Prospettive assistenziali, n. 72, ottobre - dicembre 1985
Libri
H. GMEINER, Impressioni, riflessioni, confessioni, Casa Editrice dei Villaggi
SOS, Innsbruck, 1983, pp. 102, senza indicazione di
prezzo.
È certo che l'Autore non ha né dubbi, né critiche
circa la funzionalità dei Villaggi SOS - presenti in
più parti del mondo - come soluzione da proporre in risposta al bisogno del
bambino rimasto orfano, di avere una famiglia.
Il suo è di fatto un
libro-propaganda: non traspaiono né problemi, né difficoltà di alcun genere.
Tutti sono felici e non si chiede nulla di meglio!
Ma proprio questa «perfezione» fa pensare, e molto,
su queste iniziative che, a quanto pare, godono di
molta popolarità sia tra la gente comune, che tra i governanti.
I Villaggi SOS sono degli istituti. Moderni, bene organizzati, forse, ma sempre e solo istituti e, come
tali, non possono che essere fonte di emarginazione (1).
Benché abbiano avuto un loro significato nel lontano
1949, quando sono sorti, non si può non tenere conto che, da allora, molte cose
in campo assistenziale siano cambiate. Inoltre i numerosi studi sia psicologici che sociologici degli
ultimi decenni, hanno ampiamente dimostrato quanto sia dannoso, per lo sviluppo
della personalità del bambino, proprio il ricorso all'istituzione totale come
risposta al suo bisogno derivante dalla mancanza della famiglia.
In tal senso già altre critiche erano state mosse in
passato ai Villaggi SOS dall'Union Internationale
de Protection de l'Enfance,
organismo con voto consultivo presso le Nazioni Unite (2). Ma la logica
retrograda che guida l'Autore e i suoi seguaci si riscontra
tuttora perché è incredibile (o assurdo?) che in un testo dedicato ai bambini
orfani ed abbandonati non si parli mai di adozione, affidamento famigliare,
aiuto alla famiglia d'origine, prevenzione..., ma solo ed esclusivamente di «un
surrogato di famiglia», così come viene definita dall'Autore stesso la «madre»
(anche questa fittizia) del villaggio, da offrire al bambino solo.
Ma come mai, allora, i Villaggi SOS hanno così tanto successo?
La risposta è abbastanza semplice.
I Villaggi SOS rispondono innanzitutto
alla logica del perbenismo di chi si sente appagato con un semplice contributo
in soldi, che non richiede impegno in prima persona, ma una delega ad altri.
Non a caso si punta sulla pietà tanto della gente
comune, che dei grandi signori o addirittura delle principesse!
Inoltre, per i governi locali, è molto più facile
realizzare un villaggio SOS, piuttosto che promuovere la costruzione di case,
asili, scuole... o altre forme di intervento necessarie
per proteggere l'infanzia.
I Villaggi SOS non hanno apportato alcun aggiornamento
alla loro azione e perciò essi rappresentano oggi un freno per chi si batte
nel campo delle istituzioni per migliorarne la politica
e i programmi ed un danno enorme per i bambini orfani.
MARIAGRAZIA BREDA
(1) Per la precisione si tratta di
ghetti di lusso formati da 10-20 casette, che sorgono in posti di periferia, in
ognuna delle quali vivono circa 10 bambini con una donna, chiamata «mamma». Il
direttore del villaggio svolge il ruolo (!) di padre per tutti.
(2) In particolare nel n. 107
(maggio-giugno 1964) di «Informations», rivista della
suddetta Unione, il Segretario generale Dr. Mulock Houwer, affermava: «Ciò
che mi colpisce nella lettura delle pubblicazioni dei villaggi
SOS è il modo di scrivere e cioè una propaganda che idealizza Gmeiner e che non fa mai riferimento ai problemi reali dei
villaggi: viene infatti ripetuto soprattutto che tutto va benissimo, che queste
istituzioni sono la formula più economica e migliore delle altre. Tutto ciò è
favorito da immagini meravigliose piene di sole e di cielo blu. È certamente
un eccellente materiale per convincere l'uomo della strada che tutto ciò è il
risultato della sua quota di poche lire versata ogni mese ai villaggi SOS. In
realtà coloro che lavorano in istituzioni per minori
sono confrontati con problemi che li portano a una critica personale
costruttiva, ma ciò non esiste nelle pubblicazioni SOS».
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