Riportiamo
integralmente la lettera inviata da Piero Rollero in
data 30 novembre 1985 alla Segreteria nazionale del Sinascel-CISL,
ai Presidenti nazionali dell'AIMC e dell'ENAM e, per
conoscenza, alla Direzione di «Scuola italiana moderna» e
all'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie.
Mi rivolgo in primo luogo al Segretario Generale del
SINASCEL, quale direttore de «I maestri d'Italia», in merito alla nota ivi
apparsa sul n. 32-33-34 dal titolo «Conoscere l'ENAM -
Il convitto di Fano», nota per la quale sono rimasto
profondamente rattristato e allibito - per l'autore e per l'ospitalità
concessa, quasi un avallo del giornale -: sia come vecchio iscritto e attivo
collaboratore del SINASCEL, anche a livello nazionale, sia come modesto esperto
in materia di assistenza all'infanzia, anche in qualità
di giudice onorario da moltissimi anni presso la Corte d'Appello per i
minorenni di Torino, ed iscritto a varie associazioni contro l'emarginazione
scolastica e sociale, quali l'Associazione nazionale famiglie adottive e
affidatarie.
Già ai primi di maggio, con infinito stupore e
tristezza, durante un convegno dell'AIMC (Associazione italiana
maestri cattolici) a Fano, conobbi
l'esistenza di un convitto per bambini e ragazzi, figli di operatori della
nostra categoria, provenienti nientemeno che da tutte le parti di Italia! Ne
discutemmo a lungo con alcuni amici e con lo stesso presidente dell'AIMC, il
quale rappresentò negli stessi giorni al presidente dell'ENAM
(Ente nazionale assistenza magistrale) le critiche che suscita
tale iniziativa, tanto più pesanti in un momento in cui la cultura e le
iniziative concrete della «integrazione» e della «territorializzazione»
dell'assistenza dovrebbero essere assunte anche dai residui enti nazionali (si
ricordi, fra l'altro, il passaggio delle competenze, ad es.,
dell'ONMI e dell'ENAOLI agli Enti locali e alle USL,
con un significativo avanzamento verso forme più moderne di risposta ai bisogni).
Mi impegnai a Fano di stendere
una relazione documentata e propositiva sul problema, da presentare
congiuntamente all'AIMC, all'ENAM, al SINASCEL; rimandai l'iniziativa di mese
in mese, poiché giunse notizia dell'imminente decisione del Consiglio di Stato
sull'ENAM, e mi sembrava opportuno di conoscere l'eventuale nuova struttura
giuridica per avanzare proposte costruttive.
Ora riservandomi di inviare una più ampia relazione, su cui raccogliere anche le firme di altri
esperti della scuola, non posso non fermarmi a esporre per intanto le reazioni
personali, emotive e culturali, suscitate da alcune gravissime, incredibili
affermazioni contenute nell'articolo citato (1).
Ma voglio premettere non mie considerazioni, ma
quelle ben più autorevoli di una personalità di alto
prestigio, competenza e spirito cristiano proprio nel campo della tutela dei
minori, qual è il giudice Alfredo Carlo Moro; e precisamente vorrei citare da
tre suoi libri altrettanti punti fondamentali sull'argomento: a) i danni provocati
dall'istituzionalizzazione; b) e in particolare da quella che A.C. Moro non esita a definire «deportazione
assistenziale»; c) e infine le possibili e reali soluzioni alternative
all'istituto: alternative che possono/debbono diventare impegni per un
moderno ENAM, anche tramite un'azione culturale e un appello alla ben nota
sensibilità e intelligenza della classe magistrale, del tutto opposto
all'appello sconcertante a «istituzionalizzare» i bambini con cui si chiude in
pratica l'articolo allegato.
a) Da «AZIONE CATTOLICA ITALIANA, Una famiglia per ogni bambino, Atti del
1° seminario di studio sull'affido familiare con ALFREDO CARLO MORO, Ufficio
Famiglia e Ufficio Promozione Umana di A.C., Ed. A.V.E., Roma, 1981, pp. 16-17»:
«I guai
dell'istituto educativo - L'istituto educativo - anche il migliore - non è infatti in grado, come hanno dimostrato molte ricerche
psicologiche e sociologiche, di dare risposte adeguate ai fondamentali bisogni
del minore. Esso può certo appagare il bisogno del minore di protezione dal
caldo o dal freddo, il bisogno di ottenere il
nutrimento che gli è indispensabile per la sua crescita fisica, di avere quell'ambiente igienicamente adeguato che lo protegga
dall'insorgere delle malattie, di essere istruito a livello scolastico. Ma
non è in grado l'istituto di dare risposte esaustive a quello che è il bisogno
primario di un soggetto in età evolutiva: di realizzare cioè
in modo compiuto un regolare processo di identificazione personale e di socializzazione.
Nell'anonimo ambiente dell'istituto infatti non
potranno facilmente realizzarsi rapporti affettivi strutturanti e sicurizzanti; nella necessaria standardizzazione della
vita che deve necessariamente essere fortemente organizzata non vi è sufficiente
spazio per una educazione alla libertà creativa ed alla capacità critica per
cui il ragazzo, a seconda delle sue caratteristiche di personalità, sarà
portato o ad una passività preoccupante perché lo rende succube di chiunque
voglia manipolarlo o ad una aggressività tanto più pericolosa quanto più
drasticamente repressa; nella conoscenza solo di persone adulte aventi ruoli
professionali ben definiti mancherà al ragazzo la reale e strutturante
esperienza di un dialogo interpersonale; nella inevitabile monotonia di una
vita collegiale tutta scandita sulla base di regole predeterminate mancheranno
stimoli a coltivare interessi essenziali per una adeguata crescita».
b) Da «Affidamento
e adozione. Le famiglie nel territorio, Atti del 3° seminario di studio
sull'affido dei minori e sull'adozione, Ufficio Famiglia e Ufficio
Promozione umana di Azione Cattolica, Ed. A.V.E., Roma, 1983, pp. 76-77»:
«La legge recentemente approvata (4 maggio 1983, n.
184, Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori)
esprime in maniera più netta che la legge del 1967 il principio che il minore
ha diritto ad essere mantenuto nella sua famiglia di origine, congruamente
aiutata per essere posta in grado di adempiere alla sua funzione educatrice.
Non è senza significato che la legge si apra con un art. 1 in cui chiaramente si afferma: "il minore ha diritto di essere educato
nell'ambito della propria famiglia" (...). Significativo
è anche l'art. 2 che stabilisce una esatta, graduatoria delle
soluzioni da adottare quando il minore non possa permanere nell'ambito della
propria famiglia per difficoltà "temporanee" che insorgono (ed è da
sottolineare l'uso di questo termine): è innanzi tutto, per il legislatore, da
privilegiare l'affidamento ad un'altra famiglia che possibilmente abbia già
propri figli minori; solo quando ciò non sia possibile è opportuno ripiegare
sull'affidamento ad una persona singola o ad una comunità di tipo familiare.
"L'affidamento ad un istituto di
assistenza pubblica o privato costituisce solo l'extrema ratio, quando tutte le altre
ipotesi non siano praticabili: l'esperienza ha dimostrato che l'istituto educativo,
anche il migliore, può appagare il bisogno del minore di essere fisicamente
curato ed accudito e di ottenere la necessaria istruzione, ma non è in grado
di dare risposte esaustive a quello che è un bisogno primario in un soggetto
in età evolutiva e cioè di realizzare in modo compiuto un regolare processa di
sviluppo di personalità" (...). Deve piuttosto notarsi con una certa
preoccupazione - perché al di là delle intenzioni del
legislatore la lettura della disposizione potrà essere tale da dilatare
enormemente il fenomeno - che nel 2° comma dell'art. 2 si afferma che
l'istituto assistenziale solo "di preferenza" deve essere
nell'ambito della regione di residenza del minore stesso. Deve riconoscersi che in casi eccezionali (istituti particolarmente
specializzati per trattare particolari disturbi di un minore) può essere
indispensabile ricorrere ad istituti non collocati in regione: ma nella
generalità dei casi è essenziale che l'istituto assistenziale di ricovero sia
nell'ambito della regione per evitare il
triste fenomeno della deportazione assistenziale, oggi ancora particolarmente
diffuso, e per consentire la permanenza di significativi rapporti con la
famiglia di origine».
c) Da «A.C. MORO, I diritti inattuati
del minore, Ed. La
Scuola, Brescia, 1983, pp. 134-135»:
«In realtà le motivazioni per i ricoveri in istituto
sano molto raramente legate ad un abbandono affettivo; per lo più si tratta di
malattia dei genitori che vengono con troppa facilità ricoverati in ospedale o
di mancanza di valido alloggio o di insufficienze
economiche o di emigrazione o di lontananza dalla scuola o di insufficienze
fisiche del minore ricoverato. Da una indagine sulla
istituzionalizzazione dei minori compiuta nella prima circoscrizione di Roma
(v. Esperienze di rieducazione, n. 3,
anno 1977, pag. 50) risulta che su 507 minori ricoverati nei vari istituti
esistenti nel territorio esaminato 97 risultavano istituzionalizzati per
motivi economici, 150 per motivi scolastici, 107 per disgregazioni familiari,
81 per cause di lavoro dei genitori, 57 per motivi familiari, mentre per 15
mancava l'indicazione del motivo. Ma per molti di questi problemi potrebbe
essere trovata una soluzione diversa da quella dell'istituzionalizzazione del
minore attraverso una diversa politica della famiglia: assistenza domiciliare,
politica della casa, concreti aiuti economici alla famiglia in difficoltà, ecc.
E non può non rilevarsi come in molti casi di insufficienze
pedagogiche o psicologiche del nucleo familiare la risposta attualmente data
non è quella di un sostegno alla famiglia, perché sia resa più cosciente delle
proprie responsabilità, ma piuttosto quello di ricorrere alla facile
scorciatoia dell'internamento del minore in istituto. E manca del tutto una adeguata azione sulla famiglia perché sia resa
consapevole dei danni che sui minori provoca la istituzionalizzazione: si deve
anzi rilevare come molto spesso sono i servizi che spingono la famiglia ad
accettare la logica dell'istituzionalizzazione - ritenuta ottimale per risolvere
i problemi del minore - innescando così la
perversa logica della deresponsabilizzazione della
famiglia».
Che cosa si può aggiungere dopo queste esaustive e
convincenti argomentazioni e proposte? Può l'ENAM, come istituzione pubblica a
carico di tutti gli operatori scolastici, disattendere nella sua politica
attuale e futura i fondamenti morali, sociali e pedagogici di una moderna impostazione
dell'assistenza che non ignora il bisogno, ma mette al primo posto la persona
bisognosa - e in questo caso il delicatissimo bambino in bisogno -, e non le
strutture a cui adeguare o strumentalizzare la persona
bisognosa?
L'autore dell'articolo, a un
certo punto, sembra avvicinarsi al problema centrale, quello della sofferenza
delle persone bisognose, quando ammette che i bambini e i ragazzi nel convitto
di Fano sono «lontani dagli affetti familiari» (e che
dire delle gravi difficoltà per raggiungere da parte dei parenti di moltissime
parti d'Italia tale località, come io stesso ho sperimentato partendo e
tornando a Torino), ma possono bastare le migliorie saggiamente apportate
all'«ambiente reso più idoneo» a compensare la lontananza e la scarsa frequenza
degli affetti familiari?
In un altro passo, un tristissimo e indignato
sussulto non può non prendere il lettore quando legge
più avanti nell'articolo che all'autore quasi spiace la «scelta delle famiglie
che danno la preferenza a collegi più vicini al luogo di residenza». E che
dire del finale con quell'infelice computo delle
«vicende familiari di tanti colleghi» fatto presuntivamente sul forte numero
totale degli insegnanti e delle persone a carico, e l'invito - non tanto
implicito - a istituzionalizzare nei «posti ancora
disponibili» figli o conoscenti esposti a quel bisogno che richiederebbe una
sensibilità e un impegno di altro livello?
Ma vorrei concludere in modo
positivo e propositivo con la seguente sintesi - frutto della collaborazione
di altri amici impegnati nel settore dell'assistenza - che potrebbe essere la
traccia di una riflessione comune anche in un apposito convegno in cui vengano
discusse le problematiche esposte, e concordate le linee di una politica
moderna:
«Le negative conseguenze del ricovero in istituto
sulla personalità del minore; le positive esperienze
di sostegno alla famiglia di origine; di affidamento familiare a scopo
educativo; la notevole riduzione del ricovero assistenziale anche a seguito
dell'adozione (212 mila nel 1961; 103 mila nel 1976; 80 mila nel 1981): pongono
a tutte le istituzioni la necessità di un ripensamento in merito alla funzione
dei tradizionali istituti.
Uno dei principi fondamentali in materia di assistenza ribadito dalla legge 184/1983 sulla disciplina
dell'adozione e dell'affidamento familiare: è che gli interventi siano forniti
nella zona di appartenenza del minore e del suo nucleo familiare:
- favorendo la permanenza del minore nel suo stesso
nucleo familiare;
- provvedendo alla adozione
nei casi di abbandono;
- ricercando soluzioni non emarginanti (affidamento,
comunità alloggio);
- ricorrendo al ricovero in istituto solo nei casi in
cui non siano possibili gli interventi di cui sopra e per il tempo strettamente
necessario (art. 2 legge 184/83); il ricovero in istituto non dovrebbe
determinare, perciò, salvo casi eccezionali, l'allontanamento del minore dal
suo contesto sociale, consentendogli in tal modo di continuare
ad avere rapporti con la famiglia, i parenti, la scuola, gli amici, ecc.».
Tale politica comporta certamente problemi assai seri
di riconversione di strutture e - aspetto per certi versi
più delicato - riconversione del personale addetto. Ma nella ricca
tradizione educativa, umana e sociale della categoria, l'assunzione di una
tale politica può essere facilitata con quell'appello,
di cui già si è detto, alla categoria stessa, per continuare e migliorare
quella corresponsabilizzazione e quella presa a
carico delle persone bisognose nel loro stesso ambiente di vita e di relazione,
in collaborazione con le esperienze delle strutture
pubbliche, ove avanzate, e con la pressione e lo stimolo sulle strutture
pubbliche ancora inadempienti nei loro compiti di legge.
(1) Testo integrale dell'articolo di
Giuseppe Sandrini, «Conoscere
l'ENAM - Il convitto di Fano», pubblicato sul n.
32-33-34, 2-9-16 settembre 1985 de «I maestri d'Italia».
L'inizio del nuovo anno scolastico
riattiva una iniziativa dell'ENAM che, anche se
modesta, merita la prima riflessione tra quelle che intenderei fare
sull'attività dell'Ente Nazionale di Assistenza Magistrale, sulla sua
situazione attuale e sulle sue prospettive anche in considerazione del fatto
che, direttamente o indirettamente, convinti o meno dell'utilità di questo
Ente, tutti siamo interessati a conoscere, capire e valutare ciò che viene
realizzato con il denaro che ogni mese ci viene trattenuto dallo stipendio. Il
discorso merita di avere un seguito e mi auguro che non manchi il contributo di esperienze e di suggerimenti di quanti avranno il tempo e
la volontà di seguire queste brevi note.
Ho iniziato richiamando il nuovo anno
scolastico: anche quest'anno
l'ENAM riapre il Convitto di Fano. Da qualche anno
35/40 ragazzi e ragazze dai sei ai quindici anni vengono ospitati da settembre
a giugno, vengono assistiti e seguiti negli studi,
frequentano scuole elementari e medie statali di Fano
e ricevono insieme quel completamento di educazione che è loro necessario.
Certamente nella categoria la casa di Fano è molto
più conosciuta per il soggiorno estivo; pochi sanno che nello stesso edificio
continua a funzionare il Convitto «Vittoria Colonna».
Nel periodo di massima attività vi
hanno trovato ospitalità sino a 230 ragazze in camerate e con sistemazioni
realizzate prima della seconda guerra mondiale. Ora la Casa è stata restaurata
totalmente anche per i convittori e l'ambiente è più idoneo a creare un clima
di serenità, e perché no, di signorilità che li fa sentire meno lontani dagli
affetti familiari.
E a ciò contribuisce in maniera determinante l'organizzazione della vita quotidiana curata
dalla Rettrice e dalle educatrici coadiuvate da tutto il personale della Casa.
E certamente, questa, una delle più modeste e meno conosciute
tra tutte le attività dell'ENAM ma ritengo non sia l'ultima se riferita a quel
principio di solidarietà che sta alla base dell'esistenza stessa dell'ENAM.
Nata per assistere gli orfani dei
maestri, la Casa di Fano ha visto negli anni
diminuire le richieste anche per le scelte delle famiglie che davano la
preferenza a collegi più vicini al luogo di
residenza. Per alcuni anni, il Convitto è rimasto chiuso, ritenendo il
Consiglio di Amministrazione di allora che non vi
fosse più necessità di un tale tipo di assistenza; la sua riapertura ha soddisfatto
tutte le richieste anche in considerazione del fatto che ora possono ottenere
posti in Convitto non solo gli orfani ma anche i figli degli iscritti. Un
momento di concreta presenza poi il Convitto l'ha offerto in occasione degli
eventi sismici del Friuli e dell'Irpinia.
Seguendo, per mandato della
categoria, le vicende familiari di tanti colleghi è
facile rilevare come le situazioni che si vengono a creare in una categoria di
350.000 lavoratori che, con le persone a carico, diventano almeno 500.000, sono
tali e varie che la realtà del convitto non solo risponde ad alcune richieste
di oggi ma potrebbe soddisfarne altre e più numerose, solo che fosse più conosciuta
e valorizzata per il servizio, e i risultati, che ricevono quanti ne
usufruiscono.
Per l'anno appena
iniziato ci sono ancora posti disponibili. Anche se i termini sono
scaduti è possibile ottenere l'ammissione rivolgendosi alla sede Centrale dell'ENAM tramite i Comitati provinciali.
www.fondazionepromozionesociale.it