I SERVIZI
SOCIO-ASSISTENZIALI NON SONO «LADRI DI BAMBINI»
Ripetutamente,
sugli organi di stampa, escono articoli che riguardano «bambini contesi» non
più da due famiglie (com'era il caso delle false adozioni o del mercato dei
bambini di qualche anno fa), ma dai genitori d'origine
e dai servizi sociali o dal tribunale per i minorenni.
Solitamente,
i giornalisti raccolgono la voce della madre o del padre d'origine e - a grandi
titoli - rivendicano il loro presunto «diritto» a riavere il figlio, magari
dichiarato in stato di abbandono dai giudici minorili
e già inserito in una famiglia a titolo di affidamento a scopo educativo se
non addirittura di affidamento preadottivo.
Non sono
mancati i casi in cui la stampa ha presentato i servizi sociali ed i tribunali
per i minorenni come veri e propri «ladri di bambini».
Significative ci paiono queste due lettere scritte in risposta ad
alcuni articoli apparsi sulla stampa nazionale nei primi mesi dell'87, rispettivamente
da parte della Associazione nazionale assistenti sociali e del Presidente del
tribunale per i minorenni Piemonte-Valle d'Aosta.
La «lettera aperta» degli assistenti
sociali (1)
Gli organi d'informazione si sono occupati diffusamente,
in queste ultime settimane, di fatti di cronaca riguardanti bambini allontanati
dai genitori, abbandonati o maltrattati. L'immagine che si è configurata è
quella di una lotta fra genitori ed operatori sociali, nemici e rivali, il cui
oggetto del contendere è la titolarità dei diritti sul
bambino, rispetto a come, dove e con chi deve vivere.
In questa guerra fra adulti, il minore, che sembrerebbe
dover essere il protagonista, è invece una figura sfocata sullo sfondo, utile
solo a fornire un'occasione per descrivere la battaglia fra i «grandi», cioè fra quelle stesse persone che dovrebbero rappresentare
una garanzia per la sua crescita.
Solitamente i genitori appaiono come esseri totalmente
sprovveduti che, quasi per una serie di fortuite circostanze a loro ignote,
perdono il «possesso» dei figli, sottratti loro da assistenti sociali insensibili ed incompetenti che quasi nulla fanno per
fornire aiuto e che, anzi, sembrano trarre le maggiori gratificazioni
professionali dal recidere i legami parentali; oppure i genitori sembrano
essere «mostri crudeli» che maltrattano o abbandonano i bambini, poi
dimenticati da operatori sociali negligenti ed indifferenti che non provvedono
a dar loro una famiglia.
Ma la realtà del disagio familiare e quella in cui
operano i Servizi Sociali sono assai più complesse e profonde: interventi
altamente qualificati hanno già dissertato sulla prima e per ciò che riguarda
la seconda non è questa la sede per descrivere le difficili condizioni in cui sono costretti ad operare gli assistenti sociali, le carenze
di organico, i carichi di lavoro elevati, le mansioni improprie ed i delicati e
notevoli livelli di responsabilità, non riconosciuti contrattualmente.
Sembra inoltre opportuno sottolineare
che, se è vero che le difficoltà operative non sempre consentono di occuparsi
adeguatamente di tutti i casi, le situazioni in cui si rende necessaria una
separazione, anche se temporanea, fra bambini e famiglia sono sempre
approfondite e supportate in modo considerevole.
Ma affrontare questi problemi significherebbe
nuovamente parlare del mondo degli adulti e dei loro problemi.
Ci interessa, invece, evidenziare, non per difesa
corporativa ma per le conseguenze negative che si ripercuotono sui minori e le
famiglie, che fornire una immagine distorta dei servizi significa produrre un
vissuto di paura e di diffidenza: il servizio sociale viene visto come «ladro
di bambini» invece che come un momento di aiuto che tale rimane anche quando è
costretto ad operare scelte difficili e traumatiche. A queste scelte si deve
purtroppo pervenire quando il bambino, quel bambino
che non può chiedere aiuto, difendersi, ricorrere in appello, vive in una grave
situazione di rischio, non solo per la sua incolumità, ma per la sua
equilibrata crescita psico-sociale.
Il rischio ed i danni subiti dai minori aumentano con il prolungarsi del disagio e, sembra superfluo
ricordarlo, più i problemi a invecchiano n più scarse sono le possibilità di
risolverli in modo indolore.
Per questo è importante che la famiglia si rivolga
ai servizi nel momento in cui il problema insorge, quando non è ancora logorata
ed ha più risorse per reagire ed utilizzare il sostegno offertole. Per
approdare ai servizi tempestivamente è però
necessario superare la paura che conduce ad identificare l'approccio con
l'assistente sociale come un pericolo, quasi una sorta di «roulette» russa.
Ma la famiglia deve essere aiutata a superare questi
timori ed i mezzi d'informazione possono fare molto a questo proposito, non
solo a favore dei genitori, ma anche con tutti coloro
che gravitano intorno al mondo di questo bambino muto e che possono parlare
per lui: parenti, vicini di casa, insegnanti, medici di base ed ospedalieri,
pediatri, psichiatri che curano i genitori, ecc.
Forse quando dar voce al disagio, alle paure ed ai
bisogni del bambino non significherà più essere delatori e nemici dei genitori,
questi ultimi saranno aiutati a non essere soli e a non nascondere le
difficoltà fino a farle diventare drammatiche, ma potranno affrontarle, con il
supporto dei servizi, per superare il disagio e continuare a vivere con il
loro bambino, come del resto avviene nella maggioranza dei casi.
E se questo non sarà possibile, forse la gente potrà cominciare a comprendere o almeno a considerare
quanta muta sofferenza si nasconde dietro a provvedimenti drastici come
l'adozione, la sofferenza che un bambino deve pur aver patito se magistrati ed
operatori sono pervenuti ad una decisione così dolorosa.
E magari si comincerà, invece di parteggiare per un
adulto o per l'altro, anche a preoccuparsi di come il minore vive queste
esperienze di separazione.
La lettera del Presidente del Tribunale
per í minorenni (2)
Ancora una volta leggo che una madre si è rivolta ai
giornali lamentando che le sono stati «tolti» i figli, ed ha raccontato la sua,
personale, versione dei fatti. Non intendo
minimamente entrare nel merito dei casi; anche perché le procedure sono ancora
in corso e dovrà pronunciarsi la Corte di Appello.
Voglio invece fare alcune riflessioni di carattere
generale. La versione dei fatti che il cittadino fornisce al giornale è,
ovviamente, unilaterale e «di parte». Gli operatori socio-sanitari e i magistrati
non possono replicare perché, altrimenti, rivelerebbero notizie del fascicolo
processuale davvero delicate, talvolta drammatiche, e comunque
destinate solo ai canali istituzionali. È chiaro allora che i responsabili dei
mezzi di comunicazione debbono essere molto
equilibrati e cauti allorché intendano scegliere «se» e «come» rendere
pubbliche quelle lamentele. È molto facile, infatti (specie se vi è reiterazione
delle notizie, enfasi nei titoli, modalità suggestive nel riportare le
dichiarazioni ricevute), far passare un messaggio distorto. Purtroppo, mentre
gli adulti possono parlare ai giornali, non altrettanto possono fare i
bambini.
La gente, che pur s'indigna di fronte ai maltrattamenti
clamorosi, difficilmente conosce e percepisce le gravi sofferenze, nascoste,
dei bambini dovute alla solitudine, ai sottili
maltrattamenti psicologici, alle lunghe permanenze negli istituti, alle
prolungate carenze affettive, alle frequenti, se non continue, dislocazioni.
Molto delicato è poi il problema relativo
alla pubblicazione dei nomi e delle fotografie dei minori. Tutta la
procedura di adozione è protetta da un rigidissimo
segreto. La legge vuole tutelare il diritto alla
riservatezza non solo dei minori e degli eventuali affidatari
a scopo adottivo, ma anche della stessa famiglia di origine del bambino.
Pubblicare nomi e fotografie significa violare questo
diritto. Infatti, nel caso in cui l'adottabilità venisse confermata e resa definitiva, il minore potrebbe
essere rintracciato; egli, inoltre, sarebbe identificabile come «bambino in
stato di abbandono da parte della sua famiglia originaria»; inoltre gli stessi
genitori potrebbero essere identificati all'esterno del processo, come
«genitori il cui figlio è stato dichiarato adottabile». E
tutto questo non è giusto.
Va poi ricordato che, di norma, nel corso della
procedura di adottabilità il
minore non è soggetto alla potestà dei genitori ma ha un tutore; ed è quest'ultimo a doverne tutelare la riservatezza, il nome,
l'immagine. Quindi la disponibilità delle fotografie e
del nome spetta al tutore, e non al genitore.
Come si vede, i problemi sono
molti e di notevole spessore. Mi auguro che gli organi di stampa non indulgano
alla tentazione di assecondare la curiosità e
l'emotività dei lettori. I bambini sono soggetti di diritto a pieno titolo;
non vanno mai strumentalizzati da parte degli adulti:
né dai loro genitori, né da chi vuole adottarli, né da chi vuol «fare notizia»
sulla loro pelle.
(1) Lettera Inviata agli organi di
stampa dall'ASSNAS (Associazione nazionale assistenti sociali) - gruppo interregionale
Piemonte - Valle d'Aosta, in data 6 maggio 1987.
(2) Cfr. «La
Stampa», 16 maggio 1987.
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