PER UNA ADEGUATA RIFORMA DEL
COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO
GIANNI SELLERI
Negli ultimi due anni le condizioni culturali e la
volontà politica per una seria riforma della legge sul
collocamento obbligatorio sono peggiorate. Infatti,
nonostante il ripristino dello «scorrimento» (L.
863/1984), si è verificato un blocco sostanziale dell'inserimento lavorativo
degli handicappati. Numerose commissioni provinciali per il collocamento hanno
praticamente interrotto ogni attività, 700 ricorsi
presso i TAR impediscono l'avviamento al lavoro soprattutto in Lombardia,
presso il Ministero del lavoro giacciono oltre 40.000 domande di esonero da
parte di ditte private che nelle more evadono così l'obbligo di assunzione.
Nel quadro delle disfunzioni e delle carenze generali, il problema
degli handicappati psichici costituisce il data più recente e grave sul piano
legislativo, culturale e sociale.
Nel volgere di un anno sono state proposte e
definite, dal punto di vista giuridico e amministrativo, interpretazioni
restrittive dell'art. 5 della legge 482 che hanno escluso definitivamente dal
collocamento al lavoro gli irregolari psichici; si tratta della sentenza della
Corte CostituzionaIe del 19 febbraio 1985, della
circolare del Ministro del lavoro De Michelis del 13 agosto 1985 e della sentenza della Corte di
cassazione del 21 febbraio 1986.
Complessivamente questi atti rappresentano un calcio
a quella putrida carcassa giuridica che è l'attuale disciplina sulle assunzioni obbligatorie. Ma
la puzza non sembra disturbare il Parlamento che continua da 12 anni il
balletto grottesca dei Comitati ristretti, dei testi unificati, dell'interminabile
sequenza delle stesure provvisorie, senza mai giungere alla discussione in
sede legislativa.
La riforma non si fa (o si tenta addirittura di
abrogare la legge esistente come è successo nell'83
col Decreto Scotti e con la finanziaria); gli handicappati disoccupati sono
oltre 650.000, negli ultimi due anni hanno perso 40.000 posti di lavoro poiché
sono i primi ad essere licenziati in caso di crisi o ristrutturazione;
l'attuale Ministro del lavoro esprime opinioni concordanti con la Confindustria circa l'impossibilità
di inserire invalidi nel mondo del lavoro; i sindacati prestano al problema
una attenzione formale o addirittura sottoscrivono accordi unitari col Governo
e gli imprenditori per limitare il collocamento, come è avvenuto nel febbraio
1984; le associazioni storiche di rappresentanza degli handicappati sono più
preoccupate dell'affermazione di privilegi e facilitazioni che di un reale
approccio all'inserimento nel mondo produttivo.
Fallisce così l'obiettivo ultimo di tutti gli interventi
sanitari, riabilitativi e sociali e si costringono
gli handicappati ad un ritorno sempre più frequente nelle famiglie, negli
istituti, nell'assistenzialismo.
Un handicappato disoccupato assomma alle difficoltà
della propria situazione fisica o psichica elementi di inferiorità,
di diminuzione della dignità di marginalità sociale: in questo senso egli si
identifica oltre che come diverso, anche come «inutile». La disoccupazione è un
handicap aggiuntivo che ha effetti di
moltiplicatore dei deficit funzionali. Un handicappato disoccupato resterà in
una realtà di dipendenza e di solitudine, di passività e di esclusione.
Aspetti storico legislativi
Da diversi decenni nel nostro Paese, con leggi variamente
ispirate, si è voluto facilitare l'inserimento dei cittadini
handicappati (tradizionalmente denominati «mutilati ed invalidi») nelle
pubbliche amministrazioni e nelle aziende private mediante il sistema di
collocamento obbligatorio.
Lo scopo di queste leggi - almeno secondo la
consapevolezza attuale - è di favorire l'autonomia economica e sociale a
gruppi di cittadini che a causa delle loro condizioni di invalidità,
incontrerebbero serie difficoltà per trovare e conservare un lavoro in
concorrenza con i cosiddetti normodotati: in una
economia di tipo industriale, ispirata al massimo della produttività e in una
situazione di disoccupazione diffusa, gli invalidi avrebbero scarse possibilità
di essere occupati nel contesto del collocamento ordinario.
Tuttavia la vigente legge del 2 aprile 1968, n. 482
(Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche
amministrazioni e le aziende private), non soddisfa le esigenze lavorative degli handicappati, presenta lacune e richiede
radicali modificazioni.
La prima legge sull'assunzione obbligatoria risale al
1917 (decreto legge 14 giugno 1917, n. 1032 e successive modificazioni,
integrazioni ed estensioni: legge 21 agosto 1921, n. 312, legge n. 375 del
1950, legge 5 marzo 1963, n. 367) ed è riferita ai mutilati ed invalidi di
guerra.
All'origine di questo provvedimento stanno composite
motivazioni di ordine economico, morale e giuridico.
Il Bureau International du Travail indicò per primo, pochi anni dopo la fine della prima guerra
mondiale, la esigenza di riutilizzare in una situazione generalizzata di
scarsità di mano d'opera, i mutilati di guerra. Su questo primitivo intento insistettero poi considerazioni di natura morale e
patriottica che di fatto costituirono una situazione di privilegio rispetto
alla condizione dei cittadini che, dal punto di vista bio-sociale,
si trovarono nelle medesime condizioni.
Dopo la promulgazione della Costituzione repubblicana e nell'impegno di applicazione dei suoi principi
generali e specifici (diritto al lavoro, all'assistenza sanitaria,
all'istruzione e all'avviamento professionale, alla parità della dignità
sociale di tutti i cittadini, alla previdenza ecc.), così come si configurano negli
art. 3, 4, 32, 38, la legislazione sociale in periodi diversi prese in
considerazione altre situazioni non secondo la Costituzione, che non fa
distinzione fra cittadini (e considera gli invalidi senza suddividerli in ordine
alla causa dell'invalidità), ma sempre secondo il criterio della categorizzazione.
La conseguenza più evidente di questo «peccato di origine» é stata, e per certi aspetti lo è tuttora,
quella di considerare, non solo nell'ambito del lavoro, ma anche in quello
assistenziale e pensionistico, alcuni gruppi di minorati come titolari di un
vero e proprio diritto soggettivo alla tutela e per altri per i quali si
configura una condizione di mero interesse dello Stato (costituzionalmente
previsto) alla riabilitazione e al recupero sociale.
Alla sclerotizzazione di
queste impostazioni giuridiche precostituzionali,
hanno contribuito gli interessi degli enti pubblici nazionali di rappresentanza
delle singole categorie, con la loro logica interna di sopravvivenza, e la
scarsissima permeabilità della nostra legislazione sociale a recepire
soluzioni che non siano settoriali o addirittura corporative; vi è stato di
conseguenza il rifiuto di ogni prospettiva di globalità nell'ambito della
programmazione e delle riforme strutturali.
In questo contesto di
sostanziale conservazione di privilegi costituiti, furono promulgate le leggi
sull'avviamento al lavoro per altre categorie seppure con sostanziali
diversità riguardo alla cogenza, all'entità numerica
degli interessati ed al grado di applicabilità: invalidi per servizio (legge 24
febbraio 1953, n. 142), orfani e vedove di guerra (legge 15 marzo 1958, n.
365), orfani e vedove dei caduti per servizio (legge 15 novembre 1965, n.
1288), profughi (legge 4 marzo 1952, n. 137 e ben dodici altri provvedimenti),
mutilati ed invalidi del lavoro (decreto legislativo del Capo provvisorio
dello Stato del 3 ottobre 1947, n. 1222 e legge 14 ottobre 1966, n. 851), privi
della vista (leggi 14 luglio 1957, n. 595; 28 luglio 1960, n. 778; 3 marzo
1965, n. 155; 11 aprile 1967, n. 231), sordomuti (legge 5 gennaio 1953, n. 35)
e infine mutilati civili (legge 5 ottobre 1962, n. 1539).
Proprio in conseguenza di questo straordinario
sviluppo dell'ordinamento, è stato preso in considerazione
in termini, per così dire, residuali e in virtù di sempre più sottili e
bizantine suddivisioni, l'invalido in senso proprio o per meglio dire
l'invalido considerato nell'unico significato che la Costituzione prevede
nell'art. 38. Non si è trattato tuttavia di una estensione
di diritti che abbia ricompreso le precedenti categorizzazioni come sarebbe stato logico e ragionevole,
bensì nella creazione di una nuova e più vasta categoria nell'ambito della
quale sono stati riuniti tutti gli invalidi «residui» e, per distinguerli dagli
altri, sono stati definiti «civili». Questa definizione nella sua improprietà
(civile si contrappone evidentemente a militare, pur escludendo vasti gruppi di invalidi che non sono tali certo per eventi bellici),
dimostra come il legislatore si sia finora ispirato a tradizioni
storico-giuridiche che ben poco hanno a che fare con lo Stato democratico e
repubblicano fondato sulla Costituzione.
Quindici anni fa si giunse infine ad una disciplina formalisticamente unitaria (legge 2 aprile 1968, n. 482), secondo
la quale le aziende private e gli enti pubblici con più di 35 dipendenti devono assumere il 15% di invalidi (di guerra, di servizio,
del lavoro, per cause civili, nonché orfani e vedove).
Si tratta di una legge di pessima fattura tecnica,
che ha avuto una applicazione clientelare e distorta
favorendo soprattutto i «falsi invalidi» e operando come strumento di
assorbimento della disoccupazione e della sottoccupazione. Una
legge mediocre che ha tuttavia tenuto vivo nella coscienza morale e sociale del
Paese il principio che anche i portatori di handicaps
hanno diritto a partecipare alla vita attiva e quindi hanno la possibilità di
riscattarsi dal l'assistenzialismo, dalla povertà, dall'isolamento e dalla
passività. Certo, circa il tema dell'inserimento lavorativo, c'è stato e
c'è tuttora un grave ritardo culturale (da molti handicappati é stato
considerato un «privilegio» risarcitivo, da tutti gli
imprenditori una obbligazione legale e assistenziale
non dovuta), ma la legge che lo regola costituisce pur sempre uno strumento di
uguaglianza e dignità.
Legge 482,
applicazione e statistiche
In ambito funzionale e normativo l'attuale disciplina
sulle assunzioni obbligatorie ha dimostrato gravi carenze
soprattutto per quanto riguarda le Commissioni provinciali, la cui funzione
eminentemente burocratica non consente concreti interventi nei confronti degli
aventi diritto e dei soggetti obbligati, ma si limita ad una astratta e meccan,icistica
compilazione di elenchi e alla determinazione di percentuali.
A tutto ciò si devono poi
aggiungere notevoli lacune nell'ambito del dispositivo di legge, quali il
meccanismo di assunzione, che consente ai soggetti obbligati evasioni e
arbitri, i problemi relativi all'incertezza della costituzione del rapporto di
lavoro, i criteri di esonero, i limiti di età, l'esiguità delle sanzioni nei
confronti dei contravventori, la mancanza di personale per attuare il
collocamento e sostenerlo sui luoghi di lavoro e la assoluta carenza degli
organi di vigilanza.
Vi sono poi le disposizioni che consentono di
sostituire i soggetti handicappati con «orfani o vedove» normodotati
(che hanno certo bisogno di collocamento preferenziale)
e vi è infine il criterio di esclusione qualora il soggetto risulti
«pericoloso», in quanto «per la natura e il grado della invalidità possa riuscire
di danno alla salute «alla incolumità dei compagni di lavoro o alla sicurezza
degli impianti».
L'applicazione della legge 2 aprile 1968, n. 482, ha
dimostrato sostanzialmente: 1) che il collocamento delle categorie protette viene attuato in misura di gran lunga inferiore a quella
prevista; 2) che i datori di lavoro oppongono forti resistenze alla
assunzione degli handicappati che è valutata come mera obbligazione legale o come
intervento assistenziale a favore di persone considerate improduttive; 3) che
gli invalidi stessi, molti dei quali sono privi di qualsiasi qualifica,
intendono talvolta il collocamento obbligatorio come un privilegio anziché
come una facilitazione per compensare obiettive difficoltà nella ricerca e nel
mantenimento del posto di lavoro; 4) che l'intendimento originario del legislatore
di facilitare, dopo il giudizio dello stato fisico, una occupazione
remunerativa ai portatori di handicaps, è stato
stravolto e si è data sempre maggiore preminenza alle possibilità occupazionali,
senza rapporto con lo stato psico-fisico del lavoratore.
Inoltre le categorie militari ed equiparate, che
usufruiscono di una percentuale del 65% nell'ambito dell'aliquota dei posti
riservati, sono in fase di estinzione numerica, mentre
la «categoria residuale» degli invalidi civili ha presentato nei primi 10 anni
di applicazione un incremento annuo costante del 120%.
Sul piano pratico si possono rilevare le seguenti
modalità per non assumere lavoratori handicappati: a) richiesta di esonero parziale o totale su cui deve decidere il
Ministro del lavoro, che di fatto esime dall'obbligo di assunzione, costituendo
una «sospensiva» fino alla definizione della pratica (attualmente sono giacenti
40.000 domande di esonero); b) la risoluzione del rapporto di lavoro in via
conciliare prima che il rapporto si instauri: consiste in un accordo per il
quale il soggetto avviato, dietro compenso economico, rinuncia al diritto e
riattiva la sua posizione di disoccupato, mentre l'azienda, in attesa di
ulteriore avviamento, non incorre in sanzioni; c) richiesta di sostituzione del
soggetto avviato qualora il medesimo non sia ritenuto idoneo: consente di
bloccare l'assunzione per diversi mesi in attesa di una nuova segnalazione di
un lavoratore ritenuto più adatto; tale richiesta implicherebbe la
disponibilità del datore di lavoro ed evita la penalizzazione e consente spesso
di concedere il posto a pseudo invalidi; d) mancata
convocazione: è la soluzione generalmente adottata per perdere tempo fino alla
formalizzazione delle ingiunzioni; e) trattative conciliative con enti ed
associazioni di handicappati.
Da quanto abbiamo fin qui discusso risultano
evidenti le seguenti conclusioni: 1) la scarsa incidenza dell'attuale legge
sulle assunzioni obbligatorie; 2) l'anacronismo, storico e statistico, della
suddivisione degli aventi diritto in categorie e dell'inclusione degli orfani,
vedove e profughi; 3) l'esigenza di non fare della legge sulle assunzioni uno
strumento per imporre mano d'opera che deve rientrare nell'ambito del collocamento
ordinario, poiché si tratta evidentemente di persone con lievissime menomazioni
o addirittura falsi invalidi; 4) la necessità di stabilire i rapporti
giuridicamente e democraticamente più corretti fra i datori di lavoro, gli
organi di collocamento e gli aventi diritto.
Per documentare e valutare alcuni argomenti che
abbiamo discusso è opportuno considerare le
statistiche relative alla situazione occupazionale degli handicappati secondo
i dati forniti dal Ministero del lavoro (tab. 1).
Dall'analisi dei dati emergono difformità considerevoli
sia all'interno dei rapporti delle categorie, sia
nella distribuzione territoriale: gli invalidi civili rappresentano oltre il
70% degli aventi diritto (ciò dimostra l'assurdità della suddivisione per
categorie, l'inadeguatezza della aliquota ad essi riservata e quindi
l'indispensabile ricorso al meccanismo dello «scorrimento»); la maggiore
concentrazione di handicappati si verifica nelle aree economicamente
sottosviluppate e senza alcun rapporto con la densità demografica. L'offerta di lavoro complessiva delle «categorie protette» é di
poco superiore alle 670 mila unità, pari al 4,65% di tutto il lavoro dipendente.
Le dinamiche di occupazione
(tab. 2) confermano le considerazioni precedenti. In particolare si osserva
una proporzione inversa fra il numero degli handicappati e il tasso di industrializzazione dei singoli territori.
Complessivamente il nord registra una
incidenza media del 3% di invalidi sul totale degli occupati; nel
centro Italia tale percentuale sale al 6% e nel sud è di poco inferiore all'8%.
Tutto ciò conferma l'ipotesi che il collocamento obbligatorio, e quindi il
riconoscimento dell'invalidità, rappresenta una modalità di assorbimento
della manodopera soprattutto dove la disoccupazione è più diffusa e
l'industrializzazione più ritardata.
Queste considerazioni propongono problemi e
interrogativi circa il funzionamento delle commissioni sanitarie e richiedono comunque l'innalzamento del grado di invalidità (che attualmente
è appena del 38%), al fine di sfoltire la fascia degli handicappati con lievi
minorazioni o che sono riconosciuti tali per ragioni socio-economiche.
Per una più puntuale verifica si può
considerare la tabella 3.
Il confronto fra la tabella 1 e la tabella
2 ci permette di evidenziare il grado degli indici complessivi di
collocamento come risultano dalle successive tabelle 4 e 5.
In primo luogo ci sono categorie che hanno raggiunto
un considerevole livello di collocamento e che si trovano in una situazione
prossima all'ottimale (invalidi di guerra, invalidi
civili di guerra, invalidi per servizio e profughi).
Queste categorie costituiscono però solo il 12,19% di
tutto il collocamento obbligatorio. Altre quattro categorie (invalidi del
lavoro, sordomuti, orfani e vedove ed ex tbc) che insieme sommano il 26,86% delle categorie protette,
hanno una situazione collocativa discreta presso a
poco compresa tra il 70 e l'80%, mentre gli invalidi civili, che costituiscono
il 61% di tutto il collocamento obbligatorio, hanno un indice di collocamento
inferiore al 40%.
L'«area-problema» appare chiaramente evidenziata sul
piano tipologico, (invalidi civili), mentre su quello
territoriale la situazione si presenta estremamente precaria. Se indichiamo come accettabile un tasso di collocamento
superiore all'80%, solo 4 Regioni raggiungono questo livello tab. 5): la Valle
d'Aosta, la Lombardia, il Trentino Alto Adige e l'Emilia-Romagna.
Tra l'80 e il 70% si collocano il Veneto, il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, le Marche, e il Lazio:
cinque regioni in tutto.
Sull'altro versante vi è un 11,49% della Calabria, un 29,82 della Sicilia, un 24,28 della Campania che costituiscono un riferimento allarmante.
Si è voluto evidenziare anche il tasso di collocamento
parziale degli invalidi civili perché esso costituisce una componente
fondamentale che trascina verso il basso il regime complessivo di collocamento
obbligatorio e indica il nodo del problema.
A migliore chiarimento di questo aspetto,
la tabella 6 definisce a livello regionale l'incidenza di questa categoria che,
come già detto, costituisce quasi il 61% delle categorie protette.
Delle 14 Regioni che sono al di
sotto di questa media nazionale, ben 7 sono centromeridionali,
a sfatare l'immagine di un lassismo generalizzato, anche se i tre più gravi
(oltre il Piemonte) sono proprio la Campania, la Calabria, la Sicilia.
Un ultimo ordine di considerazioni è rivolto alle dinamiche occupazionali, che per i dati disponibili possono
essere valutate nel periodo fra il 30 giugno 1981 e il 31 dicembre 1983.
Risulta che l'occupazione degli handicappati si è ridotta,
nei 30 mesi in esame, di quasi 72 mila unità.
Alcuni aumenti si sono verificati nel Lazio, in
Sicilia e in Campania. È invece allarmante la diminuzione
di occupazione che si è verificata in Lombardia (oltre 24.500 unità in meno),
in Piemonte (7.000 unità) e nel Veneto (3.000
unità). Percentuali significative si hanno anche nel
Trentino, in Emilia Romagna e negli Abruzzi (tab.
7). Complessivamente la riduzione incide per l'8%
degli occupati delle categorie protette e del 5% di tutte le categorie,
compresi i disoccupati.
La diminuzione dei lavoratori handicappati per alcune
categorie (ex militari di guerra, invalidi civili di guerra
e profughi) si può ritenere naturale per l'invecchiamento degli interessati e
la loro conseguente uscita dal mercato del lavoro.
Invece la riduzione consistente della
aliquota degli invalidi civili (tab. 8) presenti sul mercato del lavoro
costituisce un dato significante e preoccupante che indica il progressivo
deterioramento della legge 482.
Le statistiche successive al 31 dicembre 1983
dimostrano la persistenza del fenomeno (10.000 posti in meno nel 1984) che
richiama l'urgenza della riforma del collocamento obbligatorio la cui
inefficienza è ormai assoluta.
Le prospettive della riforma e la crisi
dello stato sociale
Nelle ultime legislature si è cercato ripetutamente
di modificare, con numerosissime proposte, la legge 482. A parte poche
eccezioni, tutte le proposte di legge hanno avuto scopi di semplice
razionalizzazione della normativa quando addirittura
non erano ispirate ad intenti corporativi. Per la stesura dei testi unificati
sono stati costituiti comitati ristretti nel 1974 e nel 1982 alla Camera, e nel
1985 al Senato.
Dopo i tentativi effettuati alla Camera sempre interrotti
o per mancanza di volontà politica o per la chiusura anticipata delle
legislature, l'argomento è stato infatti affidato al
Senato.
Il 30 gennaio 1985 la Commissione lavoro
del Senato, in sede referente, ha preso in esame due disegni di legge sulla
riforma del collocamento obbligatorio: «Nuove norme per il
collocamento obbligatorio» d'iniziativa del Senatore Torre ed altri (PCI) e
«Norme sulle assunzioni obbligatorie» d'iniziativa
del Senatore Romei e altri (DC).
I disegni di legge presi in esame non si discostano molto dai precedenti che furono lungamente
discussi alla Camera tra il 1981 e il 1984; si pervenne allora ad un testo
unificato (le proposte erano 13) che conteneva soluzioni innovative, posizioni
di compromesso, decisioni incerte o interlocutorie.
Alla fine di giugno 1985 è stata prodotta una prima
stesura in 27 articoli di quella che dovrebbe essere la nuova legge per
l'integrazione lavorativa degli handicappati. Il
testo del Senato giustappone, senza organicità, il vecchio ed il nuovo.
Prevale comunque la cultura
giuridica dell'attuale legge: restano se pur ridotte, le categorie (compresi
gli orfani degli invalidi di guerra!), si moltiplicano le commissioni e gli
apparati burocratici, si rafforzano i vecchi meccanismi dell'obbligazione
legale (esoneri, patti di prova, revisioni delle capacità), prevalgono le
valutazioni medico-legali, non si decide fra la
prospettiva dell'integrazione e quella assistenziale. Come al
solito si è cercato il compromesso per non scontentare le «associazioni
storiche» e per non stravolgere il tradizionale giuridismo.
Certo il testo recepisce
anche alcune proposte innovative come l'innalzamento del grado di invalidità
(40%), la fiscalizzazione totale o parziale degli oneri sociali per gli
handicappati mediogravi, l'abbassamento a 18
dipendenti delle aziende e degli enti pubblici ai fini del collocamento, il
contratto di riabilitazione, la possibilità di pensionamento anticipato, le
facilitazioni per le cooperative integrate, contributi compensativi per gli
invalidi che sostengono maggiori spese ecc. Ma contestualmente si continua a
fondare il diritto al lavoro sulla «riduzione della capacità lavorativa»
(anziché sulle capacità piene o residue), si continua ad affidare gli
accertamenti prevalentemente a commissioni mediche con criteri esclusivamente
patologici (tab. Aniasi), l'avviamento al lavoro e
la definizione delle sue modalità è affidato a 5 commissioni (centrale,
regionale provinciale, tecnica, circoscrizionale), ciò che costituisce un assurdo
appesantimento amministrativo e burocratico; non è previsto nessun rapporto
operativo con i sindacati (che dovrebbero favorire in termini umani e
organizzativi l'inserimento) e con i datori di lavoro i quali sarebbero
tenuti in una situazione di mero obbligo senza possibilità di partecipazione e
di crescita culturale.
L'inserimento lavorativo degli handicappati costituisce
il momento decisivo per la loro vita sociale. Si
tratta di una scelta, senza alternative e senza
ritorno, fra una situazione di assistenza, di protezione e di passività e un
progetto di riabilitazione e di autonomia.
Per conseguire questo secondo obbiettivo è necessario
che con la nuova legge, al di là degli aspetti tecnici
propri di ogni strumento giuridico, si promuova una nuova cultura
dell'handicap, fondata sulla conoscenza e la reciprocità.
Non si tratta allora di garantire o di imporre la
presenza degli handicappati nelle fabbriche e nelle attività lavorative, ma
occorre creare le condizioni operative e sociologiche dell'inserimento.
Si deve inoltre ricordare che il «nocciolo duro» del
problema è costituito dai portatori dei deficit psichici. Infatti
mentre per gli handicappati fisici e sensoriali esiste una tradizione di
riabilitazione occupazionale e sono state individuate le corrispondenti
soluzioni tecniche, per i minorati dell'intelligenza e del comportamento, che
solo in tempi recenti sono stati «riconosciuti», non esistono esperienze e
metodologie sicure e vi sono inoltre atteggiamenti di rifiuto e di paura.
Questa constatazione, che non consente soluzioni
formali, richiede soprattutto un rapporto più coerente e stretto fra interventi
riabilitativi, formazione professionale e lavoro; si tratta di momenti
interdipendenti dello stesso processo.
Le competenze tecniche e istituzionali sono
articolate e diverse, è tuttavia certo che se la nuova legge sul collocamento
non sarà altro che il «regolamento di attuazione»
della 482 o comporterà soltanto aggiustamenti tecnici (necessari ma non
sufficienti), per molti anni e forse definitivamente verrà compromessa per gli
handicappati la possibilità di partecipare alla vita attiva.
Nel gennaio 1986 la Commissione lavoro
del Senato ha avuto dal Comitato ristretto una seconda stesura nettamente
peggiorativa rispetto a quella descritta. Innalzamento del numero dei
dipendenti da 18 a 26, abbassamento dell'aliquota impositiva, conservazione dei privilegi di categoria ecc.
Inoltre il Ministro De Michelis ha fatto sapere che
sta predisponendo un proprio disegno di legge e intanto prega di attendere...
Ma se le prospettive della riforma restano incerte e
poco favorevoli, la situazione degli handicappati psichici è
diventata insostenibile e richiede non soltanto soluzioni legislative, ma
anche una ripresa forte del dibattito culturale sui diritti sociali e il
chiarimento delle attuali dinamiche involutive.
Aumentano le povertà «materiali» e le povertà
«posizionali»; in questa situazione gli handicappati costituiscono un gruppo emblematico perché richiedono contestualmente prestazioni e
servizi e una nuova cultura che li renda accettati e uguali; infatti bisogna
garantire insieme le condizioni della sopravvivenza (assistenza), della
riabilitazione (uguaglianza di opportunità) e della partecipazione
(integrazione sociale).
Quando i bisogni sono così articolati
e interdipendenti è facile mistificare e alternare soluzioni
contraddittorie che traggono spunto ora dal materialismo storico, ora dal
neoliberismo, ora dal pragmatismo istituzionale.
Negli ultimi 5 anni si sono registrate nei confronti degli handicappati due tendenze soltanto in
apparenza opposte: in un primo momento sono state fortemente aumentate le
prestazioni assistenziali (garanzia del minimo vitale ai totalmente
invalidi), in un secondo momento si è voluto escludere gli invalidi dal lavoro
e si sono affermate le soluzioni dell'internamento assistenziale. Attraverso
una confusa vicenda e di decreti, di leggi e di atti
amministrativi e giurisdizionali, si è limitato il diritto al lavoro, si è
messo in discussione l'inserimento scolastico, sono stati ridotti i servizi sul
territorio, si è riproposta la separazione fra le prestazioni sanitarie e quelle
sociali, si è diffusa la psicologia dei falsi invalidi e dello spreco delle
spese sanitarie e assistenziali, determinando atteggiamenti di incomprensione
e di rigetto sociale.
L'indennità di accompagnamento
(L. 18/1980), che può essere concessa solo a chi
rinuncia al lavoro, il decreto Craxi del 1983 che
cercava di limitare il collocamento degli handicappati (per due volte proposto
e respinto), l'atto di indirizzo dell'8 agosto 1985 (che propone il
finanziamento di istituti o ospizi e nega le spese per i servizi di
integrazione), le sentenze che vietano l'inserimento lavorativo degli
handicappati psichici, rappresentano le tappe principali di questo processo
di progressiva emarginazione.
Tale tendenza si verifica
però anche nella legislazione regionale, nell'attività degli enti locali (che
col D.P.R. 616/77 avrebbero dovuto realizzare il disegno partecipativo e
costituzionale dell'assistenza sociale) e delle U.S.L. che di fatto non
riescono a realizzare i principi della riforma sanitaria, soprattutto nell'ambito
della prevenzione e della riabilitazione, e che rischiano di trasformarsi in
organismi di gestione e di decentramento autarchico di finanziamenti statali.
Pur nell'incertezza delle intenzioni e delle soluzioni politiche (diritti sociali o ritorno all'assistenzialismo),
per gli handicappati risulta sempre più chiaro che se vogliono ottenere o conservare
pensioni e indennità debbono rinunciare all'inserimento sociale ed essere
disponibili al ricovero in istituti, centri specializzati, case protette.
Nella stessa situazione si trovano gli anziani, i
malati mentali, i tossicodipendenti. L'integrazione sociale richiede una attività complessa di tipo tecnico, culturale e
politico, l'erogazione di un sussidio o l'internamento in un'istituzione speciale
costituiscono invece una semplificazione amministrativa e finanziaria che se
da una parte umilia la dignità degli utenti, dall'altra è funzionale alle
politiche del consenso, crea nuovi posti di lavoro per gli operatori
paramedici e soprattutto placa la coscienza del cittadino che non viene
investito di responsabilità e di rapporti che vadano oltre la tolleranza.
Contrastare questa tendenza non significa soltanto
chiedere l'approvazione di nuove leggi (riforma dell'assistenza, una nuova disciplina sul collocamento, legge quadro sugli
handicappati, l'integrazione dei servizi sanitari e sociali, la riforma delle
autonomie locali), ma soprattutto riconquistare la consapevolezza della solidarietà
e delle lotte per i diritti sociali.
Non si tratta quindi di risolvere i conflitti, reali o strumentali, fra Stato e mercato, fra liberalismo,
marxismo e welfare state, di dominare la complessità del
consenso o della crisi del sovraccarico, di risolvere i problemi di efficienza
e di tollerabilità economica dei servizi (mediante la selettività), ma si
tratta di rendersi conto che lo Stato può assicurare più beni materiali accentuando
nello stesso tempo l'emarginazione.
Gli handicappati psichici
Per quanto riguarda gli handicappati psichici il discorso si è caricato di ulteriori inquietanti significati
che esprimono atteggiamenti fortemente negativi sia sotto il profilo
normativo, sia nell'ambito della psicologia sociale.
Circa il primo aspetto (per limitarci agli atti
ufficiali e tralasciando la giurisprudenza ordinaria e le rozze dichiarazioni
ripetutamente fatte dalla Confindustria), ricordiamo
che, dopo la sentenza della Corte costituzionale del
22 febbraio 1985 n. 52, dopo la circolare del Ministro del lavoro De Michelis del 13 agosto 1985, anche la Corte di Cassazione
ha dichiarato l'inammissibilità del collocamento al lavoro degli handicappati
psichici (21 febbraio 1986).
La Corte di Cassazione, oltre alle consuete
argomentazioni ermeneutiche sull'art. 5 della legge 482 ha proposto ulteriori e
sconcertanti motivazioni: a) la natura della malattia psichica rende
impossibile l'accertamento sanitario della capacità lavorativa «essendosi in presenza di una assoluta imprevedibilità di azioni dei
minorati psichici»; b) la malattia psichica, «incidendo sulla capacità di
intendere e di volere del soggetto, fa venire meno i presupposti per l'instaurazione
di un rapporto di lavoro, fonte anche per il minorato di specifici obblighi».
Dopo molti dibattiti la giurisprudenza si pronuncia definitivamente sull'esclusione dal lavoro
degli irregolari psichici, ma il modo è offensivo, umiliante e arcaico. Mentre infatti la Corte costituzionale, pur esprimendosi
negativamente, ribadiva il diritto al lavoro di tutti gli invalidi e sollecitava
l'impegno del legislatore per la riforma del collocamento obbligatorio e per
una definizione più corretta dei soggetti, la Cassazione chiude brutalmente il
discorso dichiarando che i «matti» sono pericolosi e imprevedibili e non
possono assumere responsabilità.
Siamo in un ambito culturale che fa riferimento alle
posizioni più retrive della psichiatria positivista e
che contraddice mezzo secolo di evoluzione scientifica sulla malattia mentale
e soprattutto sulla distinzione fra questa e altre forme di minorazione o di
debolezza psichica (come la trisomia 21), che non
hanno niente a che fare con la patologia psichiatrica provocando effetti del
tutto diversi sia a livello comportamentale, sia sul piano esistenziale. Riproporre il fantasma della «pericolosità», accomunare i
«deboli mentali» (cioè i soggetti che hanno un quoziente intellettivo
inferiore alla media) coi i paranoici e gli schizofrenici (che pure non sono
«indemoniati» o criminali), significa compiere una operazione culturale e
politica che offende la coscienza morale e civile del Paese e che moltiplica
l'angoscia di migliaia di famiglie in cui vi è un figlio oligofrenico
o mongoloide.
Questo fatto rende urgentissima la revisione
della disciplina sulle assunzioni obbligatorie, ma soprattutto provoca
duramente la memoria storica delle posizioni culturali e ideologiche che hanno
portato alla chiusura dei manicomi, ai principi dell'integrazione sociale degli
handicappati. Le lotte di Psichiatria democratica, i movimenti di liberazione
degli anni '70, la contestazione alle istituzioni
totali, le conquiste culturali e legislative per i diritti sociali, non
consentono di rispettare questa squallida sentenza della Sezione lavoro della
Corte di cassazione: Lombroso non avrebbe giudicato
diversamente.
Atteggiamenti del tutto analoghi si stanno definendo
circa l'applicazione della legge 180, ed anche nelle
problematiche dell'inserimento scolastico degli handicappati mediogravi. Si tratta quindi di una riproposizione
generalizzata della immagine collettiva della «malattia
mentale» che contraddice i modelli della razionalità e delle sue proiezioni
tecnologiche.
Pur nell'incertezza delle definizioni fra malato
mentale, handicappato psichico, irregolare psichico e debole mentale, si può
constatare il ritorno ad una unica categorizzazione che definisce queste persone come diverse
o devianti rispetto ai criteri della normalità
e delle utilità. È difficile
stabilire se appartengono al mondo di tutti o al mondo
semireale e provvisorio della sventura e della malattia.
Questo conflitto
di appartenenza suscita reazioni emotive verso ed
a volte contro gli handicappati, che traggono origine da meccanismi di difesa
e da difficoltà di identificazione. Nei confronti di
questi soggetti vi è un rifiuto inconscio di conoscenza e di approccio,
soprattutto perché si attribuiscono loro reazioni imprevedibili e pericolose,
perché richiedono codici comunicativi particolari. La diversità comportamentale
viene allora percepita come estraneità o come alienità.
Vi è dunque una attitudine
istintiva a ritenere il portatore di deficit mentali come «incapace e
pericoloso» e vi è una tendenza culturale a considerarlo «uguale».
Queste constatazioni psicodinamiche,
che non possono essere immediatamente neutralizzate, appartengono tuttavia alla
biografia personale, alla conoscenza e all'esperienza di ciascuno e non
possono in alcun modo giustificare o spiegare intenzioni di emarginazione
sociale e la negazione della giustizia.
Esiste un rapporto ambiguo fra razionalità e follia,
che soltanto dal punto di vista teoretico sono incompatibili e non
sovrapponibili; la storia ha dimostrato che spesso la violenza, l'intolleranza
e «i crimini di pace», sono derivati dalia applicazione astratta e formale
della Ragione come modello regolatore della società.
Rifiutare gli handicappati psichici non è indice
delle certezze tecnologiche per il nostro dominio sulla natura e sulla economia, ma piuttosto lo scacco definitivo
dell'umanesimo e delle sue ideologie.
È per questo motivo che la lotta politica e culturale per l'integrazione degli handicappati psichici, in
termini di diritto positivo, riguarda tutta la società e il suo destino morale
e politico.
Le condizioni dell'integrazione lavorativa
Al termine della nostra analisi non possiamo
trascurare alcune considerazioni di ordine sociale
sul collocamento degli handicappati e sui limiti di un discorso che si
riferisca unicamente al loro inserimento nell'attività produttiva.
Il collocamento al lavoro di un portatore di handicaps non può essere considerato un fatto a sé stante formalisticamente garantito.
Il collocamento al lavoro costituisce infatti la tappa conclusiva di un processo di
riabilitazione che va dal recupero funzionale all'inserimento scolastico, alla
formazione professionale ed alla socializzazione.
Se il collocamento resta un fatto meramente
giuridico, scollegato da interventi e servizi sociosanitari preliminari e
successivi, sarà sempre vissuto dai datori di lavoro come una
imposizione incomprensibile e dagli handicappati come un privilegio,
ciò che determina situazioni di rifiuto da una parte e di marginalità
dall'altra.
Per evitare questo inconveniente
non basta una buona legge sul collocamento, ma occorre coinvolgere operatori,
imprenditori e forze sociali e sindacali. II problema più grave è quello relativo al pregiudizio sulla improduttività dei portatori
di handicaps, sia da parte imprenditoriale, sia da
parte sindacale. In realtà non è vero (se non nelle attuali condizioni) che l'handicappato
abbia in assoluto una ridotta capacità lavorativa tale
da abbassare lo standard produttivo, ciò che costituirebbe un danno sia per
l'azienda, sia per l'unità di lavoro che deve colmare il «non prodotto» del
l'handicappato.
Le esperienze e le sperimentazioni condotte negli
Stati Uniti, in diversi paesi europei e negli ultimi anni anche nel nostro
paese per iniziativa degli enti territoriali e di gruppi spontanei, hanno
dimostrato che per ogni tipo di handicaps, qualunque
sia il grado e la natura, si può adattare un lavoro o una mansione così da
ottenere una produttività media fra il 60 e il 100 per cento.
Questa constatazione comporta anche alcune
considerazioni di carattere strettamente economico. Il costo complessivo per
la riabilitazione di un handicappato medio-grave,
congenito o dell'età evolutiva, può essere calcolato attorno ai 6/700 milioni,
considerando gli interventi sanitari per il recupero funzionale, il sostegno
per l'inserimento scolastico, le attività di orientamento
e di formazione professionale normale o speciale. AI termine
di questo processo, se condotto correttamente, è possibile la partecipazione
al mondo del lavoro sia pure in forma e con modalità differenziate: allora il
soggetto diventa attivo e autonomo e restituisce alla collettività, in termini
produttivi e fiscali, le spese sostenute per la riabilitazione.
Un handicappato invece che venga
relegato nell'ambito dell'assistenzialismo, anche se ricoverato nel più
parsimonioso istituto, costa 25/30 milioni all'anno a cui si devono aggiungere
le prestazioni ed i sussidi assistenziali (attualmente circa 4 milioni
l'anno); tenuto conto della durata media della vita e del progressivo
accentuarsi, con l'invecchiamento, dei bisogni assistenziali, non è irreale
prevedere una spesa attorno ai 2 miliardi, in condizioni umane ed esistenziali
di assoluta marginalità.
Il lavoro degli handicappati, pur dato per scontato
il suo scopo riabilitativo, ha assunto diverse modalità ed obiettivi: è stato inteso anzitutto come terapia occupazionale (cui erano connesse
valutazioni etiche e di tipo «educativo»), come utilizzazione ed infine come socializzazione.
Per capire il diverso significato di queste posizioni, tuttora presenti, è opportuno chiarire la realtà
esistenziale dell'handicappato.
L'handicappato è il portatore di un deficit biofisico
e nello stesso tempo è candidato a dinamiche di esclusione;
da ciò consegue che gli interventi nei suoi confronti non possono essere
soltanto di tipo tecnico o medico, specialistico e suppletivo, ma devono essere
contemporaneamente di inserimento e di socializzazione.
È evidente che la prospettiva di socializzazione
del collocamento presuppone il superamento del criterio coattivo e un autentico
rapporto di partecipazione e di comunicazione fra l'handicappato, i datori ed
i compagni di lavoro.
Non basta affermare che l'handicappato ha diritto al
lavoro, che l'imprenditore è obbligato a concederglielo e che i compagni di
lavoro debbono aiutarlo: si deve stabilire un rapporto dialettico ed umano
fra questi tre protagonisti affinché il collocamento
diventi il risultato di una azione coordinata ed un fatto socializzante, sempre
più selettivo, sempre meno coattivo.
Infine la presenza in fabbrica di un portatore di handicaps non costituisce un ostacolo alla produzione, un
peso morto per le spinte rivendicative, ma
rappresenta piuttosto un elemento di umanizzazione delle condizioni e dei ritmi
di lavoro, un parametro per verificare se l'ambiente di lavoro è o può essere
una situazione nella quale la dignità dell'uomo, qualunque sia la sua
condizione, sia rispettata e promossa. Infatti l'handicappato,
a causa delle sue stesse limitazioni (che possono essere compensate a livello
produttivo), evidenzia quanto ci può essere di alienante, di pericoloso e di
violento nell'ambiente di lavoro e quindi provoca le necessarie modificazioni
organizzative e relazionali.
Tabella 1
Categoria a collocamento obbligatorio -
Offerta totale di lavoro al 31.12.1983
Regioni |
Invalidi ex-militari di guerra |
Invalidi civili di guerra |
Invalidi per servizio |
invalidi del lavoro |
Invalidi civili |
Sordomuti |
Orfani e vedove |
Profughi |
Ex malati di tbc |
Totale |
Piemonte |
456 |
450 |
726 |
2.209 |
25.277 |
704 |
4.019 |
1.737 |
9 |
35.585 |
Valle d'Aosta |
214 |
61 |
81 |
103 |
420 |
20 |
178 |
3 |
192 |
1.272 |
Lombardia |
4.417 |
1.622 |
2.440 |
7.296 |
35.234 |
1.730 |
10.176 |
1.011 |
29 |
63.956 |
Veneto |
475 |
805 |
1.080 |
3.965 |
17.989 |
573 |
5.526 |
1.159 |
14 |
31.586 |
Trentino A.Adige |
207 |
121 |
342 |
424 |
2.688 |
99 |
1.162 |
31 |
2 |
5.076 |
Friuli V. Giulia |
669 |
635 |
365 |
817 |
4.625 |
241 |
1.939 |
551 |
11 |
9.853 |
Liguria |
942 |
731 |
736 |
1.361 |
9.013 |
247 |
3.212 |
653 |
2 |
16.898 |
Emilia Romagna |
1.961 |
1.543 |
1.486 |
4.409 |
25.461 |
817 |
7.453 |
1.388 |
- |
44.518 |
Toscana |
2.292 |
1.652 |
1.738 |
4.129 |
16.754 |
668 |
6.788 |
511 |
5 |
34.537 |
Umbria |
147 |
248 |
246 |
1.019 |
3.774 |
134 |
1.342 |
133 |
3 |
7.042 |
Marche |
522 |
376 |
496 |
1.426 |
6.926 |
256 |
2.623 |
155 |
- |
12.760 |
Lazio |
3.056 |
2.833 |
3.952 |
9.218 |
53.543 |
2.732 |
16.264 |
9.755 |
- |
102.338 |
Molise |
42 |
52 |
69 |
245 |
2.208 |
46 |
526 |
12 |
1 |
3.190 |
Abruzzi |
320 |
422 |
656 |
1.675 |
8.859 |
271 |
3.704 |
478 |
19 |
16.362 |
Campania |
1.398 |
1.579 |
2.045 |
6.198 |
81.881 |
840 |
13.401 |
995 |
- |
107.742 |
Puglia |
1.710 |
1.016 |
1.759 |
3.141 |
21.570 |
696 |
6.236 |
481 |
93 |
36.533 |
Basilicata |
532 |
232 |
426 |
626 |
3.708 |
245 |
1.390 |
60 |
3 |
7.190 |
Calabria |
234 |
504 |
533 |
1.793 |
24.056 |
402 |
5.898 |
135 |
41 |
33.388 |
Sicilia |
1.806 |
1.640 |
2.518 |
6.104 |
58.942 |
1.539 |
14.757 |
2.019 |
106 |
89.159 |
Sardegna |
305 |
257 |
360 |
1.109 |
5.902 |
212 |
3.095 |
56 |
77 |
11.287 |
Italia |
21.587 |
16.787 |
22.054 |
57.344 |
408.741 |
12.470 |
109.716 |
21.323 |
607 |
670.629 |
Tabella 2
Categorie a collocamento obbligatorio -
Occupati al 31.12.1983
Regioni |
Invalidi ex-militari di guerra |
Invalidi civili di guerra |
Invalidi per servizio |
Invalidi del lavoro |
Invalidi civili |
Sordomuti |
Orfani e vedove |
Profughi |
Ex malati di tbc |
Totale |
Piemonte |
455 |
439 |
669 |
1.958 |
12.773 |
559 |
3.496 |
1.308 |
9 |
21.666 |
Valle d'Aosta |
214 |
61 |
81 |
85 |
260 |
18 |
158 |
2 |
191 |
1.070 |
Lombardia |
4.417 |
1.568 |
2.414 |
7.078 |
27.938 |
1.597 |
9.780 |
911 |
29 |
55.732 |
Veneto |
207 |
120 |
332 |
399 |
2.151 |
79 |
1.041 |
27 |
1 |
4.357 |
Trentino A.Adige |
475 |
771 |
1.039 |
3.651 |
12.224 |
491 |
4.989 |
1.018 |
13 |
24.671 |
Friuli V. Giulia |
669 |
612 |
347 |
718 |
2.826 |
207 |
1.683 |
346 |
7 |
7.415 |
Liguria |
942 |
720 |
717 |
1.243 |
4.859 |
219 |
2.819 |
567 |
- |
12.086 |
Emilia Romagna |
1.960 |
1.474 |
1.449 |
4.187 |
19.523 |
750 |
6.807 |
1.251 |
- |
37.401 |
Toscana |
2.292 |
1.494 |
1.653 |
3.444 |
8.524 |
529 |
5,470 |
298 |
4 |
23.708 |
Umbria |
147 |
221 |
219 |
756 |
1.629 |
101 |
962 |
91 |
3 |
4.129 |
Marche |
522 |
343 |
463 |
1.156 |
4.400 |
206 |
2.041 |
118 |
- |
9.249 |
Lazio |
3.056 |
2.704 |
3.823 |
8.748 |
32.956 |
2.505 |
15.180 |
9.257 |
- |
78.229 |
Molise |
42 |
38 |
55 |
129 |
561 |
28 |
298 |
2 |
1 |
1.154 |
Abruzzi |
320 |
341 |
565 |
1.144 |
4.064 |
211 |
2.829 |
404 |
19 |
8.897 |
Campania |
1.398 |
1.090 |
1.556 |
4.362 |
9.118 |
504 |
7.382 |
752 |
- |
26.162 |
Puglia |
1.710 |
795 |
1.538 |
1.859 |
5.355 |
428 |
4.200 |
339 |
83 |
16.307 |
Basilicata |
532 |
195 |
389 |
508 |
1.366 |
179 |
981 |
57: |
3 |
4.210 |
Calabria |
234 |
198 |
227 |
394 |
1.706 |
91 |
834 |
37 |
17 |
3.738 |
Sicilia |
1.685 |
1.111 |
1.989 |
3.954 |
8.955 |
858 |
6.592 |
1.385 |
65 |
26.594 |
Sardegna |
305 |
164 |
277 |
470 |
1.044 |
83 |
1.437 |
32 |
4 |
3.816 |
Italia |
21.582 |
14.459 |
19.802 |
46.243 |
162.232 |
9.643 |
78.879 |
18.202 |
449 |
371.591 |
Tabella 3
Incidenza delle categorie a
collocamento obbligatorio sul lavoro dipendente al 31 dicembre 1983
Regioni |
Totale categorie protette su 100 lavoratori dipendenti |
Solo invalidi civili su 100 dipendenti |
Solo orfani e vedove su 100 dipendenti |
Piemonte |
2,74 |
1,95 |
0,31 |
Valle d'Aosta |
4,24 |
1,40 |
0,59 |
Lombardia |
2,30 |
1,27 |
0,36 |
Trentino A.A. |
2,14 |
1,13 |
0,49 |
Veneto |
2,71 |
1,54 |
0,48 |
Friuli V. Giulia |
2,95 |
1,39 |
0,58 |
Liguria |
4,25 |
2,27 |
0,81 |
Em. Romagna |
3,95 |
2,26 |
0,55 |
Toscana |
3,59 |
1,74 |
0,70 |
Umbria |
3,27 |
1,75 |
0,62 |
Marche |
3,31 |
1,80 |
0,68 |
Lazio |
7,31 |
3,82 |
1,16 |
Molise |
5,80 |
4,01 |
0,95 |
Abruzzi |
5,82 |
3,15 |
1,32 |
Campania |
8,44 |
6,41 |
1,05 |
Puglia |
3,94 |
2,33 |
0,49 |
Basilicata |
5,53 |
2,85 |
1,07 |
Calabria |
7,60 |
5,48 |
1,34 |
Sicilia |
9,11 |
6,02 |
1,50 |
Sardegna |
3,47 |
1,81 |
0,95 |
Italia |
4,65 |
2,83 |
0,76 |
Tabella 4
Tasso di collocamento per categorie al
31 dicembre 1983
|
Tasso di collocamento |
Distribuzione |
Invalidi ex militari di guerra |
99,97 |
1,22 |
Invalidi civili di guerra |
86,13 |
2,50 |
Invalidi per servizio |
89,79 |
3,29 |
Invalidi del lavoro |
80,64 |
8,55 |
Invalidi civili |
39,69 |
60,95 |
Sordomuti |
77,33 |
1,36 |
Orfani e vedove |
71,98 |
16,36 |
Profughi |
85,16 |
3,18 |
Ex tbc |
73,97 |
0,09 |
Totale |
55,41 |
100,00 |
Tabella 5
Tasso di collocamento per Regioni al 31
dicembre 1983
Regioni |
Totale |
Soltanto invalidi civili |
Piemonte |
68,88 |
50,53 |
Valle d'Aosta |
84,12 |
61,90 |
Lombardia |
87,14 |
78,15 |
Trentino A. Adige |
85,83 |
80,02 |
Veneto |
78,10 |
67,95 |
Friuli V. Giulia |
75,25 |
61,10 |
Liguria |
71,52 |
53,91 |
Emilia Romagna |
84,01 |
76,67 |
Toscana |
68,64 |
50,87 |
Umbria |
58,63 |
43,16 |
Marche |
72,48 |
63,52 |
Lazio |
76,44 |
61,65 |
Molise |
36,14 |
25,40 |
Abruzzi |
60,48 |
45,87 |
Campania |
24,28 |
11,13 |
Puglia |
44,63 |
24,82 |
Basilicata |
58,55 |
36,83 |
Calabria |
11,19 |
7,09 |
Sicilia |
29,82 |
15,19 |
Sardegna |
33,80 |
17,68 |
Italia |
55,41 |
39,69 |
Tabella 6
Incidenza dei soli invalidi civili sul
totale delle categorie protette al 31 dicembre 1983
Regioni |
Invalidi civili su categorie
protette |
Piemonte |
71,03 |
Valle d'Aosta |
33,02 |
Lombardia |
55,09 |
Trentino Alto Adige |
52,95 |
Veneto |
56,95 |
Friuli Venezia Giulia |
46,94 |
Liguria |
53,33 |
Emilia Romagna |
57,19 |
Toscana |
48,51 |
Umbria |
53,59 |
Marche |
54,28 |
Lazio |
52,23 |
Molise |
69,15 |
Abruzzi |
54,14 |
Campania |
76,00 |
Puglia |
59,04 |
Basilicata |
51,57 |
Calabria |
72,04 |
Sicilia |
66,11 |
Sardegna |
52,29 |
Italia |
60,95 |
Tabella 7
Dinamiche dell'occupazione dal 30 giugno
1981 al 31 dicembre 1983
Regioni |
Movimento assoluto |
% sulle categorie protette |
% sugli occupati di tali categorie |
Piemonte |
- 6.907 |
-19,40 |
-24,10 |
Valle d'Aosta |
- 715 |
-56,28 |
-40,01 |
Lombardia |
- 24.533 |
-38,35 |
-38,04 |
Trentino A.A. |
- 1.263 |
-24,88 |
-22,47 |
Veneto |
- 3.059 |
- 9,68 |
-11,03 |
Friuli V.G. |
- 1.154 |
-11,71 |
-13,45 |
Liguria |
- 2.053 |
-12,14 |
-14,52 |
Em. Romagna |
+ 731 |
+ 1,64 |
+ 1,39 |
Toscana |
- 1.189 |
- 3,44 |
- 4,77 |
Umbria |
+ 270 |
- 3,83 |
- 6,22 |
Marche |
- 1.707 |
- 8,44 |
-10,43 |
Lazio |
+ 5.088 |
+ 4,97 |
+ 6,95 |
Molise |
- 9 |
- 0,28 |
- 0,77 |
Abruzzi |
- 1.012 |
-31,69 |
- 9,27 |
Campania |
+ 2.366 |
+ 2,19 |
+ 9,94 |
Puglia |
+ 964 |
+ 2,63 |
+ 5,28 |
Basilicata |
- 485 |
- 6,74 |
-10,28 |
Calabria |
+ 603 |
+ 1,80 |
+19,23 |
Sicilia |
+ 2.410 |
+ 2,70 |
+ 9,96 |
Sardegna |
- 283 |
- 2,50 |
- 6,90 |
Italia |
-31.851 |
- 4,74 |
- 7,89 |
Tabella 8
Dinamiche
occupazione rispetto alle categorie dal 30 giugno 1982 al 31
dicembre 1983
|
Assoluto |
% della categoria |
% degli occupati della
categoria |
Invalidi ex militari di guerra |
- 9.151 |
-42,39 |
-29,77 |
Invalidi civili di guerra |
- 2.331 |
-13,88 |
-13,38 |
Invalidi per servizio |
- 3.765 |
-17,07 |
-15,97 |
Invalidi del lavoro |
- 5.055 |
- 8,33 |
- 9,87 |
Invalidi civili |
- 946 |
- 0,23 |
- 0,58 |
Sordomuti |
- 165 |
- 1,32 |
- 1,68 |
Orfani e vedove |
- 2.546 |
- 2,41 |
- 3,24 |
Profughi |
- 4.440 |
-20,32 |
-19,60 |
Ex tbc |
+ 21 |
+ 3,45 |
+ 4,90 |
Totali |
-28.378 |
- 4,24 |
- 7,12 |
* Per naturale invecchiamento la categoria è
discesa dai 31 mila ai 22 mila componenti. |
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