Prospettive assistenziali, n. 73, gennaio - marzo 1986
L'INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI
HANDICAPPATI: L'ESPERIENZA DELLA PROVINCIA DI TORINO
Nel 1977 la Giunta provinciale di Torino deliberava
l'assunzione di 18 insufficienti mentali con la qualifica di inservienti
addetti alle pulizie.
Con tale delibera, sollecitata dai movimenti di base,
si assicurava l'inserimento di detti soggetti in un normale contesto
sociale e lavorativo, evitando la riproposizione di
modelli comunque emarginanti, quali i laboratori protetti, i centri
occupazionali, le strutture socio-educative diurne, le cooperative fasulle.
Con il provvedimento di cui sopra non venivano creati posti di lavoro speciali o particolari per
gli handicappati, a cui veniva richiesto un rendimento lavorativo, anche
ridotto, tale da soddisfare le normali esigenze del relativo servizio.
Per l'assunzione degli handicappati
la Giunta provinciale richiedeva il titolo di studio di licenza
elementare al fine di poter aumentare le possibilità di inserimento.
L'idoneità a svolgere le mansioni relative
alla qualifica sono state individuate mediante una prova pratica, un
colloquio individuale e l'accertamento delle condizioni socio-economiche delle
famiglie. Dei 18 assunti, 2 hanno rinunciato. Attualmente dei 16 dipendenti, 7
sono al primo livello e 9 al secondo.
Per valutare la situazione relativa
all'inserimento degli handicappati nei propri ruoli, l'Amministrazione
provinciale di Torino ha commissionato una ricerca (1), i cui risultati sono
stati pubblicati nelle scorse settimane.
La ricerca esamina i vari aspetti dell'inserimento
non solo dei 16 insufficienti di cui sopra, ma di tutti i 158 handicappati
fisici, psichici e sensoriali inseriti nei ruoli
dell'Amministrazione provinciale di Torino. Le loro qualifiche, al momento
dell'assunzione, erano le seguenti: applicati dattilografi 20, guardia caccia e
pesca 1, aiutante tecnico 1, operatori scolastici 9, bidelli 62,
disinfestatore 1, cantonieri 2, usciere-autista 1, uscieri 10, operatori 2,
inservienti per pulizie 31, operai comuni 7, assistente psicologo 1, educatori 3, operatori di appoggio 3, addetti sorveglianza
e pulizie 4.
Interessanti sono le conclusioni dei
ricercatori. Le riportiamo integralmente:
«- In linea
di massima il disabile non avverte la propria invalidità come un problema particolare nel contesto della organizzazione del lavoro
dell'Ente; né avverte di essere recepito come handicappato nell'ambiente di
lavoro, da parte di colleghi e superiori;
- il
rapporto di lavoro con l'Ente si esprime come tale e non come fenomeno assistenziale;
- il
disabile si identifica a tutti gli effetti con la
realtà e l'ambiente di lavoro, dimostrando di possedere, almeno a livello
potenziale, una attitudine collaborativa.
Dal punto di
vista dell'Ente ciò significa:
-
l'inserimento degli handicappati è riuscito al di fuori di una logica assistenziale;
-
1'handicappato dà una sua resa produttiva, è una parte
del processo complessivo;
- il
rapporto si esprime prevalentemente come rapporto di lavoro.
Queste
affermazioni portano a considerare che i problemi e le contraddizioni che il
disabile descrive ed esprime attraverso i colloqui, non riguardano se non
marginalmente le sue condizioni di invalidità.
Essendo avvenuto l'inserimento, i problemi e le contraddizioni, che con più consistenza
risultano nei colloqui, appartengono ai problemi
dell'organizzazione del lavoro dell'Ente e, più in generale, alle
contraddizioni proprie del pubblico impiego. Dall'analisi dei colloqui si
estrapolano alcune prevalenze, che, al di là delle
differenze esistenti fra settori, di cui si è discusso nel precedente
capitolo, sono comuni a più settori. Esse sono:
- esiste una
cultura del lavoro, visto come fenomeno oggettivo, che rende attivo
il rapporto fra colleghi. Ciò favorisce l'integrazione dell'handicappato. In questo
contesto il problema della collocazione lavorativa non
è sentito soggettivamente;
- dal lavoro
l'handicappato ricava elementi di gratificazione perché valuta positivamente
con molta concretezza gli effetti socializzanti, la sicurezza
economica, il contributo alla dignità personale. A questo aspetto
positivo, si contrappone come polo contrario, frustrando l’adattamento, un
giudizio negativo sull’organizzazione del lavoro;
- esiste
diffusa la richiesta che il proprio lavoro venga riconosciuto.
Si lamenta mancanza di dialogo con i superiori, che non venga richiesto alcun
parere sia per l'organizzazione del proprio lavoro, sia per decisioni d'ufficio
che vengono prese burocraticamente;
- si chiede
valutazione e controllo del lavoro eseguito. Se valutazione e controllo sono
contrattati e discussi si ritengono utili anche i
provvedimenti disciplinari. Si tende a dire che la
mancanza di valutazione e controllo tende a generare conflitti fra colleghi in
quanto alle normative verificate tendono a sostituirsi comportamenti
soggettivi non verificati. talvolta contrastanti;
- la
conoscenza degli obiettivi e della strategia dell'Ente è
molto scarsa. Viene lamentata mancanza di
comunicazione, oppure presenza di comunicazione con linguaggi in parte o del
tutto non comprensibili. Si citano a questo proposito
riunione di servizio e circolari;
- il quadro di identificazione con l'Ente risulta di conseguenza scarso.
Come elemento sostitutivo, agisce in senso simbolico
una forte identificazione con la figura politica e umana dell'Assessore;
- entro
questo contesto i problemi dei concorsi come della
ristrutturazione, sono ovviamente molto sentiti. La carenza
di comunicazione, la conseguente scarsa visibilità dei processi, generano uno
stato di paura rispetto all'innovazione. Questa viene
innanzitutto vista come procedura burocratica tendenzialmente portatrice di
peggioramento della condizione lavorativa. Nei casi estremi più negativi, la
ristrutturazione non viene vista come progetto di
rinnovamento, ma come somma di piccole furbizie direzionali, miranti a scopi
coercitivi.
I problemi
emersi dalla ricerca, che abbiamo ora sintetizzato, portano
a concludere che la realtà dell'Ente è vista in, modo molto frammentato.
La mancanza di informazione, la scarsa visibilità dei processi e delle
decisioni, generano probabilmente una lettura della politica dell'Ente per
molti aspetti singolare, come se questa si reggesse su una sorta di
efficientismo non programmato, efficientismo certamente non autoritario, ma
neppure chiaramente finalizzato.
Le
osservazioni di questa parte conclusiva della ricerca, hanno evidentemente
valore puramente indicativo, perché la nostra ricerca, mirata a verificare
l'inserimento lavorativo degli handicappati una volta che ha riscontrato come è avvenuto questo inserimento, si è scontrata con i
problemi più grandi, riguardanti l'organizzazione del lavoro del pubblico
impiego, che non erano oggetto diretto della ricerca. Diamo quindi alle nostre
osservazioni valore indicativo di problemi aperti in quanto solo in presenza di un preciso e mirato piano di ricerca sulle
politiche degli Enti locali e l'organizzazione del lavoro adottata, sarebbe
possibile andare più a fondo del problema».
Nella ricerca infine, vi è il confronto delle spese
sostenute dall'Amministrazione provinciale per gli insufficienti mentali
inseriti nei centri diurni socio-terapeutici ed i costi sostenuti per gli
handicappati in servizio.
Infatti il costo medio annuo pro capite per la
Amministrazione provinciale (costo pari alla retribuzione prevista dal
contratto di lavoro degli Enti locali) è stato il seguente:
Anno 1980 L. 8.850.000
Anno 1981 L. 10.890.000
Anno 1982 L. 11.808.000
Anno 1983 L. 13.850.000
Nella ricerca è precisato che «il costo di L. 13.850.000 non è altro che il corrispettivo previsto da
regolare contratto di una prestazione effettuata da un lavoratore a favore dell'Ente».
Invece il costo medio annuo pro capite
per gli insufficienti mentali inseriti nei Centri diurni (sono presenti anche
casi molto gravi) è stato il seguente:
Anno 1980 L. 7.550.000
Anno 1981 L. 11.700.000
Anno 1982 L. 12.900.000
Anno 1983 L. 14.098.091
(1) La ricerca è stata curata da Tullio
Aimone, Istituto di Sociologia, Facoltà di Economia e Commercio dell'Università
di Modena; Francesco Novara, Facoltà di Psicologia dell'Università di Padova;
dai ricercatori della Provincia di Torino, Andreina Garbero,
Giovanna Parodi, Giovanna Rima, Maria Luisa
Staffieri, Sergio Stra. Coordinatore della ricerca:
Fiammetta Geymonat.
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