­cordate le collaborazioni e con cui si sono stabi­lite delle naturali alleanze che va, incondiziona­to, il nostro ringraziamento per i risultati posi­tivi ottenuti.

Sì, perché è grazie a loro che sono stati pos­sibili inserimenti iniziati con difficoltà, che ave­vano bisogno di sostegno e di qualche prova di fiducia e di appello per poter riuscire.

Infine, in alcuni casi, l'educatore ha operato anche cercando di incidere sull'atteggiamento e sul modo di presentarsi e di vestire del nuovo assunto: curando la pulizia, evitando alcune stra­vaganze nel vestire, consigliando correzioni in presenza di atteggiamenti o comportamenti ver­bali inopportuni.

Gli inserimenti effettuati hanno contato sul supporto di persone diverse a seconda dei casi. Per la maggior parte dei casi, l'appoggio è stato garantito dagli educatori, alcuni casi sono stati seguiti direttamente dagli uffici centrali degli Assessorati al lavoro e all'assistenza, qual­che inserimento ha contato su assistenti socia­li, su personale di équipes psichiatriche, inter­venti occasionali sono stati garantiti in collabo­razione con i famigliari.

Certo è che se non si vuole connotare l'inse­rimento come assistenziale, occorre prevedere un intervento di supporto di durata limitata nel tempo: un tempo più o meno lunga ma determi­nato a priori, soggetto a verifica.

È di grande utilità stabilire un progetto di intervento a tempi decrescenti ed una serie di momenti di controllo durante il percorso che consentano di apportare gli aggiustamenti op­portuni.

L'obiettivo era ed è quello di riuscire, nel più breve tempo possibile, a garantire una integra­zione nel lavoro che non richieda supporti per­manenti di personale.

In merito alla durata dell'appoggio, ricordato che vale sempre la considerazione del caso per caso, si è riscontrato che per più del 50% dei casi il supporto si è esaurito nel giro di pochi giorni, altri hanno richiesto un appoggio per qualche mese, alcuni necessitano ancora di qual­che saltuario intervento.

Allorché l'inserimento dimostrava di poter pro­cedere positivamente o comunque fosse ad uno stato significativo, l'educatore raccoglieva in un questionario appositamente predisposto la me­moria dell'esperienza condotta.

A titolo esemplificativo si riproduce copia di un questionario a suo tempo compilato da una educatrice, Aurelia Ainardi, a conclusione della prima fase di inserimento di una ragazza in qua­lità di bidella in una scuola elementare della città.

 

CITTÀ DI TORINO COORDINAMENTO INTERVENTI PER HANDICAPPATI ADULTI

 

Cognome Nome xxx xxx Sesso F

Data x/xx/xx Luogo nascita xxxx (xx)

Città xxxxx Via xxxx n. x Q. x

Composizione del nucleo famigliare al momento della assunzione Padre - Madre - Sorella

Tipo e grado di invalidità insufficienza mentale di grado medio grave

Stato di salute attuale xxxxx xx xxxx

Livello di scolarità e di formazione professionale Licenza elementare conseguita nel 1978 con i corsi di alfabetizzazione

Esperienze assistenziali (diurne e/o residenzia­li; dove e per quanto tempo) Dal 1972 e fino all'inserimento lavorativo nel Centro di lavoro pro­tetto di xxxxxxxxxxx

Tipo di concorso eventualmente effettuato e/o domande di lavoro presentate Ha partecipato ad un concorso dell'Amministrazione provinciale senza classificarsi

Attuale servizio di appartenenza

Sede in via xxxxxxxxx Q. xx

Denominazione xxxxxxxxxxx

Qualifica addetta servizi generali

Livello contrattuale xxxxxxxxxx

 

Mansione (denominazione e descrizione det­tagliata del lavoro indicando: orari; significato; atteggiamento verso il lavoro; organizzazione delle diverse operazioni; compiti esecutivi; aspetti di ripetitività; compiti direttivi; ordine del divario tra il pensato e il realizzato, tra l'or­dinario e l'effettivamente compreso ed esegui­to; sforzo fisico; controindicazioni; ambiente fi­sico e relativi fattori di rischio; uso di strumenti o macchinari; sono state o sono necessarie at­trezzature o modifiche speciali; barriere archi­tettoniche (ci sono? sono state effettuate modi­fiche?); tempi morti (ci sono? come sono orga­nizzati?); motivazione; assenteismo; cosa lo gra­tifica; cosa lo frustra; c'è una relazione estensi­bile tra tipo di handicap e mansione svolta?)

Con il gruppo di operatori che lavora nella scuola, si è inizialmente pensato di provare qua­li sono le reali capacità lavorative della ragazza, in base alle richieste ed alle necessità dell'am­biente (scuola elementare).

Hanno iniziato provando le sue capacità fisico­pratiche (pulizia locali - servizi - scale) ed hanno notato che stenta parecchio, dando risultati ne­gativi, causa la sua incapacità a localizzarsi bene nello spazio in contemporanea all'attività di pu­lizia: si sposta tra i banchi o in corridoio ma coordina insufficientemente i movimenti per cui metà ambiente rimane da pulire ed il resto è fatto male. Si è provato a farle fare la pulizia delle scale ma la si è subito tolta perché appa­riva insicura sui gradini con scopa o spazzolone in mano. Si è optato quindi per quella parte di servizi che sono meno impegnativi fisicamente ed in queste mansioni riesce meglio. Fa servizio di portineria (apre e chiude la porta), distribui­sce /a colazione nelle classi, ritira le presenze degli alunni, fa firmare le circolari, fa presenza nelle classi ove è momentaneamente assente l'insegnante, aiuta in refettorio, è disponibile, per un periodo di tempo definito, davanti alla direzione. Tutti incarichi che svolge con volontà ed impegno. L'orario di lavoro si articola sulle 6 ore giornaliere, dalle ore 8 alle 14, dal lunedì al sabato compresi.

Alle 8,15 assiste all'entrata degli alunni, alle 8,45 passa nelle classi per raccogliere, le pre­senze degli alunni, successivamente aiuta nella distribuzione della colazione (ha appreso bene la localizzazione spaziale delle aule e il nome degli insegnanti). Quindi, se ci sono delle circo­lari da far firmare, passa dagli insegnanti, di­videndosi il compito con una collega.

Alle 10,30 scende in refettorio e aiuta ad ap­parecchiare le tavole: mette le posate. Verso le 11 ha la pausa mensa, poi sale al piano della direzione e resta a disposizione della direzione e della segreteria fin, verso la mezza.

Certi giorni, a turno, scende poi in refettorio per aiutare a sparecchiare e pulire le tavole fino alle 14.

Certi incarichi che si ripetono tutti i giorni (distribuzione latte, presenze alunni) li svolge ormai di sua iniziativa, mentre le attività impre­viste (circolari, ecc.) devono esserle illustrate e spiegate dalla collega che fa di riferimento. Ha bisogno di indicazioni chiare, di ordini precisi e semplici (portare in giro tre circolari assieme è già per lei motivo di nervosismo), perché possa attuarli con tranquillità, senza confusione ed agi­tazione maggiore. Le mansioni che svolge non presentano possibilità di sforzi da rilevare o di rischio.

Non sussistono problemi per le barriere ar­chitettoniche perché la ragazza non presenta inabilità fisiche. Causa il suo attaccamento al lavoro o forse per la paura di perderlo è sem­pre stata presente, tranne sette giorni per in­fluenza presi quando non stava proprio più in piedi. Era ancora nel periodo di prova! Quando resta a disposizione al piano della direzione si organizza i tempi morti leggendo.

La gratificano i complimenti per il lavoro svol­to bene, mentre la agitano e la demoralizzano le eventuali incomprensioni con le colleghe, rife­rite allo svolgimento incompleto o inesatto dei suoi lavori.

 

Trasferimenti (dopo quanto tempo, da... a..., motivazioni, interni od esterni, se è cambiata la mansione descrivere come sopra la mansione precedente).

Non ha presentato problemi di comportamen­to o difficoltà tali nello svolgimento delle man­sioni che portassero a un trasferimento di sede. All'interno, dopo essere stata provata in più man­sioni, è stata per il momento esonerata dalla esecuzione delle pulizie per il risultato insuffi­ciente.

 

Grado di autonomia (personale, mezzi pubbli­ci, circolazione nella città, decisionale rispetto al lavoro, all'interno ha bisogno di punti di rife­rimento fisici oppure di figure di riferimento? riscuote da solo il mandato di pagamento? pau­sa mensa: come? bollatura cartolina)

La ragazza è autonoma nel gestirsi l'igiene e l'abbigliamento personale. Dopo alcuni giorni di aiuto da parte del padre nell'identificare il per­corso da casa al lavoro e viceversa, è stata in grado di spostarsi da sola.

Prende il pullman da xxxxxx, scende al capo­linea e si fa a piedi il tratto di strada fino alla scuola; idem per il ritorno a casa.

Sul lavoro ha bisogno, al momento, di una figu­ra di riferimento da cui dipendere nell'eseguire i vari incarichi.

Firma da sola al mattino ed al pomeriggio il foglio delle presenze. Non riscuote da sola il mandato di pagamento che è accreditato sul conto corrente di famiglia.

La pausa mensa, alle ore 11, la effettua, come tutto il personale che non usufruisce dello stac­co di mezz'ora, nei locali della cucina, mangian­do quanto giornalmente la madre le prepara.

 

L'interessato come valuta il proprio ambiente di lavoro ed i propri colleghi e superiori?

Entusiasta e contenta; per lei: «Va tutto be­ne!». Si trova a lavorare con colleghe che la capiscono e le sono simpatiche, vive in un am­biente allegro, in mezzo ai bimbi. Parla bene di tutto e di tutti.

 

L'interessato che giudizio dà di sé e del pro­prio lavoro. L'handicap gli pesa oppure appare superato: parzialmente, totalmente. Che cosa è cambiato in famiglia da quando lavora?

L'innata insicurezza la porta ad essere sempre agitata e titubante di fronte ad ogni nuova azio­ne che deve svolgere. Dice: «Ho sempre paura di sbagliare, ma ho voglia di imparare e ce la metto tutta per non fare errori. Devo stare at­tenta e tranquilla, perché il lavoro mi piace e non devo farmi prendere dal nervosismo».

Non dimostra di sentirsi «diversa» dalle col­leghe e di conseguenza non manifesta atteg­giamenti di autocommiserazione, rassegnazione, ecc.

 

L'interessato ha comportamenti o atteggia­menti che si ritiene significativo segnalare?

Ha buona volontà ed impegno ma anche dei limiti di natura emotiva e fisica nello svolgere le mansioni a lei destinate. Il buon inserimento tra le colleghe ha attenuato l'impatto con la real­tà lavorativa, per cui la ragazza, al momento, non ha manifestato comportamenti da segnalare.

 

In famiglia (sono mutati i comportamenti? Il rapporto con gli altri componenti del nucleo fa­migliare? Che valutazione danno i famigliari dell'esperienza? Consigli - Critiche)

La famiglia sperava da tempo di inserire la ra­gazza che, nel Centro assistenziale diurno, non trovava più risposte alle sue esigenze, per cui, a casa, era sempre triste, musona, irritata. La realizzazione di tale aspettativa ha gratificato tutti. I famigliari sostengono che la ragazza è molto cambiata, è più aperta, chiacchierona, più partecipe della vita in comune, in quanto si sen­te di contribuire al bilancio famigliare. Ritengono più che soddisfacente l'esperienza vissuta.

 

Dirigente (valutazione dell'esperienza; tipo di collaborazione ottenuta; consigli; critiche; pro­poste; ecc.)

L'economa ritiene positiva l'esperienza dell'in­serimento che non ha dato problemi nel collet­tivo del personale.

Reputa buona la modalità attuata per l'inseri­mento, discrete le capacità della ragazza, so­prattutto quelle riferite ai rapporti interperso­nali e allo svolgimento di mansioni semplici, buono l'apporto dato dalle colleghe per inserir­la nel gruppo. Nessuna critica.

 

Colleghi (valutazione dell'esperienza; collabo­razione ottenuta e data; consigli; proposte; cri­tiche; ecc.)

Ritengono valido l'inserimento pur evidenzian­do i limiti di autonomia e di responsabilizzazione che ha la ragazza.

Definiscono «probabilmente insuperabile» il limite di autogestione raggiunto anche se si im­pegnano a verificare la possibilità che riesca in mansioni (pulizia aule - servizi) che finora ha dimostrato di svolgere con molta insicurezza e imprecisione.

Riconoscono la sua buona volontà e l'impegno, ma sottolineano anche «la sua impossibilità a inquadrarsi al loro stesso livello», dato che ha sempre bisogno di figure di riferimento e di appoggio, nell'eseguire le sue mansioni.

 

Nome Cognome della persona (operatore, edu­catore, ecc.) che ha partecipato all'esperienza di inserimento

Aurelia Ainardi

Descrivere modalità usate. Se la sua presen­za è stata utile oppure se era superflua: in que­st'ultimo caso, a quale condizione poteva essere evitato il supporto dell'operatore? Quale e per quanto tempo è stato l'impegno dedicato? Conti­nua ancora? Con che cadenza? Che tipo di in­tervento? Usufruiva o usufruisce ancora di inter­venti tecnici di supporto? Nell'inserimento han­no giocato un ruolo fondamentale o utile altre persone? Quali? Se no, sarebbe stato necessario ma non è stato possibile coinvolgere altri? Va­lutazione globale dell'esperienza; Critiche; Con­sigli; Rilievi

Prima dell'inserimento vero e proprio si è at­tuato un piano di sensibilizzazione a livello di ambiente.

In riunioni collettive con le future colleghe, con la direttrice didattica e con l'economa, si è affrontato il discorso generale dell'inserimento lavorativo delle persone portatrici di handicap, sensibilizzando e portando alla disponibilità di un rapporto normale tutto il gruppo.

C'è da segnalare l'impegno di tutti nel favori­re l'inserimento, che di fatto si è avviato di­scretamente.

Quando la ragazza ha iniziato a lavorare, ha trovato l'ambiente disponibile a recepire le sue necessità. La mia presenza non è stata più deter­minante, serviva, a cadenza settimanale, come momento di verifica con il gruppo, per eventuali consigli su aspetti del comportamento della ra­gazza; a lei, ormai inserita, serviva come mo­mento di incontro con il suo vecchio mondo di esperienze.

Ho intervallato poi, a distanza mensile, questi momenti di incontro, impostando inoltre inter­venti telefonici con l'economa, responsabile del personale, per la verifica di eventuali problemi.

Positivo e discreto, per ora, il risultato otte­nuto.

data compilazione: 19.6.1981

 

QUALCHE DATO

 

Complessivamente, nell'Amministrazione co­munale di Torino, si sono effettuati 39 inseri­menti lavorativi di cui 30 nell'anno 1980 e gli altri nove tra la fine del 1981 ed il 1982.

Su 39 casi 25 sono maschi e 14 sono femmine.

Le età si distribuiscono secondo la tabella che segue:

Anno di               numero                  Anno di                    numero

nascita                casi                       nascita                    casi

1944                   1                           1954                        2

1945                   1                           1955                        6

1946                   2                           1956                        1

1949                   2                           1957                        4

1950                   2                           1958                        2

1951                   2                           1959                        3

1952                   3                           1960                        4

1953                   2                           1961                        2

All'atto della domanda di ammissione, tutti i candidati dovevano disporre della licenza ele­mentare quale titolo di studio minimo.

Per la maggior parte si tratta di licenze acqui­site frequentando corsi di alfabetizzazione.

Sul totale ben 25 persone avevano già ottenu­to il riconoscimento dell'invalidità civile; di questi 20 casi superavano la percentuale del 67 per cento con una punta massima del 100% di­chiarato in cinque casi.

Analizzando le dichiarazioni mediche o le cer­tificazioni di invalidità presentate si riscontra la caratteristica dominante della insufficienza mentale unita in tre casi a difficoltà di tipo fisico, in nove casi a stati epilettici, in due casi a di­sturbi della personalità.

Di particolare interesse è l'esame del luogo di residenza dell'interessato prima del concorso:

- 31 candidati vivevano in famiglia;

- 3 in comunità alloggio;

- 5 in istituto.

È estremamente significativo che l'assunzione abbia favorito il rientro in famiglia delle cinque persone che vivevano in istituto.

Inoltre sui 39 assunti tre sono andati a vivere per conto proprio.

Altro elemento di rilievo è il tipo di colloca­zione diurna che i candidati avevano prima dell'assunzione.

Si nota che ben 27 persone, durante il giorno, frequentavano strutture tipo centri socioterapeu­tici, laboratori protetti o simili; 7 persone vive­vano sempre in casa; cinque, come già riportato, vivevano in istituto.

In almeno 15 casi è accertato che la perma­nenza in strutture protette, prima dell'assunzio­ne, è stata superiore ai cinque anni con alcuni casi di istituzionalizzazione superiori ai dieci an­ni. In tre casi si ha una precedente esperienza di ricovero in ospedale psichiatrico.

In sei situazioni si erano avute esperienze di lavoro non andate a buon fine o esperienze di tirocinio guidato dall'ente pubblico che però non si era concretizzato in assunzioni.

Il nuovo personale ha trovato collocazione nel­le seguenti sedi:

- n. 10 in uffici circoscrizionali;

- n. 8 nelle scuole;

- n. 3 negli uffici centrali dell'assessorato all'assistenza;

- n. 3 negli uffici centrali di altri assessorati;

- n. 2 in istituti per anziani;

- n. 4 nei servizi sociali decentrati;

- n. 5 presso i comandi dei vigili urbani o nei magazzini dell'economato;

- n. 4 nei servizi per lo sport e nei centri d'in­contro.

 

ALCUNE STORIE ESEMPLIFICATIVE

 

Ma i dati che evidenziano il risultato di tante storie che hanno avuto esito positivo, non rie­scono a dare il senso dell'impegno richiesto in primo luogo agli stessi interessati.

Bisogna parlare anche degli insuccessi, altri­menti non emergono le ansie degli operatori: quando sembrava che certi inserimenti stessero per fallire, occorreva, nonostante tutto, ricomin­ciare con la voglia di andare a riprendere le si­tuazioni dall'inizio per riannodare relazioni in­terrotte, per non cedere di fronte alle prime dif­ficoltà.

Se complessivamente la portata dell'operazio­ne non può che essere valutata come un suc­cesso, abbiamo avuto casi di inserimento pro­blematico che in un caso hanno già portato ad esito negativo; altri sei casi hanno presentato difficoltà anche se imputabili a motivi diversi, e per due di questi si prospetta la non conferma in ruolo.

Prima di soffermarci sulle ragioni di queste situazioni vale la pena di raccontare due storie, una negativa e l'altra positiva, per cercare di entrare meglio in questa realtà.

 

ALBERTO

 

Persona con handicap psichico. Nato nel 1955. Esperienze di ospedale psichiatrico. Esperienze di formazione presso cooperativa. Seguito da équipe psichiatrica.

Nell'ottobre 1980 viene assegnato alla riparti­zione sport - servizio bagni pubblici con la qualifica di esecutore servizi generali.

Il posto è stato individuato dopo aver avuto colloquio con l'interessato, con gli operatori (as­sistente sociale e infermiere) che lo seguono tenuto conto delle possibilità aziendali di inseri­mento e delle potenzialità personali.

Alberto ha buona capacità di girare per la cit­tà, sa usare i mezzi pubblici, per cui può acce­dere autonomamente al posto di lavoro che è facilmente raggiungibile dalla sua residenza.

Non ci sono controindicazioni rispetto ad even­tuali lavori pesanti.

Presi i contatti con il dirigente del servizio e con i futuri compagni di lavoro insieme agli ope­ratori si stabilisce:

- mansione e collocazione fisica: nel caso spe­cifico si tratta di collaborare al servizio di pu­lizia dei bagni pubblici;

- orario;

- mezzi di trasporto;

- mensa.

Si definisce inoltre che l'operatore di riferi­mento sarà l'infermiere e che si limiterà, dopo la fase di preparazione per la conoscenza del posto di lavoro e dei colleghi, ad un appoggio esterno o su richiesta.

Saranno gli stessi colleghi ad insegnare il la­voro ed a seguire il nuovo assunto.

Fin dall'inizio la sua presenza al lavoro è in­costante; l'appoggio dell'équipe e dei compagni non riesce a colmare il divario tra il desiderio di affrontare la realtà lavorativa e la paura di ciò che vuol dire essere autonomi.

Il modo di manifestare questa contraddizione vissuta tanto intensamente è quello di non pre­sentarsi al lavoro o di andarsene dopo un po'.

Nel novembre '80 chiediamo agli uffici del personale un mese di aspettativa nella speran­za di riuscire a mutare la situazione.

Nel dicembre sembra che Alberto se la senta di riprovare e concordiamo la ripresa dell'atti­vità lavorativa.

Ma la situazione non cambia, continuano le assenze ingiustificate e non riusciamo a fare mu­tare all'interessato l'atteggiamento negativo nei confronti del lavoro.

La cosa si trascina per qualche mese senza prospettive e arriva al punto in cui Alberto non va nemmeno a ritirare i mandati di pagamento dello stipendio.

Nel giugno '81 l'équipe psichiatrica comunica che il paziente è ricoverato in ospedale e di­chiara che stante la situazione di peggioramen­to è giudicata improponibile la prosecuzione del lavoro.

Su questa base Alberto non è confermato in ruolo.

 

ROBERTO

 

Persona con insufficienza mentale di grado me­dio. Invalidità civile 75%. Nato nel 1953. Livello di scolarità: quinta elementare. Sette anni di fre­quenza al laboratorio protetto provinciale. Due anni di frequenza al centro socioterapeutico co­munale.

Nell'ottobre 1980 viene assegnato alla riparti­zione decentramento nella sede di un consiglio di circoscrizione con la qualifica di esecutore ser­vizi generali.

Il posto è stato individuato dopo aver avuto colloquio con l'interessato, con i suoi famigliari, con l'operatore di riferimento (educatore) sulla base delle disponibilità aziendali e delle capacità dell'interessato.

Si decide che il caso sarà seguito dall'edu­catore.

Vengono precisate le mansioni che sono:

- pulizia dei locali assegnati (ufficio direzio­ne, segreteria, locali centri d'incontro). Attività che consiste nel lavare i pavimenti. spolverare, riordinare;

- custodia macchina caffè;

- in caso di necessità fattorino esterno e usciere.

Si precisa l'orario: dalle 9 alle 17 con pausa di 45 minuti.

Roberto dimostra fin dall'inizio un atteggia­mento costruttivo verso il lavoro, è autonomo nell'organizzare il suo tempo. Svolge mansioni di carattere esecutivo, riuscendo ad eseguire alla lettera ciò che gli viene ordinato anche se ri­chiede uno sforzo fisico relativamente elevato e per tempi lunghi. Non ha problemi ad usare gli arnesi del mestiere.

L'atteggiamento di superiori e colleghi, che è disinvolto e di accettazione, si dimostra positi­va fonte di gratificazione.

Il grado di autonomia è buono. Si reca al lavo­ro da solo con o senza i mezzi pubblici.

Non ha bisogno di particolari punti di riferi­mento all'interno del posto di lavoro. Riscuote da solo il mandato di pagamento. Pranza in com­pagnia degli altri colleghi portandosi il pasto da casa.

In famiglia, è orfano di padre, si sente valo­rizzato ed ha assunto l'atteggiamento di capo famiglia. Con lo stipendio di Roberto è miglio­rata nettamente la situazione finanziaria.

La responsabilità del lavoro ha fatto anche mutare positivamente l'atteggiamento di Roberto nei confronti della vita in generale.

I colleghi di lavoro ed il capo servizio danno una valutazione positiva dell'inserimento che è ormai globalmente riuscito per tutti i lavori di carattere ripetitivo; solo in occasione di lavori saltuari o nuovi ha bisogno di essere stimolato.

L'educatore ha fatto un lavoro preparatorio all'inserimento ancora quando Roberto frequen­tava il centro socioterapeutico: a suo avviso si è dimostrato utile a facilitare l'impatto con la situazione lavorativa.

Poi l'educatore ha iniziato ad appoggiarlo an­che sul posto di lavoro ed è stata sufficiente una settimana di assidua compartecipazione all'attività.

In questi pochi giorni l'educatore ha collabo­rato strettamente con un dipendente della cir­coscrizione: hanno assegnato locali, attrezzatu­re, insegnato il lavoro, fatto capire come si svolgeva la vita nella circoscrizione, le sue pau­se, la mensa, il rispetto degli orari, ecc.

Dopo questo breve periodo l'educatore ha co­minciato a diradare la sua presenza che stava diventando inutile man mano che Roberto acqui­siva autonomia e sicurezza. Anzi la presenza dell'educatore si rivelava controproducente perché metteva in soggezione Roberto di fronte agli altri colleghi.

L'appoggio, anche saltuario, è terminato pre­stissimo ed ora solo ogni tanto l'educatore va alla circoscrizione a salutarlo mantenendo nor­mali rapporti di amicizia.

 

INSERIMENTI LAVORATIVI O ASSISTENZIALI?

 

Come sempre sono i casi difficili che danno maggiori spunti, che favoriscono il maggior nu­mero di insegnamenti. Quando si tratta di inse­rimenti lavorativi un argomento di dibattito è il livello di capacità richiesto per svolgere una mansione determinata.

Noi abbiamo imparato a non stupirci e ad ave­re grande fiducia nelle persone con cui abbiamo lavorato: l'ambiente agisce di per sé, spesso, come operatore di mutamenti significativi e inattesi.

Tra i casi problematici abbiamo avuto perso­ne che nei primi mesi di inserimento non riusci­vano ad orientarsi tra un piano e l'altro di uno stesso stabile: ora sono in grado di accompagna­re o indirizzare con competenza il pubblico ai diversi uffici.

Abbiamo bene in mente il caso di Angela che da anni frequentava un centro socioterapeutico e che gli educatori ritenevano non idonea al lavoro: oggi, con sua e nostra soddisfazione, è una delle fattorine più affidabili di una circo­scrizione.

Il rischio è però che casi di inserimento « as­sistenziale » abbiano una ricaduta negativa sul­le possibilità di nuove assunzioni.

Parliamo di inserimento assistenziale riferen­doci a casi in cui esiste troppo divario tra la prestazione richiesta e le effettive capacità di­mostrate, in modo tale che al lavoratore si finisce di non richiedere più alcuna prestazione operan­do di conseguenza una sorta di emarginazione all'interno stesso del posto di lavoro.

Dall'esperienza maturata ciò accade con più facilità in due situazioni:

a) il caso di persone con una insufficienza mentale tale da rendere molto basso il livello di comprensione; tale da necessitare un costan­te supporto nell'esecuzione di compiti sia pure semplici; capacità operative manuali molto bas­se con elevata lentezza e scarsa abilità tali da richiedere che il lavoro sia completato in larga misura o rifatto da un altro operatore. In questi casi spesso l'ambiente di lavoro è incapace di programmare, per la persona handicappata, l'e­secuzione di lavori al livello delle potenzialità effettive;

b) il caso di persone con disturbi del compor­tamento, basse capacità di relazione, instabilità tali da determinare una scarsa o nulla continuità nel lavoro, l'incapacità di «reggere» per un ele­vato numero di ore e quindi l'abbandono frequen­te e ingiustificato del posto di lavoro, l'uso dell'ambiente e dei compagni di lavoro come oc­casione per scaricare tensioni derivanti anche da influenze esterne, oppure, ma è il risvolto della stessa medaglia, come occasione e luogo ove manifestare la propria sofferenza, trovare ascolto ed appoggio.

Casi che rischiano di non andare a buon fine perché comportano un livello di presa in carico molto elevato e, di fatto, questo tipo di dispo­nibilità è difficilmente riscontrabile.

Si dovrebbe pensare forse ad una diversa or­ganizzazione del lavoro ma è argomento da af­frontare magari un'altra volta.

Nonostante questi rischi, resta il fatto che l'ente pubblico, proprio perché deve dare l'esem­pio, è l'unico luogo in cui possono essere ten­tati inserimenti di persone con maggiori difficol­tà e ciò deve essere considerato un investimento in esperienza ed in possibilità di pubblicizzare all'esterno, al mercato del lavoro privato, i ri­sultati.

Si tratta di maturare una strategia per gli in­serimenti lavorativi che attraverso successive approssimazioni riesca a definire un percorso in cui si riducano sempre più le possibilità di errore.

Alcuni punti fermi li abbiamo già segnati: - definire e seguire con sistematicità, direi con pignoleria, una serie di passaggi obbligati e consequenziali per la promozione dell'inseri­mento;

- organizzare un ufficio di coordinamento che abbia la formazione per trattare con competenza le problematiche inerenti le mansioni nei diver­si posti di lavoro;

- puntare sul posto e sui compagni di lavoro come luogo e come referenti per la formazione del nuovo assunto;

- solo l'operatore (educatore, insegnante del­la formazione professionale, ecc.) che conosce bene e da tempo il ragazzo da inserire, è un riferimento sicuro ed ha la forza per condurre positivamente le mediazioni spesso necessarie tra la famiglia, l'azienda, l'interessato stesso. In questo senso è marginale l'esistenza di una specifica competenza nelle modalità di esecu­zione del lavoro, nell'uso delle macchine o del­le attrezzature: non è questo che si chiede all'educatore;

- si deve puntare a fare una integrazione globale del nuovo assunto proponendo una rete di relazioni umane, non un peso da sopportare con pazienza e da emarginare non appena scar­ta un po' dalle regole vigenti.

E poi bisogna avere sempre, senza presunzio­ni, l'attenzione rivolta alle esperienze degli altri per confrontarci e sapere mutare le proprie stra­tegie in relazione al mutare dei contesti: chiun­que si occupi di inserimenti lavorativi di perso­ne con handicap deve qualcosa a Parma, a Genova, a Sesto San Giovanni, ad alcune elaborazioni delle organizzazioni sindacali e delle associa­zioni, allo sforzo di tante persone handicappate che hanno lottato per il loro posto di lavoro.

 

UN RAPPORTO PARITETICO

 

Dopo qualche anno è per noi motivo di grande soddisfazione ricevere una telefonata, un bigliet­to di auguri da questi giovani o dalle loro fami­glie che hanno mutato di segno la loro vita ma vorremmo saper descrivere l'emozione che ci prende quando, frequentando gli uffici dell'Am­ministrazione, li incontriamo intenti al loro la­voro.

Come sono cambiati!

È di questi giorni l'incontro con Sergio che, all'ingresso di una circoscrizione dava con com­petenza informazioni, a dei cittadini anziani, in merito alla denuncia dei redditi.

Ci vediamo! È un incontro paritetico dove la sicurezza acquisita da Sergio ha annullato gli iniziali rapporti di dipendenza dall'educatore.

Si parla del più e del meno, ci si scambia un saluto e via.

E che dire degli ambienti in cui il lavoratore handicappato è diventato così indispensabile da rischiare poi di essere chiamato a svolgere più incombenze di altri proprio per la dimostrata disponibilità ed affidabilità?

Qui si è perduta la fastidiosa appendice che, anche in questo scritto, ha accompagnato la parola lavoratore: non più lavoratore handicap­pato ma lavoratore e basta!

 

LE PROSPETTIVE

 

Presto l’Amministrazione comunale avrà nuovamente l’occasione di promuovere inserimenti lavorativi di persone con handicap.

Altri quaranta posti di lavoro sono stati ban­diti quest'anno con l'apertura di una prova pub­blica selettiva.

Un nuovo impegno per chi si appresta a se­guire gli inserimenti: un po' più difficile perché la prima volta abbiamo già «usato» gli ambien­ti di lavoro più disponibili, le occasioni più favo­revoli; un po' più facile perché abbiamo fatto esperienza e il margine di errore può diminuire.

Oggi i due assessorati maggiormente coinvol­ti - Assessorato per il lavoro e la formazione professionale ed Assessorato alla sanità e assi­stenza - hanno creato un gruppo interassesso­rile (1) cui è demandato il compito di coordinare gli inserimenti lavorativi, che è strumento di raccordo con l'Assessorato al personale e che, di volta in volta, si vale della collaborazione di operatori diversi per favorire gli inserimenti.

Ma, oltre a questo importante strumento ope­rativo, l'Amministrazione può, in questo momen­to, sfruttare una grande opportunità di sperimen­tazione: il part time.

È nostro dovere porci nella prospettiva dell'uso del part time come occasione per favorire l'in­gresso e la permanenza nei posti di lavoro di persone che hanno dimostrato l'incapacità di reggere al lavoro organizzato con orario normale.

E magari invece di una sola persona assunta a tempo normale, due persone impiegate a part time!

Di nuovo una possibilità di dimostrare modali­tà di inserimento significative, per alimentare il processo di informazione e l'allargamento delle occasioni di lavoro anche sul versante delle aziende private.

Ne riparliamo fra qualche tempo, con qualche esperienza in più, e come si dice dalle nostre parti: ... a bocce ferme!

 

 

 

(1) Il gruppo interassessorile del Comune di Torino per l'inserimento delle persone con handicap nel lavoro è formato dai Sigg. Nico Alampi, Grazia Butticè, Guido Cibrario, Giacomo Torassa.

 

www.fondazionepromozionesociale.it