Prospettive assistenziali, n. 71 bis, luglio - settembre 1985

 

 

COMUNICAZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO DEGLI ASSESSORATI ALLA FORMAZIONE PROFESSIONALE E COOPERAZIONE SOCIALE DEL COMUNE E DELLA PROVINCIA DI TORINO

 

 

Le due Amministrazioni hanno concordato di formulare un unico intervento in cui trattare il settore socio-assistenziale coordinandolo con i problemi connessi alla formazione professionale e al settore del lavoro, al fine di offrire una pa­noramica dei problemi affrontati insieme negli ultimi anni.

Le precise competenze dell'Amministrazione Comunale, le scelte di intervento volontario dell'Amministrazione Provinciale hanno fatto sì che si sia prospettato e realizzato un intervento glo­bale e non settoriale, le cui linee di indirizzo si sono continuamente intersecate, sia per l'opera­re nello stesso territorio e nella stessa area cul­turale, sia per i contatti continui tra gli operatori addetti.

Non è difficile peraltro riconoscere che l'agire delle due amministrazioni si è innestato su un momento politico che vede problemi di carenze, ritardi e riflussi sull'attuazione del diritto all'as­sistenza.

E non giova a nessuno disconoscere che mol­to deve essere ancora fatto per migliorare l'effi­cienza dei servizi e la riqualificazione della spesa.

Non è inutile riflettere pertanto sui problemi di fondo ancora aperti e sul quadro economico nor­mativo attuale poiché la presenza di tanti pro­blemi non deve essere l'occasione per rinunciare ad affrontarli in modo coordinato ed efficace, pur nella consapevolezza delle loro complessità.

In applicazione del disposto del D.P.R. 616/77, della legge di riforma del servizio sanitario nazio­nale (legge 833/78) e delle leggi applicative re­gionali (7/83 Piano Socio-Sanitario della Regione Piemonte), (20/83 Indirizzi e normative per il rior­dino dei Servizi Socio-Assistenziali della Regio­ne Piemonte) Comuni e USL si sono trovati a ge­stire, con strumenti inadeguati, tutta una serie di nuovi servizi socio-assistenziali e sanitari.

Le difficoltà incontrate dagli Enti Locali sono:

1) arretratezza della legislazione comunale e provinciale (TULCP 1935), che, prevedendo pro­cedure atte a garantire una corretta azione ammi­nistrativa, di conseguenza, comporta tempi lunghi e procedure farraginose, che mal si conciliano con la rapidità e l'immediatezza necessarie al funzionamento di certi servizi sociali (es.: Co­munità alloggio, Istituti per anziani);

2) difficoltà nel reperimento e nella selezione del personale, dovuta sia alle norme che limitano le assunzioni, sia alle procedure concorsuali che non garantiscono una efficace selezione del per­sonale; infatti i concorsi non si basano tanto su momenti di tirocinio e di compatibilità con il ser­vizio, ma quasi esclusivamente su prove teoriche.

A ciò si aggiunga, spesso, la mancata previsio­ne di una apposita pianta organica del personale socio-assistenziale, con la conseguente indivi­duazione delle figure professionali necessarie a garantire le funzionalità dei vari servizi (es.: as­sistenti sociali, educatori, operatori d'appoggio, collaboratori familiari). Tale situazione, da impu­tare non solo alle limitazioni delle assunzioni del personale ma anche a carente volontà politica, viene altresì favorita dalla mancanza di una or­ganica legislazione nazionale, che regoli le ca­ratteristiche delle figure professionali succitate. l'attuale proposta di legge di riforma dell'as­sistenza, in discussione al Parlamento, prevede una parte dedicata a questo settore.

Di conseguenza anche le attuali norme con­trattuali (D.P.R. 347/83) (Contratto Nazionale di Lavoro del personale degli Enti Locali) assegnano alle succitate figure un inquadramento economi­co-normativo discutibile, non contemplando, pur in presenza di mansioni e di orari particolari, una normativa specifica.

Esiste a tale proposito solo uno studio del Ministero dell'Interno, effettuato unitamente ad alcune Regioni, nel quale vengono individuate tre figure professionali (assistente sociale, educato­re professionale, assistente domiciliare); tale contributo verrà ripreso, nello specifico, nei gruppi di lavoro.

A queste carenze interne degli enti gestori si innesta la scarsa chiarezza del quadro legislativo nazionale nel settore socio-assistenziale dovuto alla mancanza di una organica riforma dell'assi­stenza: tale situazione, oltre a determinare lo spreco e la disorganicità delle risorse, causa spessa conflitti di competenza o di incompetenza tra i vari Enti (Comuni, Province, Comunità mon­tane, USL) provocando così la mancata certezza, da parte dei cittadini, del diritto all'assistenza sociale, così come riconosciuto dalla Carta Co­stituzionale (art. 38).

A ciò si aggiunga la sopravvenuta crisi dello stato assistenziale aggravata, da un lato, dalle diminuite risorse finanziarie, e dall'altro dalla contemporanea crescente crisi occupazionale e dalla conseguente emarginazione di larghe fasce della popolazione dai processi produttivi (disoc­cupati, cassaintegrati) che vanno ad aggiungersi alle fasce «marginali» classiche (anziani, han­dicappati, tossicodipendenti, ex carcerati, dimes­si dagli OO.PP.).

A fronte di tale situazione, che genera un au­mento della domanda assistenziale, gli Enti locali sono chiamati a compiere scelte di priorità in un contesto generale di diminuzione delle risorse finanziarie (incrementate non oltre il tetto pre­fissato di inflazione), e di forte critica alle spese sostenute da parte degli organi centrali (vedi re­lazione del procuratore generale della Corte dei Conti).

Iniziando nell'esame della realtà del Comune di Torino e della Provincia di Torino, risulta che il servizio che è stato affidato alle cooperative, nella quasi totalità dei casi, è il servizio comuni­tà alloggio.

Sono facili da apprezzare e valutare i motivi di tale orientamento.

Si tratta di un servizio limitato ad un gruppo di utenza, in cui, anche se viene richiesto un coinvolgimento esterno degli operatori, tale coin­volgimento è comunque settoriale.

Le priorità di distribuzione del personale assi­stenziale comunale e provinciale si sono sempre indirizzate a privilegiare i servizi di base, e le relative qualifiche, quali l'assistenza sociale e le assistenti domiciliari.

La destinazione prioritaria del personale a tali servizi ha fatto sì che, in qualche caso, altri ser­vizi, quali le comunità alloggio, siano stati affi­dati al privato cooperativistico.

Ma nuovi problemi emergono su altri servizi e altri settori, diversi dalle comunità alloggio, ge­stiti in convenzione con cooperative e su tali set­tori, come Enti locali si intende proporre alcune osservazioni e riserve.

Tra i servizi sociali indicati dalla legge 20/82 di particolare significato sono gli interventi di sostegno al singolo e al nucleo familiare attra­verso:

a) assistenza economica;

b) assistenza domiciliare.

Tali interventi vengono attuati con l'utilizzo del personale addetto che è rispettivamente la assistente sociale e la collaborazione familiare. È inoltre previsto l'utilizzo di educatori per in­terventi educativi e di supporto. Sono inoltre previsti interventi di accertamento, sostegno e controllo all'affidamento e all'adozione anche in riferimento alla legge 194.

Altro intervento fondamentale previsto è la vigilanza sui servizi e sulle IPAB.

La mole di competenza assunta dai servizi so­cio-assistenziali postula un potenziamento degli stessi, e la loro capacità di programmare ed ela­borare piani di intervento secondo le scelte di priorità deliberate dalle Amministrazioni.

Tale obiettivo deve basarsi, da un lato, sulla capacità del servizio sociale di recepire i bisogni, attraverso una indispensabile funzione di filtro e di raccolta dati unitamente all'integrazione, a li­vello di distretto di base, dei servizi sanitari, sco­lastici, ricreativi ed abitativi.

In sostanza, in presenza di un minimo di strut­tura assistenziale pubblica integrata è pensabile svolgere l'azione di prevenzione, programmazio­ne, e raccolta dati e di conseguenza appaltare a privati alcuni servizi, mentre risulta assai dubbio il proporre convenzioni per l'utilizzo di assistenti sociali, colf e altri nel momento in cui questi de­vono svolgere le attività previste dal piano socio­sanitario, con le interconnessioni già dette.

Su queste affermazioni si potranno riscontrare alcuni dissensi ed è però su tali realtà che dovrà riflettere il convegno.

Importante è anche la definizione del quadro giuridico cui far riferimento, relativo ai rapporti convenzionali che si instaurano tra Enti locali e Cooperative.

La corretta delimitazione dei diritti-doveri dei contraenti attraverso la predisposizione di «Con­venzioni-quadro», unitamente alla individuazione della natura delle prestazioni resa dalle Coope­rative, debbono evitare la configurazione dell'ap­palto di mere prestazioni lavorative (cosiddetto appalto di mano d'opera).

Occorre pertanto che, da un lato, gli Enti lo­cali conservino con tali provvedimenti tutte le prerogative proprie del soggetto pubblico in ter­mini di indirizzo, definizione dei programmi e degli standard e controllo dei risultati e dall'altro che le Cooperative acquisiscano, sia a livello di strumenti che di prestazioni, piene capacità imprenditoriali e di concorso alla progettazione del servizio stesso.

Ugualmente importante è la definizione del re­gime fiscale delle convenzioni.

Attualmente, mentre alcuni enti (Comune di Torino) ritengono applicabile al servizio in ogget­to VIVA (18%), con conseguente aggravio di co­sti e procedure, altri (Provincia di Torino) riten­gono applicabile l'art. 10 lett. 21 del DPR 633/72, assimilando cioè la prestazione in oggetto quale «operazione esente dall'imposta» in analogia alle «prestazioni dei brefotrofi, orfanotrofi, asili, case di riposo e simili, delle colonie marine, montane e campestri e degli alberghi e ostelli per la gioventù».

Di questi ed altri problemi si farà carico più diffusamente il 3° gruppo di lavoro, dal cui do­cumento conclusivo attendiamo proposte e valu­tazioni in merito.

Esaminando nello specifico le iniziative già in atto si può ricordare che i dati riportati nell'opu­scolo dei servizi della città di Torino denotano la scelta di operare, attraverso propri operatori e processi di formazione permanente, per inci­dere prima di tutto sulle cause che generano l'emarginazione.

Tale orientamento si rivela innanzitutto dalle linee di intervento programmatico del settore socio-assistenziale che evidenzia le seguenti priorità:

a) messa a disposizione dei servizi primari (asi­lo nido, scuole materne e dell'obbligo, case, trasporti);

b) assistenza domiciliare;

c) assistenza economica;

d) segnalazioni per l'adozione speciale;

e) affidamenti di minori, anziani ed handicappati;

f) istituzione di comunità alloggio per minori, anziani ed handicappati.

Oltre che con personale proprio il Comune ha attivato alcuni servizi mediante convenzione con Cooperative.

Ogni rapporto dell'Ente con le cooperazioni ri­chiede una rigida programmazione dell'Ente lo­cale e un preciso quadro di riferimento norma­tivo (deliberazione quadro - organizzazione, ecc.), in modo che le due parti (pubblico e privato) si integrino in una salda rete di servizi pubblici e con personale in grado di operare secondo le linee di intervento programmatiche sopracitate, e tecnicamente preparato a indicare standards e finalità generali e specifiche, in accordo con il privato cooperativistico.

Tanto più l'Ente locale ha chiarezza degli obiet­tivi che si propone, tanto più il rapporto con­venzionale può risultare positivo per l'utenza.

Le convenzioni in vigore si sono, di fatto, inne­state su tale tessuto, pur tenendo conto di ovvie e prevedibili difficoltà, date anche dalle necessi­tà di sperimentare nuovi modelli, nuove soluzio­ni, con la disponibilità reciproca di verificare ed eventualmente migliorare le stesse.

All'interno del panorama su esposto dal '76 ad oggi sull'input delle leggi regionali sopracitate (legge 7 P.S.S.R., legge 20, ecc.) ed in attuazione di scelte politiche precise dell'Amministrazione Provinciale e Comunale (oltre al potenziamento dei servizi primari e di tutti gli altri provvedimen­ti pre-istituzionali) si sono realizzate strutture assistenziali residenziali nella seguente misura: - 5 comunità alloggio per minori da 0-10 anni

di pronto intervento per 48 posti complessivi; - 7 comunità alloggio per minori da 11 a 18 anni per 46 posti complessivi.

Il costo annuo complessivo delle 12 strutture per 94 minori è di L. 1.800.000.000 (unmiliardoeot­tocentomilioni).

Per il settore handicaps il Comune ha attivato con gestione propria 3 comunità alloggio per 20 posti con una spesa, nel 1984, di L. 450.000.000. Contestualmente alle sperimentazioni gestionali pubbliche di comunità, si è voluto stimolare e valorizzare risorse umane e professionali di grup­pi di volontari che, sul versante privato, da anni era­no impegnati nel campo dell'assistenza e del di­sadattamento minorile.

Detti volontari negli anni '70 avevano svilup­pato forme di convivenza parafamiliare ed in collaborazione con i servizi sociali garantivano in modo soddisfacente affidamenti e appoggi a minori in stato di bisogno.

L'esperienza maturata in favore di minori e la contemporanea formazione di base conseguita presso le scuole di specializzazione per educato­ri da parte di molti di questi volontari, rischiava­no di rimanere non pienamente utilizzati senza un intervento di supporto dell'Ente locale.

A partire dal 1980 alcuni di questi gruppi si sono costituiti in cooperative con le quali il Co­mune, attraverso specifiche convenzioni, defini­sce gli standards entro i quali l'impresa-coopera­tiva sviluppa il suo progetto di gestione di co­munità alloggio e determina l'importo del budget annuale da erogarsi.

Oltre alla valorizzazione di preziose risorse, la scelta di utilizzare questa nuova forma privata di organizzazione è stata favorita da caratteri­stiche peculiari di questi gruppi:

- maggiore vicinanza al gruppo primario, uni­versalmente riconosciuto come più adatto alla gestione di progetti pedagogici;

- autoscelta volontaria degli operatori, con conseguente impostazione organizzativa e gestio­nale più omogenea;

- responsabilità diretta del proprio lavoro, esercitata sulla progettualità, sulla gestione e sulla verifica;

- minore conflittualità all'interno del gruppo degli operatori pedagogici.

La gestione di comunità alloggio condotta da Cooperative si è rivelata anche maggiormente adeguata della organizzazione pubblica per una maggiore snellezza burocratica in merito agli ac­quisti, alle riparazioni e ad ogni altra prestazio­ne logistica, che nell'Ente pubblico passa attra­verso un apparato ormai elefantiaco.

La gestione di comunità alloggio da parte del privato attraverso la cooperazione presuppone la programmazione e la messa in atto di opportune forme di controllo da parte dell'Ente pubblico, sia sulla professionalità degli educatori impegnati, sia sugli standards educativi da questi forniti all'utenza.

A tale scopo si è rilevata valida la collabora­zione costante tra cooperative-comunità e servi­zi socio-assistenziali-sanitari del territorio, arti­colata sui vari momenti: proposta e decisione di ammissione, progettazione e conduzione del pro­getto educativo di dimissione.

Gli educatori operanti presso una cooperati­va, per la gestione di una comunità alloggio con­venzionata, devono possedere gli stessi requi­siti che l'Amministrazione comunale richiede per gli operatori comunali di tale qualifica.

Le comunità aperte sino ad ora con questo tipo di gestione sono 14 per un totale di 77 minori; e 3 per 28 handicappati con una spesa complessiva di L. 3.428.000.000 (1984).

Rispetto alla gestione di comunità per mino­ri va sottolineato che uno degli aspetti positivi connaturato al modello gestionale e alla sua ge­nesi, e cioè la convivenza tra gli operatori, nella maggior parte delle esperienze, poggia sul con­teggio delle ore basate solo sul lavoro attivo, supponendo come connaturato al lavoro dell'edu­catore la presenza notturna.

Tale modalità, che dovrebbe essere resa possi­bile con adeguati strumenti legislativi, anche nell'ambito del pubblico impiego, lascia aperta una situazione problematica per i lavoratori delle cooperative succitate.

Inoltre la Città di Torino ha avviato una prima sperimentazione anche nel settore dell'assisten­za domiciliare, limitata a 3 operatori nella Circo­scrizione 17; anche in questo caso si tratta della formalizzazione di una esperienza già in atto a titolo di volontariato.

Attualmente si sta valutando l'opportunità di estendere tale esperienza: a tal fine si sono av­viati rapporti con alcune organizzazioni (ACLI - COLF) o cooperative cui sono stati proposti, per il momento, momenti di formazione come fase preparatoria: esistono, tuttavia, problemi di non lieve entità, in particolare per ciò che riguarda la qualificazione degli operatori, la responsabili­tà, il costo.

 

www.fondazionepromozionesociale.it