PROGETTARE SENZA BARRIERE PER
EUGENIA MONZEGLIO (1)
Nei giorni 5 e 6 marzo 1987 si è svolto il seminario «Progettare senza barriere
per la nuova domanda abitativa», organizzato dal Consorzio regionale fra gli
Istituti autonomi case popolari del Piemonte e dalla Regione Piemonte.
Il seminario, indirizzato soprattutto ma non
esclusivamente ai tecnici degli IACP e, più in generale, a coloro ai quali sono
affidati responsabilità di progettazione nel settore dell'edilizia residenziale
pubblica, è stato articolato in due giornate di lavoro. Gli argomenti della
prima erano rivolti ad identificare il quadro esigenziale
ed i requisiti del sistema edilizio residenziale soprattutto
in relazione alle necessità delle persone disabili; la seconda giornata ha
avuto carattere più squisitamente seminariale, con
illustrazione, confronto e dibattito dì esperienze, realizzate o anche solo
ipotizzate sul terreno della progettazione di spazi residenziali accessibili e
fruibili da parte di tutti.
L'obiettivo centrale del seminario è consistito nel
proporre un generale ripensamento ed una ricalibratura
delle pratiche progettuali in vigore, nell'ottica
dell'applicazione della normativa introdotta con la legge regionale n. 54 del
3.9.1984 «Disposizioni per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli
edifici di edilizia residenziale pubblica da
realizzarsi da parte degli Istituti Autonomi per le Case Popolari e dei
Comuni» (2) o più specificatamente del suo Regolamento di attuazione, promulgato
con D.P.G.R. n. 3792 del 29.5.1985 (3).
Si sa che la legge, esemplare nella sua semplicità,
ha fatto sperare in possibili, e di certo rilevanti, rinnovamenti delle
soluzioni progettuali in uso, mentre il regolamento
di esecuzione ne ha ridotto notevolmente la portata innovativa, prevedendo tra
l'altro solo per una quota di alloggi l'abolizione totale delle barriere
interne.
Le problematiche poste dalla legge n. 54 sono quindi
di notevole interesse, specie se rapportate alla prassi progettuale e costruttiva
comunemente in uso che, spesso, di fronte a consistenti elementi di novità o di mutamento procede mediante aggiustamenti
marginali di schemi o di tipologie edilizie ritenuti immutabili nella sostanza.
É evidente che l'introduzione di criteri di accessibilità all'organismo abitativo, alle sue parti
comuni, all'alloggio e di agibilità interna dell'alloggio, può forse
sollevare, in termini economici, alcuni problemi di compatibilità, specie se si
tratta di intervenire con correzioni su tipologie edilizie già progettate.
Sembra piuttosto che il rapporto costo-qualità
(inteso come maggior qualità a costi non crescenti) sia possibile:
- migliorando e/o potenziando la qualità del
progetto;
- controllando gli sprechi di
spazio nell'organizzazione e distribuzione dell'alloggio, introducendo il
concetto di «quantità misurata» (spazio
minimo ma totalmente agibile e fruibile);
- prevedendo, già in sede progettuale ed esecutiva,
di realizzare l'accessibilità e fruibilità degli spazi costruiti, evitando
successivi (e più onerosi) interventi di correzione e di
adattamento.
Questa, ora elencata, sembra una via da tentare:
essa necessita tuttavia di studi e di sperimentazioni
che ne approfondiscano i diversi aspetti, relativi, ad esempio, all'organizzazione
degli ambienti interni dell'alloggio, alla scelta della tipologia edilizia
dell'organismo abitativo che minimizzi la frequenza dei collegamenti verticali
migliorando nel contempo le condizioni ambientali, la vita di relazione dentro
e fuori dell'alloggio.
A questo proposito è necessario avanzare una
precisazione: solleva perplessità il fatto che l'ambito di
applicazione della legge sia riservata solo all'edilizia residenziale
pubblica. Forse alle realizzazioni di tale edilizia è
attribuito un carattere di sperimentazione, che tuttavia, come per tutte le
attività a livello sperimentale, dovrebbe essere riconosciuto e compensato a
pieno titolo e quindi anche con una diversa contabilità economica.
La significatività del seminario consiste, a mio avviso,
in due elementi: uno relativo all'approccio
metodologico, con cui si è trattata la tematica in oggetto (l'eliminazione
delle barriere architettoniche nell'edilizia residenziale pubblica), l'altro
nella modalità di organizzazione.
Per quanto riguarda il primo aspetto, si è cercato
in definitiva di affrontare il problema della progettazione residenziale senza
barriere nella prospettiva di un rinnovamento della
metodologia di progettazione, superando quindi la pratica del ritocco, della
modifica, dell'aggiustamento a posteriori delle soluzioni progettuali già
preconfezionate e concepite in presenza di un quadro normativo diverso da
quello proposto dalla legge regionale n. 54 e con riferimento ad esigenze
abitative che non sono più quelle di oggi.
All'interno di tale rinnovamento, il superamento
delle barriere architettoniche deve essere affrontato
come uno degli elementi condizionanti in prima persona la qualità della
residenza o, meglio, la qualità urbana e di vita nel suo complesso e
considerando l'aspetto della qualità dell'edilizia residenziale alla luce delle
tendenze, palesi e latenti, che emergono nella domanda abitativa, all'interno
delle quali un posto determinante spetta alle esigenze dei disabili, degli
anziani, della popolazione più debole.
L'altro aspetto di rilievo del seminario è stata la
sua struttura organizzativa, finalizzata alla ricostruzione analitica ed alla
verifica sperimentale della successione delle fasi di
un corretto processo progettuale (relazioni di M. Viano
e G. Garzena), al cui interno è stato dato un grosso
peso all'identificazione del quadro esigenziale (F. Santanera, G. Tarditi, E. Monzeglio e M.T. Ponzio) e dei
conseguenti requisiti ambientali, tecnologici e normativi del sistema edilizio
residenziale (G. Ponzo, M. Foti, P. Quarantelli).
Infatti importanza precipua (e in questo consiste il taglio
«diverso» dì questo seminario, organizzato - è bene sottolineare - per tecnici
dell'edilizia residenziale pubblica) è stata accordata alla definizione delle
problematiche di carattere sociale ed assistenziale (si veda la relazione di F. Santanera), le quali, a fianco
degli aspetti «medici» della menomazione-disabilìtà-handicap
e dei nuovi aspetti emergenti nella domanda abitativa, costituiscono il quadro esigenziale di riferimento.
I cambiamenti quantitativi e qualitativi della utenza, dovuti a fattori demografici, sociali, culturali,
economici (ad esempio: tendenza a maggior parità nei rapporti uomo-donna,
legge sul divorzio, riforma diritto di famiglia, deistituzionalizzazione
a tutti i livelli, primi tentativi di ospedalizzazione a domicilio,
concentramento/riduzione orario di lavoro, cassa-integrazione, disoccupazione,
ecc.) si traducono nella presenza di nuove utenze, nuove perché in passato non
considerate o perché inesistenti. Appaiono quindi, a fianco della
famiglia nucleare molto ridotta come numero di componenti, le famiglie
improprie composte da un solo membro (di cui oltre la metà è costituita da
anziani) e una serie di profili di utenza non riconducibili alla convivenza
familiare tradizionale (nucleo familiare con parente coabitante, coabitazioni
di vario tipo, temporanee o permanenti, per gruppi di utenza omogenea e non,
ecc.). L'evoluzione-modificazione dell'utenza si traduce quindi in cambiamenti sul
modo d'uso dell'alloggio e sull'organizzazione delle funzioni residenziali
nell'alloggio, sui tagli di alloggio e sulla loro
aggregazione nell'organismo abitativo.
Sotto il profilo tipologico può essere necessaria la
presenza di diversi tagli di alloggi, che vanno da
quello di dimensione contenuta a quello dì taglio «potenziato» (ad es. per
esigenza di terapia medica a domicilio, per presenza di personale
infermieristico e di assistenza, ecc.), all'abbinamento di alloggi piccoli e medio-grandi sullo stesso piano dell'edificio per
permettere la vicinanza-indipendenza dell'anziano o del disabile alla sua
famiglia, ad alloggi di taglio grande per abitazioni di tipo comunitario
(comunità alloggio, comunità alloggio protetta, ecc.).
Tale varietà tipologica può consentire al disabile o all'anziano di vivere da solo (garantendogli
piena fruibilità e sicurezza nell'alloggio e fuori di esso), in famiglia
(offrendogli spazi di autonomia personale) e in piccole comunità (assicurandogli
buoni livelli di privacy e di compatibilità con gli altri utenti).
La realizzazione di tali alloggi deve avvenire in
un'ottica che supera il criterio della destinazione di residenze «speciali», nella prospettiva dell'accessibilità generalizzata
all'alloggio ed all'organismo abitativo e della personalizzazione dell'alloggio
in relazione alle esigenze ed alla disabilità
specifica dell'utente.
Il seminario si è concluso
ipotizzando alcune prospettive di lavoro a breve termine e che si possono
riassumere in:
- necessità di ridefinizione
dei minimi dimensionali (in particolare dei disimpegni, passaggi, porte,
accessi, servizi igienici, ecc.) e della definizione dei limiti di facile
presa, da applicare nell'edilizia residenziale, specie a
partire dal recupero dell'esistente; ciò pare possibile anche in
riferimento a ricerche e sperimentazioni condotte dalla Regione Lazio e dalla
Facoltà di Architettura di Roma;
- esigenza dì precisare una normativa tecnica per
l'edilizia residenziale (a partire da quella pubblica,
ma estendibile ad altri interventi edilizi) di tipo prestazionale;
- promozione di un concorso
(non a premi) per la progettazione di un'edilizia residenziale totalmente
accessibile, con controllo e valutazione del rapporto costi-qualità.
(1) Ricercatore del Dipartimento
Casa-Città del Politecnico di Torino.
(2) Il testo è stato riportato sul n.
69, gennaio-marzo 1985, di Prospettive
assistenziali.
(3) Cfr.
«Barriere architettoniche: la Regione Piemonte ha fatto marcia indietro» in Prospettive assistenziali
n. 72, ottobre- dicembre 1985, in cui è anche riprodotto il testo del
regolamento.
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