Prospettive assistenziali, n. 75, luglio - settembre 1986

 

 

DIRITTI ED ESIGENZE DELLE PERSONE GRAVEMENTE NON AUTOSUFFICIENTI

 

 

Pubblichiamo integralmente il documento «Di­ritti ed esigenze delle persone gravemente non autosufficienti», elaborato da un gruppo infor­male costituitosi presso 1'ISTISSS (Istituto per gli studi sui servizi sociali) di Roma, compo­sto da: Barich Anna Maria, ACLI, Roma; Bartoli Andrea, Comunità S. Egidio, Roma; Bassanini Maria Chiara, IRS (Istituto ricerca scientifica), Mi­lano; Bassanini Franco, Deputato sinistra indipen­dente; Belloi Luciano, Cattedra di gerontologia e geriatria, Università di Modena; Bertin Mario, CISL, Roma; Bergonzi Agostino, Commissione af­fari sociali, PCI; Bitto Giovanna, Federazione na­zionale pensionati CISL, Roma; Catelani Riccar­do; Fabris Fabrizio, Cattedra di gerontologia e ge­riatria, Università di Torino; Florea Aurelia, ISTISS (Istituto per gli studi sui servizi sociali), Roma; Foschi Franco, Deputato DC; Garavaglia Maria Pia, Deputato DC; Gattini Fernando, Lega per i poteri e le autonomie locali, Torino; Hanau Carlo, CIV (Coordinamento italiano del volonta­riato), Milano, cui aderiscono: FAND (Federazio­ne nazionale associazione diabetici), CSA (Coor­dinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base), Torino; Associazione per il diritto alla sa­lute e per la tutela del malato, Firenze; Centro per i diritti del malato, Bologna e Parma; Centro ecologia e salute, Imola; Lepore Tiziana, Federa­zione nazionale pensionati CISL, Roma; Macchio­ne Carmine, Cattedra di gerontologia e geriatria, Università di Torino; Martinelli Francesco, Cat­tedra di sociologia urbana, Università di Roma; Don Monterubbianesi Franco, Comunità di Capo­darco, Roma; Monsignor Nervo Giovanni, Presi­dente Fondazione Zancan; Monsignor Pasini Giu­seppe; Passuello Franco, ACLI, Roma; Rossanda Marina, Senatrice PCI; Santanera Francesco, Co­ordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, Torino; Santini Renzo, Deputato PSI; Selleri Gianni, ANIEP, Bologna; Tavazza Luciano, MO.VI., Roma; Tedesco Giglia, Senatrice PCI; Trabucchi Marco, Cattedra di farmacologia, Ila Università di Roma; Trevisan Carlo, ISTISSS (Isti­tuto per gli studi sui servizi sociali), Roma; Va­lentini Alberto, ACLI, Roma; Vecchi Gianpaolo, Cattedra di gerontologia e geriatria, Università di Modena; Vetere Carlo, Ministero della sanità, Roma.

Le organizzazioni e le persone singole che in­tendono aderire al documento, sono pregati di co­municarlo all'ISTISSS, Via Arno 2, Roma.

 

 

TESTO DEL DOCUMENTO

 

Di fronte alle affermazioni del decreto della Presidenza del Consiglio dell'8 agosto 1985 e alla nuova stesura del Piano sanitario nazionale, rite­niamo di dover affermare che:

 

1) La prevenzione va garantita a tutti.

Non è invece garantita soprattutto ai malati cronici non autosufficienti. Infatti molti di loro sono in queste condizioni per le disattenzioni del sistema.

Anche gli interventi più semplici sono una for­ma di prevenzione di più gravi patologie o di peggioramenti (basti pensare alla nutrizione, all'igiene, alla profilassi dei decubiti...). Non può il settore sociale garantire questi interventi rile­vanti dal punto di vista sanitario.

Non si può far ricadere sui singoli cittadini col­piti da malattia cronica, ormai non autosufficien­ti, il peso della mancata prevenzione. Molte for­me croniche sono direttamente legate alle condi­zioni di vita e di lavoro; molte altre avrebbero potuto essere contenute; molte altre sono state determinate, o peggiorate, dalle mancate o cat­tive cure.

Non c'è una età o una condizione che impedi­sce la prevenzione o che giustifica la sua non attuazione. Possono essere sempre prevenuti i peggioramenti della stessa patologia o l'insorge­re di patologie incrociate, coagenti, contempo­ranee.

Tale impostazione preventiva dei servizi è san­cita dalle leggi dello Stato in materia che non stabiliscono nessuna differenza tra prevenzione primaria, secondaria e terziaria, e indicano la prevenzione stessa, nel suo complesso, come obiettivo prioritario del Servizio sanitario nazio­nale (legge 833). La prevenzione deve informare tutti i servizi, le strutture, le attività operative e di formazione.

Deve altresì risultare chiaramente dal Piano sa­nitario nazionale e da tutte le indicazioni pro­grammatiche centrali e periferiche.

 

2) La prevenzione va garantita soprattutto agli anziani, assieme alle cure e alla riabilitazione, per ogni tipo di malattia, fisica o psichica.

Abbiamo infatti in Italia 1 milione e 250 mila ultraottantenni, di cui 150 mila hanno superato i 90 anni.

Chi è anziano si ammala più di un giovane e di un adulto, in modo più grave e persistente. Una persona anziana è meno difesa: c'è un mag­gior bisogno di una prevenzione efficace. Con più difficoltà le diverse patologie evolvono in modo favorevole: c'è un maggior bisogno di cure.

In un quadro di ridotte capacità, la riabilitazio­ne, anche parziale, è sinonimo di sopravvivenza e migliore qualità della vita. C'è bisogno sempre della riabilitazione finalizzata al recupero funzio­nale anche parziale.

Gli interventi sanitari sugli anziani sono spes­so poco costosi dal punto di vista dei macchi­nari, delle alte tecnologie. Richiedono però mag­gior sorveglianza e controllo, maggior assisten­za infermieristica e sostegno.

Non trova motivazione plausibile, particolar­mente da un punto di vista medico, la scelta di economizzare riducendo la tutela sanitaria degli anziani non autosufficienti.

Il presente degli anziani, sarà il nostro futuro. Si tenga presente che le persone sono oggi definite anziane dopo i 65 anni di età. Si tratta di persone, uomini e donne, che hanno contri­buito in modo notevole alla costruzione della nostra odierna condizione civile.

 

3) Secondo quanto affermato nella Costituzione italiana, tutte le persone colpite da malattia hanno diritto ai necessari trattamenti curativi e riabilitativi.

Questa affermazione di principio è di fonda­mentale valore, perché sancita dalla Costituzio­ne, ed è invece disattesa. Le leggi dello Stato prevedono che l'assistenza sanitaria sia fornita senza limiti di tempo. Per i cronici invece (so­prattutto se anziani), tale diritto non viene rico­nosciuto: attraverso dimissioni forzate, attraver­so il ricovero in strutture assistenziali e non sanitarie, interrompendo trattamenti terapeutici, non attivando gli strumenti riabilitativi.

Ogni tentativo di estromettere i cronici dalla prevenzione, dalla cura, dalla riabilitazione è da considerarsi illegittimo rispetto alla legislazione vigente.

Per la legislazione si faccia riferimento: alla legge 4 agosto 1955 n. 692, al decreto del Mini­stro del lavoro del 21 dicembre 1956 e, specificatamente, all'art. 29 della legge 12 febbraio 1968 n. 132 e alla legge di riforma sanitaria del 23 dicembre 1978 n. 833.

Il riferimento alla Costituzione è agli arti­coli 3 e 32.

 

4) Tutte le persone colpite da malattia hanno diritto a trattamenti sanitari forniti senza omissioni o ritardi. Soprattutto i pazienti an­ziani, e più in generale quelli parzialmente o totalmente non autosufficienti, hanno diritto a cure che garantiscano la sopravvivenza e una dignitosa vita personale. Non sono tolle­rabili disattenzioni che provocano peggiora­menti, aggravamenti, nuove patologie.

Mentre si riducono gli spazi di tutela sanita­ria per i malati cronici, si delega, di fatto, alla famiglia, l'onere dell'assistenza.

Manca infatti una normativa che sostenga la condizione dei cronici e delle loro famiglie (in termini di rapporti di lavoro, prestazioni econo­miche...) chiamate a fornire la necessaria assi­stenza. Chi deve assistere un malato cronico de­ve sobbarcarsi di aspetti normalmente curati dal Servizio sanitario nazionale senza per questo essere sostenuto.

Anche l'azione dei volontari è spesso ostaco­lata dagli ordinamenti ospedalieri e dalle istitu­zioni di ricovero.

È necessario sostenere le iniziative di solida­rietà e controllo sociale, rivolte a tutti, ma par­ticolarmente significative per i malati cronici gra­vemente non autosufficienti.

Non è possibile ipotizzare una distinzione circa i diritti in base all'età. Non è possibile ipotizzare tale distinzione in base alle diverse tipologie. Se si vogliono introdurre delle distinzioni circa i li­velli di prestazioni sanitarie si dovrà tener conto del maggior bisogno degli anziani e più in gene­rale dei malati cronici gravemente non autosuffi­cienti.

È invece piuttosto comune che nelle strutture sanitarie si operino delle discriminazioni pesan­ti e continue nei confronti di questi cittadini.

Taluni finiscono per sostenere che tali persone sono troppo malate (e che di conseguenza co­stano troppo).

Altri sostengono che sono malati ininteressan­ti, che generano solo frustrazione tra gli ope­ratori.

Altri ancara credono che queste persone abi­tuate a soffrire per la lunga malattia possano es­sere meglio usate dagli allievi inesperti.

Altri ancora sostengono che il diritto alle cure e alla riabilitazione viene meno quando una per­sona è troppo vecchia e malata.

Si tratta per lo più di affermazioni che proce­dono falsamente da motivazioni oggettive e al­truistiche ed esprimono piuttosto il disagio di chi le pensa e le pronuncia.

 

5) Nessuno può negare la cura col pretesto che il malato non guarirà più, essendo cronico: inguaribile non significa incurabile. Anche se non si può guarire si può migliorare, conti­nuare, cercare di non peggiorare la situazio­ne, sperando e lavorando, curando e riabili­tando, senza accanimento terapeutico.

Non si può accettare il legame tra cura e gua­rigione («Ti curo solo se puoi guarire»). Anche chi non può guarire deve essere curato. Anzi deve essere curato di più e meglio perché non potrà vivere molto, e spesso non sarà una vita facile. Non è facile infatti convivere con una patologia. La malattia non è solo qualcosa che si «ha» - quasi fosse un oggetto da possedere e domi­nare - è una condizione dell'esistenza.

Essere malati in maniera cronica vuol dire es­sere sempre malati. Non si finisce di essere ma­lati quando una malattia termina il suo stadio acuto. Una persona cronica è soggetta più di altri a ricadute. Molte malattie hanno infatti fasi acu­te e croniche che si presentano continuamente. Lo stesso termine cronico sta semplicemente ad indicare che la malattia dura «nel tempo» (cro­nos). Nessuno può permettersi di accorciare questo «tempo» residuo di vita, risolvendo il problema dei cronici con una morte prematura perché «sanitariamente non si poteva fare nulla».

Si accorcia la vita anche non prendendo tempe­stivamente quelle misure sanitarie che consen­tono di salvaguardare e stimolare la residua au­tonomia. Anche la cura sintomatologica è fonda­mentale e indispensabile.

 

6) Tutte le potenzialità culturali devono essere utilizzate per ridurre al minimo le conseguen­ze negative degli stati di cronicità e di non autosufficienza.

La diffusa opinione secondo la quale le malat­tie croniche e i loro portatori sono scientifica­mente «meno interessanti», va contestata. Il di­sinteresse è espressivo solo del ritardo culturale del nostro sistema sanitario e dei suoi operatori. È noto, infatti, che c'è una crescita delle malat­tie cronico-degenerative e che tutte le discipline possono concorrere al miglioramento delle con­dizioni di vita.

Si assiste spesso al lavoro di operatori demo­tivati e poco qualificati. Ciò è tanto più frequente per chi si occupa di malati cronici non autosuffi­cienti, soprattutto se anziani.

Va rimossa, ad ogni livello decisionale e diri­genziale, la convinzione che lavorare con i croni­ci equivalga ad un impegno che richiede minore preparazione professionale.

I responsabili della formazione del personale dovranno essere ben consapevoli delle specifici­tà necessarie ad un intervento sanitario di buon livello nell'assistenza ai malati cronici, soprat­tutto se anziani, soprattutto se non autosuffi­cienti.

Anche tra gli operatori va rimossa tale convin­zione, assieme all'idea che il lavoro con i croni­ci, soprattutto se anziani e non autosufficienti, sia di per sé più faticoso e meno gratificante.

Le Regioni, gli Enti locali, le U.S.L. dovranno tener conto nei loro piani di formazione, di tali necessità, valorizzando le nuove professionalità geriatriche.

 

7) Ogni persona cronica, come tutti i cittadini, ha diritto, se malata, ad essere curata e ria­bilitata. Questo diritto è rafforzato dalla con­dizione di parziale o totale non autosufficienza. Il Servizio sanitario nazionale non può dele­gare, in nessun caso - né del tutto né in parte - obiettivi suoi propri sanciti dalla legge istitutiva (art. 2, legge 23 dicembre 1978, n. 833). Non è possibile modificare con semplici atti amministrativi, quanto stabilito dalla legislazione vigente.

Il Piano sanitario nazionale, approvato con atto non legislativo, non può modificare e alterare, rispetto alla salute, i diritti garantiti dalla legge.

Il settore socio-assistenziale sta per essere caricato di un peso che non gli appartiene. Non si può sostenere che la cura e la riabilitazione dei cronici debba, o possa, essere effettuata sot­to la competenza del settore assistenziale.

Dare da mangiare, da bere, far muovere in ma­niera adeguata alle necessità di una persona ma­lata non autosufficiente, sono atti sanitari.

In ogni struttura sanitaria queste attività sono giustamente considerate parte integrante delle attività terapeutiche. Il loro valore «sanitario» non si sostanzia nel fatto che sono compiute in un «ambiente sanitario» (alimentare un malato in ospedale è un atto terapeutico-sanitario, ma farlo fuori è solo assistenza).

Il valore di un intervento sanitario è determi­nato dalle necessità del paziente. Tutto può con­correre al miglioramento delle sue condizioni di vita.

Intervento sanitario non è equivalente di inter­vento ospedaliero; e non può essere equiparato, nel caso dei cronici, allo sperpero.

Sarà necessario verificare quali in concreto potranno essere le migliori risposte al bisogno sanitario dei cittadini cronici non autosufficienti.

 

8) Non è accettabile che alle persone malate croniche, o ai loro parenti, siano addossati oneri più gravosi degli altri cittadini. Sarà piuttosto necessario prevedere delle agevolazioni (sussidi economici, servizi gratuiti, age­volazioni nel rapporto di lavoro, esenzione dal ticket), affinché sia sostenuta l'opera della famiglia e della solidarietà sociale.

Le strutture per lungodegenti dovranno rispet­tare standards adeguati e modalità di vita rispon­denti ai bisogni dei cittadini ospitati.

Dovranno quindi essere regolamentate sia le strutture fisico-logistiche, che le attrezzature... Dovranno anche essere rispettati i tempi di vita, e curati gli aspetti non secondari della qua­lità di vita all'interno dell'istituzione.

Tali strutture, siano esse interne o esterne ai reparti ospedalieri, dovranno configurarsi come strutture «aperte» agli apporti delle forze so­ciali e del volontariato. Va in ogni caso garantito il rapporto dei malati cronici con il mondo ester­no anche favorendo forme di solidarietà sociale.

In particolare tali strutture dovranno adottare ordinamenti interni che tengano conto di tali ne­cessità.

Andranno, contestualmente, smantellate tutte le megastrutture per cronici.

 

9) Il Servizio sanitario nazionale deve istituire l'ospedalizzazione a domicilio delle persone malate croniche non autosufficienti. Gli Enti locali, le Regioni, nei loro ambiti di compe­tenza, orienteranno in tal senso le loro ri­sorse. Tale nuova impostazione esige un ri­pensamento articolato dal punto di vista or­ganizzativo, formativo, finanziario.

Le patologie presenti nei malati cronici non autosufficienti possono ragionevolmente essere curate a casa. Anche la riabilitazione può essere felicemente risolta a domicilio. Al falso mito dei malati «falsi», o come si usa dire «impropri» che occupano cioè immotivatamente il letto di altri, va sostituita l'osservazione vera che c'è una coin­cidenza di interessi tra malato cronico e istitu­zione. Infatti nessun malato «desidera» lasciarsi morire in ospedale: spesso si è poco curati e poco assistiti nelle vere necessità.

L'ospedale non sopporta presenze di lungode­genti per le difficoltà di tipo strutturale e orga­nizzativo che creano all'interno del sistema. Gli ospedali non vogliono i cronici, i cronici non vo­gliono gli ospedali.

Non ha senso la «guerra al cronico», il ter­rorismo psicologico e concreto che viene tuttora praticato per costringere alle dimissioni senza strutture alternative. Anche la struttura ospeda­liera non ha che da guadagnare nella ospedaliz­zazione a domicilio. Tale organizzazione permet­te, tra l'altro, di riutilizzare risorse nuove (fami­glia, solidarietà sociali...), di rimotivare e riag­giornare il personale.

 

10) La formazione di base e permanente degli operatori sanitari, l'umanizzazione degli ospe­dali, degli ambulatori e degli interventi do­miciliari devono costituire un impegno co­stante del Servizio sanitario nazionale. Tale formazione deve essere orientata verso i ma­lati cronici in modo adeguato, permettendo l'acquisizione di nuovi comportamenti pro­fessionali, più rispondenti alle necessità dei cittadini malati e del sistema.

 

11) La continuità terapeutica deve essere ga­rantita anche nella fase non acuta della ma­lattia. Le prestazioni ai malati cronici deb­bono essere fornite dal settore sanitario realizzando il collegamento tra fasi acute e quelle croniche. Tale sintesi può essere ot­tenuta ottimamente con la ospedalizzazione a domicilio. Nel caso di ospedalizzazione a domicilio non saranno richiesti né tickets né spese aggiuntive ai cittadini e ai loro fami­liari.

 

 

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