Prospettive assistenziali, n. 71
bis, luglio - settembre 1985
INTERVENTO
DI FERNANDO GATTINI (1)
Avrei da esprimere alcune osservazioni, ed anche
delle riflessioni, in riferimento agli ultimi
interventi che sono stati fatti.
Quando ci siamo posti il problema, perché ne
sentivamo l'esigenza, di proporre questo confronto, eravamo spinti dal fatto
che su questo tema avevamo delle idee non molto
chiare, ed esperienze limitate.
Non a caso all'inizio di questo incontro
abbiamo detto: sono esperienze maturate in questi ultimi anni ed alle volte
occasionalmente; occasionalmente perché si erano presentati dei problemi
nella gestione dei servizi che ci hanno costretti - come Amministrazione
pubblica - a rivedere determinate decisioni.
Ma anche dall'altra parte - voglio ricordarlo, agli
amici e colleghi del Movimento Cooperativistico - è accaduta la stessa cosa:
nel momento in cui andavano in crisi certi servizi con particolare
riferimento ad Istituti privati o IPAB, si rendeva necessario l'espandersi
della gestione da parte degli Enti locali per il fatto che, in modo più rapido
che nel passato, si attuava la deistituzionalizzazione. Basti pensare che a Torino fino al
76/77, come in tutte le grandi città, operavano solo
gli ECA o istituti privati.
Nel momento in cui sono state attuate le leggi 833 e 180, a Torino prima che altrove, le amministrazioni
locali si sono trovate in condizioni tali da non avere neppure apparati
sufficienti per rispondere alle nuove esigenze.
Per «occasionalmente» intendevo quindi questi
avvenimenti e anche la mancanza di organici. Non a
caso, ho portato l'esempio di un gruppo, costituitosi in cooperativa
quando si è chiuso l'Istituto di Rubiana
(1980/81), con il quale abbiamo discusso molto fra Regione, Comune e Provincia.
Utenti gravi erano in quell'istituto a carico della Provincia, e la stessa non
aveva disponibilità ad assumere immediatamente del nuovo personale, e
così pure il Comune.
Gli operatori hanno allora costituito due cooperative,
ed il Comune ha «appaltato» loro (lasciatemi passare
questa definizione), gli utenti, fornendo i locali, ecc. Ecco un'occasione.
Così abbiamo cominciato a riscoprire, in questo settore, il movimento
cooperativistico, insieme, evidentemente.
In questi anni ne sono maturate parecchie: la stessa
chiusura dell'Ospedale Psichiatrico di Collegno ha
portato la USSL 24 a queste occasioni.
Oggi a Torino abbiamo una trentina di cooperative,
costituitesi nel corso degli ultimi 4-5 anni, che gestiscono vari servizi
sociali.
Il Convegno era propositivo, per questo alle volte
abbiamo posto alcune questioni in modo provocatorio, come ha fatto qualcuno,
per stimolare e per costruire una strategia anche in
questo settore.
A quanto Morabito ha detto
sull'importanza di queste iniziative, sul piano politico e amministrativo del
movimento cooperativistico, si deve aggiungere l'importanza che tali iniziative
rivestono sul piano democratico in riferimento alla
partecipazione della gente per autogestire i servizi
sociali: questo non va dimenticato!
È importante la gestione del servizio socioassistenziale sul territorio, non l'appalto del malato,
anche se talvolta tende a prevalere quest'ultimo
interesse.
Basti pensare all'assistenza domiciliare, e qui non
voglio entrare nello specifico, in quanto parlo con degli operatori, molti dei
quali conosco da anni: voglio solo sottolineare come
sia un fatto altamente democratico di partecipazione, di democratizzazione del
Paese, quello della gestione di tali servizi.
Mi pare che nella relazione del Prof.
Dario Rei, che è agli atti, emerga proprio questo specifico
fattore, che è importantissimo: si tratta anche di una riaffermazione dello
stato sociale e non della sua crisi. Lo stato sociale in Italia si è affermato
con la partecipazione, non certamente per iniziative nazionali; chi ha
realizzato, fondamentalmente, lo Stato sociale nel settore socio-assistenziale
sono stati gli Enti locali - Comuni, Regioni e Province - che hanno dato corpo, purtroppo non in tutto il Paese, ad alcune grandi
riforme come quella sanitaria con le leggi 833 e 180.
Quindi mi pare che l'importanza di questo convegno
stia nell'avere scoperto o riscoperto e preso coscienza
del fatto che c'è un bisogno, quello del socio-assistenziale, e un mezzo, quello
cooperativistico, il quale può offrire l'alternativa al pubblico, non
l'alternativa per tutto il servizio, ma per la gestione di parte di questi servizi,
in modo professionale. Certamente c'è la questione del reddito e
dell'occupazione.
Fra Comune e Provincia di Torino si spendono circa 35
miliardi di rette per ricoveri in Istituti. Nell'introduzione ho affermato -
non so se il Gruppo ne abbia tenuto conto - che io non
considero «operatore sociale qualificato» o «educatore» - come volete - quel
dipendente di un certo Istituto che opera all'interno dello stesso, consumando
le sue ore di lavoro in una mera assistenza di routine.
Cominciamo a rifletterci: di che tipo di apporto socio-assistenziale si può parlare se quelle
sette ore sono servite solo ad un lavoro assistenziale, una volta si diceva «di
badanza», senza nessuna attività volta al recupero?
Mi pare che la preparazione professionale dell'operatore
sociale - l'educatore di una comunità-alloggio, di
un centro diurno o sul territorio, o per minori, ecc. - debba essere diversa rispetto
a quella del dipendente di un Istituto, che limita la sua attività ad
un'assistenza all'interno di esso.
Credo che si sentano diversi quegli educatori, quei
giovani che hanno formato delle cooperative e che
adesso gestiscono i nostri servizi, diversi rispetto a quanto erano all'interno
dell'istituto. Mi pare ci sia una grossa differenza: non sono solo responsabili
in quanto autogestiscono loro stessi il servizio, ma
anche sul piano della qualità del servizio; è un'altra cosa, quell'operatore si sente veramente tale. Quindi, credo che occorra riflettere su questo, sulle osservazioni
che sono state fatte, e che in parte sono da accogliere, e da inserire nel
documento. Evidentemente un documento di una pagina e mezza, contenente
una sintesi di 20-30 interventi per ogni gruppo non può
esprimere esaurientemente i pensieri e le idee di tutti.
L'osservazione, ad esempio, sulla questione delle
trattative, licitazione privata o trattativa privata, è a mio avviso da
accogliere: personalmente propendo per andare a
trattativa col movimento cooperativistico.
Le prime assegnazioni le avevamo fatte a trattativa:
ultimamente, per la Comunità di Nichelino, abbiamo dovuto
ricorrere ad una licitazione privata con annuncio sui giornali.
Al Comitato di controllo, in quest'ultimo
anno, sembrano tutti «impazziti». Forse leggono solo poche righe o leggono male perché poi quando andiamo direttamente a
spiegare le cose, in genere le nostre osservazioni vengono accolte; forse
anche i nostri funzionari non illustrano troppo bene le deliberazioni.
Qui non ci troviamo ad affidare al miglior offerente
in una gara d'appalto la costruzione di un ponte o una diga: una Cooperativa fa
sì una offerta, ma soprattutto propone dei piani di carattere
tecnico ed educativo, che vengono esaminati e discussi insieme. Si tratta di
servizi molto delicati rivolti a persone fragili, che non possono essere
valutati solo dai costi.
Rinnego che si possa affidare questo «appalto» un
anno ad una cooperativa ed un anno ad un'altra. Voi
tutti operatori, fareste bene a ribellarvi. Ad esempio, per imparare a
conoscere un ragazzo handicappato e poter predisporre un piano di lavoro con
degli obiettivi, occorrono alcuni mesi: dopodiché
scade il contratto. Ecco l'aspetto negativo della legge. Mi pare che il
discorso delle convenzioni vada fatto avendo le idee chiare sugli obiettivi e
sulla durata media per attuarli.
Avrei un'ultima osservazione: sulla questione della universalità delle competenze degli educatori. Mi
pare l'abbia posta Serafino: su questo argomento
desidero esprimere alcune riserve.
Porto un esempio pratico per capirci; l'assistente sociale o l'operatore sociale - chiamatelo
come volete - sul territorio, che segue degli inserimenti per affidamenti e
adozioni, deve avere abbastanza esperienza, deve conoscere bene la famiglia e
il bambino, sia esso abbandonato o illegittimo, o di una famiglia in crisi:
beh, cambiamo forse l'operatore ogni 15 giorni, ogni mese? Per questo
particolare intervento occorrono esperienza, preparazione, alta
professionalità. Perché, se poi fallisce un inserimento o
un'adozione, son guai.
Per una professionalità dalla A
alla Z in questo settore socio-assistenziale dobbiamo discutere tutti insieme.
Ho portato questo esempio
perché mi pare che sia quello più macroscopico. Abbiamo tatto a Torino, e sul
territorio della Provincia, circa 940 affidamenti. Abbiamo più affidamenti noi
che tutta Italia messa insieme. Di quanti ne conosciama
ne sono falliti due. Abbiamo affidato anche bambini handicappati abbastanza
gravi, e con buoni risultati: se qui non c'è un lavoro veramente «a monte», per la conoscenza, la provenienza dei bambini, le
caratteristiche della famiglia e poi tutto il resto, si rischia molto. Inoltre
c'è anche il Tribunale dei Minori, che deve seguire tutta la prassi.
Quindi sulla universalità
delle competenze dell'educatore c'è molto da riflettere.
Una cosa è l'assistenza domiciliare all'anziano, una
cosa è questo tipo di intervento su minori.
In accordo con il Comune stiamo ridiscutendo la
struttura dell'Ufficio Unico Adozioni istituito alcuni
anni fa per collegare il problema più direttamente sul territorio: anche verso
le U.S.S.L. della Provincia.
È lì che si deve operare, è il servizio sociale di
zona del territorio che deve istruire tutto ciò. Questo pone indubbiamente dei
problemi. Problemi di professionalità e capacità delle
U.S.S.L. o Comuni che abbiano strutture, e dell'esperienza anche in questo
settore: non possiamo andare all'arrembaggio su questi problemi.
Sulla questione della formazione professionale,
condivido il richiamo che è emerso. L'Ente pubblico deve essere quello che dà
obiettivi, strategie di servizi, e che deve farsi carico della base
fondamentale della formazione professionale.
Mi sono domandato - qui c'è Bajardi,
l'Assessore Regionale che ha presentato non molto tempo fa il piano
socio-assistenziale per il biennio, che prevede per il Piemonte circa 330 educatori
- mi sono chiesto, dicevo, dove li formiamo e a chi
bisogna porre questo problema.
Educatori socio-assistenziali a Torino vengono formati dalla SFES e ne escono
20-25 ogni anno; va detto che in questi ultimi anni si è verificato un positivo
recupero della qualità. Sarebbe il caso di avviare come previsto una politica
formativa che soddisfi il fabbisogno attualmente
disatteso.
Mi pare che sia importante questo. Non si possono improvvisare altre scuole. Precedentemente í nostri educatori, e sono molti, provenivano da diverse
professionalità - geometri, ragionieri, psicologi, laureati in lettere -
perché avevano partecipato ad un concorso e quindi diventavano educatori nei
vari servizi.
In questi ultimi anni, abbiamo aggiornato molto le
norme dei concorsi. Per quelli che avevano fatto domanda di partecipazione al
concorso per aiuto-educatori, è stata fatta una settimana di formazione di
base: dopo di che hanno potuto partecipare ai concorsi. All'ultimo concorso per
educatori, oltre a titolo di studio di scuola media superiore, sono stati
richiesti anche 6 mesi di attività in un servizio,
oppure mille ore di volontariato, fatto sempre alle dipendenze del pubblico o
comunque in istituti convenzionati con l'Ente pubblico. Abbiamo capito che chi
veniva a fare l'educatore non doveva avere soltanto la licenza di scuola media
superiore, ma anche una forte motivazione, una certa base di preparazione sul
piano sociale o comunque di approccio a questo
problema.
Credo che su questa direzione si debba ancora andare
avanti, cioè: formazione di base generale a tutti, e
poi certamente una formazione permanente più qualificata con aggiornamenti che
devono essere fatti dall'Ente. Noi uno sforzo l'abbiamo
fatto, mandando i nostri educatori in giro a convegni, incontri, seminari, ma
non è ancora sufficiente.
Sono convinto che su questo c'è da fare molto e che
naturalmente deve essere il pubblico a dare questo segno.
Per quanto mi riguarda ritengo che questo incontro
sia stato molto positivo, molto utile anche alle
amministrazioni: intanto per adesso è necessario l'aggiornamento delle
conclusioni, inserendo le osservazioni che sono state fatte, e proseguire in
questa direzione. Proseguire nei contatti, con le proposte che sono state avanzate
in questa commissione per aggiornare alcune cose come
la elaborazione delle convenzioni, i sistemi di rapporti. Bisogna rivederli,
certamente.
Noi ci siamo trovati un poco a disagio, con
l'ispettorato del lavoro, quando abbiamo detto: c'è una cooperativa, abbiamo
fatto questo accordo, questa è la convenzione: alla
cooperativa però abbiamo dato tutto, ripeto, tutto. Si ipotizzava
in questo modo che era stato assegnato l'«appalto» del malato. Perché se noi diamo lo stabile, la luce, l'acqua, il
riscaldamento, le attrezzature ed assegniamo otto ragazzi handicappati da
gestire, il pericolo c'è. È necessaria una modifica, in questo campo, da parte
del movimento cooperativistico, per individuare gestioni sociali di questi
servizi che non abbiano più la caratteristica del sub-appalto o l'appalto del
malato, ma che sia l'Ente - l'Ente inteso come
movimento cooperativistico - ad offrire al pubblico un servizio che soddisfi
le esigenze e che migliori il servizio privato. Così si avrebbero servizi più
piccoli, snelli, molto più flessibili, caratteristiche queste che le
cooperative potrebbero possedere più del pubblico, facendo
anche ricorso, ad esempio al part-time.
Ringrazio, a nome della Provincia,
del Comune e della Regione, tutti voi, in particolare i relatori, per la
vivace partecipazione.
Mi pare che i relatori abbiano fatto uno sforzo
importante nell'individuare temi e problematiche, in quanto non c'era
documentazione in questo campo, credo sia la prima volta che
se ne discute in un convegno.
Abbiamo voluto appositamente contenere la
partecipazione all'Italia Settentrionale proprio perché, per cominciare,
occorre delimitare il campo, per dare all'incontro un
taglio di riflessione, di ricerca e di studio, come abbiamo detto nella
documentazione.
Mi pare che le introduzioni, gli interventi e gli
altri documenti scaturiti da questo incontro costituiscano
dei ricchi stimoli. Saranno stampati e consegnati a tutti i partecipanti. È
auspicabile che le prossime Amministrazioni - ormai noi siamo alla scadenza del
nostro mandato - tengano conto di quanto è stato fatto e avanzino
in questa direzione, nell'interesse dell'utenza bisognosa dei servizi, delle
Amministrazioni locali, del movimento cooperativistico: nell'interesse, in
ultima analisi, della qualità sociale. È fondamentale una sempre più incisiva
partecipazione del pubblico alla gestione dei servizi: è una questione di
democrazia che nel nostro Paese, malgrado le ventate
conservatrici provenienti da più parti, continua a crescere.
Stamane leggevo che in America appalteranno
anche le prigioni. Ci sarà da vedere che cosa diventeranno. Qui noi vogliamo,
al contrario, essere i soggetti di gestione e di partecipazione alle
cogestioni, anche quando concordiamo di affidare, con convenzioni, certi
servizi ad altri, come in questo caso alle cooperative.
(1) Assessore alla Sicurezza Sociale
della Provincia di Torino. Intervento tratto dalla registrazione.
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