Notiziario del Cento italiano per
l'adozione internazionale
ATTUAZIONE
DELL'ART. 38 LEGGE 184/83
È di questi giorni la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale dei primi decreti con i quali il Ministro degli affari esteri, di
concerto con il Ministro di grazia e giustizia, autorizza alcune organizzazioni
italiane a svolgere le pratiche per la adozione dei
minori stranieri, in attuazione del decreto interministeriale del 28 giugno
1985, che stabiliva i principi ed i criteri per il rilascio delle predette
autorizzazioni, previste espressamente dall'art. 38 della legge 4.5.1983 n.
184.
Si tratta, per chi vive fa realtà dell'adozione, di
un avvenimento che non può passare sotto silenzio e che soprattutto, se si
vuole evitare che assuma un semplice significato formale, deve registrare una
prima sia pur sommaria serie di riflessioni sul ruolo
delle associazioni e sul senso da attribuire ai loro rapporti con le
istituzioni.
Non vi è dubbio che l'art. 38 della legge 184 avesse, con la sua dizione estremamente allargata, lasciato
aperto il campo alla «privatizzazione» di questo importante e delicato
settore, consentendo non soltanto che i coniugi entrati in possesso della
dichiarazione di idoneità rilasciata dal Tribunale per i minorenni potessero
(e possano tuttora) recarsi direttamente all'estero alla ricerca di un bambino
(con il rischio di approdare a procedure avventurose e scorrette, quando non
addirittura lesive dei diritti dei minori, fino al limite della
compravendita), ma che continuassero (e continuino tuttora) a proliferare e ad
operare miriadi di «agenzie» ispirate alle più disparate motivazioni. In tale
regime permissivo, le recenti innovazioni ministeriali presentano se non altro
il pregio di introdurre un controllo di assoluta
novità su tali organizzazioni: controllo che avrà una sua rilevanza soltanto
a patto che sia preceduto fin d'ora da un oculato e severo rilascio delle
autorizzazioni e che sia esercitato attraverso un sindacato rigoroso ed
imparziale, scevro da lassismi e da tolleranze, nella fondata aspettativa che
esso possa in tempi ragionevolmente brevi essere di preludio ad una vera e
propria interdizione nei confronti delle associazioni
che non otterranno l'autorizzazione in oggetto.
Va in ogni caso affermato fin d'ora che attualmente
il ricorso ad associazioni da parte di chi aspira all'adozione internazionale
non pone certamente al riparo dai rischi che sono insiti nei modi concreti con
cui, di fatto, si affronta il reperimento fisico dei minori stranieri,
potendosi purtroppo verificare che proprio a mezzo di
organizzazioni si dia luogo a quei fenomeni mai abbastanza deprecati ed in
virtù dei quali si assiste talvolta a vere e proprie attività incettatrici di
bambini.
Occorre, allora, che i Tribunali per i minorenni e
gli operatori da essi eventualmente delegati siano
posti in grado di poter disporre di riscontri esaurienti ed oggettivamente
comprovati che illustrino di volta in volta le modalità operative ed i criteri
attuati e professati da ogni singola associazione, a partire dalle finalità
che ognuna di esse si è posta all'atto della sua costituzione e dagli sbocchi
concreti delle sue iniziative.
Non sempre, purtroppo, una generica ed astratta
idoneità all'adozione basta ad assicurare un futuro, felice rapporto tra minore
adottata e genitori adottivi, e ciò per una molteplicità di fattori legati,
ad esempio, al vissuto del minore, al suo carattere, alle aspettative
che in lui ripongono gli aspiranti genitori, ecc. e che non di rado sono poi
all'origine di tanti «ritorni». Da ciò discende l'importanza fondamentale che
nell'adozione internazionale rivestono sia il reperimento
fisico del minore abbandonato, sia la successiva fase dell'abbinamento, nella
cui realizzazione sovente si ripropone, in concreta, la doverosità
di ulteriori controlli sulla coppia.
Il CIAI, sulla base dell'esperienza maturata dal 1968
ad oggi, ritiene che requisiti indispensabili per una buona riuscita
dell'adozione internazionale siano - per quanto riguarda le prassi operative
delle associazioni incaricate di raccogliere la segnalazione dei minori
stranieri - almeno i seguenti:
1) - controllo
preventivo (da attuarsi nel paese d'origine del minore e prima di dare il
via a qualsiasi pratica di adozione internazionale)
circa l'esistenza di una reale situazione di abbandono, articolata su questi
punti:
a) che nel paese d'origine siano stati realmente
svolti dagli uffici preposti alla tutela dell'infanzia
quei controlli e quegli accertamenti corrispondenti a quelli che, in Italia,
costituiscano il complesso delle iniziative giurisdizionali rese obbligatorie
dagli artt. 8 e ss. della legge 184;
b) che (ove conosciuti e rintracciati) i genitori
naturali del bambino abbiano avuta a disposizione un
adeguato periodo di tempo per poter maturare in maniera ragionata (e non sotto
la sola spinta delle emozioni e del bisogno) e con l'assistenza di personale
qualificato la propria responsabile decisione di rinunciare irrevocabilmente
ad ogni legame parentale con il proprio nato;
c) che siano state espletate,
con ogni possibile cura e con esito negativo, appropriate ricerche per
reperire, nel paese d'origine, nuclei famigliari adatti ad accogliere il
minore abbandonato.
Va da sé che lo scrupoloso rispetto di tutti questi
requisiti comporta, tranne che per casi sporadici ed eccezionali, che di fatto vengano posti in adozione bambini stranieri non
piccolissimi, e cioè di età aggirantesi dall'anno in
su;
2) - tecniche
conoscitive indirizzate a verificare la reale corrispondenza dell'età
attribuita al minore segnalata con quella effettiva,
poiché assai spesso nei paesi d'origine non esistono o sono gravemente carenti
i servizi anagrafici, e non di rado occorre prevenire o sventare i tentativi
operati, magari in buona fede, per far figurare il bambino come più grande di
quanto non sia nella realtà;
3) - strumenti
pratici di indagine e comportamenti indirizzati
ad acquisire in maniera possibilmente diretta, e con il successivo corredo di
periodiche relazioni e visite, i dati riguardanti la storia personale e le
condizioni di vita del bambina nel paese d'origine e nel luogo di istituzionalizzazione,
e ciò per le seguenti finalità:
a) per ricavarne un quadro il più completo possibile
del suo carattere, del suo temperamento e del suo
stato di salute fisica e psichica;
b) per seguire nei dettagli il successivo evolversi
della sua personalità nelle rispettive fasi dell'abbandono, della segnalazione,
dell'abbinamento e del definitivo distacco
dall'ambiente di provenienza;
c) perché si possa tempestivamente procedere
all'indispensabile preparazione del bambino al suo allontanamento dai luoghi di origine ed alla sua adozione;
4) - scelta dei
professionisti stranieri cui dare incarico delle
pratiche legali da seguire sul posto, da farsi sulla base di conoscenze
dirette, che ne vaglino a priori e ne controllino costantemente la correttezza
e che, quindi, garantiscano un comportamento che rispetti il reale interesse
del bambino;
5) - salvi i casi in cui è la legislazione o la prassi giudiziaria locale ad esigere obbligatoriamente la
presenza tisica dei genitori adottivi stranieri nel paese d'origine del bambina
per lo svolgimento delle pratiche in vista dell'affidamento fisico dello
stessa e del visto all'espatrio (ed eccettuati, inoltre, quei casi specifici
in cui tale presenza appare comunque raccomandabile, ad es. quando -
soprattutto nell'adozione di bambini grandicelli - si
tratti di mettere in grado i genitori adottivi di rendersi conto di persona della
situazione fisica e morale del minore, ai fini di instaurare un buon ingresso
nella sua nuova famiglia), sembra nettamente preferibile la scelta di riservare alle organizzazioni i1 compito di curare le
pratiche di uscita ed il viaggio dei minori. Infatti
l'esperienza ha indicato che la permanenza sul posto dei genitori adottivi
può, per vari fattori, essere fonte di non pochi traumi, richiedendo tra
l'altro - e quasi sempre - un dispiego di energie e di emozioni così intenso,
da influenzare poi negativamente l'impegnativa ed immediata scadenza rappresentata
dalla necessità di assicurare il primo inserimento del bambino nel sua nuovo
nucleo famigliare.
In via conclusiva, d in linea di principio, sembra
lecito affermare che le innovazioni su cui ci si è soffermati all'inizio
costituiscono indubbiamente - pur con tutti i grossi limiti prima sottolineati
- una forte accentuazione dei connotati di specializzazione e responsabilità
che lo Stato esige da parte delle associazioni che operano nel settore
dell'adozione internazionale, ed alla cui stregua non appare
più consentito che molti Tribunali per i minorenni e molti operatori
sociali degli Enti locali si permettano ancora di ignorare i campi di
intervento e le modalità operative di ciascuna di queste associazioni. Non è
più tollerabile che si continui a mandare allo
sbaraglio quelle coppie che vogliono adottare e che - bene a male - sono state
valutate idonee all'esperienza. Occorre che le istituzioni prendano
posizione subito, scegliendo esclusivamente (e di conseguenza
orientando verso di esse gli aspiranti all'adozione) quelle organizzazioni che,
oltre ad avere una storia alle spalle, agiscono con rigore e professionalità,
così contribuendo a fare piazza pulita di quei rami secchi che continuano purtroppo
a prosperare a dispetto di ogni riforma, nel sottobosco del pressappochismo e
con la compiacenza di molti.
Non dimentichiamo mai che trappe organizzazioni,
improntando il proprio attivismo a sconcertanti facilonerie, alimentano in
maniera potente l'abbandono dei minori nei paesi del sottosviluppo, e questo è
esattamente il contrario degli obiettivi che si dovrebbero invece perseguire da
parte di chi crede nella lotta contro l'emarginazione e lo smembramento della
famiglia naturale.
Si ricorda, infine, che i concetti sopra esposti sono
stati inseriti in un progetto di dichiarazione sui diritti della famiglia e del
minore (c.d. Draft Declaration)
presentata nel marzo 1986 dal CIAI e da altre agenzie all'Assemblea dell'ONU.
PIER GIORGIO GOSSO
www.fondazionepromozionesociale.it