Prospettive assistenziali, n. 72, ottobre - dicembre 1985

 

 

ESIGENZE DELL'UTENZA E RUOLO DELLE COOPERATIVE (*)

 

 

Questa relazione è presentata dal CSA, Coor­dinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, a cui aderiscono le seguenti organizza­zioni: Associazione genitori adulti e fanciulli han­dicappati; Associazione italiana assistenza spa­stici, sezione di Torino; Associazione italiana sclerosi multipla, sezione piemontese; Associa­zione nazionale famiglie adottive e affidatarie; Associazione nazionale famiglie di fanciulli e adulti subnormali, sezione di Torino e delegazio­ne di Moncalieri; Centro informazioni politiche ed economiche; Cogidas; Coordinamento auto­gestione handicappati; Coordinamento dei comi­tati spontanei di quartiere; Coordinamento para e tetraplegici; Gruppo inserimento sociale han­dicappati USSL 27; Unione italiana ciechi, sezio­ne di Torino; Unione italiana per la lotta contro la distrofia muscolare, sezione di Torino; Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale; CSA 39 (Chivasso).

Il CSA è stato costituito nel 1970. Il riferi­mento di base delle attività svolte è la relazione introduttiva del Convegno di Torino del 3 luglio 1971 sul tema «Dall'assistenza emarginante ai servizi sociali aperti a tutti», organizzato da CGIL, CISL, UIL, Coordinamento dei Comitati spontanei di quartiere, Associazione per la lotta contro le malattie mentali, Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale.

Prima di entrare nel merito del convegno, è necessario precisare quali sono stati i cambia­menti più importanti che si sono verificati in questi ultimi anni nel campo dell'assistenza.

In primo luogo va segnalata la soppressione di quasi 30 mila enti, organi e uffici pubblici:

7.038 patronati scolastici;

4.126 casse scolastiche;

8.055 enti comunali di assistenza;

8.150 sedi dell'Opera nazionale maternità e in­fanzia;

95 sedi del Commissariato gioventù italiana;

95 sedi dell'Amministrazione per le attività assistenziali italiane e internazionali;

115 sedi dell'ENAOLI;

94 sedi dei Comitati provinciali dei patronati scolastici.

Inoltre sono stati soppressi altri numerosis­simi enti quali l'Opera nazionale per l'assistenza agli orfani di guerra anormali psichici, l'Unione italiana di assistenza all'infanzia ed i relativi Centri di tutela minorili.

Altri enti sono stati trasformati da enti pub­blici in associazioni private con il trasferimento allo Stato delle competenze gestionali: Unione italiana ciechi, Ente nazionale sordomuti, Asso­ciazione nazionale mutilati e invalidi di guerra, ecc.

Le soppressioni degli enti suddetti sono avve­nute senza alcun aiuto del settore assistenziale privato, il quale, peraltro, ha spesso boicottato questo radicale cambiamento istituzionale.

Resta aperto il problema del trasferimento alle Unità socio-sanitarie locali delle competen­ze gestionali dei Comuni, delle Province e delle 9.000 Istituzioni pubbliche di assistenza e bene­ficenza esistenti nel nostro paese, i cui patrimoni ammontano a 30-40 mila miliardi. Il perso­nale addetto è di circa 35 mila unità.

Al riguardo va purtroppo detto che le propo­ste di legge di riforma dell'assistenza presen­tate da DC, PCI e PSI prevedono una massiccia privatizzazione dei patrimoni delle IPAB, priva­tizzazione che consiste nel regalare detti beni al settore privato.

Il secondo importantissimo cambiamento ri­guarda l'utenza. Dagli utenti di alcuni anni or sono, in grado di far valere i propri diritti, si sta passando molto in fretta - con il pieno accordo degli enti pubblici e delle istituzioni private - all'utenza che non è e non sarà mai in grado di difendersi. Si tratta in primo luogo degli anziani cronici non autosufficienti, poi ci sono gli insuf­ficienti mentali con gravissime limitazioni della loro autonomia, seguono i giovani e gli adulti di­sadattati con situazioni di emarginazione conso­lidate. Ovviamente gli istituti di ricovero, siano essi speculativi o senza fini di lucro, non disde­gnano di percepire le rette di altri utenti. Rite­niamo tuttavia che il nucleo centrale dei futuri ricoveri sarà sempre più costituito dai soggetti di cui sopra.

Vi è da tener presente che, per la nuova uten­za, non si va tanto per il sottile. Infatti partiti, sindacati, Regioni, USSL sono tutti d'accordo (o nulla fanno per contrastare questa linea) sull'e­spulsione degli anziani cronici non autosufficien­ti dal settore sanitario e sul loro trasferimento al settore assistenziale.

A questo riguardo è illuminante il documento approvato l'8 giugno 1984 dal Consiglio sanita­rio nazionale in cui è precisato quanto segue: «Considerato lo stretto intreccio della presenza sanitaria e socio-assistenziale anche nelle strut­ture protette appare necessario che, nel transi­torio, sia per l'inadeguatezza dei servizi sanitari sul territorio, che non possono farsi carico in maniera completa del problema, sia perché sto­ricamente il non autosufficiente è stato ricove­rato e assistito in ambito ospedaliero o para ospedaliero, la spesa relativa al ricovero in casa protetta o struttura similare di persone non au­tosufficienti carichi parzialmente (fino al massi­mo del 50%) sul fondo sanitario nazionale, ai fini di determinare la correlativa riduzione della spe­sa ospedaliera».

Dunque in base a quanto affermato dal Consi­glio sanitario nazionale:

1) storicamente gli anziani cronici non auto­sufficienti finora sono stati ricoverati o assistiti in ambito ospedaliero o para ospedaliero e quin­di gratuitamente ai sensi della legge 833/1978; 2) detti soggetti devono essere espulsi dal settore sanitario non perché siano intervenuti provvedimenti legislativi al riguardo, ma unica­mente per ridurre la spesa sanitaria;

3) la spesa sanitaria si riduce dal 100% al 50% come minimo;

4) la spesa a carico dell'utente da zero arri­va fino a 25-30 mila lire al giorno ed anche più se la sanità coprirà meno del 50%.

Se il Presidente del Consiglio dei Ministri ap­proverà il documento suddetto ed emanerà la relativa direttiva, ci saranno tutte le premesse per una nuova emarginazione di massa (1).

Infatti la sanità avrà il massimo di convenien­za a cronicizzare gli anziani più deboli, croniciz­zazione che si ottiene nel giro di poche settima­ne e che provoca una situazione di non autosuf­ficienza quasi sempre irreversibile.

Si tratterà, inoltre, di una emarginazione a pa­gamento (almeno 25-30 mila lire al giorno), un pe­sante ticket a carico degli anziani malati cronici non autosufficienti e dei parenti tenuti agli ali­menti (figli, altri discendenti, coniuge, fratelli e sorelle, ecc.).

 

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In questa situazione, diventano di fondamen­tale importanza soprattutto due problemi:

- la prevenzione del bisogno assistenziale;

- l'idoneità delle prestazioni da fornire alle persone che ricorrono all'assistenza.

Per una gestione corretta del problema, è as­solutamente indispensabile - questa è l'espe­rienza del CSA - agire contemporaneamente sui due aspetti sopra indicati.

Un esempio concreto di attuazione di quanto sopra esposto è rappresentato dal caso di Pietro (privo degli arti inferiori e delle mani) e di Ro­berto (con gravi difficoltà motorie) che hanno potuto lasciare il Cottolengo di Torino dopo ri­spettivamente 20 e 30 anni di ricovero a seguito dell'assegnazione da parte del Comune di Torino di un alloggio privo di barriere architettoniche (intervento di prevenzione) e della messa a di­sposizione del servizio di aiuto domiciliare (in­tervento assistenziale alternativo al ricovero).

Tutta la prevenzione del bisogno assistenziale si attua praticamente al di fuori del settore assi­stenziale. Si attua garantendo a tutti i cittadini (ovviamente compresi quelli con handicaps fisi­ci, psichici, sensoriali) le condizioni necessarie per un'esistenza fondata sulla massima autono­mia possibile.

È dunque necessario intervenire - ad avviso del CSA - a livello di sanità (assicurando non solo le cure idonee ma anche tempestive presta­zioni riabilitative), di lavoro (riducendo la disoc­cupazione anche colpendo coloro che praticano il doppio lavoro), di pensioni (elevando gli im­porti più bassi, il che significa anche fare puli­zia delle false invalidità ed eliminare le cosid­dette baby-pensioni), di abitazione (prevedendo non solo l'abbattimento delle barriere architetto­niche, ma anche - soprattutto nell'edilizia eco­nomica e popolare - appartamenti di tipo col­lettivo, ad esempio per comunità alloggio), di istruzione-formazione (stabilendo anche quanto è necessario per il pieno inserimento degli han­dicappati).

Per quanto riguarda, invece, le prestazioni da fornire alle persone che ricorrono all'assistenza, va ricordato che da un lato esse devono essere organizzate in modo da rispondere al principio della specificità (assistenza economica, servizio di aiuto domestico, ecc.) e nello stesso tempo i servizi devono funzionare in modo da rispon­dere al principio della globalità.

In questo modo sarà possibile rispondere in modo adeguato anche quando le esigenze degli assistiti mutano, come spesso avviene.

Va anche detto che per una reale prevenzione è indispensabile che la popolazione acquisisca conoscenze ed altri strumenti al fine di essere in grado di effettuare le valutazioni necessarie per una vita il più possibile autonoma.

Sono deleterie - pertanto - tutte le inizia­tive di tecnici e operatori dirette a rivendicare deleghe da parte dei cittadini per le funzioni che i cittadini stessi sarebbero in grado di gestire autonomamente.

Altra deleteria rivendicazione dei tecnici e degli operatori, oltre che degli amministratori, riguarda la definizione di persone a «rischio sociale». Al riguardo sarebbe molto più giusto parlare di amministratori, di tecnici e di opera­tori «rischio», purché questa valutazione di­scenda da dati oggettivi controllabili (delibere sbagliate, interventi falliti, ecc.).

Altro aspetto preoccupante è quello di consi­derare il settore assistenziale come un conteni­tore al quale devono confluire le persone rifiu­tate dalla sanità, dalla scuola, dalla formazione professionale, dal lavoro, dagli altri settori di intervento sociale.

Ciò premesso ci sembra di dover osservare che, mentre i servizi pubblici possono avere le due caratteristiche sopra enunciate (specificità e globalità), gli enti privati, comprese le coope­rative, gestiscono solo questo o quel servizio specifico (comunità alloggio, aiuto domiciliare).

Va anche detto che alcuni servizi non debbono essere gestiti dai privati, cooperative comprese. Si pensi ai servizi di assistenza economica, alle attività dirette alla selezione delle famiglie adot­tive e affidatarie, alla vigilanza degli istituti di ricovero.

Da quanto finora esposto risulta evidente, ad avviso del CSA, che le possibilità effettive di intervento delle cooperative nel campo della lotta contro l'emarginazione, pur essendo molto importanti, sono estremamente limitate.

Le cooperative possono occupare spazi impor­tanti nel campo dell'assistenza; gestione di co­munità alloggio ad esempio, ma non possono certo sostituire il ruolo fondamentale che com­pete agli Enti pubblici.

Inoltre le cooperative possono svolgere un ruolo politico di promozione nel campo della lotta contro l'emarginazione, anche se va detto che finora non ci risulta che vi siano esperienze significative della cooperazione in questo set­tore.

Per quanto riguarda i servizi gestiti da coope­rative (ad esempio le comunità alloggio) occor­re tener conto che, mediante lo strumento della convenzione con l'ente pubblico, si stabilisce, per definizione, un accordo fra la cooperativa e l'ente pubblico.

A questo punto sorge un problema di fonda­mentale importanza: chi difende e difenderà i diritti della fascia più debole della popolazione per una effettiva prevenzione del bisogno assi­stenziale e per idonee prestazioni rivolte a co­loro che devono ricorrere all'assistenza?

Il CSA ritiene che a questa domanda occorra dare risposte fondate sulle esperienze concrete degli interventi effettuati e non sul dover essere.

Purtroppo - e ciò viene detto con profonda amarezza ma con realismo - il CSA non cono­sce esperienze di intervento di gruppi significa­tivi di operatori pubblici o di cooperatori nel campo della lotta contro l'emarginazione assi­stenziale, né significative esperienze di lotta all'emarginazione assunte autonomamente dalle istituzioni (Regioni, Comuni, USSL, Province, ecc.).

In sintesi il CSA ritiene che da un lato sarà inarrestabile l'occupazione di nuovi spazi opera­tivi nel campo dell'assistenza da parte di coope­rative di operatori (e più volte il CSA ha colla­borato per l'istituzione di queste cooperative), d'altro lato il CSA teme le seguenti conseguen­ze: da un lato una caduta di attenzione nei con­fronti delle attività di competenza degli enti pub­blici, dall'altro lato un'alleanza fra enti pubblici e cooperative di operatori che isoli la fascia più debole della popolazione ed in particolare coloro che non hanno concrete capacità di autodifesa.

Lo sviluppo delle cooperative di operatori è un fatto indubbiamente positivo per gli operatori stessi e per le istituzioni; la stipulazione di con­venzioni fra gli enti pubblici e le cooperative è, inoltre, la concretizzazione di un rapporto colla­borativo.

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Prima di concludere, ci sembra di dover pre­sentare un altro problema.

Va ricordato - e questo fatto ad avviso del CSA è della massima importanza - che nel 1962 molti erano coloro che richiedevano l'adegua­mento quantitativo e qualitativo del personale addetto agli istituti di ricovero di minori. Se ciò fosse stato attuato, sarebbe poi stato molto dif­ficile procedere alla deistituzionalizzazione dei minori che sono passati dai 210 mila di allora ai 50-60 mila di oggi. Infatti sarebbe stato ben difficile chiedere al personale di collaborare alla deistituzionalizzazione dei minori e pertanto an­che alla soppressione di posti di lavoro.

I movimenti di base invece puntarono su tre obiettivi:

- sottrazione dalle funzioni assistenziali di interventi di competenza di altri settori: ad esem­pio asili nido (settore scolastico anche al fine di favorirne l'unificazione con la scuola mater­na); soggiorni (settore tempo libero in modo da passare da attività riservate agli assistiti ad ini­ziative di turismo sociale). A questo riguardo sono molto negative le convenzioni stipulate da cooperative (o da altri enti) per attività che non dovrebbero invece avere nessun carattere assi­stenziale quali: il recupero scolastico, i labora­tori di quartiere per i cosiddetti giovani a ri­schio;

- deprofessionalizzazione di una serie di in­terventi (in particolare il ricovero in istituto), interventi fino ad allora affidati a personale spe­cializzato o che si voleva specializzare;

- massima professionalizzazione possibile de­gli operatori, in primo luogo di quelli impegnati nei servizi alternativi al ricovero.

Fra gli interventi «deprofessionalizzati», va­lidissimi per l'utenza se attuati in modo corret­to, si citano l'adozione, l'affidamento educativo di minori, l'inserimento di handicappati adulti e di anziani presso famiglie e persone singole, la spedalizzazione a domicilio.

Fra gli interventi «deprofessionalizzati» ci sono inoltre tutti quelli sostenuti dalle famiglie nei riguardi dei loro congiunti, il volontariato gestionale (compreso quello di vicinato, molto efficace ed estesissimo) e il volontariato promo­zionale. A questo riguardo si ricorda che i nuovi utenti dell'assistenza non sono né saranno mai in grado né di autogestirsi, né di far valere i pro­pri diritti e spesso nemmeno di segnalare le pro­prie esigenze.

Occorre pertanto, fin da ora, fare attenzione che non vengano istituiti servizi che hanno pre­minentemente lo scopo di dare lavoro ai coope­ratori e non quello di soddisfare le esigenze dell'utenza.

Ciò avviene, ad esempio, quando in una zona si istituisce una comunità alloggio e non si fa nulla per attuare il servizio di affidamento fami­liare a scopo educativo.

Infine si segnala che nel campo degli interven­ti agli anziani, che pur costituiscono il problema più grave e più numeroso del settore assisten­ziale, scarsissime sono le iniziative della coope­razione. Le poche esistenti riguardano quasi sem­pre solo l'assistenza domiciliare.

 

 

 

(*) Relazione presentata dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base al Convegno «Enti lo­cali e cooperazione nei servizi socio-assistenziali» orga­nizzato da Regione Piemonte, Provincia e Comune di To­rino, svoltosi a Torino il 21, 22 e 23 febbraio 1985.

(1) Cfr. l'editoriale di questo numero.

 

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