Prospettive assistenziali, n. 78, aprile-giugno 1987

 

 

Editoriale

 

VOLONTARIATO DI AIUTO ALLE FAMIGLIE

 

 

Nell'editoriale del n. 74, aprile-giugno 1986, abbiamo affrontato nuovamente (1) il tema del volontariato, giungendo alle seguenti conclusio­ni: «Per evitare gli errori che colpiscono quasi sempre gli assistiti, già duramente provati dalla emarginazione sociale spesso perdurante da an­ni, è indispensabile che ciascun gruppo di volon­tariato, prima di iniziare l'attività, predisponga un progetto di intervento e lo confronti con gli altri movimenti di base e con operatori del set­tore (...). La predisposizione di un piano di inter­vento è anche un elemento importante per veri­ficare l'efficacia del lavoro svolto, per corregge­re gli obiettivi, per adeguare le metodologie, per affinare la preparazione, per migliorare l'infor­mazione da acquisire e quella da trasmettere».

E aggiungevamo: «A nostro avviso un proget­to di intervento, per essere idoneo, deve asso­lutamente comprendere iniziative contro le cause che provocano emarginazione e disadattamento».

A questo punto si pone un problema di fondo: una attività di volontariato gestionale (2) in un ente pubblico o privato è conciliabile con ini­ziative di promozione sociale e, in particolare, con attività di lotta alle cause dell'emargina­zione?

L'esperienza dimostra, a nostro avviso, che la conciliabilità delle due azioni è estremamente difficile, se non impossibile, soprattutto nei casi in cui la promozione sociale e la prevenzione non vengono portate avanti a livello di semplice enun­ciazione, ma con azioni concrete.

Infatti, hanno scarsissimi effetti pratici le di­chiarazioni circa l'esistenza di ingiustizie sociali anche gravi, a volte di tutta evidenza: basti pen­sare alle numerosissime situazioni di vera e propria miseria economica causata da pensioni da fame e da disoccupazione.

Per ottenere risultati concreti occorre, inve­ce, denunciare chiaramente all'opinione pubblica le forze politiche ed economiche responsabili delle situazioni di violazione dei diritti fondamen­tali delle persone.

Parimenti sono quasi sempre prive di sbocchi operativi le semplici lamentele sulle dimissioni selvagge degli anziani cronici dagli ospedali, sull'istituzionalizzazione di bambini e di adulti han­dicappati in istituti situati anche molto lontani dalla residenza dei familiari, sull'assenza o ca­renza di adeguati servizi scolastici, abitativi, so­ciali in genere.

Le iniziative di prevenzione del bisogno assi­stenziale incominciano a dare frutti concreti solo quando questa o quella forza politica o l'asses­sore tal dei tali si rendono conto che le loro re­sponsabilità in merito al fatto ingiusto incontrano l'opposizione di una parte consistente della po­polazione.

Per arrivare a questo risultato è, però, indi­spensabile che i cittadini siano stati informati non solo delle carenze dei servizi, ma anche delle cause specifiche di tali carenze.

Ma mettere il dito sulla piaga solleva le ire di quegli amministratori che sono coinvolti. E qua­si sempre (come dimostra ancora l'esperienza) la loro reazione è diretta a colpire il gruppo che ha messo in causa il loro operato.

Gli strumenti possono andare dalla diffamazio­ne («è un gruppo di irresponsabili o di incompe­tenti») al taglio delle risorse economiche («non vi verrà data una lira»); dalla eliminazione degli aiuti («abbiamo bisogno dei locali che vi abbia­mo messo a disposizione»), al tentativo di pro­vocare rotture all'interno del gruppo (è abba­stanza facile per certi amministratori trovare «chi si vende», magari per un posto di lavoro).

Altri strumenti possono essere: invocare ine­sistenti divieti di legge, affermare che mancano mezzi economici (3), rinviare ogni decisione alla insufficienza numerica o qualitativa del persona­le, temporeggiare con qualsiasi pretesto. D'altra parte è ingenuo ritenere che le attività promozionali possano svolgersi senza incontrare le reazioni dei gruppi e delle persone che bene­ficiano di privilegi a danno dei più deboli e che, proprio per conservare detti privilegi, appoggia­no questo o quel partito, questo o quell'uomo politico.

 

Volontariato di sostegno all'emarginazione?

Di fronte alle numerosissime situazioni di vio­lazione di diritti fondamentali della persona (espulsione dal settore sanitario di cittadini ma­lati; cure colpevolmente sbagliate o non fornite; mancata segnalazione all'autorità giudiziaria di minori in situazione di abbandono; violenze infer­te ad anziani, handicappati e bambini, ecc.) oc­corre registrare che sono molto rari, purtroppo, gli esposti penali e le denunce pubbliche pre­sentati da gruppi di volontariato gestionale. Ep­pure, dati alla mano, questi gruppi sono oggi in Italia alcune migliaia.

A nostro avviso, ciò finisce con il rappresen­tare una vera e propria pusillaminità o una con­nivenza di fatto; ed è molto grave che ciò av­venga da parte di movimenti i quali spesso ven­gono considerati un modello dì autentica assi­stenza.

Finora la stragrande maggioranza dei gruppi di volontariato gestionale ha operato all'interno di strutture pubbliche o private, in particolare pres­so istituti di assistenza e ospedali.

Inoltre, ci preoccupa il fatto che vi siano grup­pi di volontariato i quali non si pongono (in modo corretto), alcun interrogativo sulle cause e sulle responsabilità dell'emarginazione. Tenuto conto di tali carenze d'analisi politica e sociale, essi possono diventare, quindi, «strumenti» di am­ministratori ed operatori favorevoli all'emargina­zione dei più deboli. L'emarginazione (è eviden­te) viene facilitata quando è attuata in modo da non sollevare proteste e quando le spese soste­nute sono basse (4).

Quante sono le iniziative del volontariato ge­stionale che hanno solo lo scopo di rendere più sopportabile le situazioni di emarginazione (ad esempio il ricovero in istituto di minori, di an­ziani e di handicappati) e di ridurre le spese?

 

Volontariato di aiuto alle famiglie

Tenuto conto che le esigenze dei cittadini più indifesi (ad esempio gli handicappati intellettivi con gravi limitazioni della loro autonomia perso­nale e gli anziani cronici non autosufficienti) sono così numerose che vi è solo l'imbarazzo della scelta, è difficile comprendere i motivi in base ai quali i gruppi di volontariato sono presenti so­prattutto nelle strutture pubbliche e private di ricovero assistenziale o sanitaria e quasi mai nelle famiglie che accolgono persone con nume­rosi e pesanti problemi. Si tratta solo di ritardi operativi, vi sono solo carenze culturali, o vi è una accettazione di fondo (anche in buona fede) del «disegno» di emarginare i più deboli in «apposite» strutture?

Non siamo in grado di dare una risposta. Sia­mo però estremamente preoccupati per il fatto che rarissime sono le esperienze di aiuto dei gruppi di volontariato alle famiglie che accol­gono persone non autosufficienti (5).

La nostra preoccupazione si accresce, consi­derando che anche nei più recenti convegni sul volontariato non vi è stato nemmeno un cenno sia al volontariato di aiuto alle famiglie, sia a quello che persegue finalità di cambiamento sociale (6).

La nostra preoccupazione è condivisa anche da Mons. Nervo, presidente della Fondazione Zancan e coordinatore della Commissione episcopale italiana per i rapporti Chiesa e territorio, il quale, nella nota «Il ruolo del volontariato per il supe­ramento dell'emarginazione» riportata nel libro «Storia di Nicola - Le conquiste di un bambino handicappato grave nel racconto della madre adottiva», Rosenberg & Sellier, Torino, 1987, af­ferma quanto segue: «Nel convegno di Lucca del­la scorsa primavera veniva posto un tema che vent'anni fa avrebbe fatto scattare l'assemblea: la promozione e la formazione del volontariato per il cambiamento delle istituzioni e della sa­nità. In realtà il tema del cambiamento che era l'angolatura specifica del convegno, non è stato colto quasi per nulla nel lavoro delle Commis­sioni, ed è stato soffocato, senza reazioni, da molti interventi riservati in assemblea ai rappre­sentanti degli enti locali.

Il volontariato che opera nei servizi sociali e sanitari di solito interviene nelle fasce di emar­ginazione.

Per questo volontariato che cosa dovrebbe si­gnificare "cambiamento", se non superamento della emarginazione? Ma il volontariato che ope­ra nelle istituzioni - case di riposo, ospedali, istituti, carceri - combatte veramente l'emargi­nazione per superarla, oppure diventa strumento, sia pure inconsapevole, di emarginazione, e co­munque connivente con le istituzioni che emar­ginano?

La mancata risposta alla provocazione di Lucca fa sorgere il dubbio che questa sia la situazione del volontariato che opera nelle istituzioni.

E non c'è il pericolo che gli stessi servizi in­novativi si sclerotizzino e diventino emarginanti? Il vero cambiamento non troverebbe una tradu­zione concreta se il volontariato facesse la scel­ta di operare a sostegno delle famiglie che si fanno carico di bambini abbandonati, di handicap­pati, di anziani non autosufficienti?».

 

 

 

(1) Cfr. gli articoli «Inserimento di volontari nei ser­vizi dell'Unità locale» in Prospettive assistenziali, n. 32, ottobre-dicembre 1975; «Diritti dei cittadini: ruolo dei ser­vizi pubblici e privati e del volontariato», Ibidem, n. 63, luglio-settembre 1983; M. TORTELLO e F. SANTANERA, «II ruolo del volontariato nel campo delle alternative al rico­vero in istituto», Ibidem, n. 64, ottobre-dicembre 1983.

(2) Il volontariato gestionale dovrebbe operare nei ser­vizi a titolo assolutamente gratuito, salvo il rimborso delle spese vive sostenute dai volontari purché previamen­te concordate. Fra le spese vive non devono essere com­prese quelle sostenute per il personale. Non rientrano quindi, a nostro avviso, nel volontariato le cooperative, comprese quelle cosiddette di solidarietà sociale (la so­lidarietà sociale non è un'attività pagata!), in quanto rice­vono compensi economici per le funzioni svolte.

Fra coloro che sostengono di remunerare il volontariato e le cooperative di solidarietà sociale, citiamo S. Lepri, «Il volontariato come "imprenditore innovatore": alcune considerazioni economiche», in Animazione sociale, n. 71-­72, settembre-dicembre 1986.

(3) A questo riguardo riportiamo la lettera inviata in data 8 luglio 1986 dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base ai Presidenti ed ai Capì gruppo DC, PCI, PSI dei Comitati dì gestione delle Unità socio-­sanitare locali del Piemonte: «Questo coordinamento ri­tiene scandaloso il fatto che le USSL sotto elencate non abbiano speso nel 1984 tutti i finanziamenti ad esse assegnati in materia assistenziale. Come è noto le esigenze non soddisfatte della fascia più debole della popolazione (bambini, handicappati, anziani) sono così numerose e gra­vi da determinare, spesso, una lesione profonda dei diritti fondamentali. Ma quando gli amministratori non spendono i quattrini disponibili, significa che o c'è incompetenza o disinteresse verso i più deboli. Come risulta dalla propo­sta di delibera della Giunta regionale n. 178 del 22 mag­gio 1986 gli avanzi di bilancio del 1984 sono stati i se­guenti: USSL 24 Collegno 483 milioni, USSL 28 Settimo 170 milioni, USSL 29 Gassino 53 milioni, USSL 32 Moncalie­ri 138 milioni, USSL 34 Orbassano 371 milioni, USSL 36 Susa 292 milioni, USSL 37 Lanzo 235 milioni, USSL 39 Chivasso 204 milioni, USSL 41 Caluso 179 milioni, USSL 44 Pinero­l0 63 milioni, USSL 45 Vercelli 1 miliardo e 82 milioni, USSL 46 Santhià 21 milioni, USSL 47 Biella 183 milioni, USSL 50 Gattinara 25 milioni, USSL 51 Novara 70 milioni, USSL Galliate 28 milioni, USSL 53 Arona 107 milioni, USSL 54 Borgomanero 170 milioni, USSL 55 Verbania 247 milio­ni, USSL 57 Omegna 335 milioni, USSL 58 Cuneo 37 milioni, USSL 60 Borgo San Dalmazzo 43 milioni, USSL 63 Saluzzo 580 milioni, USSL 64 Bra 317 milioni, USSL 65 Alba 72 mi­lioni, USSL 67 Ceva 16 milioni, USSL 69 Nizza Monferrato 39 milioni, USSL 70 Alessandria 696 milioni, USSL 74 Ovada 146 milioni, USSL 75 Acqui Terme 350 milioni, USSL 76 Casale Monferrato 35 milioni».

(4) A sostegno dell'espulsione degli anziani cronici non autosufficienti dal settore ospedaliero, gli emarginatori ci­tano le spese del ricovero assistenziale inferiori a quella della degenza ospedaliera, senza fornire alcun elemento in merito alla differente qualità dei servizi.

(5) Pensiamo allo sviluppo che potrebbe avere l'ospeda­lizzazione a domicilio di anziani malati cronici non autosuf­ficienti se i parenti che vi provvedono (spesso anche ultra­ottantenni) fossero aiutati (oltre che dal personale sanita­rio) da volontari nell'espletamento di compiti di assistenza generica. Per quella medico-specialistica, infermieristica e riabilitativa deve intervenire, a nostro avviso, personale di­pendente dalle USL o convenzionate con le USL stesse. Pensiamo alla efficacia di attività di volontariato per l'ac­compagnamento di anziani, di insufficienti mentali e di han­dicappati fisici non deambulanti che vivono in famiglia, ma per i quali l'alloggio non deve diventare una prigione per­manente. Le due attività proposte, oltre ad essere di aiuto ai più deboli sono anche un sostegno materiale e morale per i familiari. Si tratta inoltre di attività che non sottrag­gono posti di lavoro al settore pubblico e a quello privato.

(6) Ci riferiamo in particolare al convegno del Movimen­to di volontariato italiano (M.O.V.I.) di Mascalucia (CT) del 23-27 luglio 1985 sul tema «Ruolo del volontariato nel Mezzogiorno» (di cui sono già stati pubblicati gli atti), al Convegno sul volontariato tenutosi a Taranto il 4-5-6 aprile 1986 con relazione introduttiva dell'On. Franco Foschi (Cfr. DPS - Politica sociale - Notiziario n. 24, 1986) e soprattutto al 4° Convegno nazionale sul volontariato svoltosi a Lucca nei giorni 9-10-11 maggio 1986. Nessun riferimento al volon­tariato di aiuto alle famiglie abbiamo riscontrato nei nume­rosissimi articoli pubblicati sulle riviste specializzate.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it