Prospettive assistenziali, n. 77, gennaio-marzo 1987

 

 

INVALIDITA’ PSICHICHE ED INVALIDITA’ FISICHE AI FINI DEL COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO

GIUSEPPE OBERTO

 

 

Nell'interpretazione data dal Ministro del la­voro e della previdenza sociale con la circolare n. 909 del 93 agosto 1985, la sentenza della Cor­te costituzionale n. 52 del 1985 avrebbe escluso dal collocamento obbligatorio al lavoro sia gli insufficienti mentali che i malati mentali.

Ferma restando l'urgente necessità di una nuo­va normativa a favore di tutti gli invalidi, senza discriminazioni di sorta, pubblichiamo l'articolo del Dott. Giuseppe Oberto, Coordinatore sanita­rio dell'USL Torino 9-23, il quale sostiene che le norme attuali non escludono gli insufficienti mentali dal collocamento obbligatorio.

 

Anche in base ad esperienze felicemente con­dotte a termine nell'ambito dell'Unità Sanitaria Locale 1-23 di Torino, nella cui struttura opera­tiva sono stati inseriti di recente trenta handi­cappati psichici, ci sembra di poter affermare, confutando le tesi preclusive di alcuni settori sociali, che non pochi soggetti i quali presentano menomazioni psichiche, possono essere colloca­ti proficuamente nel contesto lavorativo con rese produttive sicuramente accettabili e non masche­ranti una qualche sorta di assistenzialismo.

Altre esperienze di cui a recenti comunicazio­ni dimostrano come, anche attraverso prelimi­nari indagini ergonomiche e psico-sociali, sia possibile procedere scientificamente all'inseri­mento di insufficienti mentali in cicli produttivi con rese obiettivamente verificate come vantag­giose.

Altri invece hanno indagato, solo per restare alle più recenti pubblicazioni, sulle modificazio­ni indotte nell'ambito lavorativo e professionale, nel contesto della famiglia e negli stessi sog­getti che presentavano handicap di ordine psi­chico e che erano stati assunti e inseriti in strut­ture pubbliche e private, ricavando dati che di­mostrano non solo un miglioramento dell'intera personalità del soggetto lavoratore, quanto anche un buon grado di accettazione di questi soggetti nell'ambiente di lavoro, con considerevoli spazi di formabilità professionale, con elisione dello stereotipo handicappato = totalmente inabile.

Ci siamo chiesti allora quali possono e siano in concreto gli ostacoli verso una riabilitazione lavorativa dei soggetti portatori di handicap psi­chici: ostacoli di diverso peso e diversa natura che non vorremmo qui indagare in quanto non di pertinenza del tema, ma che comprendono, a mio avviso, una inadeguata formulazione legi­slativa, frutto non solo di confusioni semanti­che, quanto anche di affastellamento di norme nel volgere del tempo, senza procedere ad un loro coordinamento sostanziale e logico prima che formale.

Come è noto, la definizione di invalido civile soggiace a due diverse formulazioni in relazione alla finalità che con la declaratoria stessa si vogliono raggiungere.

L'art. 5 della legge 2 aprile 1968 n. 482 defi­nisce l'invalido civile, ai fini del collocamento obbligatorio, sulla base di tre parametri sostan­ziali e obiettivi: la minorazione fisica, induttiva di incapacità lavorativa, in misura non inferiore al terzo.

La stessa legge 482/68 all'art. 19 richiede che, ai fini della iscrizione negli elenchi dei collo­candi obbligatori, gli invalidi civili che hanno menomazioni fisiche debbano produrre una di­chiarazione dell'autorità sanitaria locale compro­vando che l'invalido per la natura e per il grado della mutilazione o invalidità non sia di pre­giudizio alla salute e incolumità dei compagni di lavoro e alla sicurezza degli impianti.

È abbastanza curioso il fatto che il legislatore si sia preoccupato di far rilevare in questa di­chiarazione in modo espresso la sussistenza di amputazioni (perdita anatomica soltanto) agii arti superiori ed inferiori per gli invalidi di guerra e per servizio e per minorazioni analoghe nelle altre categorie.

Altra curiosità, se così possiamo chiamarla, sta nel fatto che, mentre per gli invalidi civili il parametro sostanziale della minorazione fisica è nettamente sottolineato, per le altre categorie di invalidi e cioè per causa di guerra o per cau­sa di servizio o causa di lavoro, il parametro di riferimento è la menomazione della capacità di lavoro senza altro riferimento che a causazione da infortunio o da infermità e senza altra agget­tivazione.

Certamente più espressiva è la definizione di invalido civile ex art. 2 della legge 30 marzo 1971 n. 118 in quanto, rispetto alla definizione della 482, introduce un concetto dinamico della mino­razione («anche a carattere progressivo»), com­prende e riconosce gli irregolari psichici per oli­gofrenia di carattere organico o dismetabolico, comprende e riconosce le insufficienze mentali da difetti sensoriali e funzionali, allarga il con­cetto della riduzione della capacità lavorativa tramutandola per i minori infradiciottenni in ridu­zione della capacità a svolgere le ordinarie occu­pazioni.

Sussiste quindi una diversa definizione di inva­lido civile in ragione della finalità della declara­toria, grosso modo l'una quella della legge 482 ai fini del collocamento obbligatorio, l'altra quella della 118 ad altri molteplici fini quali l'assistenza economica, ivi compresa l'indennità di accompa­gnamento, l'assistenza riabilitativa, la formazio­ne professionale, per tralasciare l'assistenza sa­nitaria che con l'avvento della istituzione del Ser­vizio sanitario nazionale è diventata diritto del cittadino.

Vien da chiedersi quali siano i motivi di questa diversificazione che trova il suo punto centrico e limitatamente agli invalidi civili, nella qualifica­zione della minorazione che deve essere fisica, implicitamente escludendo le minorazioni psichi­che, e che ha come effetto la preclusione della iscrizione degli invalidi civili tali a motivo di mi­norazioni psichiche nelle liste per il collocamen­to obbligatorio.

Recentemente, in materia, un giurista di chiara fama ha espresso una sua opinione che può com­pendiarsi come segue: le norme sull'avviamento obbligatorio al lavoro hanno come obiettivo la non esclusione dal lavoro di coloro che hanno una potenzialità produttiva, ovverosia una capa­cità di lavoro sia pur ridotta, addossando all'im­presa sia pubblica che privata il maggior onere che deriva dallo squilibrio tra salario normale e prestazione ridotta.

La cosiddetta irregolarità psichica, e tale è il termine usato da chi in merito si è espresso, non solo dà luogo ad un minor lavoro e cioè ad una minore produttività in relazione alla ridotta capa­cità di lavoro, bensì introduce un aspetto qualita­tivo determinato dall'alea, dalla imprevedibilità, dalla incertezza nel se e nel quanto e nel come la prestazione lavorativa sarà resa.

Tenuto conto di ciò - si argomenta - viene ad interrompersi quel rapporto sinallagmatico del contratto di lavoro laddove, a fronte della ob­bligazione del dare una mercede definita e preci­sata, sussiste la controobbligazione del ricevere una prestazione altrettanto definita e certa nel­l'an, nel quantum e nel quomodo.

Dobbiamo esprimere qualche riserva di fronte a questa interpretazione che, sul piano stretta­mente giuridico, può anche forse convincere, ma che mostra fragili basi proprio nella caratterizza­zione della capacità lavorativa dei cosiddetti ir­regolari psichici.

In primis già la etichetta di irregolare psichico è quanto mai inopportuna e comunque non ri­sponde a criteri di definizione nosologica. È appe­na ovvio rimarcare che qualsivoglia discostamen­to dalla normalità costituisce un alcunché di irre­golare, talché il concetto di irregolarità può ben attagliarsi anche alle devianze o deviazioni fisi­che vuoi organiche o anche solo strettamente funzionali.

Ci sembra poi che, al di là della questione del­la classificazione nosologica delle infermità (concetto questo molto lato) psichiche, ciò che interessa ai fini dell'applicazione delle leggi 482 e 118 è la ripercussione minorativa sulle funzioni specifiche dei sistemi e apparati della vita vege­tativa e di relazione.

Cosicché appare opportuno a questo punto fornire alcune precisazioni semantiche. Iniziamo dalla definizione di menomazione o minorazione che per gli orientamenti della Orga­nizzazione mondiale della sanità è così formula­ta: «Nell'ambito delle evenienze inerenti la salu­te è menomazione qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o funzione psicologica, fisiologica o anatomica».

La menomazione quindi rappresenta l'allonta­namento dalla norma nella situazione biomedica individuale: definirne gli elementi è primariamen­te compito di chi é qualificato come il medico ad esprimere in relazione agli standards comune­mente accettati, un giudizio sul funzionamento fisico e mentale.

La menomazione è caratterizzata da perdita o alterazioni, sia transitorie che permanenti e com­prende l'esistenza di anomalie, difetti o perdita a carico degli arti, organi e tessuti o altre strut­ture dell'organismo ovvero deficit di un apparato funzionale o di un meccanismo corporeo, inclusi i sistemi della funzione mentale.

Va sottolineato che, essendo destinata a de­scrivere lo stato individuale in un determinato momento, la menomazione resta neutrale nei confronti di una serie di fattori associati. Così la menomazione non ha a che vedere con l'eziologia cioè con il modo secondo cui una certa condizio­ne è insorta o si è sviluppata: essa comprende sia le condizioni congenite, sia quelle acquisite come le anomalie genetiche o le conseguenze di incidenti del traffico. Il ricorso al termine «meno­mazione» non indica necessariamente la presen­za di malattia, né che l'individuo debba essere considerato malato.

Infatti nel connetto di malattia predomina la condizione essenziale di evolutività di un distur­bo, di una alterazione di un organo o apparato del­la vita vegetativa o di relazione.

Dato appunto lo sganciamento della minorazio­ne dalla causa che lo produce o l'ha prodotta, al agri della sussistenza o meno di una spinta evo­lutiva o modificativa, parrebbe giustificato in re­lazione sia alla legge 482 e alla legge 118 solo aggettivare la minorazione come permanente, laddove tale aggettivo significhi di indefinita e indefinibile durata nel tempo, quindi con giudizio ad alto contenuto prognostico.

L'etichetta fisica o psichica della minorazione dovrebbe quindi riguardare non già la natura del­la causa della minorazione, bensì la funzione lesa inglobando nella funzione psicologica l'intelligen­za, la memoria, il pensiero, lo stato di coscienza e di vigilanza, la percezione e l'attenzione, le funzioni emotive e volitive, e il comportamento e nella funzione fisica ogni alterazione anatomica e funzionale degli organi ed apparati della vita vegetativa e di relazione connotata da organicità e difetto strutturale.

Ma minorazione e menomazione in sé non avrebbero significato ai fini applicativi della leg­ge in questione se non inducessero una disabilità intesa secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, per la quale, nell'ambito delle evenienze inerenti la salute, si intende per disabilità qual­siasi limitazione o perdita conseguente a meno­mazione della capacità di compiere un'attività nel moda o nell'ampiezza considerati normali.

La menomazione riguarda singole funzioni di parti del corpo: come tale è tendenzialmente una nozione alquanto teorica che riflette la potenzia­lità in termini assoluti.

La disabilità all'opposto è relativa ad attività compiesse o concretamente integrate quali sono quelle attese da una persona o da un organismo considerato nel suo complesso e che si configu­rano come compiti, abilità, comportamenti.

La disabilità è caratterizzata da scostamenti, per eccesso o per difetto, nella realizzazione dei compiti e nella espressione dei comportamenti rispetto a ciò che sarebbe normalmente atteso. Le disabilità possono avere carattere transitorio o permanente ed essere reversibili o irreversibili, progressive o regressive. Le disabilità possono insorgere come conseguenza diretta di una me­nomazione o come reazione del soggetto special­mente dal punto di vista psicologico ad una me­nomazione fisica sensoriale e di altra natura. La disabilità rappresenta la oggettivazione della menomazione e come tale riflette disturbi a livel­lo di personalità.

La disabilità si riferisce a capacità funzionali estrinsecate attraverso atti e comportamenti che per generale consenso costituiscono aspetti es­senziali della vita di ogni giorno. Ne costituisco­no esempio i disturbi nella adozione di compor­tamenti appropriati, nella cura della propria per­sona come il controllo della funzione escretoria e la capacità di lavarsi e alimentarsi, nella esecu­zione di altre attività della vita quotidiana e nel­la funzione locomotoria.

È da ritenere quindi che la trafila concettuale veda all'origine una malattia o disturbo che si estrinseca in una menomazione che riduce una funzione: quale effetto di questa riduzione funzio­nale il soggetto ha una riduzione della normale capacità di compiere determinate attività.

La declaratoria di invalidità civile quindi do­vrebbe giungere ad una valutazione della disabi­lità in funzione di attività lavorativa generica o specifica o intermedia o in funzione di ordinarie occupazioni riferite all'età.

Per vero l'orientamento è verso una valutazione della menomazione ex se, non già come base cli­nico-funzionale della riduzione della capacità di compiere determinati atti più o meno importanti ed essenziali rispetto ad attività compiesse con finalità diverse (usualmente lavoro e quindi fina­lità lucrative).

E in tema di minorazione della sfera psichica si può accertare una partizione tra insufficienza mentale e malattia mentale così come precisato da Coob e Mittler.

Sul piano che a noi interessa questa differen­ziazione appare essenziale, posto che insufficien­za mentale e malattia mentale, in quanto minora­zioni, e prescindendo dalla qualificazione della loro causa, si riflettono diversamente sulla disa­bilità, sulla capacità del soggetto cioè di compie­re attività complesse e finalizzate quali appunto le attività lavorative.

E mentre stando ai citati Coob e Mittler I'insuf­ficienza mentale è una condizione deficitaria ca­ratterizzata da un funzionamento intellettuale notevolmente inferiore alla media con evidente riduzione della capacità di adattamento alle ri­chieste culturali della società, per lo più presen­te nella prima età, spesso connotato da danneg­giamento organico e strutturale dell'encefalo, sovente di rilievo anatomo-patologico, per lo più stabilizzato, ancorché migliorabile attraverso in­terventi educativi e riabilitativi, la malattia men­tale si caratterizza per una varietà di disturbi del comportamento emotivo e cognitivo e sociale, con difetto del rapporto interpersonale, per lo più a carattere evolutivo e processuale, sovente senza substrati anatomo-patologici dimostrabili: in questo ambito di malattia mentale si includo­no le condizioni psicotiche, le condizioni a genesi organica per lo più di natura degenerativa, i pro­cessi psiconeurotici, i disordini del comporta­mento e della personalità.

Conviene sottolineare della malattia mentale oltre ci-se la sua caratterizzazione evolutiva, an­che e soprattutto la induzione di turbe comporta­mentali che minano il rapporto del soggetto con l'ambiente e difficultano quindi i rapporti inter­personali.

Ritornando alle difficoltà di collocamento obbli­gatorio di minorati psichici, ricordo che in ordine alla differente definizione di invalido civile di cui alle leggi 482 e 118 e alla conseguente esclusione dall'iscrizione alle liste speciali di collocamento dei minorati psichici, la Corte costituzionale adita in merito con sentenza 52 del 1985 ha dichiara­to inammissibile la questione della illegittimità costituzionale dell’art. 5 legge 482 del 1968 in re­lazione agli artt. 1, 3, 4, 35 e 38 della Costituzione rilevando peraltro:

- che compete al legislatore formulare una normazione esaustiva delle varie e articolate esigenze che si prospettano in materia di di­ritto al lavoro sulla base di opportuni rileva­menti e apprezzamenti tecnici;

- che è assai difficile se non controproducente tentare di risolvere queste esigenze solo con lo strumento interpretativo delle attuali leggi. Basterebbe questa ultima indicazione associa­ta alla autorità da cui promana per far desistere da ulteriori tentativi di interpretazione; ma poi­ché il legislatore non ha ancora raccolto l’altra indicazione, appare opportuno:

- esaminare la situazione in vista di una ema­nanda normativa innovativa:

- cammin facendo esaminare quanto nel com­plesso gioco procedurale vada valorizzato ai fini di una applicazione della vigente normati­va per aderire alla realtà sociale e al progres­so tecnico.

Giunti a questo punto, definito cosa sia meno­mazione delle funzioni psicologiche distinta dal­la menomazione della sfera fisico-organica, sem­brerebbe ragionevole affermare non sussistere altra via interpretativa che consenta l'iscrizione dei disabili da menomazioni della sfera psicolo­gica negli speciali elenchi di cui all'art. 5 della legge 482, se non attraverso una espressa modi­fica normativa.

Infatti non appare percorribile la individuazio­ne o meglio la classificazione delle menomazioni della sfera psicologica in base alla natura dell’a­gente etiologico: la minorazione secondo l’Orga­nizzazione mondiale della sanità è di per sé neu­trale, un difetto che colpisce una funzione della persona e a questo difetto si può giungere attra­verso diverse vie etiopatogenetiche di non facile classificazione, non tutte sempre dimostrabili quali legate a fattori organici o fisico-chimici.

È ben vero che molti difetti o menomazioni psi­cologiche interessanti l'intelligenza e la memoria traggono le loro origini da un danneggiamento organico dimostrabile strumentalmente dell'en­cefalo; ma in altri casi tale atteggiamento può esser solo ipotizzato nella assoluta normalità o non anormalità degli aspetti organici neurologici sia clinici, sia strumentali, sia attuali che anam­nesici.

Ritengo peraltro che sia molto più importante stabilire se una minorazione psichica sostenuta da un substrato organico investa solo la capacità intellettiva, la cioè una insufficienza mentale e abbia carattere di stabilizzazione clinica, suscet­tibile o meno di miglioramento attraverso idonei interventi, senza compromissione dei rapporti interpersonali, di grado tale da condizionare l'en­tità della disabilità.

In altri termini l’insufficiente mentale, a diffe­renza del malato mentale, pur presentando una minorazione compendiata nella riduzione della capacità intellettiva, può possedere un grado di capacità lavorativa tale da assicurare una resa produttiva sicuramente inferiore al normale, ma continua e certa, non già aleatoria, in condizioni di sicurezza propria, dei compagni di lavoro e de­gli impianti. Tanto è suffragato da diverse espe­rienze sia in ambito pubblico che privato.

Il legislatore, definendo collocabili i soli inva­lidi per le minorazioni fisiche, ha ritenuto che gli invalidi civili per minorazioni psichiche potesse­ro di per sé e in ogni caso essere di pregiudizio alla salute e incolumità dei compagni di lavoro e alla sicurezza degli impianti a prescindere dalla cosiddetta aleatorietà della resa produttiva.

Il che appare su un piano meramente oggettivo del tutto eccessivo, quanto più che lo stesso le­gislatore ha previsto la salvaguardia del giudizio della Commissione sanitaria provinciale, ma so­prattutto appare discriminante, posto che ciò che è unificante è il grado di residua capacità lavora­tiva e non già la tipologia della minorazione.

Occorre infatti superare le artificiose distin­zioni tra invalido psichico e invalido fisico facen­do venire in luce il concetto di idoneità lavora­tiva,

A definire il quale come capacità del soggetto ad espletare urna determinata attività lavorativa senza rischio, usura e danno proprio e senza pre­giudizio per la salute e incolumità dei compagni di lavoro e per la sicurezza degli impianti con continuità e produttività predeterminata e con­trollata, occorrono valutazioni che indipendente­mente da chi le assuma, sono peraltro individua­lizzate, cioè sempre e comunque riferite ad un determinato soggetto.

E per questa valutazione sono elementi essen­ziali di conoscenza:

- il quadro clinico in tutte le sue articolazioni sia per la definizione delle menomazioni in termini quali-quantitative e sia per la estrin­secazione delle conseguenti disabilità, preci­sando quali siano le attività o meglio gli atti compromessi per la sussistenza delle mino­razioni;

- il quadro delle possibili attività occupazionali non solo quali offerte dal mercato del lavoro, ma anche in relazione alle attitudini e al com­plesso delle acquisizioni teorico-pratiche pro­fessionalizzanti proprio del soggetto. Poiché la dichiarazione prevista dall'art. 19 del­la legge 482 é attualmente resa sconoscendo il quadro delle possibilità occupazionali, ne conse­gue la sua inutilità e irrilevanza ai fini del collo­camento mirato che possa quindi coinvolgere tut­ti i disagi indipendentemente dalla natura della minorazione.

Ci si è chiesti se, in attesa che il legislatore provveda a normare con più aderenza alle situa­zioni oggettive questa materia, non sia possibile fin d'ora esperire qualche modificazione dell'at­tuale procedura che vede i disabili da menoma­zione psichica iscritti in elenchi speciali per il collocamento solo presso strutture pubbliche (aspetto questo assistenzialistico di dubbio gusto).

Quanto diremo, oltre che sulla base di espe­rienza diretta, è attuabile in quanto al momento e nell'ambito della realtà assistenziale locale l'im­pegno politico, professionale ed economico ver­so le situazioni di handicap psichico è tale da far ritenere che le minorazioni ad espressione psi­chica con coinvolgimento della sfera intellettiva, attraverso gli interventi rieducativi e riabilitativi e diagnostici integrati, conducano a disabilità di non grave momento e non siano impeditive di in­serimenti lavorativi, certamente non rischiosi e certamente produttivi.

In altri termini si ha l'impressione che lo iatus tra minorazione psichica e disabilità tenda ad al­largarsi per effetto degli interventi di rieducazio­ne e riabilitazione. Ciò è fatto più vero nei casi di insufficienza mentale medio-lieve, non associa­ta ad altre minorazioni organiche e neurologiche, senza turbe comportamentali evidenti.

Poiché questa realtà sussiste - ripeto - in attesa di provvedimenti legislativi che ci auguria­mo tempestivi ma soprattutto gestibili sul piano pratico, riteniamo:

- che le minorazioni psichiche dipendenti da di­mostrata organica cerebropatia con compro­missione della sfera intellettiva a carattere non evolutivo e non implicando turbe compor­tamentali o difetti nei rapporti interpersonali siano da considerare quali induttive di una in­validità di natura fisica: in altri termini siffat­te minorazioni dovrebbero classificarsi ex causa e non già ex espressione;

- che tuttavia sia assolutamente importante stabilire in ogni caso il grado di capacità lavo­rativa residua utilizzabile senza rischio, usura e danno proprio, dei compagni di lavoro e de­gli impianti, con una resa produttiva continua, sicura, ancorché ridotta: in questo contesto appare chiaro che gioca molto la caratterizza­zione della minorazione nelle sue espressioni cliniche attuali e prognostiche;

- che sul piano procedurale sia subordinata la iscrizione negli elenchi ex art. 19/482 di que­sti invalidi ad una dichiarazione da assumere o dalle Commissioni invalidi civili di prima istanza o dai Servizi di medicina legale delle UU.SS.LL. da cui risulti, previ esami clinici e strumentali, previa istruttoria tecnica pluridi­sciplinare tesa ad acquisire dati sul bagaglio professionale del soggetto, la idoneità a svol­gere specificate attività in determinati con­testi operativi, in quanto non pregiudizievole al soggetto, ai compagni di lavoro e agli im­pianti e sicuramente produttivi.

Questo giudizio di idoneità, previo alla iscrizio­ne negli elenchi, consentirebbe un avvio al lavoro abbastanza celere allargando l'area occupaziona­le.

È da ritenere che disabilità nel comportamento con difetti evidenti nei rapporti interpersonali, soprattutto dovuti o a psicosi o a gravi nevrosi o a insufficienze mentali aggravate da coesistenti psicosi limiterebbero moltissimo fino ad annul­larlo il campo delle attività lavorative.

Nella complessa materia ci sembra peraltro di poter affermare senza mezzi termini che la valu­tazione di invalidità, idoneità, di natura e grado delle minorazioni non possono essere affidate a persone non qualificate: né tanto meno è possi­bile innescare meccanismi automatici di valuta­zione sulla base di schemi stereotipi.

Per contro ogni caso ha una sua storia che va vagliata in termini clinici, in termini sociali, e quindi con procedure e modalità collegiali e plu­ridisciplinari.

Come considerazione finale esprimo tutta la mia amara perplessità nel constatare come la discriminazione tra invalidi psichici e invalidi fi­sici sia stata consacrata in una norma legislativa, quando per contro al di là di ogni considerazione umana, sociale e politica, sul piano strettamente tecnico ai fini del collocamento obbligatorio ba­stava e basta chiarire il concetto di idoneità lavo­rativa produttiva senza rischio, usura e danno proprio e agli altri, indipendentemente dalla ca­ratterizzazione della minorazione.

Credo che l'art. 5 della legge 482 costituisca un bell'esempio di innesco di inutile e dannosa querelle sociale di cui i soccombenti sono pro­prio i più deboli.

 

 

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