INIZIATIVE A LIVELLO NAZIONALE PER
L'ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE
MARIA
TERESA PONZIO
Nel corso degli ultimi anni il panorama legislativo
relativo a provvedimenti di vario ordine per il superamento delle barriere
architettoniche si è arricchito di una quantità di indicazioni,
in minima parte a livello nazionale, per lo più a livello locale. Infatti grazie alla facoltà, prevista dalla nostra
Costituzione, di emanare norme e regolamenti da parte di Regioni, Province e
Comuni, molteplici sono i richiami, le integrazioni o le vere e proprie leggi
proposte, adottate, in corso di verifica o formulazione relativamente al tema
delle barriere architettoniche.
Questo fatto costituisce un elemento positivo poiché testimonia un interesse, una volontà, una
richiesta anche, di intervenire in favore dell'inserimento delle persone
disabili nel normale contesto urbano e abitativo. Tali indicazioni tuttavia risultano
piuttosto frammentarie, varie, assai differenti da Regione a Regione, da
Comune a Comune e spesso addirittura contraddittorie
tra loro o rispetto ad altre normative vigenti; si affastellano e si
moltiplicano in modo quasi casuale, non del tutto controllabile e per lo più
senza una strategia unitaria di fondo, senza obiettivi precisi e completi, pur
all'interno della stessa realtà territoriale. Ciò è dovuto
anche alla ancora molto carente normativa nazionale, che non costituisce certo
un quadro di riferimento esauriente né indica in modo sufficientemente chiaro
le linee da seguire né gli ambiti entro cui gli Enti locali debbano muoversi.
A livello nazionale il riferimento principale è
tuttora costituito dagli artt. 27 e 28 della legge n.
118/1971 e dal relativo D.P.R. 384/78 (1). In particolare la legge 118 definisce
come campo di applicazione «gli edifici pubblici o
aperti al pubblico e le istituzioni scolastiche, prescolastiche o di interesse
sociale... i servizi di trasporto pubblici... i luoghi ove si svolgono
pubbliche manifestazioni o spettacoli...», mentre il D.P.R. 384 definisce
modalità e norme di attuazione della legge 118. Può essere
utile al proposito aprire una parentesi per notare che in realtà il decreto nell'indicare
le strutture cui si riferisce, cita solamente quelle «pubbliche con
particolare riguardo a quelle di carattere collettivo-sociale», escludendo
dunque le strutture private. Ciò tuttavia risulta
arbitrario e non legittimo poiché riduce il campo di efficacia della legge,
mentre un regolamento attuativo non può variare il
contenuto normativo della legge cui si riferisce, ma solo precisare le regole
per l'attuazione della legge stessa. Tale osservazione è confermata dal «parere
in merito alla discordanza tra il D.P.R. di attuazione
dell'art. 27 della legge 30 marzo 1971 n. 118 e l'art. 27 medesimo», espresso nell'ottobre
1979 da parte dell'ufficio legislativo della presidenza della Giunta regionale
del Lazio, in cui si afferma: «... tra i due testi normativi prevale quello
della legge». E ancora: «Si deve pertanto concludere che eventuali disposizioni regionali emanate in
conformità alla legge, anziché al regolamento, non potranno essere inficiate
da vizi di legittimità».
Quanto al contenuto tecnico del D.P.R., invece, va ricordato che esso pur ispirandosi alla
precedente circolare ministeriale n. 4809/68 (2) (citata quale riferimento
preciso nel testo della 118 stessa) ed in certi casi approfondendola, non ne
riprende però tutti gli aspetti, cosa per la quale pare giusto ipotizzare un
non completo superamento della circolare ministeriale stessa, che per alcuni
passi dunque può essere ancora richiamata quale unico riferimento (ad esempio
per quanto riguarda i locali di ufficio aperti al pubblico).
Al D.P.R. 384 rimanda e si ispira
gran parte della successiva normativa nazionale e locale nonostante i suoi
grandi limiti, spesso già citati, di genericità, difficile applicabilità, ecc.,
che derivano per lo più dal tentativo di definire con un'unica normativa tutti
i particolari costruttivi di tutte le possibili tipologie al fine di prevenire
o eliminare tutte le eventuali barriere architettoniche! È ovvio
che una tale impostazione non possa certo dare buoni frutti, poiché il
risultato è ancora quello di una normativa «speciale», che si pone quasi come
correttivo a lato della «normale» prassi progettuale e che inoltre risulta
inevitabilmente formulata in modo assai impreciso, incompleto, o a volte troppo
dettagliato... sempre difficilmente rispondente a una situazione reale.
Sarebbe più opportuno perciò prevedere una legge che
imponesse l'accessibilità di tutte le strutture s definisse
con chiarezza gli obiettivi e il significato di tale accessibilità (3),
lasciando che siano poi le norme tecniche specifiche dei vari settori (casa,
scuola, locali di spettacolo, vari trasporti, ...) ad inserire al proprio
interno precise indicazioni relative alle barriere architettoniche, in modo
che esse risultino mirate e anche coordinate con gli altri requisiti di qualità
(sicurezza, igiene, economicità, ...) richiesti al
prodotto finale. In questa direzione possono già essere considerate
le sia pur minime indicazioni contenute nel decreto ministeriale 18
dicembre 1975 «Norme tecniche aggiornate relative
all'edilizia scolastica...» (4).
Costituiscono invece ancora norme «particolari», pur
se riferite in modo esplicito ad un'unica tipologia
costruttiva:
- le circolari ministeriali relative alla circolazione e sosta dei veicoli degli invalidi (5);
- il decreto ministeriale contenente istruzioni relative alle caratteristiche delle cabine telefoniche
stradali e dei posti telefonici pubblici (6). Possiamo infine citare:
- per quanto riguarda l'edilizia
residenziale pubblica, la circolare ministeriale del 20 gennaio 1967 n. 425 «Standards residenziali» e
la legge del 5 aprile 1985 n. 118 «Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 1985 n. 12 recante misure
finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa...»;
- per gli impianti sportivi, il
decreto-legge 31 gennaio 1987 n. 2 e la legge di conversione 6 marzo 1987 n. 65 «Misure urgenti per la costruzione o
l'ammodernamento di impianti sportivi, per la
realizzazione o completamento di strutture sportive di base e per
l'utilizzazione dei finanziamenti aggiuntivi a favore delle attività di
interesse turistico». Tali norme, inerenti uno
specifico campo di intervento edilizio, comprendono indicazioni circa
l'eliminazione delle barriere architettoniche, ma non prescrivono modalità
tecniche di attuazione, che rimangono quelle del D.P.R. 384.
In particolare per quanto riguarda le due normative citate a proposito di edilizia residenziale pubblica,
occorre sottolineare che quella della circolare 425 costituisce il primo -
forse in assoluto, nel nostro paese - richiamo ufficiale al problema delle
barriere architettoniche. Questa circolare infatti
sollecitava, pur se con indicazioni non vincolanti né tecniche, la
considerazione dell'accessibilità quale importante aspetto a fianco degli
altri requisiti di qualità dell'abitazione, ma sottolineandolo in modo
particolare data la novità che esso costituiva.
Quanto alla legge 118/1985 (7), essa, in riferimento
ai Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti, obbliga Comuni e IACP a
destinare una quota (2%) degli interventi di edilizia
sovvenzionata alla costruzione e ristrutturazione di abitazioni accessibili nel
biennio 1986/87, ma ancora non specifica quali caratteristiche costruttive
debbano avere.
Il recente decreto riguardante gli impianti sportivi
definisce «soggetti, procedure e modalità di
finanziamento per la realizzazione di programmi straordinari di interventi per
l'impiantistica sportiva, finalizzati alla costruzione, all'ampliamento, al
riattamento, alla ristrutturazione, al completamento, al miglioramento, alla
sistemazione delle aree di parcheggio e servizio e all'adeguamento alle norme
di sicurezza degli impianti sportivi, ivi comprese le attrezzature fisse e
l'acquisizione delle aree...». In esso si indica
esplicitamente che «agli impianti di cui al presente decreto si applicano le
disposizioni in materia di barriere architettoniche di cui all'art. 32 della legge
28 febbraio 1986, n. 41» (8). Tale specificazione risulta assai importante
poiché evidenzia la necessità (come vedremo) che anche gli impianti sportivi
siano accessibili ai disabili, sia a livello agonistico, competitivo
(olimpiadi, campionati), ma sia anche in rapporto ad un uso individuale per il
puro esercizio di attività sportiva di qualsiasi
genere. Tuttavia ancora una volta, a livello tecnico, il riferimento ultimo è
costituito dal DPR 384 (con i limiti già citati, ma resi anche più evidenti in
questo caso dal fatto che in esso non si tratta, in
specifico, di impianti sportivi).
Il citato art. 32 della legge 41/1986 (legge finanziaria
'86) infatti richiama l'obbligo di rispettare il DPR
384 nei progetti di costruzione e ristrutturazione di opere pubbliche,
vincolando a ciò anche l'erogazione di contributi o agevolazioni da parte di
Enti pubblici. Esso prevede inoltre l'obbligo, per le amministrazioni
competenti, di adottare piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche
già esistenti negli edifici pubblici (tale obbligo doveva essere assolto entro
il febbraio '87 mentre ci risulta che per lo più non
sia stato rispettato).
Le norme della legge finanziaria possono essere
lette in modi assai diversi: da un lato l'esplicita denuncia di abusi, omissioni di atti di ufficio e inadempienza da
parte di tutti gli organi preposti alla progettazione, approvazione, controllo,
verifica, attuazione,... di progetti che avrebbero dovuto comunque rispettare
il decreto del 1978 (se non già quello relativo alle scuole; del 1975, o alla
legge 118 del 1971, o alla circolare ministeriale del '68!). Si tratta in
pratica di una presa d'atto ufficiale della mancata applicazione delle
precedenti normative e della ancora scarsissima
volontà e capacità di affrontare sistematicamente il problema della
eliminazione delle barriere architettoniche; da un altro lato la non ancora
chiara dizione utilizzata di «edifici pubblici», che risulta ambigua e
nuovamente limitativa rispetto alla legge 118 da cui prendono origine alcune
discordanti interpretazioni circa la prevista formulazione dei piani per
l'eliminazione di barriere architettoniche Non risulta infatti chiaro se vi
debbano rientrare anche gli edifici di proprietà privata, ma utilizzati a
vario titolo da enti pubblici o che siano comunque sede di servizi aperti al
pubblico. E nel caso, più probabile, che ciò non fosse previsto ci si domanda perché non si prendano provvedimenti anche nei
confronti di tali inadempienze, con opportuni strumenti legislativi;
- per contro costituisce elemento positivo
il fatto che finalmente il problema dell'accessibilità venga richiamato
all'interno di una legge non riguardante specifiche agevolazioni per disabili
e che venga in qualche modo creata una sanzione al riguardo, vincolando i
finanziamenti pubblici al rispetto del DPR 384. Ciò risulta
certo logico ed opportuno, assai più che il «monetizzare» il non rispetto della
norma con (sempre blande ed aggirabili) pene pecuniarie o simili;
- ulteriore considerazione
riguarda infine, ancora una volta, lo scarso riferimento tecnico costituito,
anche in questo caso, dal solo DPR 384!
Per completare il quadro delle normative nazionali
in materia, è opportuno ricordare due iniziative: quella per la definizione di
una «legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e la tutela dei
diritti dei cittadini portatori di handicap», da parte di un comitato ristretto
del Parlamento; quella per la formulazione delle norme tecniche nazionali per
l'edilizia residenziale pubblica, previste dall'art.
42 della legge 457/78 «Norme per l'edilizia residenziale».
Nel primo caso si tratta di una normativa che si
propone di toccare tutti gli ambiti e i problemi relativi a
una categoria considerata «debole», ancora svantaggiata rispetto al resto della
popolazione e di sollecitarne il completo inserimento nel normale contesto
sociale con provvedimenti atti a tutelarne i diritti e promuoverne il pieno
sviluppo personale e il raggiungimento della massima autonomia. All'interno di
tale norma-quadro sono contenute, tra l'altro, anche indicazioni per la
rimozione di barriere architettoniche, la realizzazione di strutture pienamente
accessibili e la dotazione di idonee attrezzature, sia
per quanto riguarda interventi di cura e riabilitazione, che per l'inserimento
e l'integrazione sociale (abitazioni, edifici pubblici, posti di lavoro, mezzi
di trasporto, luoghi aperti al pubblico, centri residenziali diurni, comunità
alloggio, scuole, centri di orientamento professionale, ... ). Questo tipo di normativa solleva non poche perplessità. Se infatti va riconosciuto il valore degli obiettivi proposti
e l'aver sollevato questa problematica può costituire stimolo per ulteriori
interventi a tutti i livelli (edilizio, economico, sanitario,...), tuttavia non
è giustificato nell'attuale momento storico un tipo di normativa categoriale, che pare sottolineare ancora con forza la
«diversità» di un certo tipo di persone rispetto ad una maggioranza «normale»,
contraddicendo in pratica i suoi stessi obiettivi. Sembrerebbe quasi che si
volesse ora beneficiare anche questi individui dei diritti umani, quasi che
questi non fossero già loro di diritto e non già garantiti dalla nostra Costituzione.
Il rischio è dunque quello di sancire, anziché scongiurare, una separazione tra
categorie umane, quasi tra razze diverse, riconoscendo la necessità di interventi speciali, non integrati nei normali
provvedimenti sociali e tecnici. Non resta che concludere
al riguardo che, se una tal legge è ancora necessaria per rammentare alla
nostra società l'uguaglianza di diritti, doveri e dignità di tutti gli uomini,
significa che siamo ancora ben lontani dal poterci considerare una società
civile. E allora ben vengano richiami di questo
genere. Dovremmo però prevedere in questo caso anche
leggi che affermino i diritti degli anziani, dei bambini, degli stranieri, e
via via di tutte quelle «categorie» di persone che le
leggi più che formularle devono subirle e le cui esigenze sono regolarmente
ignorate nel contesto delle «normali» normative di settore (casa, scuola,
lavoro, ...).
Per contro può essere interessante segnalare
l'attività di studio del Comitato per l'edilizia residenziale (CER) per la
definizione della normativa tecnica nazionale relativa all'edilizia residenziale
pubblica, nell'ambito del quale troviamo ad esempio il contributo elaborato
dall'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) «Norme
prestazionali per l'edilizia residenziale» del novembre
'85. In questo documento vengono considerati al pari tra loro e richiesti
quali requisiti fondamentali quelli di sicurezza, benessere, fruibilità ed
economia: ciò risulta assai significativo poiché
permette di affrontare anche i problemi fisici dell'utenza tutta già in fase
progettuale, ma prima ancora nella formulazione delle norme generali (non
speciali) relative all'edilizia residenziale pubblica. È questa la strada
giusta, a mio avviso, per conseguire gli auspicati traguardi di lotta
all'emarginazione. Inoltre, proponendo un compendio ragionato (e ragionevole)
tra le diverse normative (di igiene, sicurezza,
stabilità, accessibilità, ...) che oggi regolano il settore e si sovrappongono
per lo più le une alle altre in modo contraddittorio (insinuando necessità di
deroghe o di scelte prioritarie, a scapito di alcune esigenze), una normativa
quale quella proposta può costituire certo un valido strumento per i
progettisti al fine di ottenere migliori risultati e minor spreco. Da sottolineare infine la scelta opportuna di una normativa di
tipo prestazionale, volta a individuare gli obiettivi
da conseguire, più che illustrarne le soluzioni, che di fatto risultano sempre
poco rispondenti alla situazione contingente (pensiamo ad esempio alle grandi
differenze riscontrabili tra nuovi interventi e ristrutturazioni) oltre che
rigide, mentre sappiamo che le barriere architettoniche risultano quasi sempre
nella dinamica dell'azione (pensiamo per esempio alla posizione di un
interruttore: la sua raggiungibilità non dipende solo dall'altezza alla quale è
posto, ma anche dalla presenza o meno di arredi o altri elementi sporgenti
sottostanti, che possono impedirne o limitarne l'avvicinamento, ecc.). Ci si
augura che la normativa tecnica conseguente questi studi non smentisca le aspettative e che una tale impostazione possa venire ripresa
nella regolamentazione tecnica di tutti gli altri settori di intervento
edilizio ed urbanistico, a cominciare dall'edilizia residenziale privata e i
luoghi di lavoro, ambiti particolarmente tralasciati sin qui da tutte le
indicazioni tecniche relative alle barriere architettoniche.
La Costituzione italiana riconosce anche alle Regioni
(art. 117) il potere di emanare norme legislative, mentre agli Enti
territoriali minori è dato solo potere di regolamentare, in conformità alla
legge. In particolare, poi, a Regioni e Comuni è demandato il compito di
programmare e gestire l'uso del territorio dal punto di vista urbanistico e
disciplinarne l'attività edilizia, predisponendo strumenti urbanistici di
carattere generale ed esecutivi.
Di fatto negli ultimi anni (come già indicato in
precedenza) numerose sono state leggi e regolamenti a carattere locale che
hanno in qualche modo affrontato anche i problemi delle strutture
architettoniche in rapporto a utenza disabile.
Possiamo riconoscere in tali provvedimenti diverse
linee di tendenza, dai confini sfumati, perciò non sempre ben distinguibili
tra loro, ma che possono essere ricondotte principalmente a tre modi di
affrontare il problema:
- il perpetuare o riproporre
una segregazione spesso camuffata con presunta specializzazione degli
interventi;
- l'integrazione intesa come attivazione di servizi o
strutture «particolari» a fianco di strutture «normali», ma ancora con
connotazione di diversità e separatezza (rientrano in
questa categoria anche gli interventi di edilizia
residenziale nei quali si destina a persone disabili un solo piano, una sola
scala, un solo edificio «tra gli altri»);
- l'inserimento nelle normali strutture attraverso
quegli accorgimenti, quelle modifiche necessarie (sia a livello strutturale
che gestionale) perché le stesse strutture possano
accogliere tutti «alla pari», consentendo a ciascuno di utilizzarle nella
massima autonomia possibile.
Tralasciando le disposizioni a carattere prettamente
emarginante (contributi a enti particolari,
istituzione di servizi speciali, ...) possiamo raggruppare le norme a carattere
locale come segue:
- richiami alla normativa nazionale, cioè alla applicazione del D.P.R. 384;
- predisposizione e riserva di alloggi
idonei per particolari categorie di richiedenti;
- incentivi e finanziamenti per la
rimozione di barriere architettoniche o la predisposizione di strutture
accessibili;
- normative complete e regolamenti relativi
alla eliminazione e prevenzione di barriere architettoniche in tutte le
strutture di uso pubblico (compresa l'edilizia residenziale);
- normative e regolamenti
per l'eliminazione di barriere architettoniche in specifici settori di
intervento (es.: edilizia residenziale);
- indicazioni precise, per
l'accessibilità delle strutture, introdotte nell'ambito di più ampie norme
tecniche di settore.
Va sottolineato che, nella
suddivisione sopra riportata non si inseriscono rigidamente le varie Regioni;
infatti in molte sono state emanate in questi anni vari tipi di norme con
diverse connotazioni (indicazioni tecniche, erogazione di contributi, ...).
Per concludere mi paiono
opportune alcune considerazioni di carattere generale circa l'efficacia delle
norme e la loro applicazione.
Si è visto e si sa che da norme anche molto
«calibrate» possono derivare soluzioni progettuali di scarsa qualità quando non addirittura in netto contrasto con gli
obiettivi stessi che la legge si prefiggeva, pur nel suo formale rispetto. Per
contro, anche in presenza di leggi insufficienti,
possono nascere progetti validi. È quindi opportuno che, al
di là di possibili miglioramenti sul piano legislativo, vi sia un
impegno per il raggiungimento degli obiettivi di totale accessibilità,
ricordando che la legge indica spesso dei minimi inderogabili, ma non esclude
mai la possibilità di soluzioni migliori!
(1) Per un'analisi di queste normative
si veda M.T. PONZIO, Barriere architettoniche, Rosenberg & Sellier, Torino,
1985, pp. 21-27.
(2) Ibidem.
(3) L'OMS definisce «accessibile» un
servizio che sia logisticamente, economicamente,
culturalmente e funzionalmente alla portata della intera comunità.
(4) M.T.
PONZIO, Barriere..., cit.
(5) Ibidem.
(6) Ibidem.
(7) Da non confondere con la più
conosciuta legge 118 del 1981, già citata.
(8) Cfr.
«Importantissime norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche», in Prospettive assistenziali,
n. 74, aprile-giugno 1986, p. 53.
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