Prospettive assistenziali, n. 71
bis, luglio - settembre 1985
SINDACATO
E COOPERAZIONE: VERSO UN NUOVO RAPPORTO
ADRIANO SERAFINO (1)
Per come stanno andando le cose nella società
moderna, è stato detto in molti interventi precedenti,
ci sarà sempre più bisogno di capacità e di energie per combattere contro i
processi di emarginazione verso «i diversi» che tendono ad aumentare, in una
società mediamente più ricca e contemporaneamente con profondi processi in
crescita dell'emarginazione.
Da questa prima constatazione è ovvio che una forza
come il Sindacato deve fare la sua parte e deve farla in modo molto più efficace del passato; perciò il Sindacato è
interessato e ricerca un nuovo rapporto con la cooperazione.
Convegni come questi sono positivi,
specialmente nella nostra provincia, dove nonostante gli sforzi e le iniziative
di questi ultimi anni, il settore della cooperazione rimane un processo
socio-culturale ancora marginale e secondario.
La relazione introduttiva di Rei - a mio avviso - ha
un indubbio pregio proprio dal punto di Asta
politico-culturale in quanto, da un lato ha ricostruito una sorta di «carta
d'identità» di ciò che si vuole discutere quando si parla di CSS (Cooperative
Solidarietà Sociale), e per un altro verso ha posto precise riflessioni che, a
mio avviso, sono anche chiavi di interpretazione su cosa possono diventare in
futuro le Cooperative di Solidarietà Sociale, in relazione alla trasformazione
dell'attuale assetto dello Stato sociale.
Vorrei sottolineare che
ritengo un chiarimento decisivo quando si afferma che una cosa è estendere la
possibilità e la sperimentazione di soluzioni gestionali attraverso uno
strumento cooperativistico; altra cosa è l'utilizzo di tali esperienze per «tirare
la volata» alla filosofia di privatizzare l'intervento, quindi aggirando il
nodo della responsabilità politica che inerisce,
rispetto alle scelte di ordine generale, appunto allo
Stato.
Si tratta allora di operare scelte
mirate, ove risulti necessario, per l'efficacia dell'intervento, uno stretto
rapporto Cooperativa - EE.LL. - Stato. Una di queste
scelte sta certamente all'interno del campo dell'emarginazione sociale, dei
servizi alla persona; cioè servizi alla persona nelle
situazioni di avvenuta emarginazione sociale oppure per prevenirla.
Dobbiamo interrogarci e rispondere su come dare un
servizio per combattere l'emarginazione. Significa, ad esempio, attuare
comportamenti per superare pregiudizi e pratiche che portano alla emarginazione di persone perché non aiutate, non
assistite, oppure assistite con metodi che fanno perdurare o aggravare l'emarginazione
in quanto non si è capito l'ambiente e la persona, e i bisogni che venivano
invocati.
Diventa essenziale puntare alla socializzazione di
precise problematiche, che vuole dire - sia per l'Ente pubblico, sia per una
cooperativa - creare interazioni, coinvolgere più persone oltre
quelle «strettamente» indicate come organico di un servizio alla
persona.
Diventa un'esigenza incentivare
ulteriormente pratiche di de-istituzionalizzazione, anche quando il costo non
fosse immediatamente vantaggioso. Credo sia una «moda» estremamente
negativa quella di porre sempre la questione delle sfide sul piano
dell'efficienza come minor costo o parità di costo anziché della maggior
efficacia dell'intervento anche a costo crescente. È una «moda», un
ragionamento pericoloso ed anche errato: ritenendo attendibili le
documentazioni che offriva la relazione, esse
dimostravano come certi processi di de-istituzionalizzazione abbiano un costo
maggiore; dobbiamo però saper capire se tale costo sia strettamente correlato
ad una qualità più elevata del servizio, oppure se non si siano anche «nel
piccolo» verificate le stesse cose negative che avvenivano in un grande
istituto più o meno protetto.
Come organizzazioni sindacali guardiamo
con grande attenzione alle esperienze della cooperazione nei servizi
socio-assistenziali, e specificamente quelle che operano nel campo dell'emarginazione,
nel campo più ostile, più difficile. Siamo interessati, come sindacati, a
sostenere con un nostro apporto specifico tali esperienze ritenendo che i
risultati positivi di queste sperimentazioni
attraverso cooperative possono anche sollecitare modifiche dentro le strutture
pubbliche che attuano servizi alle persone.
Il terreno della sperimentazione, e quindi un
problema specifico che abbiamo davanti, si tratta di
proporre nuovi modelli accettando e sfidando vincoli del mercato; ad esso non
si sfugge, la grande variabile che può essere giocata - ad esempio da uno
strumento quale una cooperativa - è la variabile organizzazione del lavorò.
È su questo versante dell'organizzazione del lavoro
che occorre innovare per cambiare il tradizionale modo di concepire, di fare
servizi alla persona. Nella relazione introduttiva Rei si
sofferma su una precisa riflessione in ordine alla organizzazione del lavoro:
«... se il tradizionale professionismo individualistico privato da un lato,
oppure lo schema mansionale e gerarchico della
Amministrazione pubblica hanno avuto grandi difficoltà di porsi da un punto di
vista del versante di incontrare la persona con le sue esigenze per poter capirle
prima e poi rispondere...».
Se questa riflessione è attendibile
le stesse convenzioni stipulate fra EE.LL. e cooperative dovrebbero
qualificarsi spiccatamente sul versante O.d.l.-qualità-efficacia dell'intervento. Molte volte non è così e talune convenzioni «gridano vendetta».
Ritornerò ancora su questo punto.
La variabile
della O.d.l. (Organizzazione
del lavoro) autogestita in cooperativa deve perciò
risultare un insieme di interventi, di metodologie che intendono procedere
sulla strada della riabilitazione e dell'inserimento sociale e lavorativo. L'obiettivo di un inserimento lavorativo (con le
modalità più diverse e flessibili) è l'ultima
cosa a cui si deve rinunciare in quanto è una condizione essenziale per
perseguire gli obiettivi dichiarati.
L'O.d.l. autogestita in cooperativa deve possedere una propria
capacità di indagare, di comprendere i processi sociali sul territorio in cui
opera o di avere una grande «adattabilità» ed elevato protagonismo motivato nel
momento dell'intervento.
I soci lavoratori che gestiscono queste cooperative
nel territorio debbono dotarsi di una capacità nel
comprendere e ricostruire le storie diverse che hanno portato e portano ai
diversi tipi di emarginazione, dagli handicap di varia natura per finire con
l'insofferenza per come vivono aggregati gli uomini «normali». A volte le cause
di emarginazione sono plurime ed intrecciate: è
evidente che si richiede una capacità di intervento, di organizzazione del lavoro
che è un qualche «cosa di più», che astrae il concetto della azienda privata,
capitalistica e anche dell'azienda statale. È evidente che se si accetta questo
modo di affrontare la storia della emarginazione,
bisogna tracciare molti sentieri per far uscire da essa le persone, molti
percorsi e quindi bisogna disporre di una professionalità che non può essere
quella individuale, bisogna disporre di una dedizione che non può essere le
tante ore di straordinario non pagate, bisogna essere animati da una motivazione
personale e sospinti da un «saper collettivo».
Quindi, noi riteniamo che se la cooperativa come
strumento potenziale offre consistenti spazi - teoricamente superiori agli
altri modelli di O.d.l. che
si ritrovano nel privato e nello Stato - bisogna consentire che queste
realizzino sperimentazioni e si evitino i rischi della frantumazione. Le cose
già dette richiedono un dato di coordinamento delle stesse cooperative al fine
di influenzare ed incidere verso gli enti locali
quando si elaborano obiettivi e programmano interventi operativi.
Il sindacato è fortemente interessato a simili
processi. Il nostro interesse sta nel sostenere la scommessa che a fronte del
superamento di uno specifico assetto proprietario di azienda
sia maggiormente praticabile una radicale modifica dell'organizzazione del
lavoro che superi le caratteristiche burocratiche-mansionarie
o autoritarieparcellizzanti largamente presenti nel privato e nello Stato.
Siamo interessati a queste esperienze ed intendiamo
sostenerle anche per misurare e superare, come sindacato, i pregiudizi da
vincere in ordine alla lotta all'emarginazione
collegata alla modifica dell'O.d.l.
Siamo ancora interessati ad essere
partecipi e coinvolti su come vengono socializzate tali attività sul
territorio per meglio comprendere il sociale ed il territorio.
Ancora, ritornando sulla questione del lavoro - che
non sia relativa al lavoro sottopagato - siamo
interessati a conoscere quali esperienze concrete di studio-lavoro occorra
attivare per essere in grado di capire «i mille sentieri» di entrata e
progettare interventi per «i mille sentieri» per uscire dalla emarginazione.
Quant'è oggi la parte dedicata allo studio, alla ricerca,
alla formazione in questo tipo di cooperative? Chi la paga quando esiste?
A nostro parere parte di tale costo
va caricato necessariamente nelle convenzioni, anziché giocare al
ribasso.
Senza una nuova O.d.l. queste cooperative corrono il rischio grave: diventare
piccoli ghetti incontrollabili di cui nessuno conosce e nessuno parla.
Di qui ci sta allora tutto il modo con cui il sindacato
è interessato ad avere un rapporto stretto con gli enti locali, con le
centrali cooperative per dare il suo apporta a favorire un processo che abbia le caratteristiche innovative e di alternativa richiamate.
Sono in gioco problematiche su come si partecipa a
disegni realmente di trasformazione della società.
Le cooperative di solidarietà sociale concepite in
questo modo rappresentano anche una sfida al concetto attuale della
professionalità inteso come un qualche cosa solo di
esprimibile individualmente, contrapponendo una efficacia professionale
superiore attraverso un rapporto plurimo che realizza una integrazione di
competenze, e sollecita « un di più rispetto u alle caratteristiche e alle motivazioni
dei singoli.
Questa è una tesi che porta alla convinzione che il
nesso qualità-efficacia-efficienza del
servizio si costruisce partendo dal momento centrale
dell'organizzazione e del coordinamento delle risorse, ove la socializzazione è
una risposta di fondo. Emerge con chiarezza la necessità di esigere
un coordinamento adeguato, attraverso l'intervento programmato di più
Assessorati e non solo l'Assistenza come ha richiamato nel suo intervento
Francesco Santanera.
Interventi programmati che debbono
finalizzare i soldi spesi, certamente per sostenere - come scrivono le
cooperative nel loro documento presentato in questo convegno di studi - iniziative
incentivanti il «sapere collettiva» che si può sviluppare all'interno di una
cooperativa.
Quando affermiamo, come organizzazioni sindacali, la
nostra volontà a sostenere le esperienze di cooperative di solidarietà sociale
e servizi analoghi pensiamo a problemi e
responsabilità che ci riguardano direttamente.
La prima questione è lo sbocco lavorativo; per un
gran numero di soggetti emarginati resta una condizione di socializzazione
primaria.
È proprio la questione dello sbocco lavorativo il vero anello debole di
tutta la catena della solidarietà sociale. È il sindacato che deve promuovere
un'accelerazione di iniziative al riguardo.
La seconda questione è relativa
alla necessità di una forte socializzazione di queste esperienze;
significa il rapporto diretto di cosa si fa in una cooperativa con l'ambiente, che
la circonda, per valorizzare le stesse forze del volontariato, ma anche per
sapere se una cooperativa che gestisce e lotta contro l'emarginazione sociale
mette in moto una discussione profonda dei comportamenti di chi non è
emarginato, cioè rimette nuovamente insieme politica e sentimenti, ragione ed
etica. Il sindacato può dare e soprattutto trasformarsi molto ed in meglio da
simili esperienze.
È un dibattito allargato nel territorio che può
sollecitare le coscienze ad essere più disponibili
per interventi quali l'adozione e l'affidamento, l'aiuto alla famiglia
d'origine.
Il sindacato dispone di una
propria rete organizzativa nel territorio, può metterla a disposizione per
aiutare questa qualità di socializzazione.
Un simile intervento può aiutare le
cooperative di solidarietà sociale a trasformarsi nella dimensione
d'impresa; riteniamo infatti che queste cooperative possono meglio
sopravvivere se gli si offre anche un terreno per sperimentare una pluralità di
attività complementari, che consentano anche la rotazione dei soci lavoratori
onde evitare il logoramento proprio di un'attività rinchiusa sull'assistenza ad
handicappati.
Il valore dell'articolazione è certamente decisivo
per l'avvio di processi riformatori.
Oggi, questa teorizzazione
è molto osteggiata per l'attrazione esercitata da grandi processi delle
innovazioni, dai dati di macro-economia; il problema dell'articolato perde
valore; perde valore per più ragioni, ma anche perché è debole in sé e non
trova canali sufficienti per affermare la validità di una esperienza
concreta e vissuta.
Non assume ancora una funzione propulsiva
l'esperienza articolata di queste cooperative anche perché troppo spesso la
convenienza della ricerca della cooperativa di solidarietà sociale avviene sotto il profilo di un mero appalto, quindi
ciò che interessa prioritariamente è il costo finale del servizio.
Succedono queste cose, come pure ci sono delle Amministrazioni locali che nel territorio
metropolitano hanno proposto che la selezione di chi doveva poi fondare e
diventare socio della cooperativa fosse di competenza delle amministrazioni
stesse. Tutto ciò significa una deformazione del
concetto di cooperativa, trasformata in un palese strumento di clientelismo
politico.
Ci sono anche queste cose! Se
noi vogliamo dare forza al progetto, è chiaro che bisogna anche unire le
nostre energie per contrapporsi a questi fatti negativi e degenerativi.
Dare forza ad un progetto per il cambiamento, necessita di una condizione di partenza: le cooperative debbono essere reali sedi di
esperienza autogestionaria.
I soci debbono essere anche
lavoratori e viceversa al fine di ripartire il lavoro tra tutti i soci che
unitamente allo studia collettivo diventano riferimenti essenziali dei processi
autogestiti.
È la caratteristica autogestionaria
la molla per l'innesto del processo ricordato. Senza questo
connotata la realtà delle esperienze può allontanarsi dalle nostre
affermazioni teoriche. Grazie.
(1) CGIL, CISL, UIL territoriali di
Torino.
www.fondazionepromozionesociale.it