INVALIDITA’ PSICHICHE ED INVALIDITA’ FISICHE AI FINI DEL COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO
GIUSEPPE OBERTO
Nell'interpretazione
data dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale con la circolare n.
909 del 93 agosto 1985, la sentenza della Corte
costituzionale n. 52 del 1985 avrebbe escluso dal collocamento obbligatorio al
lavoro sia gli insufficienti mentali che i malati mentali.
Ferma
restando l'urgente necessità di una nuova normativa a favore di tutti gli
invalidi, senza discriminazioni di sorta, pubblichiamo
l'articolo del Dott. Giuseppe Oberto, Coordinatore
sanitario dell'USL Torino 9-23, il quale sostiene che le norme attuali non
escludono gli insufficienti mentali dal collocamento obbligatorio.
Anche in base ad esperienze felicemente condotte a
termine nell'ambito dell'Unità Sanitaria Locale 1-23 di Torino, nella cui struttura operativa sono stati inseriti di recente trenta
handicappati psichici, ci sembra di poter affermare, confutando le tesi
preclusive di alcuni settori sociali, che non pochi soggetti i quali presentano
menomazioni psichiche, possono essere collocati proficuamente nel contesto
lavorativo con rese produttive sicuramente accettabili e non mascheranti una
qualche sorta di assistenzialismo.
Altre esperienze di cui a recenti comunicazioni
dimostrano come, anche attraverso preliminari indagini ergonomiche e psico-sociali, sia
possibile procedere scientificamente all'inserimento di insufficienti
mentali in cicli produttivi con rese obiettivamente verificate come vantaggiose.
Altri invece hanno indagato, solo per restare alle
più recenti pubblicazioni, sulle modificazioni indotte nell'ambito lavorativo
e professionale, nel contesto della famiglia e negli
stessi soggetti che presentavano handicap di ordine psichico e che erano
stati assunti e inseriti in strutture pubbliche e private,
ricavando dati che dimostrano non solo un miglioramento dell'intera
personalità del soggetto lavoratore, quanto anche un buon grado di accettazione
di questi soggetti nell'ambiente di lavoro, con considerevoli spazi di formabilità professionale, con elisione dello stereotipo
handicappato = totalmente inabile.
Ci siamo chiesti allora quali possono e siano in concreto gli ostacoli verso una riabilitazione
lavorativa dei soggetti portatori di handicap psichici: ostacoli di diverso
peso e diversa natura che non vorremmo qui indagare in quanto non di pertinenza
del tema, ma che comprendono, a mio avviso, una inadeguata formulazione legislativa,
frutto non solo di confusioni semantiche, quanto anche di affastellamento di
norme nel volgere del tempo, senza procedere ad un loro coordinamento
sostanziale e logico prima che formale.
Come è noto, la definizione di invalido civile soggiace a
due diverse formulazioni in relazione alla finalità che con la declaratoria
stessa si vogliono raggiungere.
L'art. 5 della legge 2 aprile 1968 n. 482 definisce
l'invalido civile, ai fini del collocamento obbligatorio, sulla
base di tre parametri sostanziali e obiettivi: la minorazione fisica,
induttiva di incapacità lavorativa, in misura non inferiore al terzo.
La stessa legge 482/68 all'art. 19 richiede che, ai
fini della iscrizione negli elenchi dei collocandi obbligatori, gli invalidi civili che hanno
menomazioni fisiche debbano produrre una dichiarazione dell'autorità sanitaria
locale comprovando che l'invalido per la natura e per il grado della
mutilazione o invalidità non sia di pregiudizio alla salute e incolumità dei
compagni di lavoro e alla sicurezza degli impianti.
È abbastanza curioso il fatto che il legislatore si
sia preoccupato di far rilevare in questa dichiarazione in modo espresso la
sussistenza di amputazioni (perdita anatomica
soltanto) agii arti superiori ed inferiori per gli invalidi di guerra e per
servizio e per minorazioni analoghe nelle altre categorie.
Altra curiosità, se così possiamo chiamarla, sta nel
fatto che, mentre per gli invalidi civili il parametro sostanziale della
minorazione fisica è nettamente sottolineato, per le altre categorie di invalidi e cioè per causa di guerra o per causa di
servizio o causa di lavoro, il parametro di riferimento è la menomazione della
capacità di lavoro senza altro riferimento che a causazione da infortunio o da
infermità e senza altra aggettivazione.
Certamente più espressiva è la definizione di invalido civile ex art. 2 della legge 30 marzo 1971 n.
118 in quanto, rispetto alla definizione della 482, introduce un concetto
dinamico della minorazione («anche a carattere progressivo»), comprende e
riconosce gli irregolari psichici per oligofrenia di carattere organico o dismetabolico, comprende e riconosce le insufficienze
mentali da difetti sensoriali e funzionali, allarga il concetto della
riduzione della capacità lavorativa tramutandola per i minori infradiciottenni in riduzione della capacità a svolgere le
ordinarie occupazioni.
Sussiste quindi una diversa definizione di invalido civile in ragione della finalità della declaratoria,
grosso modo l'una quella della legge 482 ai fini del collocamento obbligatorio,
l'altra quella della 118 ad altri molteplici fini quali l'assistenza economica,
ivi compresa l'indennità di accompagnamento, l'assistenza riabilitativa, la
formazione professionale, per tralasciare l'assistenza sanitaria che con
l'avvento della istituzione del Servizio sanitario nazionale è diventata
diritto del cittadino.
Vien da chiedersi quali siano i motivi di questa
diversificazione che trova il suo punto centrico e limitatamente agli invalidi
civili, nella qualificazione della minorazione che deve essere fisica,
implicitamente escludendo le minorazioni psichiche, e che ha come effetto la
preclusione della iscrizione degli invalidi civili
tali a motivo di minorazioni psichiche nelle liste per il collocamento
obbligatorio.
Recentemente, in materia, un giurista di chiara fama
ha espresso una sua opinione che può compendiarsi come segue: le norme
sull'avviamento obbligatorio al lavoro hanno come obiettivo la non esclusione
dal lavoro di coloro che hanno una potenzialità
produttiva, ovverosia una capacità di lavoro sia pur ridotta, addossando
all'impresa sia pubblica che privata il maggior onere che deriva dallo
squilibrio tra salario normale e prestazione ridotta.
La cosiddetta irregolarità psichica, e tale è il
termine usato da chi in merito si è espresso, non solo dà luogo ad un minor
lavoro e cioè ad una minore produttività in relazione
alla ridotta capacità di lavoro, bensì introduce un aspetto qualitativo
determinato dall'alea, dalla imprevedibilità, dalla incertezza nel se e nel
quanto e nel come la prestazione lavorativa sarà resa.
Tenuto conto di ciò - si argomenta - viene ad
interrompersi quel rapporto sinallagmatico del
contratto di lavoro laddove, a fronte della obbligazione
del dare una mercede definita e precisata, sussiste la controobbligazione
del ricevere una prestazione altrettanto definita e certa nell'an, nel quantum e nel quomodo.
Dobbiamo esprimere qualche riserva di fronte a questa interpretazione che, sul piano strettamente
giuridico, può anche forse convincere, ma che mostra fragili basi proprio nella
caratterizzazione della capacità lavorativa dei cosiddetti irregolari
psichici.
In primis già la etichetta di
irregolare psichico è quanto mai inopportuna e comunque non risponde a criteri
di definizione nosologica. È appena ovvio rimarcare che qualsivoglia discostamento dalla normalità costituisce un alcunché di irregolare, talché il concetto di irregolarità
può ben attagliarsi anche alle devianze o deviazioni fisiche vuoi organiche o
anche solo strettamente funzionali.
Ci sembra poi che, al di là della
questione della classificazione nosologica delle infermità (concetto questo
molto lato) psichiche, ciò che interessa ai fini dell'applicazione delle leggi
482 e 118 è la ripercussione minorativa sulle funzioni specifiche dei sistemi e
apparati della vita vegetativa e di relazione.
Cosicché appare opportuno a questo
punto fornire alcune precisazioni semantiche. Iniziamo dalla definizione di menomazione o
minorazione che per gli orientamenti della Organizzazione
mondiale della sanità è così formulata: «Nell'ambito delle evenienze inerenti
la salute è menomazione qualsiasi perdita o
anormalità a carico di una struttura o funzione psicologica, fisiologica o
anatomica».
La menomazione quindi rappresenta l'allontanamento
dalla norma nella situazione biomedica individuale:
definirne gli elementi è primariamente compito di chi é qualificato come il
medico ad esprimere in relazione agli standards comunemente accettati, un giudizio sul
funzionamento fisico e mentale.
La menomazione è caratterizzata da perdita o
alterazioni, sia transitorie che permanenti e comprende
l'esistenza di anomalie, difetti o perdita a carico degli arti, organi e
tessuti o altre strutture dell'organismo ovvero deficit di un apparato
funzionale o di un meccanismo corporeo, inclusi i sistemi della funzione
mentale.
Va sottolineato che, essendo
destinata a descrivere lo stato individuale in un determinato momento, la
menomazione resta neutrale nei confronti di una serie di fattori associati.
Così la menomazione non ha a che vedere con l'eziologia cioè
con il modo secondo cui una certa condizione è insorta o si è sviluppata: essa
comprende sia le condizioni congenite, sia quelle acquisite come le anomalie
genetiche o le conseguenze di incidenti del traffico. Il ricorso al termine
«menomazione» non indica necessariamente la presenza di malattia, né che
l'individuo debba essere considerato malato.
Infatti nel connetto di malattia predomina la condizione
essenziale di evolutività di un disturbo, di una
alterazione di un organo o apparato della vita vegetativa o di relazione.
Dato appunto lo sganciamento della minorazione dalla causa che lo produce o l'ha prodotta, al agri della
sussistenza o meno di una spinta evolutiva o modificativa, parrebbe
giustificato in relazione sia alla legge 482 e alla legge 118 solo aggettivare
la minorazione come permanente, laddove tale aggettivo significhi di indefinita
e indefinibile durata nel tempo, quindi con giudizio ad alto contenuto
prognostico.
L'etichetta fisica o psichica della minorazione dovrebbe
quindi riguardare non già la natura della causa della
minorazione, bensì la funzione lesa inglobando nella funzione psicologica
l'intelligenza, la memoria, il pensiero, lo stato di coscienza e di vigilanza,
la percezione e l'attenzione, le funzioni emotive e volitive, e il
comportamento e nella funzione fisica ogni alterazione anatomica e funzionale
degli organi ed apparati della vita vegetativa e di relazione connotata da
organicità e difetto strutturale.
Ma minorazione e menomazione in sé non avrebbero
significato ai fini applicativi della legge in questione se non inducessero una disabilità intesa
secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, per la quale, nell'ambito delle
evenienze inerenti la salute, si intende per disabilità
qualsiasi limitazione o perdita conseguente a menomazione della capacità di
compiere un'attività nel moda o nell'ampiezza considerati normali.
La menomazione riguarda singole funzioni di parti del
corpo: come tale è tendenzialmente una nozione alquanto teorica che riflette la
potenzialità in termini assoluti.
La disabilità all'opposto è
relativa ad attività compiesse o concretamente
integrate quali sono quelle attese da una persona o da un organismo considerato
nel suo complesso e che si configurano come compiti, abilità, comportamenti.
La disabilità è caratterizzata
da scostamenti, per eccesso o per difetto, nella realizzazione dei compiti e nella espressione dei comportamenti rispetto a ciò che sarebbe
normalmente atteso. Le disabilità possono avere
carattere transitorio o permanente ed essere reversibili o irreversibili, progressive
o regressive. Le disabilità possono insorgere come
conseguenza diretta di una menomazione o come reazione del soggetto specialmente
dal punto di vista psicologico ad una menomazione fisica sensoriale e di altra natura. La disabilità
rappresenta la oggettivazione della menomazione e come
tale riflette disturbi a livello di personalità.
La disabilità si riferisce
a capacità funzionali estrinsecate attraverso atti e
comportamenti che per generale consenso costituiscono aspetti essenziali della
vita di ogni giorno. Ne costituiscono esempio i disturbi nella
adozione di comportamenti appropriati, nella cura della propria persona
come il controllo della funzione escretoria e la capacità di lavarsi e
alimentarsi, nella esecuzione di altre attività della vita quotidiana e nella
funzione locomotoria.
È da ritenere quindi che la trafila concettuale veda
all'origine una malattia o disturbo che si estrinseca
in una menomazione che riduce una funzione: quale effetto di questa riduzione
funzionale il soggetto ha una riduzione della normale capacità di compiere
determinate attività.
La declaratoria di invalidità
civile quindi dovrebbe giungere ad una valutazione della disabilità
in funzione di attività lavorativa generica o specifica o intermedia o in
funzione di ordinarie occupazioni riferite all'età.
Per vero l'orientamento è verso una valutazione della
menomazione ex se, non già come base clinico-funzionale della riduzione della capacità di compiere
determinati atti più o meno importanti ed essenziali
rispetto ad attività compiesse con finalità diverse (usualmente lavoro e quindi
finalità lucrative).
E in tema di minorazione della sfera psichica si può
accertare una partizione tra insufficienza mentale e malattia mentale così come
precisato da Coob e Mittler.
Sul piano che a noi interessa questa differenziazione
appare essenziale, posto che insufficienza mentale e malattia mentale, in
quanto minorazioni, e prescindendo dalla qualificazione della loro causa, si
riflettono diversamente sulla disabilità, sulla
capacità del soggetto cioè di compiere attività
complesse e finalizzate quali appunto le attività lavorative.
E mentre stando ai citati Coob
e Mittler I'insufficienza
mentale è una condizione deficitaria caratterizzata da un funzionamento
intellettuale notevolmente inferiore alla media con evidente riduzione della
capacità di adattamento alle richieste culturali
della società, per lo più presente nella prima età, spesso connotato da danneggiamento
organico e strutturale dell'encefalo, sovente di rilievo anatomo-patologico,
per lo più stabilizzato, ancorché migliorabile attraverso interventi educativi
e riabilitativi, la malattia mentale si caratterizza per una varietà di
disturbi del comportamento emotivo e cognitivo e sociale, con difetto del
rapporto interpersonale, per lo più a carattere evolutivo e processuale,
sovente senza substrati anatomo-patologici
dimostrabili: in questo ambito di malattia mentale si includono le condizioni
psicotiche, le condizioni a genesi organica per lo più di natura degenerativa,
i processi psiconeurotici, i disordini del comportamento
e della personalità.
Conviene sottolineare della
malattia mentale oltre ci-se la sua caratterizzazione evolutiva, anche
e soprattutto la induzione di turbe comportamentali che minano il rapporto del
soggetto con l'ambiente e difficultano quindi i
rapporti interpersonali.
Ritornando alle difficoltà di collocamento obbligatorio
di minorati psichici, ricordo che in ordine alla
differente definizione di invalido civile di cui alle leggi 482 e 118 e alla
conseguente esclusione dall'iscrizione alle liste speciali di collocamento dei
minorati psichici, la Corte costituzionale adita in merito con sentenza 52 del
1985 ha dichiarato inammissibile la questione della illegittimità
costituzionale dell’art. 5 legge 482 del 1968 in relazione agli artt. 1, 3, 4, 35 e 38 della
Costituzione rilevando peraltro:
- che compete al legislatore formulare una normazione
esaustiva delle varie e articolate esigenze che si prospettano in materia di diritto al lavoro sulla base di opportuni rilevamenti e
apprezzamenti tecnici;
- che è assai difficile se non
controproducente tentare di risolvere queste esigenze solo con lo strumento interpretativo
delle attuali leggi. Basterebbe questa ultima indicazione associata alla autorità da cui
promana per far desistere da ulteriori tentativi di interpretazione; ma poiché
il legislatore non ha ancora raccolto l’altra indicazione, appare opportuno:
- esaminare la situazione in vista di una emananda normativa
innovativa:
- cammin facendo esaminare
quanto nel complesso gioco procedurale vada
valorizzato ai fini di una applicazione della vigente normativa per aderire
alla realtà sociale e al progresso tecnico.
Giunti a questo punto, definito cosa sia menomazione
delle funzioni psicologiche distinta dalla menomazione della sfera
fisico-organica, sembrerebbe ragionevole affermare non sussistere altra via
interpretativa che consenta l'iscrizione dei disabili da menomazioni della
sfera psicologica negli speciali elenchi di cui all'art. 5 della legge 482, se
non attraverso una espressa modifica normativa.
Infatti non appare percorribile la individuazione o meglio
la classificazione delle menomazioni della sfera psicologica in base alla
natura dell’agente etiologico: la minorazione
secondo l’Organizzazione mondiale della sanità è di per sé neutrale, un
difetto che colpisce una funzione della persona e a questo difetto si può
giungere attraverso diverse vie etiopatogenetiche di
non facile classificazione, non tutte sempre dimostrabili quali legate a
fattori organici o fisico-chimici.
È ben vero che molti difetti o menomazioni psicologiche
interessanti l'intelligenza e la memoria traggono le loro origini da un
danneggiamento organico dimostrabile strumentalmente dell'encefalo; ma in altri
casi tale atteggiamento può esser solo ipotizzato nella assoluta
normalità o non anormalità degli aspetti organici neurologici sia clinici, sia
strumentali, sia attuali che anamnesici.
Ritengo peraltro che sia molto più importante
stabilire se una minorazione psichica sostenuta da un substrato organico investa solo la capacità intellettiva, la cioè una insufficienza
mentale e abbia carattere di stabilizzazione clinica, suscettibile o meno di miglioramento
attraverso idonei interventi, senza compromissione
dei rapporti interpersonali, di grado tale da condizionare l'entità della disabilità.
In altri termini l’insufficiente mentale, a differenza
del malato mentale, pur presentando una minorazione compendiata nella riduzione
della capacità intellettiva, può possedere un grado di capacità lavorativa tale
da assicurare una resa produttiva sicuramente inferiore al normale, ma continua
e certa, non già aleatoria, in condizioni di sicurezza propria, dei compagni di
lavoro e degli impianti. Tanto è suffragato da diverse esperienze
sia in ambito pubblico che privato.
Il legislatore, definendo collocabili i soli invalidi
per le minorazioni fisiche, ha ritenuto che gli invalidi civili per minorazioni
psichiche potessero di per sé e in ogni caso essere di pregiudizio alla salute
e incolumità dei compagni di lavoro e alla sicurezza degli impianti a
prescindere dalla cosiddetta aleatorietà della resa
produttiva.
Il che appare su un piano meramente oggettivo del
tutto eccessivo, quanto più che lo stesso legislatore ha previsto la salvaguardia del giudizio della Commissione sanitaria
provinciale, ma soprattutto appare discriminante, posto che ciò che è
unificante è il grado di residua capacità lavorativa e non già la tipologia
della minorazione.
Occorre infatti superare le
artificiose distinzioni tra invalido psichico e invalido fisico facendo
venire in luce il concetto di idoneità lavorativa,
A definire il quale come capacità del soggetto ad espletare urna determinata attività lavorativa senza
rischio, usura e danno proprio e senza pregiudizio per la salute e incolumità
dei compagni di lavoro e per la sicurezza degli impianti con continuità e
produttività predeterminata e controllata, occorrono valutazioni che
indipendentemente da chi le assuma, sono peraltro individualizzate, cioè
sempre e comunque riferite ad un determinato soggetto.
E per questa valutazione sono elementi essenziali di
conoscenza:
- il quadro clinico in tutte le sue articolazioni sia
per la definizione delle menomazioni in termini quali-quantitative
e sia per la estrinsecazione delle conseguenti disabilità, precisando quali siano le attività o meglio
gli atti compromessi per la sussistenza delle minorazioni;
- il quadro delle possibili attività occupazionali
non solo quali offerte dal mercato del lavoro, ma anche in
relazione alle attitudini e al complesso delle acquisizioni
teorico-pratiche professionalizzanti proprio del soggetto. Poiché la
dichiarazione prevista dall'art. 19 della legge 482 é attualmente
resa sconoscendo il quadro delle possibilità occupazionali, ne consegue la sua
inutilità e irrilevanza ai fini del collocamento mirato che possa quindi
coinvolgere tutti i disagi indipendentemente dalla natura della minorazione.
Ci si è chiesti se, in
attesa che il legislatore provveda a normare con più
aderenza alle situazioni oggettive questa materia, non sia possibile fin d'ora
esperire qualche modificazione dell'attuale procedura che vede i disabili da
menomazione psichica iscritti in elenchi speciali per il collocamento solo
presso strutture pubbliche (aspetto questo assistenzialistico
di dubbio gusto).
Quanto diremo, oltre che
sulla base di esperienza diretta, è attuabile in quanto al momento e
nell'ambito della realtà assistenziale locale l'impegno politico,
professionale ed economico verso le situazioni di handicap psichico è tale da
far ritenere che le minorazioni ad espressione psichica con coinvolgimento
della sfera intellettiva, attraverso gli interventi rieducativi e riabilitativi
e diagnostici integrati, conducano a disabilità di
non grave momento e non siano impeditive di inserimenti
lavorativi, certamente non rischiosi e certamente produttivi.
In altri termini si ha l'impressione che lo iatus tra minorazione psichica e disabilità
tenda ad allargarsi per effetto degli interventi di
rieducazione e riabilitazione. Ciò è fatto più vero nei casi di insufficienza mentale medio-lieve,
non associata ad altre minorazioni organiche e neurologiche, senza turbe
comportamentali evidenti.
Poiché questa realtà sussiste - ripeto - in attesa di provvedimenti legislativi che ci auguriamo
tempestivi ma soprattutto gestibili sul piano pratico, riteniamo:
- che le minorazioni psichiche dipendenti da dimostrata organica cerebropatia con compromissione
della sfera intellettiva a carattere non evolutivo e non implicando turbe
comportamentali o difetti nei rapporti interpersonali siano da considerare
quali induttive di una invalidità di natura fisica: in altri termini siffatte
minorazioni dovrebbero classificarsi ex causa e non già ex espressione;
- che tuttavia sia
assolutamente importante stabilire in ogni caso il grado di capacità lavorativa
residua utilizzabile senza rischio, usura e danno proprio, dei compagni di
lavoro e degli impianti, con una resa produttiva continua, sicura, ancorché
ridotta: in questo contesto appare chiaro che gioca molto la caratterizzazione
della minorazione nelle sue espressioni cliniche attuali e prognostiche;
- che sul piano procedurale sia subordinata la iscrizione negli elenchi ex art. 19/482 di questi
invalidi ad una dichiarazione da assumere o dalle Commissioni invalidi civili
di prima istanza o dai Servizi di medicina legale delle UU.SS.LL.
da cui risulti, previ esami
clinici e strumentali, previa istruttoria tecnica pluridisciplinare
tesa ad acquisire dati sul bagaglio professionale del soggetto, la idoneità a
svolgere specificate attività in determinati contesti operativi, in quanto
non pregiudizievole al soggetto, ai compagni di lavoro e agli impianti e
sicuramente produttivi.
Questo giudizio di idoneità,
previo alla iscrizione negli elenchi, consentirebbe un avvio al lavoro
abbastanza celere allargando l'area occupazionale.
È da ritenere che disabilità
nel comportamento con difetti evidenti nei rapporti interpersonali, soprattutto
dovuti o a psicosi o a gravi nevrosi o a insufficienze
mentali aggravate da coesistenti psicosi limiterebbero moltissimo fino ad annullarlo
il campo delle attività lavorative.
Nella complessa materia ci sembra peraltro di poter
affermare senza mezzi termini che la valutazione di invalidità,
idoneità, di natura e grado delle minorazioni non possono essere affidate a
persone non qualificate: né tanto meno è possibile innescare meccanismi
automatici di valutazione sulla base di schemi stereotipi.
Per contro ogni caso ha una sua storia che va
vagliata in termini clinici, in termini sociali, e
quindi con procedure e modalità collegiali e pluridisciplinari.
Come considerazione finale esprimo
tutta la mia amara perplessità nel constatare come la discriminazione tra
invalidi psichici e invalidi fisici sia stata consacrata in una norma
legislativa, quando per contro al di là di ogni considerazione umana, sociale e
politica, sul piano strettamente tecnico ai fini del collocamento obbligatorio
bastava e basta chiarire il concetto di idoneità lavorativa produttiva senza
rischio, usura e danno proprio e agli altri, indipendentemente dalla caratterizzazione
della minorazione.
Credo che l'art. 5 della legge 482 costituisca un bell'esempio di innesco di inutile
e dannosa querelle sociale di cui i
soccombenti sono proprio i più deboli.
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