Prospettive assistenziali, n. 72, ottobre - dicembre 1985
Editoriale
UN
DECRETO PER L'EMARGINAZIONE DI MASSA DEI PIÙ DEBOLI
L'8 agosto 1985 (Gazzetta ufficiale del
14-81985), il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato un decreto
amministrativo denominato «Atto di indirizzo e di
coordinamento alle Regioni e alle Province autonome in materia di attività di
rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali», che riportiamo
integralmente in questo numero.
Il decreto è stato assunto per dare
attuazione all'art. 30 della legge 27 dicembre 1983 n. 730, il quale recita
quanto segue: «Per l'esercizio delle
proprie competenze nelle attività di tipo socioassistenziale,
gli enti locali e le regioni possono avvalersi, in tutto o in parte, delle
unità sanitarie locali, facendosi completamente carico del relativo
finanziamento. Sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle
attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali.
Le unità sanitarie locali tengono separata contabilità per le funzioni di tipo
socio-assistenziale ad esse delegate».
La regolamentazione avrebbe dovuto
quindi riguardare i rapporti finanziari fra la sanità e l'assistenza per le
attività in cui intervengono contemporaneamente i due settori.
Invece, il decreto ha lo scopo
preciso (cfr. l'art. 6) di trasferire
dal settore sanitario al settore socio-assistenziale la competenza ad intervenire
nei confronti di un'altissima quota di cittadini handicappati, di malati
mentali, di tossicodipendenti e nei riguardi di tutti gli anziani cronici non
autosufficienti.
Il Presidente del Consiglio dei
Ministri, anche a seguito delle richieste avanzate dal Consiglio sanitario
nazionale (1), ha travalicato - a nostro avviso - le sue competenze
istituzionali, stabilendo principi fortemente
innovatori, la cui definizione spetta esclusivamente al Parlamento.
L'art. 6 del decreto in oggetto
stabilisce infatti che la competenza ad intervenire nei confronti
delle persone ricoverate in case protette «comunque
denominate» è del settore socio-assistenziale, che deve pertanto
predisporre strutture, personale e provvedere ai finanziamenti (2).
In sostanza il DPCM crea due campi nettamente distinti:
- quello
sanitario per la prevenzione, cura e riabilitazione delle malattie acute;
- quello
socio-assistenziale per la segregazione delle persone espulse dalla sanità.
Nessuna norma stabilisce chi può essere ricoverato nelle strutture protette,
né indica quali sono i diritti e doveri degli utenti e degli enti pubblici e
privati che le gestiscono.
È evidente, a nostro avviso, che in
dette strutture verranno rinchiusi i più deboli e
cioè in primo luogo gli anziani cronici non autosufficienti, gli insufficienti
mentali gravi e gravissimi ed i malati mentali ed i tossicodipendenti non in
grado di provvedere autonomamente a loro stessi.
Anzi, è prevedibile che la sanità
tenderà a scaricare al settore assistenziale il
maggior numero possibile di utenti, incentivando al massimo il processo,
purtroppo già in atto, di cronicizzazione dei più indifesi.
Ciò conviene, infatti, sia agli
amministratori (la sanità è gratuita e l'assistenza viene
pagata dagli utenti e spesso anche dai parenti tenuti agli alimenti), sia agli
operatori (i cronici richiedono un impegno lavorativo di gran lunga superiore
a quello necessario per gli acuti).
Un rilancio delle case
di riposo
Come abbiamo
già riferito, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
dell'8-8-1985 era stato sollecitato dal Consiglio sanitario nazionale con un
documento approvato in data 8-61984.
In detto documento, molto
disinvoltamente, viene precisato quanto segue: «Appare necessario che, nel transitorio,
sia per l'inadeguatezza dei servizi sanitari sul territorio, che non possono farsi carico in maniera completa del problema, sia
perché storicamente il non autosufficiente è stato ricoverato e assistito in
ambito ospedaliero, la spesa relativa al ricovero in casa protetta o struttura
similare di persone non autosufficienti carichi parzialmente (fino al massimo
del 50%) sul fondo sanitario nazionale ai fini di determinare la correlativa
riduzione della spesa ospedaliera».
In sintesi, il documento del
Consiglio sanitario precisa che:
1) storicamente i non
autosufficienti sono stati finora ricoverati o assistiti in ambito ospedaliero
o para-ospedaliero e quindi gratuitamente ai sensi della legge 833/1978;
2) i non autosufficienti vanno
espulsi dal settore sanitario non perché siano intervenuti provvedimenti
legislativi al riguardo, ma unicamente per ridurre la spesa sanitaria;
3) la spesa
sanitaria si riduce del 100% (se paga tutto l'utente), al 50% (se la sanità
contribuisce con la percentuale massima ammessa);
4) la spesa a carico dell'utente (se
la competenza non è più della sanità) arriva fino a 25-30 mila lire al giorno ed anche più nei casi in cui la sanità coprirà
meno del 50% delle spese di competenza dell'assistenza.
L'art. 6 del decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri riguarda le «strutture protette comunque denominate».
Pertanto i ricoveri saranno soprattutto praticati da
case di riposo.
Al riguardo va detto che:
1) le strutture riservate esclusivamente
ai più deboli, salvo casi del tutto eccezionali, hanno sempre ed ovunque avuto
livelli di funzionamento molto scadenti. Non vi è alcuna ragione plausibile
per ritenere che tale situazione possa essere modificata. Ne consegue che, per
evitare ogni forma di emarginazione, dovrebbero essere
superate al più presto tutte le strutture riservate ai più deboli (anziani
cronici, in primo luogo);
2) le case di riposo non sono
autorizzate dalle leggi vigenti a svolgere attività sanitaria. Si noti che
l'art. 6 del DPCM dell'8-8-1985 attribuisce al settore assistenziale
le competenze ad intervenire in merito alla «cura
degli anziani, limitatamente agli stati morbosi curabili a domicilio»,
senza nemmeno escludere le situazioni di acuzie;
3) non vi sono disposizioni di legge
nazionali o regionali che stabiliscano la preparazione professionale minima richiesta
per gli addetti, per cui, al limite, tutto il
personale direttivo ed esecutivo delle case di riposo può essere costituito da
analfabeti;
4) non vi sono leggi nazionali o
regionali che definiscano i requisiti minimi per le case di riposo: ubicazione
e utilizzo dei servizi del territorio, capienza massima dell'istituto, numero massimo dei posti letto per camera, tipo e dislocazione dei
servizi interni, metri quadrati e aperture esterne rispetto alla cubatura dei
locali. Le case di riposo sono generalmente autorizzate a funzionare in base
alle norme vigenti sugli alberghi. Va tenuto presente
che, quando un locale ha servizi scadenti, può essere aperto come locanda. Per
questo motivo, moltissime sono le case di riposo di infimo
livello che possono funzionare essendo state classificate appunto come
locande;
5) rarissime sono le case di riposo
in regola con le norme relative alla prevenzione ed
estinzione degli incendi e con le disposizioni anti-infortunistiche;
6) quasi mai le case di riposo
rispettano le disposizioni di legge riguardanti la richiesta (obbligatoria) di intervento della magistratura per la nomina dei tutori e
curatori per le persone incapaci. Anzi, vi possono essere dirigenti di case di
riposo che approfittano della situazione di dipendenza
degli anziani e, a volte, anche delle loro non limpide condizioni psichiche per
carpire la stipula di vitalizi e di altri contratti in modo da entrare in
possesso dei beni degli assistiti;
7) insufficienti e spesso inesistenti
sono il controllo e la vigilanza sugli istituti pubblici e privati di assistenza agli anziani, attività di competenza delle
Regioni e degli Enti locali. Ne consegue che non sono
rare le violenze subite dagli utenti (3);
8) l'assenza o l'insufficienza della
vigilanza ha consentito e consente la dispersione o il distorto utilizzo dei
patrimoni delle 9 mila IPAB (Istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza) esistenti in Italia, i cui beni sono valutabili in 30-40 mila
miliardi di lire. Inoltre vi sono IPAB che conservano
la destinazione speculativa dei propri patrimoni, spesso ingenti, pur gestendo
strutture e attrezzature scadenti per i propri assistiti;
9) una grave conseguenza della vita
in case di riposo è l'auto-emarginazione degli anziani ricoverati. Nella
maggior parte dei casi essi si chiudono in loro stessi, rifiutano gli altri,
non si interessano più a nulla, litigano con gli altri
ospiti e con il personale per motivi futili. Non sono rari i suicidi.
E
i servizi alternativi?
L'art. 30 della legge 27 dicembre
1983 n. 730, sopra riportato, riguardava tutte le «attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali».
Il DPCM si riferisce soltanto alle case protette, tralasciando tutti i servizi alternativi, come ad esempio gli interventi
socio-assistenziali e sanitari relativi alle adozioni, agli affidamenti a
scopo educativo di minori, agli inserimenti familiari di handicappati adulti e
di anziani, alle comunità alloggio di minori, di adulti, di anziani, ai centri
socio-educativo-terapeutici per gli handicappati.
L'esclusione dei servizi alternativi
ha lo scopo di rilanciare i ricoveri in istituto?
Purtroppo sembra proprio di sì.
Strutture per gli
anziani non autosufficienti
Come abbiamo
ripetuto più volte, in base alle leggi vigenti, le strutture per gli anziani
cronici non autosufficienti devono essere istituite e gestite esclusivamente dal
settore sanitario e non da quello assistenziale.
La gestione da parte della sanità
consente di realizzare il collegamento - di fondamentale importanza - fra la
fase acuta e quella cronica, fase in cui spesso si
manifestano episodi di riacutizzazione.
Qualora non sia attuabile
l'ospedalizzazione a domicilio (4), i posti letto
residenziali possono essere previsti:
- preferibilmente in apposite camere dei normali reparti ospedalieri, in
particolare delle medicine generali;
- in strutture a sé stanti, suddivise
in settori di 20-25 posti letto al massimo, organicamente collegati con i
reparti ospedalieri che ne dispongono le ammissioni. Ciascun settore dovrebbe essere gestito dal personale del reparto
ospedaliero di riferimento (primario, aiuto, assistenti, infermieri, inservienti,
ecc.).
Con le soluzioni sopra ipotizzate, si garantirebbe ai pazienti la continuità terapeutica e al
personale la rotazione dai reparti per cronici a quelli per acuti.
Inoltre il settore sanitario, non
potendo più «scaricare» i cronici ad altri (e cioè al
settore dell'assistenza sociale), sarebbe incentivato ad attuare gli interventi
diretti ad assicurare la prevenzione, la cura e la riabilitazione al fine di
consentire ai pazienti la massima autonomia possibile.
La progettazione ed organizzazione
degli ospedali dovrebbe essere incentrata sul
miglioramento dei livelli di vita dei pazienti acuti e cronici e delle
condizioni di lavoro di tutto il personale.
Altre strutture sanitarie potrebbero
essere costituite - specialmente nelle zone con popolazione
dispersa - da piccole comunità, in modo da consentire rapporti proficui dei
pazienti con il proprio territorio di appartenenza (parenti, amici, ecc.).
Le richieste delle
case di riposo
Al fine di suffragare con i fatti le
nostre tesi, riportiamo la mozione approvata a larga maggioranza
al termine dei lavori del convegno di Selvino (Bergamo) «Case di riposo: quale futuro?» (4-5 ottobre 1985). Tale mozione ha lo
scopo di garantire agli istituti la vasta clientela rappresentata dai non
autosufficienti, poco importa se anziani, adulti o minori. Non si fa
cenno, invece, né alla prevenzione, né al diritto alle cure
sanitarie.
Ecco il testo:
Gli
Amministratori ed Operatori delle strutture pubbliche
operanti nel campo dell'assistenza all'anziano presenti al Convegno;
PRESO
ATTO che dai lavori del convegno e dalle conclusioni dei chiarissimi relatori è
emerso, senza ombra di dubbio, che le strutture attualmente
esistenti, siano esse chiamate case di riposo, ricovero o altro, saranno in un
immediato futuro preposte, pressoché esclusivamente, a prestare assistenza
anche di rilievo sanitario ad ospiti non autosufficienti che costituiscono la
maggioranza degli utenti;
DATO
ATTO che la realtà di tali strutture è per la gran parte non idonea o
quantomeno carente a fronte di tali nuovi e più
specializzati compiti cui vengono ad essere chiamate;
ATTESO
che il reale futuro delle case di riposo sta in una
rapida riconversione che le ponga in grado di rispondere ad una precisa e
diversa domanda dell'utente;
VISTO
che le normative vigenti sono del tutto inadeguate
anche per la totale latitanza dell'ormai troppo discussa e non ancora
approvata legge di riforma dell'assistenza, nella stesura della quale si
dovrebbe tener conto della nuova realtà di utenza demandata a tali istituzioni;
RILEVATO
che il decreto del Presidente del Consiglio 8-8-1985 prevede una
integrazione tra prestazioni assistenziali e quelle di rilievo sanitario;
CHIEDONO
-
che il Governo adotti tutti gli opportuni provvedimenti perché le Regioni -
qualora già non l'avessero fatto - legiferino con sollecitudine sulla materia
del citato decreto riconsiderandosi, ovviamente, da parte del Governo stesso i
limiti statuiti nella emananda
legge finanziaria;
-
che venga rapidamente concluso l'annoso iter della
legge di riforma dell'assistenza, beninteso adeguandola, per i punti già
concordati a livello politico, alla nuova realtà delle case di riposo;
-
che si consideri come il ricovero dei non
autosufficienti in strutture alternative a quella ospedaliera costituisca un
notevole risparmio per la collettività e che la maggiore specializzazione ad
esse conseguentemente richiesta, sarà fonte di maggiore occupazione per diverse
figure professionali;
FANNO VOTI
affinché
le su estese richieste vengano attentamente
considerate dalle autorità preposte, in quanto esse hanno fondamento sulla
necessità di una maggior tutela di una categoria di per sé già debole e
riflettono lo stato di disagio degli Amministratori che si trovano costretti a
rispondere a sempre più pressanti richieste senza poter disporre di mezzi
adeguati.
La mozione è stata presentata dai
Presidenti delle case di riposo di Castiglione delle Stiviere e di Chieti, dai delegati delle case di riposo di Bisignano e di Borgofranco sul
Po, dai delegato all'assistenza del Comune di Bisignano, dai componenti dei Comitati di gestione delle
USL di Ostuni e di Vercelli, dall'Assessore alla
sanità di Ortona e dal Segretario regionale CISL Funzione
pubblica dell'Abruzzo.
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* *
Le persone impegnate non possono
restare con le mani in mano di fronte alla prospettiva di una vastissima area
di contenimento delle persone croniche e
cronicizzate.
Sono in gioco diritti fondamentali delle persone.
Più si aspetta
e più gravi saranno le conseguenze e più difficile sarà la lotta per ottenere
il rispetto dei diritti dei cittadini più deboli.
In particolare sarebbero auspicabili
l'estensione, ovunque possibile, della campagna per la difesa del diritto
degli anziani malati cronici non autosufficienti e la promozione
di servizi relativi all'ospedalizzazione a domicilio.
(1) Cfr. «Documento del Consiglio sanitario
nazionale sui rapporti fra sanità e assistenza», in Prospettive assistenziali, n. 68, ottobre-dicembre 1984. Il
documento è commentato nell'editoriale dello stesso numero.
(2) Si osservi che,
mentre è previsto che il Servizio sanitario nazionale scarichi decine di
migliaia di utenti (se non alcune centinaia di migliaia), al settore socio-assistenziale
non vengono forniti né il personale necessario, né i finanziamenti occorrenti.
Si può pertanto ritenere che per coprire le spese di gestione verranno richiesti forti contributi ai pazienti ed ai
parenti.
(3) Cfr. «Operatori di una casa di riposo sotto processo: la
sentenza di Mestre», in Prospettive assistenziali, n. 64, ottobre-dicembre 1983; «Ancora
sentenze di condanna di operatori assistenziali», ibidem, n. 67, luglio-settembre 1984.
(4) «Progetto
sperimentale di ospedalizzazione a domicilio», in Prospettive assistenziali, n. 69, gennaio-marzo 1985.
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