Prospettive assistenziali, n. 72, ottobre - dicembre 1985
VIOLENZA SUI MINORI E MANATE
EDUCATIVE
GIORGIO PALLAVICINI
L'agente patogeno della malaria ha la caratteristica
di rimanere in stato di quiescenza per lunghi periodi, annidato nel midollo
spinale del soggetto malarico, per poi, con periodicità variabile, esplodere
con manifestazioni febbrili intensissime: la persona affetta da malaria sembra
apparentemente guarita ma di fatto non lo è e di tanto
in tanto il male si appalesa con virulenza.
La «violenza sui minori» presenta molte analogie con
la malaria: anch'essa è un male sempre presente nel corpo sociale annidato
nelle case, nella scuola, negli istituti, ma nessuno sembra accorgersene, vuoi perché molti chiudono tutti e due gli occhi, vuoi
perché i nuclei familiari la nascondono con abilità o per paura con un pesante
e nero telo di omertà, vuoi perché ci sono operatori sociali che ritengono che
segnalare fatti di questo genere li degraderebbe al rango di sbirri vecchia
maniera, e vuoi ancora perché questi stessi operatori sociali non intendono
rompere il rapporto psicoterapeutico con certi loro pazienti.
Solo di tanto in tanto il fenomeno esplode e si appalesa: ciò avviene quando
qualcuna delle vittime finisce all'ospedale o all'obitorio o quando uno dei
genitori non regge alla raggelante situazione e va dal Commissario di zona.
Allora per i giornali è festa grande: grossi titoli, domande tanto angosciose
(ma la violenza contro i minori esiste?) quanto scontata è la risposta; c'è chi
piange e c'è chi tuona contro «tempora et mores». Non manca chi approfitta del «caso» per disegnare
audaci architetture di analogie tra la situazione
della donna e dei bambini, e finisce solo più di parlare della situazione
femminile, utilizzando il minore come occasione strumentale (vedi Liliana Madeo su «La Repubblica»), poi tutto ritorna come prima e
la gente si compiace di pensare che nell'Italia mammona i
fanciulli sono fortunati perché «gli italiani amano i bambini», e questo dura
fino al prossimo caso.
Per fortuna non mancano persone serie e responsabili
che non accettano questi stereotipi e si danno da fare per costruire un nuovo
modo di considerare il bambino, come l'Unione per la lotta contro
l'emarginazione sociale e l'Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie che non si accontentano di promuovere leggi
indirizzate a tutelare i piccoli uomini, ma che utilizzano, ogniqualvolta ne
hanno occasione, gli strumenti offerti dalla legge per impegnare la Magistratura,
gli Enti locali ed i loro servizi assistenziali ad indagare, a scoprire, i
responsabili, a colpirli, a fare giustizia insomma.
L'esperienza fatta insegna però che proprio le
persone che sono preposte a tutelare i cittadini talvolta abbiano
delle opinioni molto «sui generis» su che cosa debba intendersi per violenza
sui minori.
L'esperienza a cui mi riferisco
è quella fatta da Francesco Santanera e da chi
scrive, quando - era il 27 gennaio 1981 - abbiamo presentato un esposto alla
Procura della Repubblica di Torino nella nostra qualità rispettivamente di,
allora, segretario dell'ULCES e di presidente nazionale dell'ANFAA, contro
l'istituto Benefica con sede in Pianezza (Torino).
Nell'esposto rilevammo come, sulla
base di dichiarazioni a nostre mani sottoscritte da persone già
ricoverate in quell'Istituto e di ragazzi ancora
ricoverati e da ex dipendenti (un educatore, uno psicologo), la condizione
dell'Istituto fosse largamente carente sotto tutti i profili; tra i vari
episodi che denunciammo, vi fu quello relativo a tentati atti di libidine
compiuti da un «educatore» nei confronti di alcuni minori (1). Secondo
l'inquirente, l'unico episodio accertato è quello avvenuto nel
mese di novembre 1980, e a questo proposito lascio la parola al Tenente
Colonnello comandante del Nucleo di Polizia giudiziaria che svolse le
indagini: «Infatti, durante
la trasmissione serale televisiva di una TV privata nel mese di novembre 1980,
che trasmetteva un film sulle atrocità naziste, l'educatore G., di servizio al suo reparto, per sdrammatizzare
la tensione creatasi nel ragazzo che con lui assisteva alla visione di alcune
scene orgiastiche, dava una "manata" sui genitali di questo pronunziando
le frasi: "queste cose servono a farlo venir duro". "Però il rapporto sessuale affettivo non si deve vederlo in
questo modo". L'intenzione dell'educatore era
quella di intraprendere con il ragazzo un serio discorso sull'educazione sessuale».
Senza stare ad approfondire come e quando le «manate»
sui genitali possano essere educative e a quale
filone cinematografico potesse appartenere un film «sulle atrocità naziste» in
cui comparivano «scene orgiastiche», quello che salta all'occhio è il come il
bravo ufficiale inquirente concepisca «un
serio discorso sull'educazione sessuale»; se tanto mi dà tanto, si spiega
come detto ufficiale inquirente non abbia potuto riscontrare «concreti elementi di violazione delle
leggi penali a carico degli amministratori dell'Istituto Benefica né
dell'attuale personale preposto alla custodia di ambo i sessi» tanto più
che le principali fonti di informazione per l'inchiesta sono rappresentate
dalle relazioni della direttrice dell'Istituto, dallo psicologo dell'Istituto,
dal verbale di una seduta del Consiglio di amministrazione dell'Istituto.
Non si fa un solo cenno delle dichiarazioni di ex dipendenti, come non sembra si sia tenuto conto delle
dichiarazioni di ragazzini ricoverati e neppure di quanto affermato da uomini
fatti, già «ospiti» dell'Istituto.
Quest'ultimo aspetto dell'inchiesta a noi sembra
particolarmente inquietante e mi pongo la domanda: se
le testimonianze dei ragazzini ricoverati e persino quelle degli ex ragazzini
già ricoverati non vengono prese in considerazione per principio, se non
contano niente le dichiarazioni degli ex dipendenti; se contano solo quanto
dicono direttori e dipendenti in servizio, come mai si potrà, mi domando,
acclarare eventuali disfunzioni, carenze, violenze compiute negli istituti?
È pur vero che la testimonianza di un minore non deve
essere presa per oro colato, come è pure vero che c'è
inquirente e inquirente; tuttavia l'episodio dà un segno, non piccolo, di
come, stando così le cose, sia difficile per un cittadino l'accertare i casi di
violenza sui minori.
Nell'esposto alla magistratura presentato da Santanera e da me e nelle deposizioni da noi rilasciate al
Tenente Colonnello dei Carabinieri, si rilevava che, in violazione alle leggi
vigenti, i proventi della vendita di immobili
dell'IPAB «Casa Benefica» (L. 1 miliardo e 200
milioni) erano stati utilizzati per coprire debiti di gestione.
La deposizione della direttrice dell'Istituto confermava
quanto sopra.
Ciò nonostante il Pubblico
Ministero non ha ritenuto opportuno procedere in merito, spalancando la porta
alla dispersione dei patrimoni delle 9.000 IPAB esistenti in Italia (30-40
mila miliardi in totale di beni).
Alla fine della sua relazione l'ufficiale della
Benemerita così conclude: «a carico di Pallavicini e Santarnera potrebbe essere ipotizzato il reato di calunnia».
Questa richiesta non è stata accolta dal Pubblico Ministero che ha archiviato
l'esposto presentato nei riguardi dell'Istituto Benefica.
«Avanti,
avanti bionda, finché batte il cuor»
canta Paolo Conte, così noi si va avanti, finché batte il cuore, ma
essenzialmente finché la nuova cultura dei diritti dei minori non entrerà
nella coscienza di tutti: però come è ancora lunga la
strada.
(1) Cfr. «La
cruda realtà di un istituto di assistenza all'infanzia
- Documenti e testimonianze su Casa Benefica», in Prospettive assistenziali, n. 54, aprile-giugno 1981.
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