DIRITTI ED ESIGENZE DELLE PERSONE
GRAVEMENTE NON AUTOSUFFICIENTI
Pubblichiamo integralmente il documento «Diritti ed
esigenze delle persone gravemente non autosufficienti», elaborato da un gruppo
informale costituitosi presso 1'ISTISSS (Istituto per gli studi sui servizi sociali) di Roma, composto da: Barich Anna Maria, ACLI, Roma; Bartoli Andrea, Comunità S. Egidio, Roma; Bassanini Maria Chiara, IRS
(Istituto ricerca scientifica), Milano; Bassanini Franco, Deputato sinistra indipendente; Belloi Luciano, Cattedra di gerontologia e geriatria,
Università di Modena; Bertin Mario, CISL, Roma; Bergonzi Agostino, Commissione affari sociali, PCI; Bitto Giovanna, Federazione nazionale pensionati CISL,
Roma; Catelani Riccardo; Fabris Fabrizio, Cattedra di gerontologia e geriatria,
Università di Torino; Florea Aurelia,
ISTISS (Istituto per gli studi sui servizi sociali), Roma; Foschi Franco,
Deputato DC; Garavaglia Maria
Pia, Deputato DC; Gattini Fernando, Lega per i poteri e le autonomie locali,
Torino; Hanau Carlo, CIV (Coordinamento italiano del
volontariato), Milano, cui aderiscono: FAND (Federazione nazionale
associazione diabetici), CSA (Coordinamento sanità e assistenza fra i
movimenti di base), Torino; Associazione per il diritto alla salute e per la
tutela del malato, Firenze; Centro per i diritti del malato, Bologna e Parma;
Centro ecologia e salute, Imola; Lepore Tiziana,
Federazione nazionale pensionati CISL, Roma; Macchione
Carmine, Cattedra di gerontologia e geriatria, Università di Torino; Martinelli Francesco, Cattedra di sociologia urbana,
Università di Roma; Don Monterubbianesi Franco,
Comunità di Capodarco, Roma; Monsignor Nervo
Giovanni, Presidente Fondazione Zancan; Monsignor Pasini Giuseppe; Passuello Franco, ACLI, Roma; Rossanda
Marina, Senatrice PCI; Santanera Francesco, Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base, Torino; Santini Renzo, Deputato
PSI; Selleri Gianni, ANIEP, Bologna; Tavazza Luciano, MO.VI., Roma;
Tedesco Giglia, Senatrice PCI; Trabucchi Marco, Cattedra di farmacologia, Ila
Università di Roma; Trevisan Carlo, ISTISSS (Istituto
per gli studi sui servizi sociali), Roma; Valentini Alberto, ACLI, Roma; Vecchi Gianpaolo, Cattedra
di gerontologia e geriatria, Università di Modena; Vetere
Carlo, Ministero della sanità, Roma.
Le organizzazioni e le persone singole che intendono
aderire al documento, sono pregati di comunicarlo all'ISTISSS, Via Arno 2,
Roma.
TESTO
DEL DOCUMENTO
Di fronte alle affermazioni del decreto della Presidenza del Consiglio dell'8 agosto 1985 e alla
nuova stesura del Piano sanitario nazionale, riteniamo di dover affermare che:
1)
La prevenzione va garantita a tutti.
Non è invece garantita soprattutto ai malati cronici
non autosufficienti. Infatti molti di loro sono in
queste condizioni per le disattenzioni del sistema.
Anche gli interventi più semplici sono una forma di
prevenzione di più gravi patologie o di peggioramenti (basti pensare alla
nutrizione, all'igiene, alla profilassi dei decubiti...). Non può il settore
sociale garantire questi interventi rilevanti dal punto di vista sanitario.
Non si può far ricadere sui singoli cittadini colpiti
da malattia cronica, ormai non autosufficienti, il peso della mancata
prevenzione. Molte forme croniche sono direttamente legate alle condizioni di
vita e di lavoro; molte altre avrebbero potuto essere
contenute; molte altre sono state determinate, o peggiorate, dalle mancate o
cattive cure.
Non c'è una età o una
condizione che impedisce la prevenzione o che giustifica la sua non attuazione.
Possono essere sempre prevenuti i peggioramenti della stessa patologia o
l'insorgere di patologie incrociate, coagenti, contemporanee.
Tale impostazione preventiva dei servizi è sancita
dalle leggi dello Stato in materia che non stabiliscono
nessuna differenza tra prevenzione primaria, secondaria e terziaria, e indicano
la prevenzione stessa, nel suo complesso, come obiettivo prioritario del
Servizio sanitario nazionale (legge 833). La prevenzione deve informare tutti
i servizi, le strutture, le attività operative e di formazione.
Deve altresì risultare
chiaramente dal Piano sanitario nazionale e da tutte le indicazioni programmatiche
centrali e periferiche.
2)
La prevenzione va garantita soprattutto
agli anziani, assieme alle cure e alla riabilitazione, per ogni tipo di
malattia, fisica o psichica.
Abbiamo infatti in Italia 1
milione e 250 mila ultraottantenni, di cui 150 mila hanno superato i 90 anni.
Chi è anziano si ammala più di un giovane e di un
adulto, in modo più grave e persistente. Una persona anziana è meno difesa: c'è
un maggior bisogno di una prevenzione efficace. Con più difficoltà le diverse
patologie evolvono in modo favorevole: c'è un maggior bisogno di cure.
In un quadro di ridotte capacità, la riabilitazione,
anche parziale, è sinonimo di sopravvivenza e migliore qualità della vita. C'è
bisogno sempre della riabilitazione finalizzata al recupero funzionale anche
parziale.
Gli interventi sanitari sugli anziani sono spesso
poco costosi dal punto di vista dei macchinari, delle
alte tecnologie. Richiedono però maggior sorveglianza e controllo, maggior
assistenza infermieristica e sostegno.
Non trova motivazione plausibile, particolarmente
da un punto di vista medico, la scelta di economizzare riducendo la tutela
sanitaria degli anziani non autosufficienti.
Il presente degli anziani, sarà il nostro futuro. Si
tenga presente che le persone sono oggi definite anziane dopo i 65 anni di età. Si tratta di persone, uomini e donne, che hanno
contribuito in modo notevole alla costruzione della nostra odierna condizione
civile.
3)
Secondo quanto affermato nella
Costituzione italiana, tutte le persone colpite da malattia hanno diritto ai
necessari trattamenti curativi e riabilitativi.
Questa affermazione di principio è di fondamentale valore, perché sancita dalla Costituzione, ed è invece disattesa.
Le leggi dello Stato prevedono che l'assistenza sanitaria sia fornita senza
limiti di tempo. Per i cronici invece (soprattutto se anziani), tale diritto
non viene riconosciuto: attraverso dimissioni forzate, attraverso il ricovero
in strutture assistenziali e non sanitarie,
interrompendo trattamenti terapeutici, non attivando gli strumenti
riabilitativi.
Ogni tentativo di estromettere i cronici dalla
prevenzione, dalla cura, dalla riabilitazione è da considerarsi illegittimo
rispetto alla legislazione vigente.
Per la legislazione si faccia riferimento: alla legge
4 agosto 1955 n. 692, al decreto del Ministro del
lavoro del 21 dicembre 1956 e, specificatamente, all'art. 29 della legge 12 febbraio
1968 n. 132 e alla legge di riforma sanitaria del 23 dicembre 1978 n. 833.
Il riferimento alla Costituzione è agli articoli 3 e
32.
4)
Tutte le persone colpite da malattia
hanno diritto a trattamenti sanitari forniti senza omissioni o ritardi.
Soprattutto i pazienti anziani, e più in generale quelli parzialmente o
totalmente non autosufficienti, hanno diritto a cure che garantiscano
la sopravvivenza e una dignitosa vita personale. Non sono tollerabili
disattenzioni che provocano peggioramenti,
aggravamenti, nuove patologie.
Mentre si riducono gli spazi di tutela sanitaria per i
malati cronici, si delega, di fatto, alla famiglia, l'onere dell'assistenza.
Manca infatti una normativa
che sostenga la condizione dei cronici e delle loro famiglie (in termini di
rapporti di lavoro, prestazioni economiche...) chiamate a fornire la
necessaria assistenza. Chi deve assistere un malato cronico deve sobbarcarsi di aspetti normalmente curati dal Servizio sanitario
nazionale senza per questo essere sostenuto.
Anche l'azione dei volontari è spesso ostacolata dagli
ordinamenti ospedalieri e dalle istituzioni di ricovero.
È necessario sostenere le iniziative di solidarietà
e controllo sociale, rivolte a tutti, ma particolarmente
significative per i malati cronici gravemente non autosufficienti.
Non è possibile ipotizzare una distinzione circa i
diritti in base all'età. Non è possibile ipotizzare tale distinzione in base
alle diverse tipologie. Se si vogliono introdurre delle distinzioni circa i livelli
di prestazioni sanitarie si dovrà tener conto del
maggior bisogno degli anziani e più in generale dei malati cronici gravemente
non autosufficienti.
È invece piuttosto comune che nelle strutture
sanitarie si operino delle discriminazioni pesanti e continue nei confronti di
questi cittadini.
Taluni finiscono per sostenere che tali persone sono
troppo malate (e che di conseguenza costano troppo).
Altri sostengono che sono malati ininteressanti,
che generano solo frustrazione tra gli operatori.
Altri ancara credono che
queste persone abituate a soffrire per la lunga malattia possano essere
meglio usate dagli allievi inesperti.
Altri ancora sostengono che il diritto alle cure e
alla riabilitazione viene meno quando una persona è
troppo vecchia e malata.
Si tratta per lo più di affermazioni
che procedono falsamente da motivazioni oggettive e altruistiche ed esprimono
piuttosto il disagio di chi le pensa e le pronuncia.
5)
Nessuno può negare la cura col pretesto
che il malato non guarirà più, essendo cronico: inguaribile non significa
incurabile. Anche se non si può guarire si può
migliorare, continuare, cercare di non peggiorare la situazione, sperando e
lavorando, curando e riabilitando, senza accanimento terapeutico.
Non si può accettare il legame tra cura e guarigione
(«Ti curo solo se puoi guarire»). Anche chi non può
guarire deve essere curato. Anzi deve essere curato di
più e meglio perché non potrà vivere molto, e spesso non sarà una vita facile.
Non è facile infatti convivere con una patologia. La malattia non è solo qualcosa che si «ha» - quasi fosse un
oggetto da possedere e dominare - è una condizione dell'esistenza.
Essere malati in maniera cronica vuol dire essere sempre malati.
Non si finisce di essere malati quando una malattia termina il suo stadio
acuto. Una persona cronica è soggetta più di altri a ricadute. Molte malattie
hanno infatti fasi acute e croniche che si presentano
continuamente. Lo stesso termine cronico sta semplicemente ad indicare che la
malattia dura «nel tempo» (cronos). Nessuno può permettersi
di accorciare questo «tempo» residuo di vita, risolvendo il problema dei
cronici con una morte prematura perché «sanitariamente
non si poteva fare nulla».
Si accorcia la vita anche non prendendo tempestivamente
quelle misure sanitarie che consentono di salvaguardare e stimolare la residua
autonomia. Anche la cura sintomatologica
è fondamentale e indispensabile.
6)
Tutte le potenzialità culturali devono
essere utilizzate per ridurre al minimo le conseguenze negative degli stati di
cronicità e di non autosufficienza.
La diffusa opinione secondo la quale le malattie
croniche e i loro portatori sono scientificamente
«meno interessanti», va contestata. Il disinteresse è espressivo solo del
ritardo culturale del nostro sistema sanitario e dei suoi operatori. È noto,
infatti, che c'è una crescita delle malattie cronico-degenerative
e che tutte le discipline possono concorrere al miglioramento delle condizioni di vita.
Si assiste spesso al lavoro di operatori
demotivati e poco qualificati. Ciò è tanto più frequente per chi si occupa di
malati cronici non autosufficienti, soprattutto se anziani.
Va rimossa, ad ogni livello decisionale e dirigenziale,
la convinzione che lavorare con i cronici equivalga
ad un impegno che richiede minore preparazione professionale.
I responsabili della formazione del personale
dovranno essere ben consapevoli delle specificità necessarie
ad un intervento sanitario di buon livello nell'assistenza ai malati cronici,
soprattutto se anziani, soprattutto se non autosufficienti.
Anche tra gli operatori va rimossa tale convinzione,
assieme all'idea che il lavoro con i cronici, soprattutto se anziani e non
autosufficienti, sia di per sé più faticoso e meno gratificante.
Le Regioni, gli Enti locali, le U.S.L. dovranno tener
conto nei loro piani di formazione, di tali necessità, valorizzando le nuove
professionalità geriatriche.
7)
Ogni persona cronica, come tutti i
cittadini, ha diritto, se malata, ad essere curata e riabilitata. Questo
diritto è rafforzato dalla condizione di parziale o
totale non autosufficienza. Il Servizio sanitario nazionale non può delegare,
in nessun caso - né del tutto né in parte - obiettivi suoi propri sanciti dalla
legge istitutiva (art. 2, legge 23 dicembre 1978, n.
833). Non è possibile modificare con semplici atti amministrativi, quanto
stabilito dalla legislazione vigente.
Il Piano sanitario nazionale, approvato con atto non
legislativo, non può modificare e alterare, rispetto alla salute, i diritti
garantiti dalla legge.
Il settore socio-assistenziale sta per essere
caricato di un peso che non gli appartiene. Non si può sostenere che la cura e
la riabilitazione dei cronici debba, o possa, essere
effettuata sotto la competenza del settore assistenziale.
Dare da mangiare, da bere, far muovere in maniera
adeguata alle necessità di una persona malata non autosufficiente, sono atti
sanitari.
In ogni struttura sanitaria queste attività sono
giustamente considerate parte integrante delle
attività terapeutiche. Il loro valore «sanitario» non si sostanzia nel fatto
che sono compiute in un «ambiente sanitario» (alimentare un malato in ospedale
è un atto terapeutico-sanitario, ma farlo fuori è solo assistenza).
Il valore di un intervento sanitario è determinato
dalle necessità del paziente. Tutto può concorrere al miglioramento delle sue
condizioni di vita.
Intervento sanitario non è equivalente di intervento ospedaliero; e non può essere equiparato, nel
caso dei cronici, allo sperpero.
Sarà necessario verificare quali in concreto potranno
essere le migliori risposte al bisogno sanitario dei cittadini cronici non
autosufficienti.
8)
Non è accettabile che alle persone malate
croniche, o ai loro parenti, siano addossati oneri più gravosi degli altri
cittadini. Sarà piuttosto necessario prevedere delle agevolazioni (sussidi
economici, servizi gratuiti, agevolazioni nel rapporto di lavoro, esenzione
dal ticket), affinché sia sostenuta l'opera della famiglia e della solidarietà
sociale.
Le strutture per lungodegenti dovranno rispettare standards adeguati e modalità di vita rispondenti ai
bisogni dei cittadini ospitati.
Dovranno quindi essere regolamentate sia le strutture
fisico-logistiche, che le attrezzature... Dovranno
anche essere rispettati i tempi di vita, e curati gli aspetti non secondari
della qualità di vita all'interno dell'istituzione.
Tali strutture, siano esse interne o esterne ai
reparti ospedalieri, dovranno configurarsi come strutture
«aperte» agli apporti delle forze sociali e del volontariato. Va in
ogni caso garantito il rapporto dei malati cronici con il mondo esterno anche
favorendo forme di solidarietà sociale.
In particolare tali strutture dovranno adottare
ordinamenti interni che tengano conto di tali necessità.
Andranno, contestualmente, smantellate tutte le
megastrutture per cronici.
9)
Il Servizio sanitario nazionale deve
istituire l'ospedalizzazione a domicilio delle persone
malate croniche non autosufficienti. Gli Enti locali, le Regioni, nei loro
ambiti di competenza, orienteranno in tal senso le loro risorse.
Tale nuova impostazione esige un ripensamento articolato dal punto di vista organizzativo,
formativo, finanziario.
Le patologie presenti nei malati cronici non
autosufficienti possono ragionevolmente essere curate a casa. Anche la riabilitazione può essere felicemente risolta a
domicilio. Al falso mito dei malati «falsi», o come si usa dire «impropri» che
occupano cioè immotivatamente
il letto di altri, va sostituita l'osservazione vera che c'è una coincidenza
di interessi tra malato cronico e istituzione. Infatti
nessun malato «desidera» lasciarsi morire in ospedale: spesso si è poco curati
e poco assistiti nelle vere necessità.
L'ospedale non sopporta presenze di lungodegenti per
le difficoltà di tipo strutturale e organizzativo che creano all'interno del
sistema. Gli ospedali non vogliono i cronici, i cronici non vogliono
gli ospedali.
Non ha senso la «guerra al cronico», il terrorismo
psicologico e concreto che viene tuttora praticato per
costringere alle dimissioni senza strutture alternative. Anche la struttura
ospedaliera non ha che da guadagnare nella ospedalizzazione
a domicilio. Tale organizzazione permette, tra l'altro, di
riutilizzare risorse nuove (famiglia, solidarietà sociali...), di rimotivare e riaggiornare
il personale.
10)
La formazione di base e permanente degli
operatori sanitari, l'umanizzazione degli ospedali, degli ambulatori e degli
interventi domiciliari devono costituire un impegno costante
del Servizio sanitario nazionale. Tale formazione deve essere orientata
verso i malati cronici in modo adeguato, permettendo l'acquisizione di nuovi
comportamenti professionali, più rispondenti alle necessità dei cittadini
malati e del sistema.
11)
La continuità terapeutica deve essere garantita
anche nella fase non acuta della malattia. Le prestazioni ai
malati cronici debbono essere fornite dal settore sanitario realizzando il
collegamento tra fasi acute e quelle croniche. Tale sintesi può essere
ottenuta ottimamente con la ospedalizzazione a
domicilio. Nel caso di ospedalizzazione a domicilio
non saranno richiesti né tickets né spese aggiuntive
ai cittadini e ai loro familiari.
www.fondazionepromozionesociale.it