DIRITTI DEGLI ANZIANI CRONICI NON
AUTOSUFFICIENTI E RUOLO DEL VOLONTARIATO
GIOVANNI NERVO (*)
Ringrazio la Regione Toscana di avermi invitato a
questo convegno e di aver dato uno spazio di primo piano al volontariato.
Dopo il convegno nazionale di Salerno del maggio
scorso nel quale ho riferito sullo stesso tema, non sono intervenuti molti
fatti nuovi né sul fronte degli anziani non autosufficienti, né su quello del
volontariato.
Riproporrò perciò gli stessi contenuti aggiornandoli con
qualche elemento nuovo emerso in questi mesi.
Nella lettera di invita
l'assessore Benigni faceva riferimento alla proposta di Piano sanitario
nazionale per il prossimo triennio che contiene anche un progetto per la «tutela
della popolazione anziana».
- Mi propongo di compiere una breve analisi su quanto
il Piano sanitario nazionale dice sul volontariato;
- di dare qualche indicazione sulle prestazioni che si possono richiedere al volontariato per
gli anziani non autosufficienti partendo dall'esperienza;
- mi propongo poi di porre alcune domande come
anziano;
- di proporre alcune precisazioni sul concetto stesso
di volontariato;
- di fare un cenno sul volontariato
degli anziani autosufficienti come prevenzione della non autosufficienza.
1. - Nella proposta di Piano sanitario nazionale
1986-87 si parla del volontariato in generale nella parte III sulle «Implicazioni di ordine
organizzativo» al punto e): «Integrare nelle attività sanitarie le attività di volontariato».
Vi
si dicono sostanzialmente cinque cose:
a) si dà una definizione
delle associazioni di volontariato che andrebbe discussa e in alcuni punti
chiarita: «Sono espressioni organizzate di solidarietà sociale e di
partecipazione, capaci di azioni autonome per
l'individuazione e il soddisfacimento di bisogni sanitari non tutelati o non
sufficientemente soddisfatti, operanti senza fine di lucro, le quali concorrono
al conseguimento dei fini istituzionali del Servizio sanitario nazionale,
perciò possono essere integrate funzionalmente nelle attività dei servizi pubblici,
con compiti di sostegno o di collaborazione anche sostitutiva».
È da notare che vengono
prese in considerazione le associazioni di volontariato e non singoli
cittadini volontari, come invece si trova in una delle proposte di legge quadro
sul volontariato e in alcune leggi regionali.
b) Si pongono alcuni requisiti generali:
- la volontarietà e gratuità dell'intervento;
- il possesso di sufficienti competenze tecnico-professionali nella propria area di intervento;
- l'autonomia organizzativa dell'associazione.
c) Si estende la collaborazione con le associazioni
di volontariato alla promozione dell'associazionismo
volontario e all'educazione dei cittadini alla donazione del sangue e degli
organi.
d) Si prevede la collaborazione con le associazioni
di volontariato nel campo della formazione e della qualificazione dei
volontari, per la quale i1 servizio pubblico può contribuire direttamente con
proprie iniziative o indirettamente stimolando e sostenendo con contributi
finanziari le autonome iniziative delle associazioni.
e) Si prevedono alcune misure regolamentari, pur nel
rispetto sostanziale dell'autonomia associativa. Cioè
si prevede l'istituzione, a cura delle Regioni, di apposito registro da cui
risulti:
- l'organizzazione statutaria delle associazioni;
- il numero dei volontari operanti e il relativo
campo di azione;
- la natura, l'entità e l'effettività delle prestazioni
fornite;
- la consistenza patrimoniale (!);
- le procedure contabili amministrative (evidentemente
gli estensori del Piano hanno in mente le grosse associazioni, le Pubbliche
Assistenze e le Misericordie piuttosto che le piccole associazioni di servizio
diffuse sul territorio nazionale e che sono quelle che maggiormente si interessano in modo specifico degli anziani).
Il Piano prevede che entro 180 giorni dalla sua
entrata in vigore siano fornite «linee di guida sui rapporti convenzionali da
instaurare con le associazioni di volontariato e le modalità di
controllo sull'attività e sui bilanci dei servizi di volontariato
convenzionati».
2. - Il programma n. 11 «Tutelare la salute degli
anziani» colloca il volontariato in rapporto al terzo obiettivo: «La promozione dell'integrazione funzionale dei servizi
socio-assistenziali incidenti sullo stato di salute degli anziani u e pone tra
gli interventi idonei quello di «stimolare l'apporto del volontariato
nell'azione socio-assistenziale dell'anziano».
È una espressione
standardizzata che si trova tale e quale anche nei programmi n. 13 sugli
handicappati e n. 14 sui tossicodipendenti. È significativo che si faccia menzione esplicita del volontariato quasi
esclusivamente in questi tre programmi, oltre ad un cenno nel programma n. 3
sulle emergenze sanitarie in riferimento alla donazione di sangue, al
programma n. 6 sulla prevenzione delle malattie neoplastiche e al programma
15 su «Sanità amica». Forse è dovuto ad una concezione
quasi esclusivamente assistenziale del volontariato.
3. - Se il Piano sanitario nazionale pone tra gli
interventi idonei quello di «stimolare l'apporto del volontariato nell'azione
socio-assistenziale dell'anziano» significa che fra le sei
tipologie di strutture indicate dal piano (assistenza ospedaliera per
acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione, assistenza sanitaria e
sociale, assistenza sociale, alloggi protetti, alloggi personali con
assistenza domiciliare), a stretto rigore quella in cui prevede l'intervento
del volontariato è la terza, «le residenze di assistenza sanitaria e
sociale».
Nelle prime due infatti,
nella logica del piano, non c'è spazio per un intervento socio-assistenziale
perché sono strutture squisitamente sanitarie.
Le altre tre non sono di competenza del Piano
sanitario, ma degli Enti locali.
4. - Che cosa può fare praticamente
il volontariato?
Io personalmente non ho una esperienza
diretta di volontariato con gli anziani.
Perciò ho posto a miei amici volontari che lavorano con
gli anziani tre domande: che cosa fanno i volontari, di quale formazione hanno
bisogno, che cosa non devono fare i volontari.
a) Alla prima domanda mi hanno risposto elencando
tutta una lunga tipologia di interventi che si
differenziano a seconda che si tratti di anziani autosufficienti o no, che si
tratti di assistenza a domicilio o in istituto, che si tratti di volontari
singoli o gruppi di volontariato.
Comunque, si va dall'animazione, al tener compagnia,
all'imboccare, al trasporto, alle piccole commissioni, alle piccole opere di
mantenimento della casa (1).
Un animatore di volontari che vive
la sua vita in mezzo agli anziani e che ha una lunga esperienza e di lavoro
professionale come infermiere e di volontariato, mi faceva alcune osservazioni
che mi sembrano interessanti.
La struttura, mi diceva, non è in grado di dare un
servizio completo perché arriva con tanti interventi particolari, affidati a
professionisti diversi: ciascuno di essi prende un
pezzo dell'anziano. Ma nessuno assume l'anziano,
nella sua globalità.
Ciò rende meno efficaci i servizi perché non riescono
a dare all'anziano la sicurezza in se stesso, a renderlo gestore di se stesso,
a dargli fa voglia di vivere.
Le cure stesse servono molto meno perché gli anziani
non reagiscono. Inoltre i servizi professionali hanno tempi fissi che non
sempre coincidono con quelli fisici e fisiologici dell'anziano; i servizi
della struttura riempiono certi tempi: e tutto il resto? L'inerzia dei tempi
morti riduce l'efficacia della cura.
D'altra parte la struttura, a suo parere, non potrà
mai adattarsi in modo flessibile ai tempi di ciascun anziano, né riempire in
modo attivo tutto il loro tempo perché sarebbe troppo costosa. E mi portava l'esempio del tempo necessario per insegnare
all'anziano semiparalizzato a parlare o a scrivere con la sinistra.
Secondo questo «testimone» il volontariato ha il ruolo di ricomporre l'unità della persona e di integrare gli
interventi della struttura sia tenendo conto dei tempi personali, fisici
e psicologici dell'anziano, sia riempiendo i tempi morti. Lui è convinto che
questo si può fare se c'è un gruppo che collabora con la struttura, più che un
singolo volontario. L'anziano così, coinvolto dall'amicizia e dall'amore,
reagisce con più impegno, si lascia coinvolgere nella gestione della sua vita
e del suo tempo, riprende la voglia di mangiare da
solo, rivive.
I volontari mi hanno anche prospettato l'esigenza e
la possibilità di coinvolgere maggiormente la famiglia.
b) Alla seconda domanda sulla formazione tutti erano
concordi sulla necessità di una formazione
psicologica per capire l'anziano e sapersi rapportare con lui in modo corretto
e costruttivo.
c) Alla terza domanda: che cosa non devono fare i
volontari? Tutti erano d'accordo sulla necessità di non mettersi in
concorrenza o in conflitto con la struttura e di non
pensare di fare programmi e interventi autonomi. Se l'anziano è seguito da un
servizio, questo, se opera professionalmente, ha un piano di
intervento: i volontari devono sapersi inserire in questo piano per
dargli un supporto.
Su questo punto però è emerso un problema: e se la
struttura opera male, non rispetta l'anziano, o viola diritti fondamentali
dell'anziano?
Mi portavano l'esempio di anziani
che vengono lasciati a compiere i bisogni naturali a letto perché il personale
fa meno fatica a cambiare la biancheria, che a farli alzare, anche se, aiutati,
potrebbero farlo; di anziani che vengono lasciati agonizzare per giorni in
mezza a tutti gli altri; di anziani che vengono maltrattati moralmente e
fisicamente.
Che cosa fanno i volontari che vedono tutto questo?
Se parlano, vengono messi
alla porta, perché non hanno nessun potere. Se
tacciono diventano conniventi e fanno da copertura a comportamenti disumani.
C'è chi ritiene che nella maggior parte dei casi il
volontariato dentro le istituzioni finisce col diventare esso stesso strumento di emarginazione, se queste sono, emarginanti.
Molte volte Santanera mi ha
detto: «Io non ho mai sentito che dei volontari abbiano denunciato violazione
dei diritti umani fondamentali dei minori, degli anziani, degli handicappati».
Io non sono completamente di questo parere, ma devo dire
che mi ha sorpreso la scarsa reazione che hanno avuto nell'assemblea e nelle
commissioni del convegno di Lucca dello scorso maggio, le forti stimolazioni
che il prof. Palmonari ed io avevamo posto nelle due
relazioni fondamentali sul tema del convegno «Promozione e formazione del volontariato
per cambiare la società e le istituzioni».
Nello scambio che ho avuto con i miei amici la
formula che era apparsa più idonea era quella di
cominciare a trattare delle situazioni concrete e documentate degli anziani che
vivono nelle istituzioni e a casa, in pubbliche assemblee corresponsabilizzando
tutta la comunità e le forze politiche, religiose, culturali, sindacali. E le
associazioni di volontariato questa possono farlo in
collaborazione con le associazioni impegnate in azioni contro
l'emarginazione.
5. - Ora però vi presento alcuni interrogativi che mi
sono posto io, come volontario che si occupa dei problemi della società e fra
questi dei problemi degli anziani.
a) Primo interrogativo: è certamente un criterio
giusto, oltre che economico, quello che ispira il Piano sanitario nazionale di
tenere la gente in ospedale tutto il tempo necessario per curarla bene, ma non di più. Però nel caso degli anziani quali
garanzie hanno essi di veder realizzato pienamente il diritto alla salute,
affermato e garantito dalla Costituzione per tutte le fasi della vita, nelle
«residenze di assistenza sanitaria e sociale (che)
dovranno essere caratterizzate ambientalmente in
modo tale da consentire l'assistenza alla patologia prevalente soprattutto nell'età senile, ed in particolare ai casi definiti "psicogeriatrici", nonché alle condizioni terminali di
malattia»?
Al di là delle belle parole non c'è il pericolo che dietro a questa
soluzione organizzativa, scelta per motivi di risparmio, che rischia di discriminare
i cittadini nel diritto alla salute, ci sia una concezione della vita e della
società secondo la quale l'uomo vale se produce e fino a che produce? Non
perché è uomo, ma perché produce?
È vero che al n. 34 della III parte si dice: «Non va mai dimenticato... che il fine del
Servizio sanitario nazionale è la tutela della salute dei cittadini e che le
esigenze di compatibilità economica sono un limite da rispettare non una finalità, un limite necessario ma dal quale deve scaturire
un impegno ancora più serrato a utilizzare le risorse disponibili per elevare
la qualità dell'assistenza sanitaria ai cittadini».
Ma a tutti i cittadini, anche agli anziani?
Non c'è il pericolo che le residenze di assistenza sanitaria e sociale assumano in modo ancor
più evidente di molti cronicari attuali il carattere di anticamera della morte,
almeno fino a quando, in fondo applicando la medesima logica, non si arriverà
ad abbreviare i tempi dì attesa con interventi più decisivi?
b) Secondo interrogativo: quali garanzie ci sono che
gli anziani non autosufficienti nelle residenze sanitarie e sociali, invece di
mantenere con la riabilitazione una almeno parziale autonomia, peggiorino
rapidamente, se questo avviene già oggi negli ospedali?
c) Terzo interrogativo: è praticabile senza danno
per l'anziano questa netta distinzione fra interventi
sanitari e sociali? Il prof. Fabris in un suo scritto
afferma che «in età senile... sempre più
indistinti si fanno i confini tra "stato" sanitario e sociale, le
loro interconnessioni essendo la regola e la verità, i tentativi di scissione
netta l'arbitrario ed anche l'irrazionale». Perciò
auspica che «l'integrazione prevista dei
servizi sociosanitari per l'anziano consenta il superamento di una
controversia sostanzialmente artificiosa».
Ma le scelte del Piano sanitario nazionale che
rispecchiano e traducono in atto il decreto del Presidente del Consiglio
dell'8.8.85, vanno in direzione della integrazione,
oppure della «scissione arbitraria e irrazionale»?
d) Quarto interrogativo: le spese per il mantenimento alberghiero a carico dei pazienti malati cronici
nelle residenze di assistenza sanitaria e sociale non costituiscono un'altra
forma di discriminazione dei cittadini più deboli?
c) Quinto interrogativo: le residenze di assistenza sociale per anziani autosufficienti non incrementano
la istituzionalizzazione degli anziani al posto dell'assistenza domiciliare che
potrebbe favorire in molti casi la loro permanenza nella propria famiglia, o
nella propria abitazione o comunque nel proprio contesto sociale, con costi
umani ed economici inferiori?
Comprendo che potrebbe essere rivolto a me un altro
interrogativo: tutto questo che cosa c'entra con il volontariato?
Io credo che il volontariato non è chiamato soltanto
a dare una collaborazione «alle attività dei servizi pubblici, con compiti di
sostegno o anche di sostituzione» come è detto nel
Piano sanitario nazionale; credo abbia anche una funzione culturale e
politica. Anzi credo che questa sia la sua funzione più importante, insieme
alla funzione anticipatrice e profetica. Perciò è
proprio in nome del volontariato che pongo questi interrogativi.
Dicevo all'inizio che la definizione di volontariato
proposta dal Piano sanitario nazionale dovrebbe essere discussa e precisata su
alcuni punti: l'ampiezza e l'articolata e differenziata
configurazione del volontariato; bisognerà distinguere nell'ambito del privato
sociale ciò che è e ciò che non è volontariato; i compiti e le responsabilità
che si intende affidare o riconoscere al volontariato, con i conseguenti riflessi
anche economici; bisognerà pure precisare il tipo di rapporto che si instaura
fra le varie forme del privato sociale con la pubblica amministrazione.
Se non si è chiari sul piano concettuale e organizzativo
su questi punti si creano confusioni che finiscono col far degradare ancor di
più i servizi e con il compromettere sempre di più ì diritti dei cittadini,
in particolare nel nostro caso degli anziani.
6. - Ne pongo anche un altro, pure in senso critico.
Il tema: «l'anziano e il volontariato» può essere
letto anche nel senso dell'anziano protagonista di volontariato, cioè del volontariato dell'anziano.
È un tema che ritengo molto importante e che mi
sembra non sia stato finora affrontato adeguatamente.
Alcune esperienze di enti
pubblici che hanno ingaggiato degli anziani con uno stipendio simbolico per
alcuni servizi molto semplici: fare attraversare la strada ai bambini vicino
alle scuole, pulire i parchi, ecc., sono espressioni di buona volontà, ma non
mi sembra che affrontino il problema nella sostanza.
A una persona che non ha mai pensato di fare il
volontario, non si può rispettosamente proporre i1 volontariato soltanto
perché è anziano.
È un modo un po' goffo di camuffare
l'incapacità della famiglia e della società di riconoscere ancora un ruolo reale alla persona anziana.
Però è vero che gli anziani autosufficienti possono
costituire una miniera di risorse, di energie, di
esperienza, di competenza che attualmente la nostra società stupidamente
butta.
Man mano che si svilupperà il volontariato nei
giovani, negli adulti, nelle famiglie aperte, si maturerà anche una cultura di
solidarietà che sfocerà naturalmente in scelte autentiche di volontariato.
Dicevo giorni fa ad un convegno sull'A.V.S.: perché una persona che ha
completato i suoi impegni non può scegliere di dare un anno della sua vita in
servizio gratuito agli altri così come fanno le giovani a vent'anni.
Però occorrono alcune condizioni:
- che gli anziani possano disporre
di pensioni adeguate che li rendano autosufficienti;
- che possano scegliere fra
un lavoro part-time pagato e un impegno volontario;
- che trovino nelle associazioni di volontariato e
nelle istituzioni pubbliche e private programmi adeguati
in cui inserirsi e impiegare in modo realmente proficuo la loro competenza e il
loro tempo.
Uno può dire: «Ma che cosa c'entra il volontariato degli anziani» con il tema
del convegno «Come affrontare la
non autosufficienza dell'anziano»?
Mi sembra possa collocarsi benissimo nel secondo
obiettivo del progetto del Piano sanitario nazionale «Tutela della salute degli
anziani»: «Il
potenziamento delle attività di prevenzione delle malattie geriatriche
e delle loro complicanze».
Mi dispiace di aver posto più interrogativi che indicazioni operative: spero che queste possano emergere
anche dal contributo dei partecipanti.
(*) Relazione tenuta al convegno
«Anziani e qualità della vita: come affrontare la non autosufficienza», svoltosi
a Firenze il 17-18 dicembre 1986, organizzato dalla Giunta della Regione
Toscana. Monsignor Giovanni Nervo è responsabile dell'Ufficio
«Rapporti Chiesa-Territorio» della Conferenza Episcopale Italiana.
(1) La presenza del volontariato è
particolarmente significativa nell'assistenza domiciliare e dovrebbe essere
prioritaria.
www.fondazionepromozionesociale.it