Prospettive assistenziali, n. 74, aprile - giugno 1986
UN
DOCUMENTO DEL COORDINAMENTO ITALIANO DEL VOLONTARIATO
Fanno parte del CIV la Federazione nazionale delle associazioni di
diabetici, i Centri per i diritti del malato di Bologna, Firenze, Imola e Parma, il Coordinamento sanità e assistenza fra i
movimenti di base di Torino.
La segreteria nazionale è composta da Carlo Hanau (segretario generale), Roberto Lombardi, Lia Simonetti, Renzo Ranieri e Francesco Santanera.
TESTO DEL DOCUMENTO «I MALATI CRONICI GRAVEMENTE NON
AUTOSUFFICIENTI»
II problema dei malati cronici
gravemente non autosufficienti è uno dei più gravi che oggi si pongano alle società moderne: è molto elevato il numero di
coloro che, a seguito di incidenti oppure di malattie fisiche e psichiche si
riducono ad uno stato di bisogno di cura sanitaria continuativa; il previsto
aumento assoluto e percentuale della popolazione anziana è destinato ad
aggravare ancor più l'entità del fenomeno, poiché si stima che almeno una
persona su cento che hanno compiuto 65 anni
di età venga a trovarsi in tale stato.
La prevenzione della cronicizzazione
è il preliminare necessario ad ogni tipo di intervento
curativo della stessa: il nostro servizio sanitario non sembra essere adeguato
a tale ovvia premessa, poiché «produce» un grande numero di cronici, più
elevato che in altri Paesi progrediti, come la Gran Bretagna. Questo
comportamento riduce sia l'efficacia che l'efficienza
del nostro sistema, che si ritrova a consumare più risorse senza ottenere
risultati adeguati.
Le cause delle inefficienze
richiamate sono molteplici, e tra queste si ricorda la scarsità di educazione sanitaria, la separatezza
ed il ritardo del momento riabilitativo rispetto a quello curativo-acuto,
la carenza quantitativa e formativa degli operatori impegnati nella cura sanitaria.
La mancanza di validi interventi
a domicilio è la prima causa del ricovero in istituzione, ove il soggetto perde
la residua autonomia, spesso contrae piaghe da decubito e peggiora il suo
stato mentale; a questa situazione ci si deve opporre con vigore, spezzando il
circolo vizioso creatosi.
Dell'importanza del problema in
oggetto ci si è resi conto a livello governativo, e si è cercato di darvi una
soluzione in una chiave esplicitamente finanziaria, come dimostrano il decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri in data
8.8.1985 e la proposta di Piano sanitario nazionale 1986-88. Le preoccupazioni
sulla finanza pubblica non possono essere dimenticate, ma la realizzazione del
Piano sanitario nazionale non deve essere l'occasione per sottrarre ai malati
cronici conquiste già consolidate nella legislazione
in vigore (cfr. leggi n.
132/1968 e n. 833/ 1978, che a rigore non possono essere abrogate da un dispositivo
delegificato, quale appunto la proposta di Piano
sanitario nazionale). Non si può accettare che la cronicità - i cui confini e
definizioni sono molto difficoltosi a trovarsi - venga
usata contro il malato, per ridurre il livello delle cure che devono essergli
fornite o per scaricare sull'individuo e sulla sua famiglia gli oneri
finanziari relativi; in caso contrario si realizzerebbe di fatto un sistema
che non tutela i grandi rischi.
A riprova di quanto poco sia
tutelata la popolazione nei confronti dei rischi molto gravi e diffusi, si
può ricordare che il diabete, patologia sociale che al termine del suo decorso
naturale provoca con le sue complicanze un gran numero di cronici gravemente
non autosufficienti, non viene neppure considerato
nella proposta di Piano sanitario nazionale: il motivo di tale «dimenticanza»
sembra risiedere proprio nella grande diffusione del diabete fra la
popolazione (círca 5 milioni di italiani,
diagnosticati oppure no) che secondo gli estensori della proposta di Piano
sanitario nazionale comporterebbe un impegno di spesa troppo elevato; ciò si
afferma senza considerare che l'informazione, l'educazione sanitaria,
l'autocontrollo e la prevenzione delle complicanze potrebbero di per sé ridurre
le ospedalizzazioni, con grandi risparmi sulla spesa sanitaria.
Il malato cronico resta anzitutto
un malato, e come tale conserva il diritto a tutte le forme di
intervento collegate al tipo di cura che gli viene praticata ed alle
stesse condizioni degli altri malati (ad esempio, il regime di ospedalizzazione comprende anche il trattamento
alberghiero). In più, rispetto ai malati acuti, deve essere fatto oggetto di attenzioni particolari, perché rappresenta un ottimo
testimone del funzionamento del servizio sanitario, nel quale vive in
continuità. Non è per caso che un servizio altamente specializzato come quello canadese (dove la ripartizione degli utenti viene
effettuata secondo rigidi criteri di pertinenza sociali e sanitari), obbliga
gli ospedali per acuti a trattenere una quota di cronici pari al dieci per
cento del totale dei letti disponibili: nel consiglio di amministrazione dell'Ente i cronici rappresentano tutti i malati, ed i
loro suggerimenti consentono di eliminare almeno una parte dei comportamenti
che provocano inutili sofferenze alla generalità dei malati, soprattutto
nell'ambito della gestione alberghiera delle istituzioni, dell'umanizzazione
delle cure e dei rapporti col personale.
La legislazione italiana ancora
vigente (art. 29 legge 132 del 12.2.1968) impone alle Regioni di
programmare i posti letto degli ospedali tenendo conto
delle esigenze dei malati «acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti» e
persino in un recente documento sugli ospedali sottoscritto da famosi clinici
italiani - «manifesto bianco» - si considera necessaria la funzione ospedaliera
per i cronici, i convalescenti e i lungodegenti, localizzata prevalentemente
nei presidi zonali ed integrata con le cure e le prestazioni domiciliari, sul
cui potenziamento tutti concordano. A questi criteri si rinviano le Regioni, che saranno chiamate a dare attuazione al Piano
sanitario nazionale riducendo il numero di posti letto per acuti ovunque si
registri eccedenza.
Rifiutando recisamente che il
diritto alla cura dei malati cronici venga declassato
a semplice interesse legittimo alla beneficenza, riteniamo valido lo standard
assistenziale proposto per 50 assistiti
dalla proposta di Piano sanitario nazionale (versione dicembre '85): 12 infermieri, 8 ausiliari, 1 caposala, 6 fisioterapisti, purché a questi si aggiunga un
congruo numero di addetti alle esigenze psicologiche e sociali del malato. La
parte di cura medica e quella strumentale e diagnostica non devono in alcun
caso travalicare i confini dettati dall'esigenza di migliorare lo stato di
salute; con ciò si risponde alla preoccupazione di coloro
che temono si perpetui uno spreco delle risorse tecnico-sanitarie,
purtroppo verificatosi in alcune strutture ospedaliere italiane, senza alcun
vantaggio per l'assistito (c.d. sanitarizzazione dei
problemi).
Il mantenimento di questi malati
cronici all'interno dell'area sanitaria aggiunge
inoltre il vantaggio non trascurabile di consentire l'interscambio del
personale fra le funzioni di cura ai cronici e quelle agli acuti: nella maggior
parte dei casi tale interscambio è assolutamente necessario per garantire una
«ricarica» delle motivazioni personali.
Si suggerisce inoltre di
mantenere la continuità terapeutica fra i momenti dell'acuzie della malattia,
della cronicità e della riacutizzazione, sia nella fase di intervento
domiciliare, sia in quella ospedaliera di breve e lunga degenza. Si ovvierebbe
ai difetti provocati dallo scoordinamento, deliberato o involontario,
perseguito da alcune strutture: ad esempio si scarica il malato su altre
strutture o sulle famiglie senza curarsi delle conseguenze negative provocate dalle colpevoli trascuratezze commesse nel corso della fase
precedente; al riguardo si segnala l'iniziativa dell'Assessore alla sanità del
Piemonte, che ha fatto divieto agli ospedali di dimettere pazienti con piaghe
da decubito. L'organizzazione dipartimentale, pure prefigurata nella legislazione nazionale da molti anni, stenta a divenire realtà:
questi problemi costituiscono un valido banco di prova per un funzionamento
corretto dei servizi.
Soluzioni previste
Verranno qui
di seguito accennate due soluzioni: 1) quella definita, sia pur con termini
contraddittori, «ospedalizzazione a domicilio», che può essere attuata sia al
domicilio della famiglia del malato, sia in «appartamenti protetti», piccole
comunità che danno alloggio a coloro che non hanno casa né parenti; 2) quella
in regime di ricovero.
1. L'ospedalizzazione
a domicilio
Una parte del problema dei malati
cronici può essere risolto con l'aiuto dei familiari,
se le unità socio-sanitarie locali istituiscono il servizio di ospedalizzazione
a domicilio.
La proposta muove dalla
convinzione che, in certi casi, si possono evitare al paziente i problemi di
una lunga degenza in ospedale, se si forniscono ai familiari adeguati sostegni.
Inoltre l'ospedalizzazione a domicilio assicura al
malato cronico non autosufficiente i notevoli vantaggi derivanti dall'essere
circondato dai suoi cari.
In concreto, il servizio di ospedalizzazione a domicilio dovrebbe prevedere:
- le prestazioni del medico di
base, così come sono stabilite dalla legislazione vigente;
- l'intervento,
abitualmente anche a domicilio, dei medici specialisti e del personale infermieristico
e riabilitativo;
- la corresponsione ai familiari
di una somma sufficiente a coprire le spese da essi
sostenute per ottenere i necessari aiuti da parte del personale non
specializzato;
- la garanzia del ricovero
ospedaliero nei casi in cui ciò sia necessario;
- adeguati controlli per evitare
abusi.
La richiesta del contributo nasce
a nostro avviso dalla constatazione che ai familiari non può essere chiesto di essere presenti 24 ore su 24; a tal fine non è adeguato
l'assegno di accompagnamento, sia per le lungaggini della procedura che per
l'esiguità dell'importo.
2. Ricovero per i
malati cronici
Le strutture per il ricovero dei
malati cronici debbono essere gestite dal settore
sanitario, realizzando il collegamento fra le fasi acute e quelle croniche,
privilegiando al massimo l'intervento a domicilio, attuando le formule dipartimentali
fra medicina di base, specialistica ed ospedaliera. Qualora non siano più
sufficienti la «ospedalizzazione a domicilio», il day hospital ed i servizi
diurni, devono essere previsti i posti letto per il
ricovero nelle seguenti modalità:
- in apposite
camere dei normali reparti ospedalieri di degenza medica, particolarmente
negli ospedali di base;
- in strutture a sé stanti,
complessivamente non superiori a 50 posti letto, suddivise in settori di 25
posti letto, organicamente collegati con i reparti ospedalieri che ne
dispongono le ammissioni (vi si garantisce cioè un
organico del personale comune con quello del reparto acuti).
La progettazione e l'organizzazione
degli ospedali dovrebbero essere incentrate su quei miglioramenti
che, necessari per i malati cronici, sono tuttavia molto utili anche per gli
acuti.
Risorse necessarie
Stante l'attuale misera
situazione in cui versano i malati cronici gravemente
non autosufficienti, ai quali il servizio pubblico lesina ogni tipo di cura sia
nell'ambito ospedaliero sia nelle case di riposo (ove il personale è ancor più
ridotto e spesso privo di ogni qualificazione), è necessario prevedere un
forte aumento delle risorse umane e materiali da dedicare a queste necessità.
Sembra necessario che una parte consistente dei fondi ricavati dal «risparmio
petrolifero» e dedicati all'occupazione giovanile vengano spesi per garantire
una vita dignitosa ai malati cronici non autosufficienti, altrimenti condannati
a marcire nei letti in attesa della morte.
Molti di questi malati, gli
anziani, hanno contribuito con il loro lavoro ed i loro sacrifici al processo di accumulazione che ha reso l'Italia un paese
industrializzato e ricco; tale processo ha condotto all'automazione della
produzione dei beni ed impone oggi che una quota crescente di popolazione
attiva si dedichi ai servizi alle persone, poiché in caso contrario si origina
un perverso processo di aumento della disoccupazione, con le conseguenze
devastanti già ampiamente sperimentate negli ultimi anni.
Doveri di giustizia e di
solidarietà, valori ampiamente radicati nel nostro sentimento comune,
impongono che si favorisca e si incentivi l'impegno
prioritario dei giovani inoccupati nei confronti dei più bisognosi e dei più
deboli, i cronici non autosufficienti, attivando un grande piano in grado di
combattere insieme la disoccupazione dei giovani e l'emarginazione dei malati.
Ben poco ci si può attendere dal meccanismo del libero mercato, poiché la
maggior parte dei non autosufficienti non possiede le disponibilità economiche
necessarie per acquistare i servizi e per soddisfare così i propri bisogni di
base: solo un deciso intervento pubblico può sbloccare la situazione, mediante
un coraggioso piano occupazionale, l'estensione del servizio civile od altre
forme capaci di rispondere sia alle necessità dei malati, che di tale aiuto
presentano una estrema necessità, sia alle necessità
dei giovani che vogliono lavorare utilmente in questo settore, avendo la
necessaria predisposizione.
Nei confronti di tutto il personale, a qualunque titolo impegnato, sarà necessario attivare iniziative di formazione specialistica, di base e permanente, affinché tutti gli operatori siano posti all'altezza delle mansioni loro assegnate. In questo modo l'Italia potrà raggiungere nel trattamento dei cittadini più deboli quel livello di cure che si addice ad un paese civile.