Prospettive assistenziali, n. 72, ottobre - dicembre 1985
DIFESA DEGLI ISTITUTI
O DIFESA DELLE PERSONE?
Scrivevamo
nell'editoriale del n. 69, gennaio-marzo 1985, di Prospettive assistenziali: «Sul problema degli anziani (e, più in
generale, su quello dell'emarginazione) non è infrequente che gruppi,
organizzazioni o istituzioni ecclesiali (per lo più legati alla chiesa
cattolica) assumano posizioni attraverso la pubblicazione di documenti o altre
iniziative. Tuttavia, molto spesso, si tratta di prese di posizione che
riguardano in primis, non le persone e le loro condizioni di vita, ma le
istituzioni assistenziali» (1).
La lettera,
che il cardinale Anastasio Ballestrero, arcivescovo
di Torino e presidente della Conferenza episcopale
italiana (CEI), ha inviato il 4 dicembre 1984 al presidente della Giunta della
Regione Piemonte rappresenta una lampante conferma della nostra tesi.
Si difendono
gli istituti (tutti gli istituti, validi o non validi,
poco importa), resta nella penna la difesa delle persone.
Come
interpretare diversamente l'obiettivo del cardinale Ballestrero
di battersi in primo luogo contro «la tendenza ad eliminare progressivamente -
o in linea di diritto o in linea di fatto - le iniziative dei privati e
specialmente delle comunità cristiane in tema di assistenza
agli anziani?».
La lettera
di Ballestrero - che parla a
nome di tutti i vescovi piemontesi, nella sua veste di presidente della
Conferenza episcopale regionale (CEP) - si riferisce alla normativa predisposta
dalla Regione Piemonte in merito agli standard per l'istituzione ed il funzionamento
delle strutture assistenziali.
Perché lo
scritto dell'arcivescovo di Torino riguarda solo gli istituti per anziani e
non anche i servizi per minori (handicappati e non) e per adulti handicappati,
nonostante che l'ambito di intervento della proposta regionale riguardasse tutta la materia? Forse
perché nel campo dei minori e degli handicappati le strutture gestite da
religiosi sono nettamente di retroguardia ed è meglio non parlarne?
Ci sembra
puramente generica (se non di comodo) l'affermazione contenuta nel punto 1,
circa «le possibili condizioni che consentono ad ognuno di continuare a vivere
nella propria famiglia».
In ogni
caso, riteniamo siano scarse, vecchie e superate le iniziative di religiosi su
questa linea. Del resto, anche la Caritas italiana,
nel suo censimento delle istituzioni assistenziali
collegate con la chiesa, osserva che «le finalità vengono cambiate in una
istituzione mediamente ogni 450 anni, mentre i metodi sono cambiati ogni 45 anni»;
comunque, tenendo conto «di tutte le risposte assieme, i cambiamenti di finalità
assumono frequenza media di uno ogni 150 anni e i cambiamenti di metodo uno
ogni 37 anni e mezzo» (2).
Sostiene Ballestrero: «Il ricorso alla istituzionalizzazione
non, può essere escluso». Ma si tratta di una «libera scelta» delle
persone o di una scelta obbligata a causa della carenza
di strutture disponibili? È bene ricordare, inoltre, che per evitare o
allontanare il ricovero in istituto non c'è solo la citata assistenza domiciliare.
Può essere utile, anche, l'assistenza economica, la messa a disposizione di alloggi idonei, sani ed accessibili; alloggi che possono
essere reperiti nell'ambito dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti
pubblici (IPAB comprese), ma che potrebbero anche essere messi a disposizione
da enti assistenziali privati, per non diventare oggetto di speculazioni
edilizie o di operazioni clientelari.
Nulla viene detto nella lettera, invece, sul principio della
permanenza nel proprio ambiente di vita. Nemmeno una parola sulla possibilità
di inserire sia gli anziani sia altre persone in difficoltà presso parenti o
terzi, come da alcuni anni sta avvenendo proprio a Torino (3). Eppure,
si tratta di iniziative importanti che si pongono sulla
linea di un allargamento della solidarietà, che andrebbero meglio fatte
conoscere, sostenute, incoraggiate.
Nemmeno una
parola sulla esperienza delle comunità alloggio; in
compenso, dalla lettera del presidente CEP emerge l'accettazione (anche se non
esplicita), del principio della «deportazione assistenziale».
Nessun
riferimento esplicito al problema grave, diffuso e preoccupante degli anziani
cronici non autosufficienti; nessuna denuncia delle dimissioni
«selvagge» da parte degli ospedali; nessuna parola per il lavoro di assistenza,
spesso gravoso e al limite dell'umano, cui sono costretti i parenti che
debbono occuparsi 24 ore su 24 del familiare malato. Si tenga conto, anche,
che, in molti casi, non si tratta di anziani con figli
20enni, 30enni, o 40enni; ma di persone con 80 e più anni, i cui figli hanno
oramai raggiunto a loro volta l'età della pensione (4).
Ballestrero insiste sul diritto della chiesa di creare nuove
strutture assistenziali (punto 4). D'accordo. Ma chi ne deve finanziare la costruzione? E a chi tocca la gestione?
Il cardinale
parla di «ragionevole» principio di vigilanza. Ma che cosa
vuol dire «ragionevole». E per chi? per le strutture, o per gli assistiti?
Quello che
poi non si capisce è che, attualmente, bar, pasticcerie, macellerie, drogherie
debbano avere una preventiva autorizzazione a funzionare e gli istituti di
riposo per anziani no. Eppure, questo
elementare principio (che è anche uno dei fondamenti di una seria
attività di vigilanza), finora, non è mai stato sollecitato dalle autorità
religiose per gli istituti di ricovero al fine di ridurre abusi e soprusi.
Non crediamo
che la previsione della preventiva autorizzazione a funzionare sia una limitazione
della libertà e una negazione dei diritti degli utenti!
TESTO
DELLA LETTERA
Signor presidente, ho ricevuto la sua del 2 novembre
(prot. 5684) e non ho il piacere di comunicarle di
esserne soddisfatto. L'episcopato del Piemonte, al quale ho subito comunicato
il testo della sua, in modo unanime, ha confermato la stessa insoddisfazione.
Intanto la sua risposta scritta, è lontana dalle dichiarazioni fattemi a voce;
inoltre, a parte l'invito a collaborare per trovare un arricchimento della
proposta del piano socio-sanitario - un invito cui
non mancheremo di aderire - sarà difficile trovare al suo interno le
soluzioni da noi attese, dal momento che la sua lettera sembra a noi conferma
di una rigida ispirazione dottrinale che ci lascia preoccupati.
Non essendo mossi, né dà interessi di parte, né da
preconcetti di tipo ideologico, ma unicamente dal
dovere del nostro ministero, che è quello di salvaguardare una scelta di
libertà, fondamentale presidio del bene comune, non esito ad esprimerle, in
stretto accordo con tutti i vescovi del Piemonte, alcune delle nostre
principali preoccupazioni.
1. Non possiamo non dirci solidali ed in pieno
accordo con tutti coloro che, in tema di assistenza
agli anziani, privilegiano la creazione di tutte le possibili condizioni che
consentano ad ognuno di continuare a vivere nella propria famiglia e nel
proprio ambiente di vita. Il ricorso alla istituzionalizzazione,
tuttavia, non può essere escluso per principio: sia perché questa può essere
una libera scelta dell'anziano stesso, sia perché - purtroppo - possono
delinearsi dei casi in cui questa si imponga perché l'assistenza domiciliare
si dimostra concretamente insufficiente o perché la permanenza nella propria
casa e famiglia si rivela impossibile.
2. Per cui rileviamo, anche al di
là delle apparenti intenzioni, che gli schematismi di soluzione verso i
quali le vostre scelte inclinano, sono molto lontani dal riconoscere gli
anziani come persone portatrici di diritti, e primi soggetti responsabili di
fronte alle scelte che li riguardano. A nostro avviso la persona dell'anziano
deve essere messa al primo posto.
3. Uno dei
diritti preliminari dell'anziano - in questo nostro intervento intendiamo,
volutamente, riferirci solo a questo settore - è la libertà di scegliersi il
tipo di assistenza che preferisce. Ora, per quanto noi
consideriamo nella dottrina che soggiace alla legge 20, ed in quella che sussiste
ancora nella proposta di piano, al di là delle
parole, continuiamo a scoprirvi una tendenza ad eliminare progressivamente - o
in linea di diritto o in linea di fatto - le iniziative dei privati e
specialmente delle comunità cristiane in tema di assistenza degli anziani.
4. Insistendo ad ipotizzare come uniche forme di assistenza organizzata ammessa e riconosciuta, la
comunità alloggio per autosufficienti e la casa protetta per non
autosufficienti (separata dalla casa alloggio), in pratica, date da vedere di
volere cancellare tutto l'esistente; non solo. Ma poiché una legislazione è
anche prefigurazione di modelli futuri, oltre che razionalizzazione dell'esistente,
i vescovi, già del tutto insoddisfatti per qualsiasi labile soluzione di aggiustamenti tattici per il presente, fanno noto che
intendono difendere il proprio diritto, in nome delle comunità loro affidate,
di garantire e stimolare iniziative e programmi per il futuro, in modo ed in
forme sempre più rispondenti alle esigenze crescenti degli anziani nel
territorio.
Chiedono pertanto che venga
sancito in concreto, e non solo con affermazioni vaghe e astratte, il diritto
di creare nuove istituzioni assistenziali. senza
l'imposizione di standard irrealizzabili, che la stessa società civile
dimostra di non poter tradurre in pratica. Questo diritto scaturisce dalla
stessa natura della Chiesa. In base ad esso, il secolo
XIX ha visto il Piemonte trasformarsi in una terra di espressioni
assistenziali che hanno fatto scuola a tanti altri Paesi del mondo; noi vescovi
abbiamo il dovere di non lasciar spegnere questa vocazione delle nostre
comunità. La politica passa, ma gli anziani bisognosi di umana
e cristiana assistenza saranno in numero sempre crescente in mezzo a noi.
5. La negazione di questo diritto, a nostro avviso,
è in netto contrasto con l'istanza pluralista che
l'ultimo comma dell'articolo 38 della Costituzione chiaramente esprime.
6. Non abbiamo niente in contrario, invece, anzi noi
stessi chiediamo, l'applicazione imparziale di un ragionevole principio di
vigilanza, per verificare la correttezza e l'idoneità di tutte le iniziative assistenziali, anche se gestite da enti ecclesiastici.
Ma non riconosciamo alla Regione la potestà di farne
un uso funzionale all'applicazione di schematismi che rendono impraticabile la
libertà dell'assistenza privata.
Sono queste alcune delle principali riserve che
sentiamo di dover fare all'attuale impostazione regionale per l'assistenza
sanitaria.
A dirle,
quanto da parte nostra ci sia la disposizione a contribuire per una revisione
migliorativa del prossimo disposto legislativo regionale, le comunico che la
CEP ha affidato ad un gruppo di tre vescovi l'ulteriore approfondimento del
problema, al fine di pres-entare, in uno spirito di responsabile
collaborazione, puntuali contributi per quelle modificazioni del testo ritenute
necessarie per rasserenare il mondo cattolico piemontese.
Essi sono: monsignor Livio Maritano, vescovo di Acqui;
monsignor Albino Mensa, arcivescovo di Vercelli; monsignor Aldo Del Monte,
vescovo di Novara. Affidiamo a loro, e a loro soltanto, di rappresentare attualmente presso cotesta Giunta
regionale la voce unanime di tutte le Chiese del Piemonte, e come da
recentissima nostra intesa, avvenuta in sede di Conferenza episcopale il giorno
28 novembre, con la presente mi faccio premura di chiederle di notificarmi
cortesemente il giorno e l'ora nella quale essi potranno avere un colloquio con
lei, per verificare insieme le vie e le possibilità pratiche per i nostri
puntuali contributi.
Sono costretto a dirle, signor
presidente, che ove continuassimo a trovare inaccoglienza
alle nostre sollecitudini pastorali, non esiteremo a fare appello all'opinione
pubblica, anche in modo capillare, rimanendo questa l'unica strada aperta per
difendere valori che riteniamo fondamentali per qualsiasi sana costruzione
sociale.
Molto cordialmente, per il vero bene della nostra
regione, le auguro buon lavoro.
Torino, 4 dicembre 1984.
Anastasio A. card. Ballestrero,
presidente CEP
Severino Poletto, segretario CEP
(1) Cfr. Prospettive
assistenziali, n. 69, p. 4.
(2) Cfr. Caritas italiana, Chiesa ed emarginazione in Italia, Dehoniane, Bologna, 1979, p. 190.
(3) Cfr. «Inserimenti di adulti
handicappati e di anziani», in Prospettive assistenziali, n. 66, aprile-giugno 1984.
(4) II cardinale Ballestrero non ha mai risposto alla lettera inviata
dall'ULCES in merito al «caso Nosenzo», l'anziano
novantaquattrenne malato e messo sulla strada dagli operatori ospedalieri. Cfr. «Sentenza penale nei confronti di
due operatori dell'Ospedale Molinette di Torino per
le dimissioni selvagge di un anziano», in Prospettive
assistenziali, n. 68,
ottobre-dicembre 1984.
www.fondazionepromozionesociale.it