Prospettive assistenziali, n. 71 bis, luglio - settembre 1985

 

 

LA COOPERAZIONE: PROBLEMI E PROSPETTIVE

FRANCESCO GIOVANNI TIBERIO (1)

 

 

La cooperazione costituisce oggi un fatto di rilevante importanza nel panorama socio-econo­mico del Paese sia da un punto di vista quanti­tativo sia qualitativo. Il numero delle società cooperative ha superato infatti alla data del 31 dicembre 1984 le centoquarantaduemila unità. Le cooperative sono inoltre presenti nei più svaria­ti settori, dall'edilizia all'agricoltura, dal consu­mo alla produzione e lavoro, dai trasporti alla pe­sca, dal credito, ecc., interessando una massa imponente di soci in tutto il territorio nazionale. La cooperazione, inoltre, ha radicalmente mutato volto anche dal punto di vista qualitativo non essendo più riconducibile, se non in parti margi­nali, ad una esigenza di autotutela delle catego­rie più diseredate, ma realizza, invece, forme autentiche di imprenditorialità collettiva nei più importanti settori economici, anche in quelli di più moderna ed avanzata tecnologia.

La cooperazione, è noto, elimina l'intermedia­zione parassitaria e opera in funzione antispe­culativa ed al tempo stesso esalta l'autogestio­ne dei soci, intesa come partecipazione non solo aziendale, ma anche sociale.

La stessa Costituzione, d'altra parte, privile­gia tale carattere laddove all'art. 45 stabilisce che «La Repubblica riconosce la funzione socia­le della Cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni con­trolli, il carattere e le finalità».

Vale la pena di ricordare brevemente i principi fondamentali che, pur risalendo al secolo scorso, ancora oggi sostanzialmente costituiscono i po­stulati in base ai quali deve essere regolata la vita associativa nelle cooperative, principi fatti propri anche dall'Alleanza Cooperativa Interna­zionale alla quale aderiscono oltre cento Paesi.

L'adesione ad una società cooperativa deve essere volontaria ed aperta a tutti coloro che possono utilizzarne i servizi e che acconsentono ad assumere le responsabilità inerenti alla qua­lità di socio; essa non deve essere oggetto di restrizioni artificiose né di alcuna discriminazio­ne sociale, politica, razziale o religiosa.

Le società cooperative sono organizzazioni de­mocratiche: i loro affari debbono essere ammi­nistrati dalle persone scelte o nominate secondo le procedure adottate dai soci nei cui confronti sono responsabili. I soci delle società di primo grado debbono avere uguali diritti di voto (un so­cio un voto) e di partecipazione alle decisioni che interessano la società di grado superiore; l'am­ministrazione deve essere esercitata su una base democratica, in forma appropriata.

Se è pagato un interesse sul capitale sociale, il suo tasso deve essere strettamente limitato. Gli utili e gli eventuali avanzi di gestione ri­sultanti dalle operazioni sociali appartengono ai soci e debbono essere ripartiti in modo da evi­tare che qualcuno di essi sia favorito a danno degli altri. Ciò si può ottenere mediante la scel­ta tra le seguenti destinazioni: a) sviluppo degli affari sociali; b) creazione di servizi comuni; c) ripartizione fra soci, proporzionalmente alle loro operazioni con la società.

Tutte le società cooperative debbono curare la diffusione tra i soci, i dirigenti, gli impiegati ed il pubblico dei principi e metodi della coopera­zione sul piano economico e democratico.

Per poter curare nel migliore modo gli inte­ressi dei soci e della collettività, ogni organiz­zazione cooperativa deve cooperare attivamente, in tutti i modi possibili, con le altre cooperative, su scala locale, nazionale e internazionale.

Negli anni recenti la domanda di servizi sociali si è fatta più pressante e qualitativamente più articolata. Tale settore, ancora scarsamente svi­luppato e strutturato, offre grandi possibilità a strutture elastiche e rapidamente riconvertibili come sono le società cooperative.

Le fasce di bisogni nell'ambito delle quali si potrebbe configurare questo tipo di intervento sono l'assistenza all'infanzia, l'assistenza agli an­ziani e le attività sportive.

L'enorme divario fra il numero dei nidi che rea­listicamente si potranno realizzare a breve e me­dio periodo e la domanda potenziale, il problema dei costi di gestione (quelli difficilmente compri­mibili) e le diffidenze ancora diffuse nei con­fronti dei servizi, potrebbero indurre a conside­rare la possibilità di affiancare al nido, nel breve e medio periodo, altri tipi di interventi, fra cui si possono citare: la creazione di alcuni nidi pub­blici per bambini in età compresa fra i 18 mesi ed i 3 anni, meno costosi da gestire e collegabili con le scuole materne, insieme alle quali potreb­bero essere gestiti i servizi di appoggio (lavan­derie, cucine, ecc.) e con interventi diversi per i bambini al di sotto di quella età; quote alle famiglie, incentivandole ad associarsi fra loro; contributi a persone (anche pensionati) disposte ad occuparsi di uno o più bambini garantendo alle famiglie un controllo periodico; contributi a cooperative che gestiscano nidi anche di pic­cole dimensioni.

Nell'ambito di queste misure andrebbero pri­vilegiate anche economicamente le soluzioni non individuali, che potrebbero quindi contribuire ad incoraggiare la ricerca comune di risposte meno privatistiche al problema dell'assistenza ai bam­bini e quindi a sviluppare la disponibilità e la fiducia nei confronti di un servizio come il nido, nella cui creazione dovrebbero confluire le di­verse esperienze.

Stante la necessità di evitare la emarginazione degli anziani e la volontà generale delle famiglie di tenerli con sé, è evidente che la soluzione perseguibile in prospettiva, accettabile cultural­mente ed in termini di risparmio di risorse, è quella della creazione di servizi a carattere semi­residenziale (day-hospitals, centri ricreativi e cul­turali e di servizi di assistenza domiciliare), di sostegno alle famiglie o agli anziani in grado di vivere autonomamente, oppure di comunità-al­loggio a carattere aperto.

Dopo la enorme gamma delle prestazioni pos­sibili e necessarie per rispondere alle esigenze degli anziani (dalle più complesse, come le unità diurne di terapia riabilitativa, le comunità allog­gio per anziani soli semi-autonomi, terapie domi­ciliari, ecc., a quelle più semplici, la distribuzio­ne di pasti, le pulizie domestiche, l'accompagna­mento), si potrebbero individuare gli spazi per una convergenza programmata di interventi pub­blici e di altro genere, in cui l'ente pubblico ge­stisca direttamente - almeno nel breve perio­do - i servizi più complessi e strutturati e quin­di più programmabili, lasciando se occorre ad altri organismi, soprattutto cooperative, le atti­vità meno programmabili e da sperimentare, nell'attesa di una loro confluenza nei servizi dell'en­te locale ed assicurando i necessari controlli.

Uno dei bisogni sociali più diffusamente av­vertiti che meno trova risposta a livello di of­ferta pubblica è quello della pratica di attività sportive. La gestione cooperativa troverebbe in questo settore ampia possibilità di intervento, anche perché - almeno nel breve periodo - la creazione di servizi sportivi non potrà costituire una priorità per gli enti locali.

Come si è visto sempre più emergenti si pre­sentano oggi esigenze di rapporti umani e sociali alle quali non sempre l'iniziativa pubblica può dare significative risposte.

A maggior precisazione di quanto già esposto va detto che le nuove forme cooperative propo­nibili, con le maggiori possibilità di sviluppo e necessità di sostegno, sembra siano da indivi­duarsi nelle iniziative che si propongano di ope­rare, prevalentemente, nel campo sociale e i cui scopi appaiono quindi collegati ai problemi emer­genti del recupero di handicappati, dell'assisten­za agli anziani, dell'assistenza e formazione pro­fessionale, del tempo libero, turismo, cultura, ecc., di tutti quei problemi cioè che esigono an­che un grado di partecipazione personale assai impegnativa e processi programmati di sviluppo che non possono gravare sui singoli o su istitu­zioni troppo polverizzate.

Le cooperative peri servizi sociali sono quelle per l'assistenza e l'inserimento in attività più o meno complesse di studio e di lavoro di handi­cappati, sia in sedi comuni, che con assistenza di carattere familiare; per la assistenza agli an­ziani attraverso forme di presenza domiciliare; per la disponibilità della casa sia in forma comu­nitaria che personale, ecc.

Un tipo di cooperativa in questo settore po­trebbe essere quella per la creazione e la gestio­ne di istituzioni di tipo medico-pedagogico, de­stinate a minorati psichici e subnormali.

Esse potrebbero proporsi una azione di cura e tutela sia per realizzare, con scuole differen­ziate, laboratori, ecc., il recupero dei minorati e subnormali, che per assistere nel modo miglio­re i non recuperabili; inoltre potrebbero promuo­vere e inserire nella vita attiva persone con dif­ficoltà di adattamento alla vita sociale tramite la gestione di attività economiche (legatoria, pel­letteria, tipografia, maglieria, parcheggi, ecc.) al­la quale prestare la propria attività di lavoro per ottenere continuità di occupazione, migliori con­dizioni economiche, sociali e professionali e spe­cialmente quel grado di «realizzazione» perso­nale che è l'elemento di gran lunga più importan­te di qualunque altro.

Al fine di integrare socialmente gli impediti e gli invalidi, sono organizzabili iniziative atte a fa­vorire il progresso degli stessi sul piano umano, familiare, sociale, ricreativo, culturale e religio­so; una tale cooperativa cioè potrebbe produrre e diffondere pubblicazioni periodiche sui proble­mi degli impediti; promuovere per loro attività ricreative, culturali e sportive, centri di addestra­mento professionale e di lavoro; svolgere atti­vità collaterali, scolastiche e para-scolastiche gratuite, al fine di favorire il recupero sociale, culturale e professionale di tali giovani e di assi­sterli in ogni esigenza; promuovere la costruzione di residenze montane, marine, ecc., gestire o affittare mense, colonie, case per ferie in zone climatiche, circoli culturali, ricreativi sportivi, ecc.; abbracciare cioè quel vasto quadro di ini­ziative di promozione umana a cui la persona può non riuscire se non aiutata da una sensibilità più vasta ai suoi problemi.

Un'altra iniziativa che sembra cogliere bisogni disattesi ma presenti nella società potrebbe ten­dere ad offrire un ambiente familiare a minori che siano privi di nucleo o di appoggio familiare.

L'attività sociale dovrebbe essere rivolta pre­valentemente ad accogliere adolescenti e ragaz­ze con precedenti di lunga istituzionalizzazione, o già istituzionalizzati in istituti pedagogici, o anche privi di particolari problemi, ma che tut­tavia non possono contare sull'appoggio fami­liare.

Essa dovrebbe fornire loro una «casa», una volta che fosse cessata l'assistenza da parte degli Enti o che fosse avvenuta la dimissione da istituti assistenziali nella adolescenza o a 18 anni; la soluzione del problema della casa e la creazione di una atmosfera più intima e familia­re, può consentire il recupero della fiducia in se stessi, negli altri e nella vita e il reinserimento nella attività lavorativa e una più solida prepara­zione ad una famiglia.

Un settore poco curato è anche quello della cura degli anziani, specialmente come assisten­za domiciliare delle vecchie coppie o dei vecchi rimasti soli.

Non si tratta soltanto di eventuale assistenza a persone in condizioni di indigenza, ma si tratta di fornire specialmente un aiuto ad esigenze di più vasto significato quale il superamento della solitudine, dei periodi di malattia, di mancanza di autosufficienza fisica, ecc.

In tutti i casi si tratta di cooperative, cui in genere potrebbero associarsi o in vario modo coordinarsi e convenzionarsi, non soltanto i di­retti interessati, ma anche medici, infermieri vo­lontari non qualificati, ecc. tutti coinvolti, in mol­teplici forme istituzionali, in vaste azioni di recu­pero o di assistenza sociale.

È ovvio che questi organismi cooperativi non devono rappresentare istituzioni assistenziali di tipo caritativo, ma devono proporsi come realiz­zatori di un servizio per conto anche del potere pubblico, che non può destinare propri pletorici servizi permanenti a questi compiti, la cui ese­cuzione presuppone fra l'altro nei soci (medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, volente­rosi generici, ecc.) un rapporto umano assai di­verso da quello necessario per compiere attività economico-produttive ed una disponibilità perso­nale che non si può ottenere in altri tipi di orga­nizzazione.

Un ultimo accenno alla cooperativa di cultura e tempo libero. La cooperativa dovrebbe proporsi di svolgere compiti inerenti ad attività formati­ve, educative, assistenziali. In pratica l'attività sociale dovrebbe perseguire, fra le molte finalità possibili, ad esempio, la istituzione e gestione diretta o mediante convenzione di comunità edu­cative, di centri culturali, di servizi consultori familiari e medico-psico-pedagogici, ecc.; la pro­mozione di incontri, spettacoli, viaggi, ecc. per lo svago dei soci e delle loro famiglie; la crea­zione di impianti polivalenti per lo sport; la co­stituzione e la gestione di biblioteche popolari, di librerie a gestione cooperativa, di stazioni radio-televisive, ecc., l'acquisto, la produzione, la distribuzione di ogni materiale di conoscenza, studio, svago, ecc.; attività tutte che, fra l'altro, possono vedere coinvolte molte energie, anche esterne alla cooperativa, nelle varie realtà spe­cie dei piccoli centri.

Nel contesto della problematica concernente i servizi sociali non può essere tralasciato un ac­cenno al volontariato. In linea di massima il va­lore culturale e l'utilità sociale del volontariato ha avuto un ampio riconoscimento, tanto da de­sumere che esiste oggi un consenso su questa esperienza, tale da consentire una tranquilla e significativa prosecuzione.

La legge 833 ha sancito il diritto del volonta­riato come uno dei soggetti abilitati a concorrere all'attuazione della Riforma Sanitaria. Le leggi regionali di attuazione delle USSL hanno ripreso l'indicazione della legge di Riforma, creando uno spazio di grande interesse a livello del territo­rio: da qui riparte il dibattito, radicalmente rin­novato ma tuttora aperto.

Un primo ordine di problemi concerne l'iden­tità del volontariato. Le leggi esistenti lo chia­mano in causa ma giustamente non lo definisco­no precisamente, né tanto meno ne indicano ca­ratteristiche e contenuti. D'altra parte ci trovia­mo di fronte ad una grande varietà di iniziative in campo assistenziale e sanitario, differenti per forma giuridica (istituti, associazioni, fondazio­ni, cooperative, ecc.) e per tipologia, relativa­mente: al tempo impiegato (tempo libero o tem­po pieno), al dove (nelle strutture pubbliche o in servizi alternativi e propositivi rispetto ai ser­vizi dello Stato), ai valori di cui è portatore (vo­lontariato laico e di ispirazione cristiana) al cam­po di azione (anziani, handicappati, drogati, ma­lati di mente, ecc.); al modello di intervento (ani­mazione, intervento a domicilio, comunità allog­gio, cooperative di lavoro, ecc.).

Già da anni è stata tentata una definizione di volontariato, identificando come volontario «il cittadino che, adempiuti i suoi doveri di stato (famiglia, professione, ecc.) e quelli civili (vita amministrativa, politica, sindacale, ecc.) pone se stesso a gratuita disposizione della comunità. Egli impegna le sue capacità, i mezzi che possie­de, il suo tempo in risposta creativa ad ogni tipo di bisogni emergenti, prioritariamente dai citta­dini del suo territorio; ciò attraverso un impegno continuativo di preparazione, di servizio e di in­tervento a livello individuale o preferibilmente di gruppo, evitando ogni inutile parallelismo con l'attività dello Stato».

Sta di certo, come unico denominatore comu­ne, che il volontariato è un servizio reso, nella maggior parte dei casi, gratuitamente e continua­tivamente, come risposta libera e creativa ai bi­sogni, da parte dei singoli o di gruppi che hanno la preoccupazione di porre l'uomo come protago­nista delle situazioni di bisogno.

Esso è inoltre caratterizzato dal fatto che la prestazione non viene offerta in cambio di una retribuzione ma in forza della motivazione all'impegno, legata al sistema etico di riferimento.

Recentemente inoltre, anche in forza al dettato delle leggi di attuazione della Riforma Sanita­ria, si tende a considerare solo quelle attività di volontariato, prestato da associazioni cosiddette « riconosciute ».

In tal caso resterebbe esclusa una vasta area di impegno libero di cittadini che operano in quartieri, spesso legati alle parrocchie e che ge­neralmente non appartengono (e preferiscono non legarsi) ad alcuna associazione di volonta­riato fortemente riconosciuta.

Un secondo ordine di problemi concerne la questione del finanziamento per il volontariato. Le prestazioni di volontariato sono general­mente e notoriamente gratuite e le associazioni di volontariato, come pure i singoli volontari, nella maggior parte dei casi non solo vantano questo requisito, ma rifiutano qualsiasi tipo di finanziamento. Ritengono infatti che esso snatu­rerebbe il gesto e vincolerebbe l'attività alla vo­lontà di eventuali finanziatori che potrebbero condizionare le scelte. In altre parole giudicano il finanziamento come una modalità indiretta di limitazione di libertà e di autonomia.

Accanto a questa posizione si leva la voce, numericamente meno consistente, ma non per questo meno autorevole, di coloro i quali sono impegnati in un volontariato di anticipazione, di ricerca e di sperimentazione in campi nuovi, do­ve spesso lavorano a tempo pieno, senza altri mezzi di sostentamento a risorse per sostenere le iniziative e gli strumenti per il servizio. Que­sti ultimi ritengono che lo Stato debba fornire i mezzi, se non per la prestazione del lavoro volon­tario, almeno per il finanziamento delle attività.

Un terzo ordine di problemi concerne l'oppor­tunità di attivare una normativa sul volontariato.

Si parla della possibilità di realizzare un pro­getto di legge che «disciplini» il volontariato, rimandando perciò al legislatore anche i proble­mi indicati nei punti precedenti.

Anche in questo caso il dibattito è acceso.

La complessità dei problemi che investono il volontariato hanno privilegiato da parte degli in­teressati l'adozione del modello cooperativo, co­me si è visto ampiamente in precedenza. Questa opzione per il modello cooperativistico non è però, allo stato attuale della legislazione, priva di difficoltà e controindicazioni. Si può anzi par­lare di una autentica forzatura del quadro norma­tivo che definisce l'istituto nel nostro diritto po­sitivo.

Infatti la cooperativa, secondo il modello del codice civile, è una società che svolge un'atti­vità economica finalizzata alla produzione di be­nefici esclusivamente a favore dei soci. La pecu­liarità rispetto alle altre società è data così sol­tanto da alcune caratteristiche di funzionamento quali principalmente la variabilità del capitale e l'attribuzione di un voto a testa. Resta invece senza rilevanza normativa la caratteristica fon­damentale della cooperativa, che è quella di es­sere, secondo una felice espressione di Verru­coli, un giurista tra i più attenti ed autorevoli in materia, «una impresa privata ad impronta so­ciale» in quanto persegue «fini che trascendono l'interesse dei soci e si riallacciano agli interes­si della comunità in cui la cooperativa è inse­rita».

Le cooperative di solidarietà sociale sono quel­le che più e meglio di tutte le altre tendono ad operare in proiezione sociale, privilegiando il ser­vizio ai bisogni dei più «indigenti» e di conse­guenza il soddisfacimento di interessi generali della comunità rispetto a quelli dei soci.

È quindi naturale che soprattutto queste coo­perative subiscano i limiti di una legislazione che anziché valorizzarla e promuoverla, tende piut­tosto a frustrare la dimensione sociale e solida­ristica della cooperazione.

Del resto il rapporto Laidlaw, relazione di base al XXVII congresso dell'Alleanza Cooperativa In­ternazionale tenutosi a Mosca nell'ottobre 1980 afferma che «Un particolare tipo di coopera­tiva trae il suo valore non tanto da una astratta teoria, quanto piuttosto dalla utilità che arreca alle persone in quel contesto spazio-temporale».

Riaffermato che anche nelle cooperative di for­te contenuto sociale non può essere trascurata la solidità dell'impresa se si vuole che l'iniziati­va possa durare, il citato rapporto suggerisce, tra l'altro, contenuti che si riscontrano esatta­mente nelle cooperative di solidarietà sociale e che le fanno pertanto ritenere, anche sotto que­sto profilo, a pieno titolo tra le auspicate «cooperative del futuro». In particolare l'esigenza di coinvolgere «realtà umane e sociali anche estranee ai ristretti confini della cooperativa», di «tenere in grande considerazione l'educazio­ne nel senso più lato del termine», di «non pra­ticare alcuna forma di discriminazione razziale o religiosa», di farsi carico «degli interessi anche di coloro che non sono suoi soci», di «tenere in considerazione i problemi della gente bisognosa e facilitare l'ingresso di costoro in cooperativa», di «offrire una immagine di società modello» sono proprio le connotazioni caratterizzanti le cooperative di solidarietà sociale.

Lo schema di disegno di legge sulla disciplina generale delle imprese e degli enti cooperativi, predisposto dal Ministero del Lavoro e della Pre­videnza Sociale con l'apporto delle Associazioni Nazionali del Movimento cooperativo, affronta i problemi illustrati alla radice. Il disegno di leg­ge infatti all'articolo 1 contiene una nozione di società cooperativa che è idonea ad esprimere l'elemento caratterizzante della gestione mutua­listica dell'impresa sociale ed il perseguimento, nel contempo, di finalità extra-economiche in li­nea con gli enunciati principi dell'Alleanza Coo­perativa Internazionale: «È cooperativa la socie­tà a capitale variabile che svolge mutualistica­mente la propria attività allo scopo di soddisfare interessi economici nonché sociali e culturali dei suoi soci nell'ambito dei più ampi interessi del Paese».

Lo schema di disegno di legge introduce un nuovo istituto rappresentato dalla «Unità coope­rativa», forma semplificata di organizzazione cooperativa. L'Unità Cooperativa, che deve esse­re composta da non meno di tre soci esclusiva­mente persone fisiche, può svolgere soltanto attività diverse da quelle giuridicamente qualifi­cate come proprie degli imprenditori commercia­li, ma può svolgere attività molteplici, comprese quelle concernenti i settori culturali, ricreativi e sportivi o di servizi di solidarietà e di rilevanza sociale.

 

 

 

 

(1) Direzione Generale della Cooperazione - Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale.

 

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