Specchio nero
VADEMECUM
PER I MEDICI: COME RISPEDIRE A CASA L'ANZIANO AMMALATO
I lettori conoscono quanto da anni andiamo sostenendo
circa il diritto alle cure sanitarie complete e gratuite per i malati cronici
non autosufficienti e in merito alle palesi violazioni delle leggi vigenti da
parte del sistema sanitario nazionale.
Ricorderanno, anche, quanto a più riprese è stato
scritto circa il luogo comune (smentito da ricerche autorevoli), circa
l'abbandono degli anziani in ospedale da parte dei familiari. A scanso di equivoci, è bene ribadire che noi non neghiamo che
esistano casi del genere; ma l'esperienza e i dati ci dicono che essi non sono
poi così numerosi come si vorrebbe far credere. Conosciamo, invece, il
rovescio della medaglia: le migliaia e migliaia di coniugi, figli, parenti stretti
e non, che sono costretti - senza alcun aiuto concreto
da parte del servizio sanitario nazionale - ad occuparsi 24 ore su 24 dei loro
congiunti anziani malati cronici non autosufficienti che, spesso, gli ospedali
hanno dimesso quando avevano ancora bisogno di cure sanitarie non praticabili a
domicilio o in ambulatorio.
A riprova della nostra tesi, si legga la lettera
inviata (in data 17 luglio 1984, con protocollo n.
122) dal presidente dell'Unità sanitaria locale di Roma 9, Renato Masini e dal dirigente del servizio di assistenza sanitaria
dell'Usl stessa, professor S. Biancone, alla
direzione sanitaria del San Giovanni e dell'Addolorata:
«Con l'approvazione
del Comitato di Gestione si dispone quanto segue:
« Ogni volta
che si riscontrino difficoltà nel far rientrare presso
i familiari un paziente posto in dimissione, il Servizio Sociale curerà quanto
segue:
1) - In prima
istanza, curerà che sia inviato ai familiari, a firma
del Direttore Sanitario, un invito telegrafico a prendersi in casa il paziente;
2) - Ove
tale invito telegrafico non abbia esito alcuno, il giorno successivo sarà
inviata ai familiari e per conoscenza al Sindaco, al presidente dell'USL di
residenza ed al suo Medico di base una lettera raccomandata in cui sarà
indicata la data e l'ora in cui il paziente sarà accompagnato a casa in ambulanza
insieme a un assistente sociale e ad un infermiere;
3) - Nel
caso in cui tale tentativo fallisse, se ne darà comunicazione
scritta al Direttore Sanitario, che interesserà a sua volta il Coordinatore
Amministrativo per i necessari atti legali nei confronti dei familiari.
«Con l'occasione
si prega voler ricordare ai Signori Primari che la denuncia di lungodegenza esclude di per sé fa possibilità di seguire la
prassi di cui sopra».
La nota dell'Usl
di Roma 9 si commenta da sé. A scopo di documentazione, riportiamo comunque
la lettera inviata il 20 agosto 1986 al presidente ed
al Dirigente del Servizio Sanitario dal Comitato per la difesa dei diritti
degli assistiti di Torino:
«Solo in
questi giorni, questo Comitato ha avuto copia della
sorprendente Vostra comunicazione del 17 luglio 1984, prot.
122/S.A.S. Comunicazione sorprendente, in quanto assunta in spregio non solo
dei diritti dei cittadini malati, ma anche del più elementare rispetto della persona umana.
«Questo
Comitato gradirebbe moltissimo conoscere quali sono gli articoli di legge che
obbligano i familiari (quali?) ad accogliere a casa loro un paziente “posto in
dimissione” (punto 1 della Vostra comunicazione), le cui condizioni
di salute sono però tali da richiedere che sia “accompagnato a casa in
ambulanza insieme a un assistente sociale e ad un infermiere” (punto 2).
«Infine
saremmo curiosi di sapere quali atti legali sono stati intentati ai familiari
che non hanno accolto un parente «posto in dimissione» nelle condizioni sopra
descritte.
«Da parte
nostra riteniamo che, in base alle leggi vigenti, gli anziani e gli adulti
cronici non autosufficienti abbiano diritto alle cure sanitarie, comprese
quelle ospedaliere (...).
«Alleghiamo
inoltre copia del libretto “Che cosa fare per evitare le dimissioni selvagge
degli anziani”».
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