Notiziario del Centro italiano per
l'adozione internazionale
LE
ATTESE DEI PAESI DI ORIGINE DEI MINORI ADOTTATI
Nell'ormai lontano aprile 1984 si svolgeva a Nuova Delhi la conferenza mondiale sui
diritti del minore alla famiglia, e più di recente nel marzo 1986 a Lima un
seminario internazionale era organizzato sull'abbandono dei minori nei paesi
del Terzo Mondo.
All'incontro annuale delle associazioni europee per
l'adozione internazionale tenutosi a Liegi nel maggio 1986, Peter
Eisenblatter - rappresentante per la
Germania di Terres des Hommes - ha illustrato con una articolata esposizione i
temi più significativi emersi in quelle importanti riunioni, con una relazione
intitolata: «Le attese dei paesi di origine dei minori
adottati».
Per ragioni di spazio non ci è
possibile riprodurre il testo di quel diffuso intervento, ma riteniamo non
privo di interesse il porre l'accento - con rapida sintesi - su alcuni dei
punti più stimolanti trattati dal relatore, e soprattutto su quelli che
potrebbero contribuire ad un approfondimento delle vaste tematiche connesse
alla ragion d'essere dell'adozione internazionale ed ai modi di operare in
questo settore.
Dopo aver premesso la constatazione che in questi
ultimi anni le richieste di adozione internazionale da
parte dei paesi occidentali sono andate facendosi sempre più massicce, e che in
maniera sempre più evidente si è andata manifestando - nella ricerca e nelle
segnalazioni dei bambini adottabili - una sorta dì competizione ben poco
esemplare tra le organizzazioni istituzionalmente competenti e piccoli gruppi
di iniziativa privata, ci si chiede se il ricorso all'adozione
internazionale, anziché essere inteso e praticato come uno dei rimedi per i
casi di conclamato abbandono dei minori stranieri, non stia forse trasformandosi
- nella pratica quotidiana dei paesi occidentali - in una ricerca del bambino
fine a se stessa, senza che vi si accompagni alcuna tensione volta a prendere
cognizione dei valori da salvaguardare e dei diritti da rispettare nei paesi
di origine, e senza tener conto del9e aspettative
nutrite da tali paesi nei confronti di chi si occupa di reperire i bambini da
collocare presso le famiglie straniere.
A conferma di questa interpretazione,
si sottolinea tra l'altro il fatto che sovente i bambini vengono avviati
all'adozione interrazziale ancor prima che ne sia stato accertato in termini di
assoluta certezza l'abbandono definitivo, e senza che siano stati attivati
strumenti idonei per stabilire se i genitori d'origine siano stati davvero posti
in grado di esprimere una libera scelta in merito alla decisione di rinunciare
alle proprie creature, e per far luce sulla storia personale di ciascun minore.
Un'altra carenza che viene
fortemente posta in rilievo è la scarsa attenzione che viene dedicata alle
ragioni ed ai modi di manifestazione dell'abbandono, nonostante che non poche
organizzazioni (proprio in virtù dei contatti che devono essere instaurati e
mantenuti sul posto per ricevere le segnalazioni ed avviare le pratiche) siano
spesso veicoli essenziali per conoscere ed approfondire le singole situazioni
contingenti, e potrebbero - ad esempio - rivestire un ruolo non secondario
nel collaborare con le istituzioni locali per studiare e promuovere linee di
intervento efficaci, così come ben poca attenzione viene rivolta allo studio
delle possibilità che i bambini siano reintegrati nel tessuto famigliare o
siano proposti per l'adozione nazionale.
Alla stregua di tali riflessioni, l'Autore conclude
chiedendosi (e la domanda suona come un richiamo alle responsabilità di molti)
se non sia il caso dì fermarsi seriamente a riflettere come l'adozione
internazionale, ove sia dettata da meri entusiasmi epidermici o da facili
proselitismi invece di essere amministrata sulla scorta di rigorose diagnosi
conoscitive, rischi in questo preciso momento storico di risolversi, paradossalmente,
in molte zone dei paesi sottosviluppati, in un insidioso incentivo
all'abbandono.
www.fondazionepromozionesociale.it