Prospettive assistenziali, n. 76, ottobre - dicembre 1986

 

 

Notiziario del Cento italiano per l'adozione internazionale

 

 

ATTUAZIONE DELL'ART. 38 LEGGE 184/83

 

È di questi giorni la pubblicazione sulla Gaz­zetta Ufficiale dei primi decreti con i quali il Mi­nistro degli affari esteri, di concerto con il Mi­nistro di grazia e giustizia, autorizza alcune orga­nizzazioni italiane a svolgere le pratiche per la adozione dei minori stranieri, in attuazione del decreto interministeriale del 28 giugno 1985, che stabiliva i principi ed i criteri per il rilascio del­le predette autorizzazioni, previste espressamen­te dall'art. 38 della legge 4.5.1983 n. 184.

Si tratta, per chi vive fa realtà dell'adozione, di un avvenimento che non può passare sotto silen­zio e che soprattutto, se si vuole evitare che as­suma un semplice significato formale, deve regi­strare una prima sia pur sommaria serie di rifles­sioni sul ruolo delle associazioni e sul senso da attribuire ai loro rapporti con le istituzioni.

Non vi è dubbio che l'art. 38 della legge 184 avesse, con la sua dizione estremamente allar­gata, lasciato aperto il campo alla «privatizza­zione» di questo importante e delicato settore, consentendo non soltanto che i coniugi entrati in possesso della dichiarazione di idoneità rila­sciata dal Tribunale per i minorenni potessero (e possano tuttora) recarsi direttamente all'este­ro alla ricerca di un bambino (con il rischio di approdare a procedure avventurose e scorrette, quando non addirittura lesive dei diritti dei mi­nori, fino al limite della compravendita), ma che continuassero (e continuino tuttora) a prolife­rare e ad operare miriadi di «agenzie» ispirate alle più disparate motivazioni. In tale regime permissivo, le recenti innovazioni ministeriali presentano se non altro il pregio di introdurre un controllo di assoluta novità su tali organizza­zioni: controllo che avrà una sua rilevanza sol­tanto a patto che sia preceduto fin d'ora da un oculato e severo rilascio delle autorizzazioni e che sia esercitato attraverso un sindacato rigo­roso ed imparziale, scevro da lassismi e da tolle­ranze, nella fondata aspettativa che esso possa in tempi ragionevolmente brevi essere di pre­ludio ad una vera e propria interdizione nei con­fronti delle associazioni che non otterranno l'au­torizzazione in oggetto.

Va in ogni caso affermato fin d'ora che attual­mente il ricorso ad associazioni da parte di chi aspira all'adozione internazionale non pone cer­tamente al riparo dai rischi che sono insiti nei modi concreti con cui, di fatto, si affronta il repe­rimento fisico dei minori stranieri, potendosi pur­troppo verificare che proprio a mezzo di orga­nizzazioni si dia luogo a quei fenomeni mai abba­stanza deprecati ed in virtù dei quali si assiste talvolta a vere e proprie attività incettatrici di bambini.

Occorre, allora, che i Tribunali per i minorenni e gli operatori da essi eventualmente delegati siano posti in grado di poter disporre di riscontri esaurienti ed oggettivamente comprovati che il­lustrino di volta in volta le modalità operative ed i criteri attuati e professati da ogni singola as­sociazione, a partire dalle finalità che ognuna di esse si è posta all'atto della sua costituzione e dagli sbocchi concreti delle sue iniziative.

Non sempre, purtroppo, una generica ed astrat­ta idoneità all'adozione basta ad assicurare un futuro, felice rapporto tra minore adottata e ge­nitori adottivi, e ciò per una molteplicità di fat­tori legati, ad esempio, al vissuto del minore, al suo carattere, alle aspettative che in lui ripon­gono gli aspiranti genitori, ecc. e che non di rado sono poi all'origine di tanti «ritorni». Da ciò discende l'importanza fondamentale che nell'adozione internazionale rivestono sia il reperi­mento fisico del minore abbandonato, sia la suc­cessiva fase dell'abbinamento, nella cui realiz­zazione sovente si ripropone, in concreta, la do­verosità di ulteriori controlli sulla coppia.

Il CIAI, sulla base dell'esperienza maturata dal 1968 ad oggi, ritiene che requisiti indispen­sabili per una buona riuscita dell'adozione inter­nazionale siano - per quanto riguarda le prassi operative delle associazioni incaricate di rac­cogliere la segnalazione dei minori stranieri - almeno i seguenti:

1) - controllo preventivo (da attuarsi nel paese d'origine del minore e prima di dare il via a qualsiasi pratica di adozione internazionale) circa l'esistenza di una reale situazione di abbandono, articolata su questi punti:

a) che nel paese d'origine siano stati realmen­te svolti dagli uffici preposti alla tutela dell'in­fanzia quei controlli e quegli accertamenti corri­spondenti a quelli che, in Italia, costituiscano il complesso delle iniziative giurisdizionali rese ob­bligatorie dagli artt. 8 e ss. della legge 184;

b) che (ove conosciuti e rintracciati) i genitori naturali del bambino abbiano avuta a disposizio­ne un adeguato periodo di tempo per poter ma­turare in maniera ragionata (e non sotto la sola spinta delle emozioni e del bisogno) e con l'assi­stenza di personale qualificato la propria respon­sabile decisione di rinunciare irrevocabilmente ad ogni legame parentale con il proprio nato;

c) che siano state espletate, con ogni possibile cura e con esito negativo, appropriate ricerche per reperire, nel paese d'origine, nuclei famiglia­ri adatti ad accogliere il minore abbandonato.

Va da sé che lo scrupoloso rispetto di tutti questi requisiti comporta, tranne che per casi sporadici ed eccezionali, che di fatto vengano posti in adozione bambini stranieri non piccolis­simi, e cioè di età aggirantesi dall'anno in su;

2) - tecniche conoscitive indirizzate a verifi­care la reale corrispondenza dell'età attribuita al minore segnalata con quella effettiva, poiché assai spesso nei paesi d'origine non esistono o sono gravemente carenti i servizi anagrafici, e non di rado occorre prevenire o sventare i tenta­tivi operati, magari in buona fede, per far figu­rare il bambino come più grande di quanto non sia nella realtà;

3) - strumenti pratici di indagine e comporta­menti indirizzati ad acquisire in maniera possi­bilmente diretta, e con il successivo corredo di periodiche relazioni e visite, i dati riguardanti la storia personale e le condizioni di vita del bam­bina nel paese d'origine e nel luogo di istituzio­nalizzazione, e ciò per le seguenti finalità:

a) per ricavarne un quadro il più completo pos­sibile del suo carattere, del suo temperamento e del suo stato di salute fisica e psichica;

b) per seguire nei dettagli il successivo evol­versi della sua personalità nelle rispettive fasi dell'abbandono, della segnalazione, dell'abbina­mento e del definitivo distacco dall'ambiente di provenienza;

c) perché si possa tempestivamente procedere all'indispensabile preparazione del bambino al suo allontanamento dai luoghi di origine ed alla sua adozione;

4) - scelta dei professionisti stranieri cui dare incarico delle pratiche legali da seguire sul po­sto, da farsi sulla base di conoscenze dirette, che ne vaglino a priori e ne controllino costantemen­te la correttezza e che, quindi, garantiscano un comportamento che rispetti il reale interesse del bambino;

5) - salvi i casi in cui è la legislazione o la pras­si giudiziaria locale ad esigere obbligatoriamente la presenza tisica dei genitori adottivi stranieri nel paese d'origine del bambina per lo svolgi­mento delle pratiche in vista dell'affidamento fi­sico dello stessa e del visto all'espatrio (ed ec­cettuati, inoltre, quei casi specifici in cui tale presenza appare comunque raccomandabile, ad es. quando - soprattutto nell'adozione di bambini grandicelli - si tratti di mettere in grado i genitori adottivi di rendersi conto di persona del­la situazione fisica e morale del minore, ai fini di instaurare un buon ingresso nella sua nuova famiglia), sembra nettamente preferibile la scel­ta di riservare alle organizzazioni i1 compito di curare le pratiche di uscita ed il viaggio dei mi­nori. Infatti l'esperienza ha indicato che la per­manenza sul posto dei genitori adottivi può, per vari fattori, essere fonte di non pochi traumi, ri­chiedendo tra l'altro - e quasi sempre - un dispiego di energie e di emozioni così intenso, da influenzare poi negativamente l'impegnativa ed immediata scadenza rappresentata dalla ne­cessità di assicurare il primo inserimento del bambino nel sua nuovo nucleo famigliare.

In via conclusiva, d in linea di principio, sem­bra lecito affermare che le innovazioni su cui ci si è soffermati all'inizio costituiscono indubbia­mente - pur con tutti i grossi limiti prima sot­tolineati - una forte accentuazione dei connotati di specializzazione e responsabilità che lo Stato esige da parte delle associazioni che operano nel settore dell'adozione internazionale, ed alla cui stregua non appare più consentito che molti Tri­bunali per i minorenni e molti operatori sociali degli Enti locali si permettano ancora di ignorare i campi di intervento e le modalità operative di ciascuna di queste associazioni. Non è più tol­lerabile che si continui a mandare allo sbaraglio quelle coppie che vogliono adottare e che - bene a male - sono state valutate idonee all'esperien­za. Occorre che le istituzioni prendano posizione subito, scegliendo esclusivamente (e di conse­guenza orientando verso di esse gli aspiranti all'adozione) quelle organizzazioni che, oltre ad avere una storia alle spalle, agiscono con rigore e professionalità, così contribuendo a fare piaz­za pulita di quei rami secchi che continuano pur­troppo a prosperare a dispetto di ogni riforma, nel sottobosco del pressappochismo e con la compiacenza di molti.

Non dimentichiamo mai che trappe organizza­zioni, improntando il proprio attivismo a sconcer­tanti facilonerie, alimentano in maniera potente l'abbandono dei minori nei paesi del sottosvilup­po, e questo è esattamente il contrario degli obiettivi che si dovrebbero invece perseguire da parte di chi crede nella lotta contro l'emargina­zione e lo smembramento della famiglia naturale.

Si ricorda, infine, che i concetti sopra esposti sono stati inseriti in un progetto di dichiarazione sui diritti della famiglia e del minore (c.d. Draft Declaration) presentata nel marzo 1986 dal CIAI e da altre agenzie all'Assemblea dell'ONU.

PIER GIORGIO GOSSO

 

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