Editoriale
VOLONTARIATO DI AIUTO
ALLE FAMIGLIE
Nell'editoriale del n. 74, aprile-giugno 1986,
abbiamo affrontato nuovamente (1) il tema del volontariato, giungendo alle
seguenti conclusioni: «Per evitare gli
errori che colpiscono quasi sempre gli assistiti, già
duramente provati dalla emarginazione sociale spesso perdurante da anni, è
indispensabile che ciascun gruppo di volontariato, prima di iniziare
l'attività, predisponga un progetto di intervento e lo confronti con gli altri
movimenti di base e con operatori del settore (...). La predisposizione di un
piano di intervento è anche un elemento importante
per verificare l'efficacia del lavoro svolto, per correggere gli obiettivi,
per adeguare le metodologie, per affinare la preparazione, per migliorare
l'informazione da acquisire e quella da trasmettere».
E aggiungevamo: «A
nostro avviso un progetto di intervento, per essere
idoneo, deve assolutamente comprendere iniziative contro le cause che
provocano emarginazione e disadattamento».
A questo punto si pone un problema di
fondo: una attività di volontariato gestionale (2) in un ente pubblico o
privato è conciliabile con iniziative di promozione sociale e, in particolare,
con attività di lotta alle cause dell'emarginazione?
L'esperienza dimostra, a nostro avviso, che la
conciliabilità delle due azioni è estremamente
difficile, se non impossibile, soprattutto nei casi in cui la promozione
sociale e la prevenzione non vengono portate avanti a livello di semplice enunciazione,
ma con azioni concrete.
Infatti, hanno scarsissimi effetti pratici le dichiarazioni
circa l'esistenza di ingiustizie sociali anche gravi,
a volte di tutta evidenza: basti pensare alle numerosissime situazioni di vera
e propria miseria economica causata da pensioni da fame e da disoccupazione.
Per ottenere risultati concreti occorre,
invece, denunciare chiaramente all'opinione pubblica le forze politiche
ed economiche responsabili delle situazioni di violazione dei diritti fondamentali
delle persone.
Parimenti sono quasi sempre
prive di sbocchi operativi le semplici lamentele sulle dimissioni selvagge
degli anziani cronici dagli ospedali, sull'istituzionalizzazione di bambini e
di adulti handicappati in istituti situati anche molto lontani dalla residenza
dei familiari, sull'assenza o carenza di adeguati servizi scolastici,
abitativi, sociali in genere.
Le iniziative di prevenzione del bisogno assistenziale
incominciano a dare frutti concreti solo quando questa o quella forza politica
o l'assessore tal dei tali si rendono conto che le loro responsabilità
in merito al fatto ingiusto incontrano l'opposizione di una parte consistente
della popolazione.
Per arrivare a questo risultato è, però, indispensabile
che i cittadini siano stati informati non solo delle carenze
dei servizi, ma anche delle cause specifiche di tali carenze.
Ma mettere il dito sulla piaga solleva le ire di quegli
amministratori che sono coinvolti. E quasi sempre
(come dimostra ancora l'esperienza) la loro reazione è diretta a colpire il
gruppo che ha messo in causa il loro operato.
Gli strumenti possono andare dalla diffamazione («è un gruppo di
irresponsabili o di incompetenti») al taglio delle risorse economiche («non vi verrà data una lira»); dalla
eliminazione degli aiuti («abbiamo
bisogno dei locali che vi abbiamo messo a disposizione»), al tentativo di
provocare rotture all'interno del gruppo (è abbastanza facile per certi
amministratori trovare «chi si vende», magari per un posto di lavoro).
Altri strumenti possono essere: invocare inesistenti
divieti di legge, affermare che mancano mezzi economici (3), rinviare ogni
decisione alla insufficienza numerica o qualitativa
del personale, temporeggiare con qualsiasi pretesto. D'altra parte è ingenuo
ritenere che le attività promozionali possano svolgersi senza incontrare le
reazioni dei gruppi e delle persone che beneficiano di privilegi a danno dei
più deboli e che, proprio per conservare detti privilegi, appoggiano questo o quel partito, questo o quell'uomo
politico.
Volontariato di sostegno all'emarginazione?
Di fronte alle numerosissime situazioni di violazione
di diritti fondamentali della persona (espulsione dal settore sanitario di
cittadini malati; cure colpevolmente sbagliate o non fornite; mancata
segnalazione all'autorità giudiziaria di minori in situazione di abbandono; violenze inferte ad anziani, handicappati e
bambini, ecc.) occorre registrare che sono molto rari, purtroppo, gli esposti
penali e le denunce pubbliche presentati da gruppi di volontariato gestionale.
Eppure, dati alla mano, questi gruppi sono oggi in Italia alcune migliaia.
A nostro avviso, ciò finisce con il rappresentare
una vera e propria pusillaminità o una connivenza di
fatto; ed è molto grave che ciò avvenga da parte di movimenti i quali spesso
vengono considerati un modello dì autentica assistenza.
Finora la stragrande maggioranza dei gruppi di
volontariato gestionale ha operato all'interno di
strutture pubbliche o private, in particolare presso istituti di assistenza e
ospedali.
Inoltre, ci preoccupa il fatto che
vi siano gruppi di volontariato i quali non si pongono (in modo corretto),
alcun interrogativo sulle cause e sulle responsabilità dell'emarginazione.
Tenuto conto di tali carenze d'analisi politica e
sociale, essi possono diventare, quindi, «strumenti» di amministratori ed
operatori favorevoli all'emarginazione dei più deboli. L'emarginazione (è
evidente) viene facilitata quando è attuata in modo
da non sollevare proteste e quando le spese sostenute sono basse (4).
Quante sono le iniziative del volontariato gestionale
che hanno solo lo scopo di rendere più sopportabile le situazioni di emarginazione (ad esempio il ricovero in istituto di
minori, di anziani e di handicappati) e di ridurre le spese?
Volontariato di aiuto
alle famiglie
Tenuto conto che le esigenze dei cittadini più indifesi
(ad esempio gli handicappati intellettivi con gravi limitazioni della loro
autonomia personale e gli anziani cronici non autosufficienti) sono così
numerose che vi è solo l'imbarazzo della scelta, è difficile comprendere i
motivi in base ai quali i gruppi di volontariato sono presenti soprattutto
nelle strutture pubbliche e private di ricovero assistenziale
o sanitaria e quasi mai nelle famiglie che accolgono persone con numerosi e
pesanti problemi. Si tratta solo di ritardi operativi, vi sono solo carenze culturali, o vi è una accettazione di fondo (anche
in buona fede) del «disegno» di emarginare i più deboli in «apposite»
strutture?
Non siamo in grado di dare una risposta. Siamo però estremamente preoccupati per il fatto che rarissime sono le
esperienze di aiuto dei gruppi di volontariato alle famiglie che accolgono
persone non autosufficienti (5).
La nostra preoccupazione si accresce, considerando
che anche nei più recenti convegni sul volontariato non vi è
stato nemmeno un cenno sia al volontariato di aiuto alle famiglie, sia a quello
che persegue finalità di cambiamento sociale (6).
La nostra preoccupazione è condivisa anche da Mons. Nervo, presidente della Fondazione Zancan e coordinatore della Commissione episcopale italiana
per i rapporti Chiesa e territorio, il quale, nella nota «Il ruolo del volontariato per il superamento
dell'emarginazione» riportata nel libro
«Storia di Nicola - Le conquiste di un
bambino handicappato grave nel racconto della madre adottiva», Rosenberg & Sellier, Torino,
1987, afferma quanto segue: «Nel convegno di Lucca della scorsa primavera veniva posto un tema che vent'anni
fa avrebbe fatto scattare l'assemblea: la promozione e la formazione del
volontariato per il cambiamento delle istituzioni e della sanità. In realtà il
tema del cambiamento che era l'angolatura specifica del convegno, non è stato
colto quasi per nulla nel lavoro delle Commissioni, ed è stato soffocato,
senza reazioni, da molti interventi riservati in assemblea ai rappresentanti
degli enti locali.
Il volontariato che opera nei servizi sociali e
sanitari di solito interviene nelle fasce di emarginazione.
Per questo volontariato che cosa dovrebbe significare
"cambiamento", se non superamento della emarginazione?
Ma il volontariato che opera nelle istituzioni - case di riposo, ospedali,
istituti, carceri - combatte veramente l'emarginazione per superarla, oppure
diventa strumento, sia pure inconsapevole, di emarginazione,
e comunque connivente con le istituzioni che emarginano?
La mancata risposta alla provocazione di Lucca fa
sorgere il dubbio che questa sia la situazione del volontariato che opera nelle
istituzioni.
E non c'è il pericolo che gli stessi servizi innovativi
si sclerotizzino e diventino emarginanti? Il vero
cambiamento non troverebbe una traduzione concreta se il volontariato facesse
la scelta di operare a sostegno delle famiglie che si fanno carico di bambini
abbandonati, di handicappati, di anziani non
autosufficienti?».
(1) Cfr. gli articoli «Inserimento di volontari nei servizi
dell'Unità locale» in Prospettive assistenziali, n. 32, ottobre-dicembre 1975; «Diritti
dei cittadini: ruolo dei servizi pubblici e privati e del volontariato», Ibidem, n. 63, luglio-settembre 1983; M.
TORTELLO e F. SANTANERA, «II
ruolo del volontariato nel campo delle alternative al
ricovero in istituto», Ibidem, n.
64, ottobre-dicembre 1983.
(2) Il volontariato gestionale dovrebbe
operare nei servizi a titolo assolutamente gratuito, salvo il rimborso delle
spese vive sostenute dai volontari purché previamente concordate. Fra le spese
vive non devono essere comprese quelle sostenute per
il personale. Non rientrano quindi, a nostro avviso, nel volontariato le
cooperative, comprese quelle cosiddette di solidarietà sociale (la solidarietà
sociale non è un'attività pagata!), in quanto ricevono
compensi economici per le funzioni svolte.
Fra coloro che sostengono di
remunerare il volontariato e le cooperative di solidarietà sociale, citiamo S. Lepri, «Il volontariato come
"imprenditore innovatore": alcune considerazioni economiche», in Animazione sociale, n. 71-72,
settembre-dicembre 1986.
(3) A questo riguardo riportiamo la
lettera inviata in data 8 luglio 1986 dal Coordinamento sanità e assistenza fra
i movimenti di base ai Presidenti ed ai Capì gruppo DC, PCI, PSI dei Comitati
dì gestione delle Unità socio-sanitare locali del
Piemonte: «Questo coordinamento ritiene scandaloso il fatto che le USSL sotto
elencate non abbiano speso nel 1984 tutti i finanziamenti
ad esse assegnati in materia assistenziale. Come è
noto le esigenze non soddisfatte della fascia più debole della popolazione
(bambini, handicappati, anziani) sono così numerose e gravi da determinare,
spesso, una lesione profonda dei diritti fondamentali. Ma
quando gli amministratori non spendono i quattrini disponibili, significa che o
c'è incompetenza o disinteresse verso i più deboli. Come risulta
dalla proposta di delibera della Giunta regionale n. 178 del 22 maggio 1986
gli avanzi di bilancio del 1984 sono stati i seguenti: USSL 24 Collegno 483 milioni, USSL 28 Settimo 170 milioni, USSL 29
Gassino 53 milioni, USSL 32 Moncalieri 138 milioni,
USSL 34 Orbassano 371 milioni, USSL 36 Susa 292 milioni, USSL 37 Lanzo 235 milioni, USSL 39 Chivasso 204 milioni, USSL 41 Caluso
179 milioni, USSL 44 Pinerol0 63 milioni, USSL 45 Vercelli 1 miliardo e 82
milioni, USSL 46 Santhià 21 milioni, USSL 47 Biella
183 milioni, USSL 50 Gattinara 25 milioni, USSL 51 Novara 70 milioni, USSL Galliate 28 milioni, USSL 53 Arona
107 milioni, USSL 54 Borgomanero 170 milioni, USSL 55
Verbania 247 milioni, USSL 57 Omegna
335 milioni, USSL 58 Cuneo 37 milioni, USSL 60 Borgo San Dalmazzo 43 milioni,
USSL 63 Saluzzo 580 milioni, USSL 64 Bra 317 milioni, USSL 65 Alba 72 milioni, USSL 67 Ceva 16 milioni, USSL 69 Nizza Monferrato 39 milioni, USSL
70 Alessandria 696 milioni, USSL 74 Ovada 146
milioni, USSL 75 Acqui Terme 350 milioni, USSL 76
Casale Monferrato 35 milioni».
(4) A sostegno dell'espulsione degli
anziani cronici non autosufficienti dal settore ospedaliero, gli emarginatori citano le spese del ricovero assistenziale
inferiori a quella della degenza ospedaliera, senza fornire alcun elemento in
merito alla differente qualità dei servizi.
(5) Pensiamo allo sviluppo che potrebbe
avere l'ospedalizzazione a domicilio di anziani malati cronici non autosufficienti
se i parenti che vi provvedono (spesso anche ultraottantenni) fossero aiutati
(oltre che dal personale sanitario) da volontari nell'espletamento di compiti di
assistenza generica. Per quella medico-specialistica,
infermieristica e riabilitativa deve intervenire, a nostro avviso,
personale dipendente dalle USL o convenzionate con le USL stesse. Pensiamo alla efficacia di attività di volontariato per l'accompagnamento
di anziani, di insufficienti mentali e di handicappati fisici non deambulanti
che vivono in famiglia, ma per i quali l'alloggio non deve diventare una
prigione permanente. Le due attività proposte, oltre ad essere di aiuto ai più deboli sono anche un sostegno materiale e
morale per i familiari. Si tratta inoltre di attività
che non sottraggono posti di lavoro al settore pubblico e a quello privato.
(6) Ci riferiamo in particolare al
convegno del Movimento di volontariato italiano (M.O.V.I.)
di Mascalucia (CT) del 23-27 luglio 1985 sul tema
«Ruolo del volontariato nel Mezzogiorno» (di cui sono già stati pubblicati gli
atti), al Convegno sul volontariato tenutosi a Taranto il 4-5-6
aprile 1986 con relazione introduttiva dell'On. Franco Foschi (Cfr. DPS - Politica
sociale - Notiziario n. 24, 1986) e soprattutto al 4° Convegno nazionale
sul volontariato svoltosi a Lucca nei giorni 9-10-11
maggio 1986. Nessun riferimento al volontariato di aiuto
alle famiglie abbiamo riscontrato nei numerosissimi articoli pubblicati sulle
riviste specializzate.
www.fondazionepromozionesociale.it