Prospettive assistenziali, n. 73, gennaio - marzo 1986
Editoriale
NELLA PROPOSTA DI PIANO SANITARIO
NAZIONALE GRAVISSIME VIOLAZIONI DEI DIRITTI DEGLI ANZIANI
Nell'editoriale dello scorso numero avevamo preso posizione contro il decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri dell'8 agosto 1985 («Atto
di indirizzo e di coordinamento alle Regioni e alle Province autonome in
materia di attività di rilievo sanitario connesse con quelle
socio-assistenziali»), segnalando che il decreto stesso «ha lo scopo preciso di trasferire dal settore
sanitario al settore socio-assistenziale la competenza ad intervenire nei
confronti di un'altissima quota di cittadini handicappati, di malati mentali,
di tossicodipendenti e nei riguardi di tutti gli anziani cronici non
autosufficienti» (cfr. l'art.
6).
Ora la politica di massiccia emarginazione si estende
dagli anziani cronici non autosufficienti agli anziani
con malattie acute che «non hanno bisogno di trattamenti medici o
riabilitativi intensivi».
Le violazioni previste dalla proposta
di piano
Il paragrafo «Riorganizzare
i servizi ospedalieri» della bozza di piano sanitario nazionale per il
triennio 1986-88, predisposta dal Ministero della sanità (1), prevede
l'istituzione di «residenze di assistenza sanitaria e sociale», strutture che «prestano assistenza ad infermi che non
hanno bisogno di trattamenti medici o riabilitativi intensivi, bensì di
sorveglianza o assistenza medica periodica e di assistenza infermieristica
diretta a prevenire ed a limitare la perdita di autonomia psico-fisico-sensoriale residua all'incompleto superamento di una
condizione acuta di malattia o infortunio o causata da malattie croniche o
degenerative».
Viene inoltre precisato che «le residenze di assistenza sanitaria e sociale dovranno essere
caratterizzate ambientalmente in modo tale da consentire
l'assistenza alla patologia prevalente soprattutto nell'età senile ed in
particolare ai casi definiti "psico-geriatrici"
nonché alle condizioni terminali di malattie, salvo quando queste ultime
richiedano interventi di emergenza da praticare in ambienti ospedalieri per
acuti».
Sempre a proposito delle residenze di
assistenza sanitaria e sociale, la proposta di piano stabilisce
inoltre che «per quanto concerne il mantenimento
assistenziale di tipo alberghiero e sociale gli stessi pazienti sono tenuti a
concorrere con quote di propri redditi o a carico delle famiglie o di enti
assistenziali e locali» (2).
In sostanza la proposta di piano prevede:
a) l'espulsione dal settore sanitario di alcune centinaia di migliaia di anziani che, pur essendo
malati, «non hanno bisogno di trattamenti
medici o riabilitativi intensivi»;
b) il pagamento da parte di pazienti e dei loro
familiari della quota alberghiera e sociale e cioè di
20-30 mila lire al giorno.
Le violazioni già in atto
Già oggi, l'espulsione degli anziani malati cronici
non autosufficienti dal settore sanitario e il loro dirottamento ai servizi
socio-assistenziali costituisce, come abbiamo più volte documentato, una gravissima violazione non solo delle leggi vigenti (3),
ma degli stessi diritti fondamentali della persona.
Del resto, le caratteristiche dell'utenza degli
istituti di assistenza che ricoverano anziani non
autosufficienti rilevano che si tratta di veri e propri malati. Ad esempio, la
quasi totalità degli attuali 400 ospiti dell'istituto
di riposo per la vecchiaia di Torino, C.so Unione Sovietica è «affetta da pluripatologie
(4 malattie in media per individuo»),
come risulta da una lettera del 17 febbraio 1986 scritta dal Prof. Fabrizio Fabris, titolare
della Cattedra di gerontologia e geriatria dell'Università di Torino.
Che gli anziani ricoverati in istituti assistenziali
siano dei malati, è confermato anche dalle dichiarazioni del dottor Bruno Bertagna, segretario nazionale del Sindacato dei medici di
geriatria extra ospedaliera: «Nei due
istituti torinesi, la Casa di riposo geriatrica
Carlo Alberto e l'Opera Pia Convalescenti della Crocetta (4), sono ricoverati anziani con elevata
richiesta sanitaria: oncologici, broncopatici, vasculopatici, ortopedici, psico-geriatrici».
Il dottor Bertagna afferma inoltre che è assurdo che «l'ammalato venga
curato dal Servizio sanitario nazionale, finché la sua malattia è in fase
acuta e poi venga "appaltato" a questi istituti» (5).
Si tratta di amara conferma
di quanto scrivevamo già alcuni anni or sono circa l'«eutanasia da abbandono»
(6) e di ciò che documentano in una loro indagine altri ricercatori.
Nella ricerca di C. Hanau,
A. Tragnone, G. Bianchini «Indagine sui bisogni e i
consumi sanitari degli anziani in case di riposo nel Circondario di Rimini» (7) è scritto quanto segue a proposito dei
ricoverati nelle case di riposo S. Croce Valloni di Rimini, S. Antonio Montescudo e Umberto I di Sant'Arcangelo di Romagna:
a) «Il fenomeno
della patologia acuta riguarda una percentuale considerevole di ricoverati,
stante il fatto che il periodo in esame - in condizioni climatiche favorevoli
- non ha registrato disturbi a carattere diffusivo o epidemico. È opportuno
osservare che in altri contesti tali quadri morbosi costituiscono una occasione per l'ospedalizzazione. Le patologie
preminenti sono caratterizzate da: broncopatie ostruttive croniche riacutizzate,
cistopieliti, cardiopatie ischemiche
acute»;
b) «all'atto
dell'ingresso, nelle suddette tre case di riposo, la patologia preminente era
rappresentata da:
- tumori 13,2%
- malattie
ghiandole endocrine, nutrizione e metabolismo 3,7%
- malattie
sangue ed organi ematopoietici 1,1% - disturbi psichici 6,3%
- malattie sistema nervoso ed organi senso 1,6%
- malattie sistema circolatorio 23,8%
- malattie
apparato respiratorio 9,0%
- malattie
apparato digerente 4,8%
- malattie
apparato uro-genitale 3,7%
- malattie
sistema osteo-muscolare 4,7%
- stati
morbosi mal definiti 28,0%»;
c) «Esaminando
(...) la qualità della terapia farmacologica praticata
all'atto dell'indagine, si può rilevare che sia la terapia intramuscolare che
endovena sono più frequenti a Rimini, ove sono
presenti infermiere professionale e medico con rapporto di consulenza
continuativo quotidiano; pur dovendo rilevare la presenza di severi ed
impegnativi quadri patologici, si può citare il fatto come riprova che
l'offerta condiziona la domanda (...). Si desume che altissima è la incidenza di pluripatologie
con terapie farmacologiche in ognuna delle case di
riposo in esame; è altresì rilevabile che i degenti con più di 4 patologie si
concentrano esclusivamente a Rimini, ciò può essere ascrivibile alla maggior
attenzione diagnostica-terapeutica posta dal
personale addetto».
L'ospedale e la dichiarazione di cronicità
Un concetto sul quale si basano spesso le dimissioni
forzate dagli ospedali è quello della cronicità. Un
termine sul quale merita soffermarsi, come documentano i ricercatori dell'USL
di Roma 9 in un loro studio che merita la massima
divulgazione e attenzione (8). Scrivono detti ricercatori:
«È
consuetudine che la dichiarazione di cronicità sia
stilata nei soli casi in cui si presentino gravi problemi di dimissione: ci si
chiede allora come mai il paziente lasci l'ospedale, pur avendo ottenuto tale
dichiarazione. La dichiarazione di cronicità generalmente autorizza la
permanenza dell'anziano nel luogo di cura ed è per questo motivo che alcuni
medici ne rifiutano la compilazione, consapevoli che essa costituisce di fatto il diritto di "permanenza" del malato in
ospedale fino alla sua "sistemazione" in luoghi "idonei".
«A parte alcune
eccezioni, la degenza ospedaliera, come si rileva dai dati, non sembra così
elevata, tanto da causare disagi e disfunzioni alla struttura; la percentuale
di coloro che "risolvono" in tempi abbastanza limitati la loro degenza
è infatti alta. Il dato che lascia perplessi, invece,
è quello riferito alle dichiarazioni di cronicità emesse nei primi 15 giorni
di ricovero. Un periodo di tempo così limitato non sembra sufficiente ad effettuare gli esami di routine necessari all'inquadramento
dell'episodio patologico, né tanto meno alla definizione di una terapia adeguata.
tenuto conto della situazione sanitaria ospedaliera
romana, attualmente così deficitaria.
«Una
diagnosi di cronicità affrettata fa ritenere che: o non esiste la necessità di
ricovero ospedaliero, oppure che le condizioni sanitarie del ricoverato sono
tali da farlo classificare subito come malato cronico; anche in questo caso si
ha un ricovero "improprio" secondo la logica corrente.
«La presenza
della problematica sociale nel degente viene vista
frequentemente come l'unica motivazione della presenza dell'anziano in ospedale,
escludendo in tal modo un serio impegno sanitario ospedaliero.
«Quanto
detto rivela una gestione superficiale del problema cronicità: dichiarare
"cronica" una persona che venga poi dimessa
significa non aver valutato seriamente il caso, abusando di tale procedura.
«In questo
modo la dichiarazione di cronicità sembra finalizzata più alle esigenze
ospedaliere (come il voler liberare il posto letto), che non alla reale
valutazione delle condizioni del paziente.
«Infatti l'andamento mensile delle dichiarazioni di
cronicità, presenta una notevole flessione nei mesi di agosto e dicembre, mesi
in cui diminuiscono le accettazioni, con il conseguente aumento della
disponibilità dei posti letto (...) il non sovraffollamento fa in modo che
l'anziano sia tollerato, la sua presenza giustifica, in questo periodo,
l'intera struttura ospedaliera, la quale, presenta comunque costi, elevati
anche con i letti vuoti.
«Nei mesi di
maggiore affollamento la necessità di avere a disposizione posti liberi
penalizza immediatamente l'anziano malato: ancora una volta viene
scelta la fascia più debole, meno suscettibile di interesse terapeutico. Il degente
dichiarato cronico viene così ad assumere un ruolo particolare nella dimensione
ospedaliera: continua ad occupare un posto letto, riceve i pasti e la terapia;
ma, informalmente, la struttura si comporta come se ormai non avesse più necessità
di cure e assistenza ospedaliera. Si determina così
un clima di rigetto che induce il malato e la famiglia a "scegliere"
le dimissioni.
«Queste
dimissioni forzate non corrispondono, nella maggior
parte dei casi, ad una adeguata risoluzione del problema; i disagi di un
impossibile ritorno in famiglia determinano la affannosa e immediata ricerca
di altre soluzioni. Spesso, si richiede un nuovo ricovero ospedaliero e/o si effettuano varie prenotazioni in diverse USL, per ottenere un
posto in una clinica per lungodegenza.
«In questo
modo inizia una trafila lunga, umiliante e soprattutto, spesso inutile. Si
ritiene che il vero problema della insufficienza dei
posti letto negli ospedali di Roma sia determinato da una non corretta funzionalità
delle strutture ospedaliere: si potrebbero ad esempio evitare i ricoveri
inutili come quelli per accertamenti diagnostici e routines
pre-operatorie, effettuare dimissioni protette, ecc.».
Qualche voce a difesa degli anziani
A fronte di questi gravi fatti - sia a livello di iniziative governative, sia a livello di prassi sanitaria
- numerose voci si sono levate, negli ultimi mesi, a difesa del diritto alle
cure sanitarie degli anziani malati cronici non autosufficienti.
1 - Molto dure le considerazioni di Monsignor Giovanni Nervo, Vice
Presidente nazionale della Caritas: «Ammalarsi giovani o morire in fretta. È
il paradossale auspicio che viene polemicamente spontaneo dopo la lettura del
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8
agosto 1985 in materia di sanità e assistenza e della proposta di piano
sanitario nazionale per il triennio 1986-88 predisposto dal Ministero della
sanità (versione al 6.12.1985)» (9).
E più avanti:
«Fatta salva la buona fede e le buone intenzioni delle persone responsabili del
provvedimento, sotto questo indirizzo sembra di poter intravvedere una pericolosa filosofia che per ragioni di
carattere economico porta a non rispettare sufficientemente i diritti
fondamentali dei cittadini garantiti dalla Costituzione, a discriminare i
cittadini in base all'età e alla produttività. a
superare con un decreto amministrativo leggi esistenti legittimamente approvate
dal Parlamento. La Costituzione infatti garantisce il
diritto alla salute per tutti i cittadini».
Osserva ancora Monsignor Nervo: «Questo decreto e le conseguenti norme del Piano sanitario
discriminano i cittadini malati a seconda della loro
età. Infatti le residenze di assistenza sanitaria e
sociale, sono previste solo per i malati anziani e non per quelli giovani e
adulti che si trovano nelle stesse condizioni di malattia. Questo indirizzo
porterà quasi inevitabilmente a favorire la segregazione e la
emarginazione delle persone espulse dalla sanità: in queste strutture
verranno molto facilmente rinchiusi i più deboli e cioè in primo luogo gli
anziani cronici non autosufficienti, gli insufficienti mentali gravi e
gravissimi, i malati mentali e i tossicodipendenti non in grado di provvedere
autonomamente a se stessi.
«Poiché la
motivazione dichiarata è la riduzione della spesa sanitaria, è prevedibile che
la sanità tenderà a scaricare al settore assistenziale il
maggior numero possibile di utenti, incentivando così il processo, già in
atto, di cronicizzazione dei più indifesi.
«Accettare
anche solo di fatto una filosofia che distingue i
cittadini che valgono di più perché producono o produrranno, e quelli che valgono
meno perché non producono e sono di peso alla comunità, è estremamente
pericoloso: alla fine di questa strada c'è, come conseguenza logica,
l'eutanasia. Questa discriminazione non è soltanto contro la Costituzione e
contro l'etica, ma anche contro le leggi esistenti».
2 - Il Consiglio regionale piemontese dei Gruppi di
volontariato vincenziano in data 11 marzo 1986 ha
indirizzato alle autorità regionali e locali la seguente nota: « In merito alla proposta di piano sanitario
nazionale per il triennio 1986-88 il Volontariato Vincenziano cittadino, provinciale e regionale intende
farle pervenire le proprie osservazioni e proposte in ordine a quanto prospettato
al paragrafo h) "Riorganizzazione dei servizi ospedalieri" laddove
esso propone "residenze di assistenza sanitaria e sociale" per anziani,
malati e persone in condizioni terminati di malattia.
«Il problema
di una adeguata assistenza medico-infermieristica
e di residenze dove le condizioni umane, morali e spirituali di vita siano
soddisfacenti, sta particolarmente a cuore a questo Volontariato che ha tra le
proprie finalità l'assistenza a queste categorie di persone in difficoltà.
«Il contatto
capillare e personale di volontari con tali situazioni ha
fatto maturare la consapevolezza di alcune esigenze primarie che ci permettiamo
di segnalare affinché vengano previste e rispettate dalle Autorità competenti:
- evitare la
creazione di residenze che ricalchino vecchi modelli
di strutture impersonali e ghettizzanti, nelle quali il livello di assistenza è
notoriamente scadente;
- evitare il
forzato allontanamento dagli ospedali di anziani e
malati per i quali non sia temporaneamente prevista una terapia intensiva, ma
sia ben prevedibile una riacutizzazione della malattia;
- garantire
la continuità terapeutica nelle strutture ospedaliere, favorendo la creazione
di settori a sé stanti in cui possano essere ammessi
i malati in questione e per i quali sia previsto un organico collegamento con i
reparti di provenienza;
- favorire
ed incrementare, ovunque sia possibile, la ospedalizzazione
a domicilio sul modello in corso di sperimentazione presso l'Ospedale Molinette di Torino. A tal fine prevedere anche la
corresponsione, finora non erogata, di un contributo finanziario alla famiglia
per coprire le spese di personale non specializzato che dia il necessario
aiuto;
- garantire
la competenza nella gestione delle strutture per malati anziani e terminali,
al settore sanitario e non a quello assistenziale:
verrebbe così assicurato un collegamento fra fase acuta e fase cronica della
malattia e non si andrebbe quindi incontro al disinteresse del settore
sanitario per il malato temporaneamente dimesso dall'ospedale.
«Il
Volontariato Vincenziano; nella speranza che queste
osservazioni esposte con spirito di fraternità per i più deboli e di fiducia nella sensibilità di chi governa, vengano prese in giusta
considerazione, porge i migliori saluti».
3 - Il Professor E. Antonini sottolinea l'insostituibile ruolo del medico nei riguardi
dei morenti. Al riguardo afferma quanto segue: «Dovunque la morte avvenga, a casa, in ospedale, in strutture
speciali, il medico avrà sempre un'enorme responsabilità nella gestione della
morte. E il come gestire la morte deve entrare a far
parte del suo bagaglio tecnico e culturale, capitolo fondamentale dei suoi
studi universitari (...). Ma per questo non si può contare solo sull'educazione profonda di un medico, sulla sua sensibilità,
sulla sua filantropia. Bisogna che possegga anche delle tecniche non solo farmacologiche (...). Non basta l'amore
per il prossimo, ci vuole professionalità (...). L'interpretazione, il
rapporto individuale va coniugato con una precisa e scientifica conoscenza
dell'evoluzione fisica e psicologica» (10).
4 - Il Professor G. Vecchi, titolare della Cattedra di
geriatria e gerontologia dell'Università di Modena afferma che non bisogna « affrontare i problemi degli anziani malati
accettando una impostazione di bassi costi e di minore
efficienza. Tempo è passato da quando le case di
riposo erano destinate ai vecchi poveri per graziosa volontà di benefattori
munificenti. In una società che sr
fonda sul diritto alla salute, qualsiasi lira spesa per i malati acuti
deve essere spesa anche per i cronici» (11).
Il rapporto del Censis
Un importante riconoscimento della esistenza
del problema degli anziani malati cronici non autosufficienti e della
violazione del diritto alle cure; viene dal Censis,
il quale nel suo «Rapporto 1985» scrive:
«Uno dei problemi più drammatici che si pone in questo ambito;
è quello dei pazienti cronici e dei soggetti non autosufficienti: esso
costituisce uno dei nodi più gravi dell'assistenza geriatrica
ed è motivo di discussione e di diverse e talvolta opposte valutazioni, per il
confluire di aspetti assistenziali e di aspetti più propriamente sanitari.
«La legge
istitutiva del Servizio sanitario nazionale del 1978, riconosce esplicitamente
a tutti i cittadini eguali diritti all'assistenza senza limiti di durata e
indipendentemente dalle cause che hanno determinato lo stato di mancato benessere,
rafforzando quindi le disposizioni precedenti che prescrivevano
l'obbligo dell'assistenza di malattia ai pensionati di invalidità senza limiti
di durata nei casi di malattie specifiche della vecchiaia (legge 4.8.55 n.
692) e che facevano obbligo alle Regioni di indicare la previsione degli
interventi regionali relativi all'impianto di nuovi ospedali e alla trasformazione
di quelli esistenti in relazione al fabbisogno dei
posti-letto distinti per acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti (legge
132 del 12.2.1968).
«D'altra
parte è opinione corrente che se un ospedale generale ricoverasse
al suo interno tutti gli anziani e i cronici che lo richiedono, ben presto
arriverebbe a saturare i suoi letti e a bloccare l'attività cui è preposto. Di
fatto molto spesso i cronici vengono dimessi dagli
ospedali o non vi sono ammessi ed il problema degli anziani che non sono più
in grado di provvedere a se stessi con i propri mezzi o con l'aiuto dei
familiari, viene per lo più risolto con il ricovero in istituti per anziani.
«(...) In
linea generale, comunque, pur non volendo sminuire
l'importanza degli interventi volti a porre rimedio ai più drammatici e più urgenti problemi
della categoria degli anziani, e cioè degli istituti per anziani inabili e/o
soli, delle pensioni di vecchiaia e di invalidità e del loro ammontare, nonché
dei servizi di assistenza domiciliare ed estiva messi in piedi nell'ultimo
periodo dagli enti locali, dall'esame di quanto fatto e progettato, emerge
sostanzialmente un equivoco di fondo. Nel tentativo di andare incontro alle
esigenze degli anziani, cui concorre in buona parte il loro naturale estraniamento dal resto della società civile, si finisce
con l'attivare servizi e strutture talmente
specifici. che non fanno altro che rinforzare
l'elemento da cui si originano buona parte dei problemi» (12).
Una conclusione e qualche proposta
Tornando alle disposizioni contenute nella bozza di
piano sanitario, non vorremmo che - in assenza di un serio impegno da parte
delle forze politiche, sociali, sindacali, culturali - si finisse in realtà
col dare vita a nuovi «Lazzaretti» del XXI secolo.
Uno sguardo alla voce «Lazzaretti e ospedali per incurabili» della Enciclopedia
Treccani rafforza i nostri dubbi.
«Per i
luetici - scrive - giudicati come incurabili e perciò allontanati dagli ospedali comuni,
furono stabilite sedi distinte che ricevettero la denominazione di ospedali per incurabili» (13).
Anziani malati come i luetici di ieri, dunque? La
cura ai cronici non autosufficienti d-eve essere conservata, perciò, alla
competenza del settore sanitario (e non di quello
socioassistenziale) per i seguenti principali motivi (14):
- si tratta di malati ai quali le leggi vigenti
attribuiscono gli stessi diritti dei malati acuti; - la finalità essenziale
dell'intervento nei confronti dei cronici deve essere
curativa, diretta cioè a consentire il massimo di autonomia, ed a ridurre al
minimo le sofferenze;
- le malattie inguaribili sono tutte e sempre
curabili;
- è compito della sanità svolgere le ricerche
scientifiche e tecniche per vincere la cronicità e per ridurne le conseguenze
negative.
A coloro che propongono una gestione mista dei
cronicari fra l'assistenza e la sanità, facciamo presente in primo luogo che
nessun settore (scuola, casa, trasporti, ecc.) ha una doppia
responsabilità amministrativa.
In secondo luogo ci sembra una negazione della professionalità
di medici, infermieri e riabilitatori, prevedere che
essi svolgano le loro funzioni in strutture gestite dall'assistenza, e cioè da un settore il cui personale non è professionalmente
tenuto a conoscere le esigenze dei cronici ed a fornire le risposte più
adeguate.
Non si può certo chiedere al personale del settore assistenziale di capire se una persona è in coma o se la
posizione che tiene a letto può essere causa di anchilosi.
Proporre una gestione degli interventi nei confronti dei cronici da parte del personale assistenziale
con la consulenza degli operatori sanitari, é come chiedere che la scuola
venga gestita dal personale amministrativo con la consulenza degli
insegnanti.
Molto significativo è il
fatto che l'espulsione degli anziani malati cronici non autosufficienti dagli
ospedali e il loro ricovero in cronicari, spesso squallidi, non siano stati
ritenuti conformi alla dignità dei cittadini più illustri (15).
Noi continuiamo a ritenere che, anche per gli anziani
malati cronici non autosufficienti, debba essere applicato l'art. 3 della
Costituzione che recita: «Tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali».
(1) Ci riferiamo alla stesura del 6
dicembre 1985.
(2) Cfr. M.
DOGLIOTTI «Obbligo alimentare e prestazione assistenziale»,
in Prospettive assistenziali, n. 72,
ottobre-dicembre 1985. In base alla legislazione vigente, gli Enti pubblici e
privati non possono pretendere il versamento dei contributi dai parenti tenuti
agli alimenti.
(3) Cfr. in questo numero l'articolo «Sancito dalla
legge 4 agosto 1955 n. 692 il diritto degli anziani malati cronici non
autosufficienti alle cure sanitarie, comprese quelle ospedaliere».
(4) Ciascuno dei due istituti ricovera
400 anziani malati cronici non autosufficienti.
(5) Cfr. «Stampa Sera» del 13 febbraio 1986 e «La Voce del Popolo» del
23 febbraio 1986.
(6) Cfr. «Gli
anziani cronici non autosufficienti: eutanasia da abbandono. Una ricerca in
una casa di riposo», in Prospettive assistenziali, n. 59.
(7) In «Studi e ricerche del
Dipartimento di Economia Politica», n. 41, Università
degli Studi di Modena, ottobre 1984.
(8) Cfr. M.
BEZZI, F. BOTTAZZI, F. DI
FRANCO, P. GIORGI, L. NAPOLEONI, Il malato dichiarato cronico in ospedale e
sul territorio, edito a cura della USL Roma 9,
Roma, 1985.
(9) G. NERVO, dattiloscritto in corso
di stampa su «Italia Caritas».
(10) E. ANTONINI, «La morte ultima tappa
dello sviluppo - Nuovi possibili modelli antropologici e assistenziali», Giornale di Gerontologia, giugno 1984.
(11) G. VECCHI, «Geriatria
e lungodegenza riabilitativa ovvero date a
Cesare...», Giornale di Gerontologia,
maggio 1985.
(12) Cfr. «Rapporto Censis 1985 sulla situazione
sociale del Paese», Franco Angeli, Milano, 1985.
(13) Alla voce «Lazzaretti e Ospedali
per incurabili» c'è anche la seguente precisazione «Nel secolo 18° non risparmiarono aspre
censure (allontanamento dagli ospedali comuni e creazione di sedi distinte
per i luetici, ndr) gli Enciclopedisti, fautori dell'assistenza domiciliare».
(14) Cfr. anche l'Editoriale del n. 72, ottobre-dicembre 1985 di Prospettive assistenziali e in
particolare il paragrafo «Strutture per gli anziani non autosufficienti».
(15) Cfr. «Ingiustificati privilegi
per i cittadini più illustri» nella rubrica «Specchio nero»
di Prospettive assistenziali, n.
72, ottobre-dicembre 1985.
www.fondazionepromozionesociale.it