Prospettive assistenziali, n. 72, ottobre - dicembre 1985
UN SIGNIFICATIVO DOCUMENTO DELL'EPISCOPATO FRANCESE SULLA
POVERTÀ
La Commissione sociale dell'episcopato francese ha
reso pubblico, in data 27 settembre 1984, un importante documento sulla povertà
di cui abbiamo ritenuto opportuno riportare le parti salienti (1). In questa
nota introduttiva, ci sembra il caso di far notare come anche in Francia, e non
solo da noi, si verifichi con una preoccupante
frequenza il passaggio da uno status finanziario e sociale accettabile ad una
situazione di miseria economica e di emarginazione.
È il caso, ad esempio, di parenti di persone anziane
croniche non autosufficienti dimesse dagli ospedali, costretti a pagare rette
da capogiro e quindi obbligati a utilizzare tutti i
risparmi e tutte le disponibilità economiche. Gli esempi di Elsa
Morante e di Riccardo Bacchelli sono illuminanti.
È interesse di tutti, perciò, impedire che eventi
imprevisti ed imprevedibili possano determinare condizioni di vita
inaccettabili. A nostro avviso, la creazione di associazioni
di mutua difesa (di cui in questo numero riportiamo una bozza di statuto), può
essere uno strumento utile.
Resta tuttavia prioritaria - e ciò é lapalissiano -
l'esigenza di interventi diretti alla rimozione delle
cause che provocano disadattamento, disoccupazione, carenze abitative, vuoti
culturali, ecc. In definitiva, è necessario lavorare per una nuova e diversa
qualità della vita che assicuri ai più deboli almeno condizioni per una esistenza
accettabile.
Ed è possibile ottenere queste cose attraverso appelli
generici, anche se provenienti da fonti indubbiamente autorevoli?
Crediamo di no. Riteniamo
invece che per elevare le condizioni dei più deboli occorra smantellare
privilegi, non solo quelli evidenti dei più forti. Ad esempio, fautori della
disoccupazione sono anche quei lavoratori che praticano il doppio lavoro,
sostenitori dell'emarginazione sono anche i genitori che non accettano che gli
handicappati siano inseriti nella classe frequentata dai loro figli «normodotati».
TESTO
DEL DOCUMENTO
«Oggi in Francia c'è la fame!».
Un grido, che sorprende. E nondimeno... dal 9 gennaio al 29 febbraio 1984 i
soli «straccivendoli» di Emmaus
hanno distribuito 12.000 pasti nelle strade di Parigi.
Ecco dunque che la povertà è di
ritorno. Realmente.
La si credeva in via di sparizione. Trent'anni
di continua crescita economica hanno nutrito certe illusioni: l'abbondanza
generalizzata avrebbe dovuto, si pensava, mettere fine alle differenze e alle
ingiustizie sociali e creare una estesa classe media
per la quale la povertà non sarebbe stata che un eccezionale incidente,
trattato come tale. Una parte considerevole, e ogni anno più rilevante, delle
risorse nazionali sarebbe stata dedicata alla protezione sociale.
Questo esiste tuttora; e, tuttavia, la povertà
persiste. Peggio: aumenta. A partire dal 1976, la
crisi economica ha fatto emergere ondate crescenti di «nuovi poveri».
Convinti che «l'avvenire non è abbandonato alla
fatalità», i vescovi membri della Commissione
sociale dell'episcopato, appoggiandosi sulla testimonianza di tutti coloro che oggi incontrano i poveri e spesso vivono con
loro, e sulla testimonianza dei poveri stessi, ancora una volta vogliono
tracciare una via di speranza, perché anche ai nostri giorni la buona novella
sia annunciata ai poveri.
Ricercando le cause profonde e immediate della
povertà, essi si indirizzano, da parte loro, nel nome
della giustizia di Dio, ai membri delle comunità cristiane e a tutti coloro che
condividono la loro preoccupazione. Propongono loro di ristabilire o di
stabilire con i poveri immediati ma essenziali legami di solidarietà.
Evidentemente gli autori di questo appello
sono consapevoli che attualmente infieriscono molte povertà, oltre quella
economica; che le cause dell'attuale ondata e gli strumenti per porvi rimedio
sono, tra altri, di tipo economico e culturale; che sono assolutamente gli
unici a denunciare questa situazione.
Molto consapevolmente, essi hanno scelto di fare
alcune proposte riguardanti gli atteggiamenti e le azioni che ad essi sono sembrate facilmente realizzabili da parte di
tutti e a favore di tutti. Essi sono consapevoli che, operando in questo modo,
rispondono a un appello e a un'iniziativa di Dio
stessa.
I.
La precarietà aumenta
I segni di una povertà che va emergendo
Da ogni parte, responsabili degli uffici di aiuto sociale, assistenti sociali, rappresentanti permanenti
e volontari di diverse associazioni o di organizzazioni caritative mettono in
allarme l'opinione pubblica: il dramma della povertà risorge in maniera acuta.
Lo vedono da certi segni: le richieste di aiuto, ivi compreso l'aiuto alimentare, si moltiplicano.
Le casse di sussidio familiare devono far fronte a domande di prestiti e di
soccorso eccezionali che giungono da parte di categorie sociali che, fino a
quel momento, non vi erano state costrette. Le Commissioni tecniche di orientamento e di riorganizzazione professionale (COTOREP) registrano l'afflusso di dossiers
riguardanti disoccupati da lungo tempo in attesa dei sussidi per adulti
handicappati. Il fondo sociale dell'ASSEDIC è sempre
più sollecitato dalle richieste di coloro che domandano
impiego e che non hanno più diritti assistenziali. Gli organismi di gestione
dell'HLM hanno affrontato il problema dell'aumento
del numero degli affitti non pagati. Alcuni handicappati
giungono a reclamare, a buon diritto, i loro sussidi che non arrivano alle date
previste.
Questi uomini e queste donne che, con le loro nuove
richieste, si presentano agli sportelli dei servizi sociali o ai rappresentanti
delle organizzazioni caritative, vengono ad accrescere
il numero dei poveri più «tradizionali». Si aggiungono così, per esempio, ai
vagabondi, ai mendicanti, agli immigrati, alla «gente senza fissa dimora», alle
famiglie del quarto mondo, o alle persone anziane o handicappate che, grazie
alla medicina, beneficiano di un prolungamento della vita, ma non ricevono in
pari misura di che assicurarsi l'indispensabile. O ancora, in certe regioni, ai
piccoli agricoltori, agli aiutanti domestici o ai salariati
agricoli e un po' dovunque agli «smarriti» ai quali le strutture della nostra
società e la lentezza burocratica tolgono ogni possibilità di reazione o di
responsabilità.
«Francesi
di ceto medio» precipitano
Se si parla di «nuovi poveri» a proposito di tutti coloro che vengono a ingrossare le fila di quelli che
chiedono aiuto, non è perché la povertà sia fondamentalmente mutata. No. Resta
identica a se stessa, insopportabile e degradante.
Ma ciò che sembra nuovo, è che raggiunge dei «francesi
di ceto medio».
Il Secours catholique descrive così le persone colpite dalla
povertà (Messages, maggio 1984): «Il povero
resta per l'essenziale un francese. Stabile nel quartiere,
specie se in ambiente urbano, ma anche in campagna. Uno su due vive in coppia,
uno su quattro è una donna sola con bambini e uno su quattro è solo: cioè celibe, ma talvolta anche "stagionale" o
nomade. Nella loro maggioranza si tratta di giovani adulti di
età inferiore ai 40 anni (63%)».
Più frequentemente la situazione di questi nuovi
poveri è il risultato di brutali cadute: vivendo in condizioni di precarietà,
di vulnerabilità in relazione a ogni caduta del loro
potere d'acquisto, non disponendo di alcun margine sia che si tratti di
denaro, di salute, di relazioni o di possibilità diverse, il minimo choc -
mancanza di lavoro, malattia, ritardi e blocchi amministrativi, rotture
familiari... - li fa precipitare nella spirale inestricabile della povertà.
Entrano così in un ciclo di dipendenza, di insicurezza,
di isolamento e rischiano di perdere ogni capacità di autonomia e ogni
partecipazione alla vita sociale.
Una
precarietà massiccia
Altro fatto nuovo nell'attuale situazione: il carattere
massiccio e fortemente diversificato dei fenomeni di
precarietà. E con una duplice difficoltà, come
corollario: quella di accerchiare e di prevenire le fratture che fanno cadere
nella disperazione e quella di trovare le soluzioni adeguate.
La crisi economica moltiplica i rischi; le famiglie
in misura sempre maggiore sono colpite. È sufficiente, per esempio, pensare ai
problemi dell'edilizia e dei lavori pubblici o alle riorganizzazioni aziendali
per comprendere che le ripercussioni umane di questi problemi non riguardano
solo casi individuali, ma anche settori di popolazione
per i quali il lavoro industriale ha presentato il principale elemento di
coesione e di sicurezza.
In questo contesto, le
politiche sociali tradizionali, formulate in periodi di sviluppo per affrontare
le difficoltà secondo regole e procedure codificate in maniera verticale
(famiglia, malattia, incidenti di lavoro, invalidità, vecchiaia, disoccupazione,
handicappati...), non sono più in grado di rispondere alle nuove situazioni. Se
qualche categoria sociale sembra particolarmente esposta in quanto mal protetta dal sistema sociale, come le donne
capofamiglia, i disoccupati di lungo periodo, gli invalidi non riconosciuti
come tali, le famiglie a reddito molto basso..., i nuovi poveri tuttavia non
costituiscono raggruppamenti sociali ben identificabili. Comunque,
è possibile scovarne spesso in certi tipi di alloggio in cui sono raccolti e
che riflettono la loro povertà (cfr. fine del paragrafo IV di questo
documento e il recente dossier di Secours catholique «E anche abitare»).
Ora, l'ampiezza del fenomeno e il suo carattere
collettivo svelano dunque oggi la vera natura, per lungo tempo celata, della
povertà, si tratti di povertà tradizionale, che spesso
è povertà estrema e miseria, o delle «nuove povertà». Il problema è sapere se i
«nuovi poveri» di oggi, nella misura in cui i diversi
settori della loro vita sono colpiti, non si avviino a diventare i poveri
«tradizionali» di domani. La povertà non può più essere considerata come un
fenomeno marginale permanente di esclusiva competenza
dell'aiuto o dell'assistenza pubblica o privata.
Essa colpisce ora il tessuto stesso della società e minaccia la sua coesione. Fa meglio discernere
le esigenze etiche fondamentali di giustizia, di responsabilità e di
solidarietà che devono stare alla base di una nazione democratica.
È per questo che si parla di «solidarietà nazionale», come la
cerniera dell'economico e del sociale. Il problema della povertà interroga
tutta la nazione.
II.
Le solidarietà smarrite
Perché tanti uomini e donne, tante famiglie oggi si
trovano in situazioni tanto precarie da precipitare nella povertà al minimo
incidente?
Le cause di questa precarietà massiccia sono diverse
e interferiscono in maniera complessa. Non si tratta qui di organizzarle in
sistema. Tuttavia preme nominarne qualcuna quanto meno
per «defatalizzare» la povertà.
Un
produttivismo sfrenato
Talune cause sono profonde e antiche come radici:
nutrono in maniera più o meno consapevole le
mentalità e i comportamenti abituali, individuali e collettivi, di cui la crisi
economica rivela il carattere dannoso. Così, i sistemi e le politiche che, da
lungo tempo, hanno sviluppato e privilegiato il produttivismo che considera lo sviluppo della produzione
come l'obiettivo della evoluzione sociale.
Messi fuori gioco dai circuiti di produzione, certi
individui o gruppi sociali vengono privati dei
vantaggi diretti e indiretti che vi si collegano. Essi conoscono allora la
precarietà economica e le sue conseguenze: è sempre più difficile per loro
partecipare alla vita sociale in una società che fa sempre più spazio al denaro
e sempre meno alle reti di relazioni primarie...
La stessa cosa è egualmente vera per certi popoli del terzo mondo. Il gruppo di lavoro «Nordsud» della Commissione generale del piano sottolinea
il rischio di una «marginalizzazione profonda»
attuata dall'economia mondiale nei riguardi di tutto ciò che, nel sud (cioè nei paesi in via di sviluppo) non serve gli interessi
dominanti di questa economia (cfr. anche
il discorso di Giovanni Paolo II
a Edmonton in Canada del 17 settembre 1984).
È necessario menzionare ancora:
- i sistemi educativi e taluni modi di funzionamento
aziendale che privilegiano quasi esclusivamente il
successo individuale e la competizione come regole del gioco;
- le correnti di pensiero
neo-pagano che proclamano il primato etico del potente sul debole, del grande
sul piccolo;
- l'attuale e ambigua rivalutazione
dell'individualismo come valore privilegiato di vita. L'«io» gioca un ruolo nuovo (vivere meglio,
occuparsi di se stessi, del proprio corpo, non invecchiare, cogliere il momento
presente) nel momento in cui il sociale e i progetti
collettivi sono svalutati. In questo caso sembra che si tratti di un comportamento
duraturo: non è una conseguenza della crisi economica, ma piuttosto del
funzionamento della società e specificamente dei modi di consumo.
La
crisi economica
Altre cause di precarietà massiccia sembrano legate
alla crisi più immediatamente economica. L'appello dei vescovi nel settembre
1982 «a nuovi modi di vita» sottolineava che «il
mondo d'oggi - e in modo particolare il terzo mondo - è destabilizzato dalla
competizione internazionale, la rivoluzione tecnologica e il disordine del sistema
monetario».
La rivoluzione tecnologica che sembra oggi di
un'altra natura-tanto si è già accelerato il ritmo
della sua evoluzione - dal 1950 al 1975 ha già provocato in Francia un grande
mutamento interno. Ha proiettato la metà dei contadini e degli agricoltori
verso le città industriali a prezzo di una pauperizzazione
e di una marginalizzazione degli agricoltori che non
sono riusciti a tenere il passo.
Alla maggior parte di coloro che
hanno dovuto abbandonare la campagna per la città è stato offerto un
minimo di garanzie sociali e di miglioramento del livello di vita, come compenso
delle solidarietà perdute fondate sulla famiglia, sul vicinato, su una storia e
una cultura comuni, ivi compresa, assai spesso, l'espressione religiosa.
Bisogna certamente guardarsi dall'idealizzare queste
solidarietà rurali. Tuttavia, come contropartita alle reali costrizioni che
imponevano all'individuo, esse giocavano, di fatto, un ruolo di naturale
protezione per coloro che da queste venivano legati.
C'è
un male dell'urbanizzazione
È evidente che l'urbanizzazione è positivamente
partecipe del maturare degli uomini, ma, essendo
cresciuta in maniera parallela all'industrializzazione, essa non favorisce
affatto, specie per le popolazioni più povere il costituirsi e il permanere di
quelle prime solidarietà che fanno in modo che ciascuno si senta, là dove vive,
contemporaneamente preso in una rete di rapporti e parte attiva di tale rete.
La città, è vero, «liberava» dai condizionamenti sociali del villaggio. In
città le condizioni di vita sono tali che, nonostante gli aiuti prestati, i
gesti più semplici diventano pesanti per coloro che sono
portatori di handicap fisico o sociale.
Taluni non riescono più a seguire il ritmo e si marginalizzano a poco a poco. Le difficoltà per trovare
alloggio - si tratti di accesso a un alloggio decente
per certe categorie sociali o si tratti di decisioni locali che tendono a
escludere dall'habitat sociale le famiglie con problemi - compromettono gli
equilibri umani già fragili. I legami familiari si allentano sotto la pressione
delle costrizioni e dell'usura quotidiana. Ci si perde di vista; si sa
confusamente che molte persone restano per strada, si è vagamente inquieti ma ci si rassicura: lo stato-provvidenza, da qualche
parte, veglia e prodiga per tutti, in nome di tutti, una solidarietà legale.
C'è un male dell'urbanizzazione: essa sviluppa
precisamente l'individualismo che abbiamo appena
rievocato.
Le
nuove fratture
Certo, la città produce solidarietà di ordine diverso e preziose:
quelle che si annodano sul lavoro o nella vita associativa e culturale. Ma proprio alcune di queste solidarietà sono in crisi. Il
lavoro, nella misura in cui si fa raro, è occasione e luogo di fratture. La
più grave è quella che si produce tra coloro che hanno
un impiego s colora che non hanno o che hanno un lavoro sempre più precario.
I primi si trovano spesso nei settori economici
protetti o ben coperti da uno statuto permanente. L'avvenire e la continuità sono loro assicurati; i diritti acquisiti, confermati,
difesi e allargati, spesso a spese di quelli che non possono organizzarsi o
farsi intendere.
I secondi si trovano in contesti
economici esposti: quelli delle piccole imprese o del lavoro temporaneo. Hanno
uno statuto professionale poco stabile o, quando si tratta di giovani, ancora
scarsam-ente definito. Hanno un «anticipo» troppo
scarso per ciò che riguarda la formazione tecnica o umana per fronteggiare la
situazione. In queste situazioni le organizzazioni sindacali sono
più rare e la loro azione è più difficile.
Le rigidità economiche e sociali che rischiano così di
spezzare in due il paese, sono generalmente tanto
protette e consolidate che ci si è potuto domandare se, di fatto, non
costituiscano «una sorta di tacito accordo tra tutti coloro che beneficiano
di uno stato acquisito, che rende possibile far ricadere tutto il peso delle
strettezze recenti, attraverso la disoccupazione, su una parte della
popolazione».
Tutta una rete di relazioni fondate sul lavoro si
scioglie sotto l'effetto della disoccupazione. Le certezze vengono meno: il
lavoro, per molti, non è più portatore di speranza. È proprio allora che
rischiano di venire crudelmente a mancare queste solidarietà primarie,
considerate meno necessarie in quanto si presumeva che la protezione sociale
tutelasse tutti i cittadini.
Alla prova della crisi in atto, anche questo sistema
di protezione sociale si rivela inadatto e in crisi. Concepito in tempi di
crescita economica, quando la disoccupazione non era considerata che come uno
stato provvisorio, è costruito per affrontare le difficoltà in maniera
settoriale e razionale, in funzione di questo o quell'aspetto
dell'avente diritto, e per gestire gruppi sociali ben
identificati.
Ora la situazione è inedita, sia per il grande numero di persone in difficoltà che per il ventaglio
di categorie colpite. In definitiva, considerando queste diverse cause, la
povertà di oggi, sia quella «nuova» che «tradizionale»,
appare sempre più chiaramente non come una fatalità e come il prezzo da
pagare per il progresso dell'umanità, ma come il risultato di un tipo di
relazioni sociali, accettate più o meno consapevolmente o no, per esigenze
economiche reali ma sacralizzate. E
ciò tanto più in quanto il peso della solidarietà è stato trasferito quasi
completamente allo Stato.
È contro questo stato di
fatto che si collocano le esigenze, gli appelli e le testimonianze della
tradizione ebraico-cristiana.
III. Un popolo di Dio solidale
I cristiani sono, in effetti, gli eredi spirituali
del popolo della Bibbia, che i profeti, in nome di Dio, hanno mantenuto attenti
a ciò che poteva nuocere alla loro coesione interna: la comparsa di gruppi di poveri favorita dallo sviluppo delle città e del
commercio.
Un'alleanza era stata conclusa
tra Dio e il suo popola. Egli sarebbe stato il loro Dio; avrebbe assicurato la
sopravvivenza di tutti al limite dell'impossibile; li avrebbe difesi contro i
loro nemici e li avrebbe condotti tutti, malgrado le
insidie, fino alla terra promessa.
Essi sarebbero stati il suo popolo; non avrebbero
adorato né servito altri dèi al di fuori di lui. La
legge concretizzava questa alleanza; prevedeva il
culto da rendere a Dio ma, con lo stesso atto, organizzava i rapporti sociali
in modo tale che nessuno nel popolo fosse nel bisogno. Il popolo riconosceva e
celebrava il suo Dio, tanto, se non di più, con la qualità dei rapporti sociali
che dovevano unire i suoi membri, quanto con il culto
che rendeva al suo Dio. D'altronde è questa una costante: «La rivelazione di
Dio nella storia si è sempre fatta in riferimento
all'organizzazione collettiva, alla regolazione dei rapporti sociali da cui
dipende la possibilità di vita per tutti».
Dio si faceva garante del fatto che i disgraziati o i
disagiati non fossero abbandonati. È per questo motivo che, nei diversi codici
dell'alleanza, lo straniero, la vedova e l'orfano giocavano
un ruolo simbolico. Dovevano essere oggetto della sollecitudine di ognuno.
Rappresentavano proprio tutti coloro che sono
sprovvisti e privati di ogni genere di relazione. Né
il popolo, né il loro Signore potevano lasciarli senza sostegno.
È in ciò che egli si è rivelato e si rivela come il Dio giusto: rifiuta di lasciare che i più
piccoli e i più vulnerabili del suo popolo si annientino umanamente lontani da
lui. È per questo che egli difende il diritto di tutti
alla dignità e alla solidarietà e il diritto di ciascuno di poter mettersi o
di rimettersi in piedi, di prendere il proprio avvenire in mano.
Ma il popolo è stato spesso infedele all'alleanza; è
stato incapace di organizzarsi da solo secondo la giustizia di Dio. I profeti
hanno denunciato il suo peccato: l'accettazione di ciò che è incompatibile,
nella vita sociale, con il riconoscimento di Dio come
Dio.
Allora, i poveri, che conoscevano la promessa del
loro Dio, il motivo per cui erano poveri, si sono messi
a sperare, ad attendere «quel giorno o quell'anno
di grazia in cui Dio stesso sarebbe venuto a compiere ciò che si era impegnato
a compiere».
Quel giorno è giunto: Gesù
realizza la promessa (cfr. Lc
4,18). In una maniera inattesa: egli si fa povero. Dio povero, con i poveri.
Egli diventa e si fa il prossimo, nel servizio più quotidiano, di tutti coloro che sono nel bisogno, chiunque essi siano:
connazionali o stranieri, giudei o pagani, giusti o peccatori, integrati o
esclusi. Basta che si trovino sulla sua strada e la sua
strada passa frequentemente attraverso loro. Per lui non ci sono poveri buoni o
poveri cattivi.
Riconoscerlo come Dio in chiunque è nel bisogno è uno dei criteri essenziali che egli indica
per verificare che si è «cristiani» (Mt 25).
Con coraggio, poiché è l'onore di suo Padre che è in gioco, egli vuole
reintegrare nella vita sociale del suo tempo quelli che di
fatto ne erano stati esclusi, in nome della legge pervertita. Egli si
fida di loro. Il suo sguardo li rianima e infonde loro fiducia in se stessi.
Egli schiude a ognuno un nuovo avvenire.
A partire da ciò che vivono, soffrono e sperano questi piccoli
che fanno fatica a vivere, questi umili, questi affamati, questi oppressi, con
loro, egli ricostituisce il popolo di Dio secondo prospettive nuove e
decisive, che esigono una vera conversione spirituale e che elevano e liberano,
nel più profondo delle loro vite, coloro che vi aderiscono. Egli annuncia che
questi piccoli sono i veri eredi del reame, offerto gratuitamente. Con loro,
per loro, ma anche con quelli di ogni categoria
sociale che si uniscono loro in un modo o in un altro e che si fanno «poveri di
cuore».
Gesù è proprio il figlio di quel Dio che nella storia ha
l'abitudine di chiamare sempre i piccoli, i poveri e di preparare con loro il
regno. Per questo motivo egli viene escluso dalla
società del suo tempo, con la morte violenta. La sua risurrezione è il segno
che la promessa di Dio a favore dei poveri si è definitivamente realizzata. Ed
egli ne affida la manifestazione ad alcuni «poveri».
Facendo memoria della vita, della passione, della
morte e della risurrezione di Gesù nell'eucarestia che celebrano, i suoi discepoli vorrebbero
trasformare le comunità che costituiscono in luoghi di solidarietà e di
comunione dove i poveri sono a casa loro, portando tanto quanto ricevono (1
Cor 12,22-26)
Seguendo il loro esempio, nel seno di tutti i popoli,
i discepoli di Gesù Cristo sono
costantemente chiamati a testimoniare la giustizia del Dio fedele e il
suo amore per i poveri. Vi riescono quando, nonostante la loro debolezza,
tessono nella vita sociale quotidiana la comunione che celebrano nell'eucarestia. Quando testimoniano l'appello
del Vangelo alla conversione del cuore e la sua efficacia a liberare dal
peccato, essi realizzano il senso della missione. Questo è il senso
delle solidarietà che incoraggiano o inventano e della resistenza attiva e
organizzata che oppongono all'inevitabile deviazione verso l'ingiustizia.
Ed è un segno dei tempi che oggi, qui e nei paesi del
terzo mondo - cosa ancor più significativa - coloro che sono
esclusi dal dialogo sociale a causa della loro precarietà, della «insignificanza»,
della loro estrema povertà assumano in prima persona il carico di se stessi,
si organizzino, si decidano a vivere e facciano rifiorire la vita là dove agli
uomini «ragionevoli» appariva impossibile. Per molti di essi
vi è la convinzione incrollabile che è veramente Dio a risuscitarli.
Così vi è qui un cammino che si apre sul regno quando si realizza la comunione con colui che «essendo
ricco, si è fatto povero» (2 Cor. 8,9) per farci accedere
alla libertà e alla ricchezza dei figli di Dio.
IV.
Con i poveri, ricostituire la solidarietà
Dio indirizza coloro che lo riconoscono come Dio a
riconoscere gli altri come propri fratelli. E questo riconoscimento implica che vengano predisposte per
loro le condizioni di una vita veramente fraterna.
Una di queste condizioni è la ricostituzione delle
solidarietà di famiglia e di vicinato nel campo delle
relazioni brevi, rapide, più personalizzate. In realtà, queste solidarietà
hanno una funzione di cuscinetto nei confronti dei
traumi subiti dalle persone che vivono situazioni precarie. È uno strumento
alla portata di ciascuno che permette di collocarsi come responsabile e di intervenire, là dove si trova, nel circuito delle proprie
relazioni.
È un elemento importante della lotta contro la
povertà che, oltre all'aiuto immediato sempre necessario, implica anche
un'azione per migliorare il funzionamento del sistema di protezione sociale, un lavoro legislativo per meglio definire le diverse
politiche nazionali e, in maniera generale, l'azione politica e sindacale per
regolamentare l'economia.
Paolo VI lo affermava già nella
sua lettera al card. Roy: «È
urgente ricostruire, a misura della strada, del quartiere e del grande
agglomerato, il tessuto sociale in cui l'uomo possa
soddisfare le esigenze della sua personalità...
Costruire oggi la città... creare nuovi modi di
contatto e di relazioni, intraprendere un'applicazione originale della
giustizia sociale, prendere la responsabilità di questo avvenire
collettivo che si annuncia difficile, è un compito al quale i cristiani devono
partecipare. Occorre portare un messaggio di speranza attraverso una fraternità
vissuta ed una giustizia concreta...» (OA, 11-12; EV, IV, 728-729).
Per i cristiani di oggi è
una maniera - le cui modalità concrete essi devono determinare insieme con
altri - di realizzare effettivamente questa volontà di vicinanza fisica e
cordiale con i poveri, manifestata dal Cristo con le sue parole e la sua vita.
Numerose
maglie incrociate
Il tessuto sociale in
effetti si costituisce a molteplici livelli, grazie a maglie incrociate che si
rinforzano e si condizionano reciprocamente. Lontane dall'essere create una volta per tutte, queste maglie richiedono un
lavoro permanente di aggiustamento, di ricomposizione, di allargamento a cui
ogni cittadino partecipa a modo proprio, secondo le proprie responsabilità e
possibilità.
A monte di questo lavoro di tessitura, con effetti a
termine più o meno lungo sui poveri, si profila l'elaborazione di differenti
politiche nazionali del lavoro, dell'impiego, della salute, dell'alloggio,
dell'educazione, della formazione. Queste politiche dovrebbero, tener conto,
fin dall'inizio, delle preoccupazioni e delle angustie dei più sfavoriti.
Si tratti di preparare o di spiegare queste politiche, di favorire la loro applicazione o
semplicemente di verificarne l'impatto sui più poveri, ognuno può intervenire
a titolo personale, ma anche a partire dal proprio impegno professionale,
politico, sindacale, associativo.
Per avallare queste politiche, specie nel quadro della decentralizzazione e dell'aumento dei poteri
regionali e locali, esistono delle maglie tessute dai diversi servizi sociali,
quelli dello stato e quelli delle collettività locali.
Anche qui, in modi diversi, ciascuno può partecipare alla
realizzazione delle politiche sociali rivolte ai quartieri e ai villaggi
sperduti. È ancora più necessario in quanto la decentralizzazione, che offre la
possibilità di rendere maggiormente visibile la solidarietà, implica anche dei
rischi per i più poveri, e cioè per le minoranze
marginali e fastidiose che sono più difficili da promuovere, o sono ritenute
«incurabili», quando le risorse sociali si assottigliano. In
base a quali criteri e in riferimento a quali valori saranno fatte le
scelte?ù
Associazioni
per il quotidiano
Esiste un gran numero di associazioni
con obiettivi diversi e tutti i giorni se ne costituiscono.
Esse rappresentano, grazie alla loro capacità di adeguamento alle realtà
locali, una potente leva per ricostituire relazioni sociali tanto a livello
urbano quanto a livello rurale. Sarebbe necessario che si domandassero in cosa
effettivamente rafforzano il tessuto sociale.
Sarebbe auspicabile che esse, attente ai comportamenti
dei loro aderenti (lo «sganciamento» dei nuovi poveri è significativo),
fossero in grado di giungere rapidamente in aiuto a uno o all'altro dei loro
membri nel caso di situazioni gravi, che contribuissero a far diminuire
l'isolamento e che, da parte loro, tendessero a farsi carico più globalmente
della vita dei loro aderenti, al di là dello scopo immediato che si sono
prefissati.
Certe associazioni potrebbero partecipare, a
condizione che i poteri locali abbiano la volontà di
associarle, alla progettazione e alla gestione di certe iniziative collettive.
Altre, approfittando di tutte le occasioni, potrebbero promuovere nel quartiere
migliori condizioni di vita comune, di habitat, di
vita culturale.
Organizzazioni
caritative dinamiche
Tra le associazioni assalite dall'incalzare della
povertà, è opportuno fare un posto particolare agli organismi caritativi. Con
dedizione, acutezza e competenza, mobilitano professionisti e una gran quantità
di persone volontarie per molteplici solidarietà con i «feriti» della società.
Tutti, ciascuno secondo la propria specificità,
mettono in opera delle dinamiche sociali. Possono rendere ancora più vasta la
loro azione - e bisogna augurarselo - facendo conoscere più largamente ciò che
sperimentano e realizzano, accrescendo il numero dei loro alleati, grazie a
proposte semplici, variegate, molteplici,
collaborando con i servizi sociali e partecipando ai movimenti che, oltrepassando
i confini della propria organizzazione, li rendono sensibili ad altre
richieste d'aiuto.
Le organizzazioni caritative cristiane esistono da
lungo tempo. Sono più che mai necessarie per portare il loro contributo alla
lotta contro la precarietà e la povertà. Alcune, recuperando dalla loro tradizione
spirituale l'esigenza di essere presenti alle attuali
situazioni di povertà; altre, percependo nell'avvicinare queste stesse
situazioni delle ragioni per approfondire la loro fede; altre ancora, molto
importanti a fianco di altre quasi anonime, più attente alle risposte d'urgenza
o più legate a una riflessione e a un'azione sulle strutture. Insieme rappresentano per i cristiani un ventaglio molto largo di
possibilità di impegno privilegiato con e per i poveri.
Come molti istituti di religiosi e religiose hanno avuto come vocazione primaria quella di identificare e
soccorrere le situazioni di povertà, allo stesso modo le organizzazioni
caritative cristiane non hanno forse, come ruolo tutto particolare, quello di
destare l'attenzione dei cristiani sull'importanza delle naturali solidarietà
di vicinato?
Il tessere maglie quotidianamente
II tessere maglie quotidianamente, in effetti, è
rimesso alla responsabilità di ciascuno. Consiste nell'annodare e riannodare,
là dove ci si trova, questi fili tenui eppure solidi a forza di essere
congiunti, che legano tra loro i membri di una stessa famiglia o le famiglie tra loro in un grattacielo di un importante
complesso, in un gruppo di caseggiati o in un quartiere.
Oggi, in città soprattutto, le relazioni sono poco spontanee. Bisogna volerle, suscitarle, «farsi avanti»
e cogliere ogni occasione che può farle nascere.
In zone popolari, è proprio attorno alla famiglia, e
soprattutto a partire dai bambini in età scolare, che
i legami si annodano con maggior facilità. Nella famiglia, quando non è troppo
sbriciolata, l'individuo può trovare un antidoto alle aggressioni della vita
in una società urbana e industriale. Ognuno può proteggervisi e recuperare una parte di se stesso. Si
comprende l'insistenza di Giovanni Paolo II sulle
responsabilità sociali, e anche politiche, delle famiglie (cfr.
Familiaris consortio,
42-44).
Questi multiformi legami nella famiglia e il suo
vicinato vengono troppo spesso a mancare. Quando l'isolamento va ad aggiungersi
a certe difficoltà, le moltiplica. Le naturali
solidarietà di vicinato dovrebbero allora poter giocare in pieno, in maniera
informale e sottile, senza che si possa indicare qui «ciò che si dovrebbe
fare».
Alcuni
appelli per un'azione più vigorosa
Le innumerevoli azioni di solidarietà, la maggior
parte delle quali modesta e discreta, praticate un
po' ovunque in Francia, al «voler fare» - che è decisivo - aggiungono qualche
principio per un «saper fare».
-
Privilegiare l'azione alla base
È alla base, sul terreno, il più vicino possibile
alle situazioni concrete che bisogna trovare le occasioni e le possibilità per il tessere maglie ogni giorno. Le persone si mettono in
cammino insieme quando vedono che «qualcosa accade».
Occasionalmente, sono le loro stesse difficoltà che le portano ad agire con
altri.
E, nell'azione, sulla base di
una proposta personalizzata, procedono innanzi, percepiscono meglio il senso
della solidarietà, comprendono che niente è ineluttabile. Incontrandosi,
realizzano insieme qualcosa, anche se modesta, danno
prova di inventiva e iniziativa, aiutando dopo essere stati aiutate.
-
Valorizzare le capacità dei poveri
I poveri stessi, riconosciuti come autentici
collaboratori che hanno diritto alla parola, diventano - come l'esperienza
dimostra con chiarezza - autori del loro proprio
salvataggio e del salvataggio di coloro che si trovano nella loro stessa
sorte. Questo lavoro di tessitura richiede molto tempo e perseveranza.
Presuppone generalmente una o più persone che vigilano ai
fine di annodare tra loro le iniziative e le azioni individuali che
loro stesse avranno in parte suscitato.
-
Costruire la chiesa come comunità accogliente
Il senso della diaconia, derivata da un carisma
personale o vissuta spesso da piccole comunità religiose (in senso tradizionale
o sotto nuove forme), è parte integrante di una chiesa comunitaria.
La parrocchia, con la sua base territoriale definita,
che ritaglia più o meno le realtà di quartiere o di
zona rurale, è ben collocata per contribuire a questo compito.
Là dove viene celebrata
l'eucaristia, pane spezzato per la vita del mondo, come potrebbe non esserci
il risveglio e il richiamo incessante di una vocazione all'accoglienza, a
essere comunità ospitale e al servizio, particolarmente per coloro che vivono
ai margini della società e per coloro che crollano sotto il dolore e le
difficoltà? Come è possibile che là non si facciano
delle proposte concrete attraverso la mediazione dei movimenti caritativi e di
altri movimenti ecclesiali per ricostituire delle effettive solidarietà con i
poveri del vicinato?
Grazie alle molteplici relazioni che di fatto esistono nella parrocchia, attraverso la catechesi, la
preparazione ai sacramenti, i gruppi di lavoro liturgici, i movimenti
apostolici e i vari raggruppamenti... - che bisognerà valorizzare -, l'apertura,
alle molteplici forme di povertà potrà concretizzarsi, ampliarsi, nutrire, da
un lato, la vita di tutta la comunità cristiana e, dall'altro, essere per il
mondo il segno del regno.
Una urgenza attuale: l'alloggio punto di ancoraggio sociale
Nello spirito di provocazione concreta che ha
presieduto alla redazione dell'ultima parte dell'appello, dei vescovi «a dei
nuovi modi di vita», è opportuno proporre qui un nuovo punto di
attenzione: riguarda l'alloggio.
La possibilità di disporre di
un alloggio decente e stabile, è evidente che condiziona la ricostituzione
delle solidarietà familiari e di vicinato. L'alloggio è un punto di appoggio, un punto di ancoraggio; si investe
effettivamente «nella propria casa».
A partire da questo, le famiglie e le persone possono guardare
più facilmente o ritrovare la padronanza delle diverse dimensioni della loro vita:
professione, salute, cultura, educazione dei figli...
In certi momenti, la casa, a causa della sua penuria,
può divenire un bene essenziale come il pane. Gli sfratti, più
o meno automatici, per affitti non pagati; la quasi impossibilità di
trovare alloggi per i poveri; le decisioni locali che tendono a escludere
dall'habitat sociale le famiglie con problemi; l'aumento degli affitti; il
congelamento di una parte importante del parco-appartamenti: tutto ciò rende
urgente l'azione. Sarebbe troppo facile, una volta di più, rimettersi totalmente
ad altri e, per esempio, alla istituzione HLM, per rispondere a questi problemi. D'altra parte,
l'habitat HLM può venir
considerato come la soluzione ai bisogni di alloggio di tutte le famiglie in
difficoltà?
Non è questo il momento di domandarsi:
- per coloro che sono
proprietari di appartamenti da affittare:
Come ne gestiscono la
locazione, nel quadro delle regolamentazioni in vigore? Secondo quali principi
morali e sociali? Esigendo quali garanzie? In funzione di cosa?
- per gli inquilini:
Come e con quale spirito «occupano» l'appartamento
affittato? Rappresenta o no, per loro, una fonte di apertura
e di relazione?
- per gli uni e gli altri:
Come considerano lo spazio
che li circonda? Con quale attitudine di tolleranza o di esclusione,
per esempio, nei confronti della vicinanza, effettiva o proiettata, di
abitazioni per lavoratori immigrati, handicappati o giovani in difficoltà?
(1) Cfr.
Il Regno - Documenti, n. 1, 1985, pp. 46-51.
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