Prospettive assistenziali, n. 73, gennaio - marzo 1986
DROGA E SISTEMA: DAGLI INDIRIZZI
GOVERNATIVI ALLA LEGALIZZAZIONE
DANIELE NOVARA
L'intervento governativo: «soluzioni»
che rafforzano il problema
L'emergenza droga proclamata a grancassa dal governo
fin dalla primavera '84 e rafforzata in seguito dal processo a Muccioli, è un bluff.
La ragione non sta tanto nel
tipo di provvedimenti che si intendono adottare, quanto negli stessi obiettivi
che ci si propone di raggiungere: sconfiggere la diffusione illegale degli
stupefacenti ed avviare il recupero dei tossicodipendenti.
L'apparente ovvietà e naturalezza, da cui sembrano
emergere questi due fondamentali obiettivi,
nascondono invece una realtà paradossale ma più oggettiva che è questa: più si
combatte l'illegalità dell'eroina più la sua diffusione cresce; più ci si
impegna a recuperare tossicodipendenti più il numero dei tossicodipendenti da
recuperare cresce. Insistendo nel dirigere l'azione nei
senso indicato dall'ovvietà si rafforzano i motivi strutturali che
finiscono col radicare e rendere resistente il problema.
È quella che in psicoterapia la scuola americana di
Palo Alto definisce un contesto clinico in cui «la
soluzione è il problema», quando cioè il ricorso a determinate «cure» interne
al sistema da cui ha origine il problema, non fa che rafforzare il problema
stesso.
I motivi di questo apparente
paradosso non sono poi tanto difficili da cogliere e, guarda caso, rispondono a
precisi interessi.
1. Il primo, e forse principale, elemento che ha
prodotto la diffusione illegale dell'eroina (anche di altre
sostanze ma in particolar modo di questa) è proprio la sua illegalità.
Il costo «al consumatore» di un grammo di eroina è di almeno 30 volte tanto il suo «costo di
produzione», mentre però i
coltivatori di oppio del Sud-Est asiatico e con loro i contadini delle Ande
ricavano ben pochi guadagni in più dei loro colleghi agricoltori che si
dedicano a colture tradizionali.
È l'illegalità nella distribuzione con la conseguente
difficoltà di reperimento dell'eroina che consente guadagni altissimi a chi è
implicato nell'attività.
Per un ovvio discorso di mercato, sia in versione di
monopolio di Stato che libero-concorrenziale, sarebbe impassibile un margine
di profitto così elevato nell'eventualità di un'eroina legale.
Arlacchi ha lucidamente descritto come la
mafia e la camorra, nella seconda metà degli anni ’70, accortesi della
possibilità di sfruttare questa situazione, non abbiano avuto incertezze
a fare del traffico di droga la loro principale attività, organizzandola come
una vera e propria impresa capitalistica, riuscendo ad offrire la «merce» fino
ai paesi della provincia italiana con non più di 2.000 abitanti.
Il problema è allora capire se lo Stato intende o può
stroncare l'organizzazione mafiosa e camorrista. AI riguardo
non possono che sorgere dubbi, visti gli evidenti legami che uniscono, fino a
volte a saldarsi, mafia e organismi dello Stato, legami più che confermati
dalle recenti operazioni giudiziarie. In realtà è credibile che la mafia e la
camorra, entrate ora in grande stile nell'operazione,
facciano di tutto per impedire la periodicamente «minacciata» legalizzazione,
che significherebbe per loro, almeno in tempi stretti, un penoso tracollo di
attività.
È facile che cerchino invece di favorire l'azione repressiva dello Stato nei confronti del traffico di
droga, che penalizzerà i gruppi concorrenti meno organizzati, specie
stranieri, favorendo sia il loro monopolio del mercato sia la tenuta della
vendita «al consumo» agli attuali altissimi prezzi (dalle 100.000 alle 200.000
lire per grammo di roba).
Vedremo in seguito come i dati
confermino complessivamente
questa supposizione.
2. Chi sono coloro che, senza remore, invocano continuamente la necessità della medicalizzazione (anche coatta i più accesi) dei tossicodipendenti,
definendoli a seconda delle circostanze «malati», «deboli psichicamente»,
«caratteriali», ecc.?
Sono proprio quelli che premono per assurgere al ruolo professionale di terapeuti, di guaritori,
di coloro insomma a cui la società dovrebbe delegare un presunto recupero di
questi malati. Ovviamente più si chiederanno interventi in funzione del
recupero dei tossicodipendenti e più il numero di questi «terapeuti», alcuni
dei quali senz'altro in buona fede ma molti veri e propri speculatori,
aumenterà.
La loro presenza, giunta a
una significativa consistenza, presumibilmente fra pochi anni, sarà ben
difficile eliminare o riconvertire in altro modo. Di fatto questa categoria di
persone non ha e tantomeno non avrà in futuro alcun
interesse al ridimensionamento radicale del fenomeno droga.
Per quanto riguarda gli psicologi che spesso e
volentieri si accaparrano il titolo di terapeuti del recupero, un saggio di P. Cohen, psicologo olandese ispiratore del progetto del
Comune di Amsterdam per la
somministrazione controllata di eroina, recentemente pubblicato dai Quaderni piacentini, ha provveduto
efficacemente a ridimensionare le esagerate aspettative riposte nell'intervento psicologico sui tossicodipendenti. La sua
analisi dimostra come non ci sia alcuna ragione di
collegare le tossicodipendenze a particolari caratteristiche psicologiche
stabilitesi nell'individuo giungendo espressamente a
dichiarare: «La consuetudine che gli psicologi e gli psichiatri hanno di
associare l'uso e l'abuso della droga in primo luogo
a processi psicopatologici dell'individuo contribuisce a perpetuare l'attuale
problema dell'eroina. Il vero aiuto che questi gruppi professionali possono
dare ai dipendenti da eroina è di cessare ogni
intervento che confermi il tossicodipendente nel suo ruolo di emarginato e di
fallito» (Quaderni piacentini, aprile
'84, p. 207).
La paradossalità dell'affermazione per
cui più si cerca di avvicinarsi al conseguimento di questi obiettivi più
la soluzione del problema si allontana, diventa meno paradossale se
confrontata con gli effettivi risultati conseguiti, appunto, nel campo della
lotta al traffico di droga e del recupero dei tossicodipendenti.
Si rileva:
A. Per quanto riguarda la lotta al traffico di droga,
se è vero che sono stati ottenuti dei risultati, occorre però verificare se
sono realmente significativi.
Anche se ricerche in proposito non sono state
compiute, una prima indagine sulle fonti giornalistiche-giudiziarie
porta facilmente alla constatazione che la maggior
parte di sequestri di discreti quantitativi di droga colpisce o gruppi malavitosi
secondari e perdenti o isolati gruppi stranieri (Arabi e Sudamericani in
particolar modo). Sarà una coincidenza che questo corrisponda
al disegno mafioso di monopolio del mercato e di eliminazione (che non deve mai
essere totale) dei possibili concorrenti?
Di fatto le indagini sul traffico di stupefacenti non
riescono mai a raggiungere i vertici importanti dei l'organizzazione.
Non mancano al proposito testimonianze di interventi
tesi ad inquinare ed ostacolare, a vari livelli, accertamenti giudiziari
significativi.
In sostanza si può ben dire
che l'unica vera ed efficace azione repressiva viene attuata nei confronti
della classica, disperata figura dello spacciatore-tossicodipendente,
ormai divenuta forza lavoro e contemporaneamente vittima del sistema di
distribuzione della droga.
Ne sono prova i dati diffusi proprio dal Ministero dell'interno (un pizzico d'ingenuità?): la
quantità complessiva d'eroina sequestrata nell'84 in Calabria, Sicilia e
Campania è di kg 35,548 mentre per la sola Lombardia il quantitativo è di kg
177,435; tendenza confermata anche dalle cifre dell'83: Campania, Sicilia e
Calabria kg 31,730, Lombardia kg 77,669.
Se questo non fosse
sufficiente a convincere che qualcosa non funziona nella lotta al traffico di
droga, i dati del Ministero risultano ancora più espliciti per quanto riguarda,
sempre per l'84, il numero dei denunciati per «traffico, spaccio ed altri reati
di droga»: in Lombardia sono 3.208, in Emilia-Romagna
1.699 mentre complessivamente sono 3.108 fra Campania (1.163), Sicilia (1.351)
e Calabria (504). (Vedi: «Osservatorio permanente sul fenomeno droga»,
Ministero dell'interno, febbraio 1985).
B. Riguardo invece il recupero dei tossicodipendenti,
non esistono in Italia indagini significative e aggiornate sui risultati degli
interventi compiuti a loro favore.
Nella sua recente inchiesta il Censis,
tuttavia, nella voce riguardante l'abbandono del servizio, sia pubblico che privato, da parte del tossicodipendente segnala che «la
percentuale non elevata dei servizi (33,6%) in cui uno o più tossicodipendenti
hanno completato il trattamento è indice probabile di un programma terapeutico
che risulta di difficile definizione e attuazione e di come le aspettative
dell'utenza mal si concilino con esso» (Rapporto Censis
sulle tossicodipendenze, Ministero dell'interno, 1984, p. 80).
La dizione un po' esoterica lascia comunque
chiaramente intendere che ci troviamo di fronte a un enorme divario fra il
numero iniziale di soggetti che si presentano ai vari centri e il numero di
coloro che aderiscono al programma.
È quello che in fondo, senza farsene un gran
problema, ammette anche il Ceis, in Italia oggi la
più diffusa e potente centrale di comunità terapeutiche
con metodo uniformato.
Questi dati finiscono non tanto col mettere in crisi
la concezione terapeutica dell'intervento, ma col rafforzarla, nel senso di
sollecitare l'elaborazione di migliori terapie.
!n realtà l'esperienza di contatto diretto con
giovani implicati in situazioni di tossicodipendenza, evidenzia che è molto
più comune l'abbandono del bisogno di stupefacenti in modo personale e spontaneo che non terapeutico. Ossia è più facile
che sia l'esaurimento naturale della necessità di droga a provocarne la fine
dell'uso che non l'intervento, pubblico o privato, appositamente
organizzato in tal senso.
Un supporto a carattere di pura generosità umana,
amicale insomma, è tante volte ben più determinante
per un tossico che ha deciso di smettere che non un qualsiasi centro specializzato.
Se pare ormai assodata la volontà politica di
finanziare cospicuamente i centri privati per il recupero dei
tossicodipendenti, non è difficile immaginare, dato il numero di soggetti
coinvolti, un proliferare di nuove strutture, cliniche, servizi vari, ecc. in tale
settore. Un nuovo business insomma, oltre a quello ben più lucroso del traffico,
dentro la grande famiglia degli stupefacenti.
La droga come elemento portante del sistema
Se questa prima fase di analisi
ha cercato di porre dei dubbi sulla validità di obiettivi che paiono essere
indiscutibili, demistificandone la pretesa oggettività e mostrando i contorni
inquietanti del problema, è ovvio attendersi, nella seconda fase, un
tentativo di ristrutturazione dei discorso in negativo e in positivo sulla
droga.
L'idea-guida implicita nei fautori della lotta al
traffico e del recupero dei tossicodipendenti è che la diffusione degli
stupefacenti rappresenti un elemento esterno al sistema, penetrato in esso quasi in forma di epidemia e che quindi da un lato vada
ricacciato il più possibile lontano e dall'altro, restando nella metafora
medica, debbano essere isolati e guariti i portatori del contagio.
La ristrutturazione di questa idea,
che come abbiamo visto precedentemente finisce col rinforzare il problema che
vorrebbe risolvere, porta ad affermare che la diffusione della droga è in
realtà interna al sistema, ne rappresenta un elemento strutturale e addirittura
portante almeno nell'attuale contesto.
Due sono i motivi che spingono a questa ridefinizione.
I. - Il primo, e probabilmente più importante, è che
non sia un caso la coincidenza fra la diffusione di
massa dell'eroina attorno alla fine anni '70 e gli inizi '80 e l'impressionante
allargamento della disoccupazione fra le nuove fasce generazionali giovanili.
La drastica riorganizzazione
del sistema economico capitalista, dovuta in parte alla concorrenza
sud-orientale, sta espellendo dai luoghi di produzione percentuali elevatissime
di lavoratori. Le nuove tecnologie necessitano di pochissimo
personale e per giunta estremamente specializzato.
Le grosse aziende italiane, facendosi falsamente scudo
con lo spettro della crisi, hanno cessato ogni nuova assunzione usando anzi a
piene mani lo strumento della cassa-integrazione e del prepensionamento.
Chi principalmente paga le spese di questa nuova situazione sono i giovani. Per loro non c'è spazio, non può essercene.
A periodi alterni si cerca di inventare nuove
professioni e nuovi servizi nel settore terziario, ma
non bastano.
La disoccupazione giovanile si prospetta per i
prossimi anni come caratteristica costante del capitalismo occidentale, così
come la diffusione d'eroina appare come uno dei più facili deterrenti rispetto
alle conseguenze sociali e politiche che questa situazione, di per sé
esplosiva, potrebbe generare. Tanto più esplosiva in
quanto le nuove generazioni paiono ben decise ad esigere una qualità della vita
diversa da quella in cui le si vorrebbe costringere.
La droga risolve molte di queste contraddizioni,
arginando le istanze giovanili e spedendo una larga
fetta di giovani nell'innocuo mondo della evasione allucinogena. Dove, come si
sa, chi ci finisce viene dapprima colpevolizzato sotto
il profilo etico per poi trovarsi escluso ed emarginato socialmente.
Il cerchio si chiude, tutto resta
al suo posto. I giovani, divenuti tossicodipendenti,
assumono il ruolo di capri espiatori della crisi generale di una società autovotata a non avere futuro.
II. - La demonizzazione compiuta nei confronti delle
sostanze stupefacenti, non trova altrettanto accanimento in un campo attualmente, stando alle cifre, ben più grave: la diffusione
delle sostanze alcoliche.
Mentre i decessi provocati dall'alcolismo superano
in Italia, solo nel 1984, le 10.000 unità, è preoccupante dover prendere atto
che nell'anno precedente il governo italiano aveva emesso
un decreto ministeriale che autorizzava la distribuzione e la vendita del vino
in lattina col preciso e proclamato scopo di incrementarne il consumo nelle
giovani generazioni, avviate alla disaffezione verso la gloriosa bevanda
nazionale.
Questo nonostante l'esistenza di un allarmante documento dell'82 sull'aumento del consumo di alcool nei
giovani in Europa, realizzato da una commissione tecnica su mandato del Parlamento
europeo, dove si legge che «vi sono motivi per regolamentare rigidamente o
interdire la pubblicità per l'alcool alla televisione, alla radio e limitare
la pubblicità di questi prodotti sulla stampa, nelle sale di spettacolo, nelle
strade, negli ambienti pubblici e negli stadi » (riportato in Regno-documenti, 1.9.83).
Se non sono motivi sanitari, vista la ben diversa
quantità di morti provocate da eroina e alcool, neanche i motivi etici possono
giustificare un così diverso trattamento e considerazione fra le due sostanze.
L'antropologia culturale offre
qualche spiegazione in più. «... noi tendiamo, e questo è uno strano
fenomeno di rimozione tipico di una certa ipocrisia che regola la civiltà
occidentale, a non chiamare droghe quelle che utilizziamo
quotidianamente, cioè la nicotina, e le droghe del tabacco, del caffè, della
cioccolata, degli alcolici, i prodotti dell'uva, e tutte le altre basi da cui
si produce alcool, e chiamiamo droghe invece quelle che noi non utilizziamo
normalmente» (T. Seppilli,
Di più, gennaio '82).
Pare questo un approccio più ragionevole di molti
altri, ma resta da capire quali sono i reali motivi che impediscono una maggior
integrazione culturale delle nuove sostanze, sviluppo
questo resosi possibile in tanti altri ambiti.
In realtà, collegando il discorso al punto precedente,
interessi ben più ampi che non quelli antropologici forzano a mantenere uno
status quo che vede una fascia crescente di giovani costretta all'emarginazione
e un'altra fascia crescente di persone, non sempre considerate criminali,
arricchirsi su questa situazione.
Legalizzazione: sì, ma
quale?
Se esiste una conclusione a questo itinerario
critico è che appare ormai privo di ogni fondamento il banale e innocuo
procedimento logico per cui le sostanze stupefacenti vengono rappresentate
come il malefico bubbone impiantatosi dall'esterno nel tessuto della nostra
società.
La droga appare invece, oggi, elemento fondamentale
di conservazione del sistema, struttura portante, con funzione di contenimento
di istanze di vario tipo, di deterrente sociale, di
mantenimento di precisi interessi mafiosi-politici-economici.
La soluzione allora non può che collocarsi a livello di azione per il cambiamento del sistema, non tanto di
rimozione di alcuni membri.
Ciononostante, pur con tutti i limiti di una simile operazione, una misura di estremo interesse può
essere la legalizzazione di alcune sostanze, in particolar modo le droghe
cosiddette leggere e l'eroina.
Molti si domandano se questa non finirà con l'incrementare
il consumo creando una categoria di tossicodipendenti legittimati legalmente a
rovinarsi l'esistenza, senza però chiedersi in quanti
altri contesti tale ragionamento potrebbe essere altrettanto bene applicato, se
non meglio.
E, ancor più, senza chiedersi se non sono già
sufficientemente rovinate esistenze giovanili costrette a prostituirsi per
procurarsi la carissima «roba», a rubare, a cedere a ricatti di
ogni tipo, a passare in carcere, a volte per ragioni banalissime,
parecchi preziosi anni.
È anzitutto tempo di togliere il marchio di colpevoli e di emarginati a chi fa uso di sostanze
stupefacenti, restituendo a loro piena dignità sociale e la possibilità,
spogliata dai molti contenuti consci e inconsci, di scegliere di vivere senza
l'aiuto di sostanze stupefacenti.
Il problema è semmai quale legalizzazione.
Se si smettesse di discutere in astratto di legalizzazione
sì o no, ma si studiassero in concreto i vari modelli di legalizzazione forse
l'alternativa si sgonfierebbe dei tanti significati emotivi di cui attualmente
è portatrice.
È per esempio da scartare l'ipotesi di lasciare la
distribuzione di droga alla libera concorrenza, che ovviamente cercherebbe in
tutti i modi, così come già avviene per le sostanze alcoliche, di incrementarne
l'uso.
Più realistica sembra l'avviamento di una forma di
distribuzione controllata dallo Stato.
Molto importante comunque
risulterà la predisposizione di opportuni servizi di controllo medico in grado
di tenere sotto sorveglianza e di agire sugli effetti primari e collaterali
derivanti dall’uso di simili sostanze.
Ma questa misura, la legalizzazione controllata, risulterà inutile se non sarà accompagnata dall’impegno per
la rimozione delle cause strutturali che consentono e mantengono l'esistenza dell’eroina:
intreccio fra criminalità organizzata e settori politici, emarginazione e
disoccupazione nel mondo giovanile, degradazione della qualità e dei valori
della vita.
www.fondazionepromozionesociale.it