L'INFORMAZIONE AL BAMBINO SULLA SUA
SITUAZIONE DI MINORE IN AFFIDAMENTO EDUCATIVO
MARIA GRAZIA BREDA
La famiglia d'origine si conosce
Uno degli aspetti principali che differenzia l'affidamento
dall'adozione consiste proprio nella conoscenza della
famiglia d'origine. Si conoscono i genitori - o almeno uno dei due - e, sovente,
anche i fratelli, sorelle, nonni, zii...
Purtroppo, però, il nucleo si trova in una situazione difficile per cui è stato necessario allontanare
il bambino, che altrimenti ne avrebbe sofferto troppo. Intanto si cercherà di
aiutare la famiglia a risolvere la crisi, con opportuni aiuti e sostegni, senza
per questo penalizzare il bambino, come si faceva un
tempo, ricoverandolo in istituto.
Succedeva infatti - e
succede ancora oggi - che una volta sistemato il bambino (che apparentemente
era la causa, l'elemento difficile, disturbante) in un istituto per
l'infanzia, tutti (famiglia e operatori) si dimenticassero di lui; il nucleo
veniva lasciato a se stesso; coi suoi problemi ed il bambino usciva
dall'istituto solo per raggiunti limiti d'età.
Oggi, con l'affidamento familiare si è dimostrato
che è possibile invece dare al bambino, che non può
per il momento restare nella sua famiglia, la possibilità di continuare per lo
meno la sua crescita in un ambiente più idoneo, come è quello familiare, per la
ricchezza di affetti e di stimoli che offre in più dell'istituto.
Ma attenzione: nell'affidamento il bambino resta
figlio dei propri genitori. La famiglia affidataria
non è una famiglia che si deve sostituire a quella
d'origine, che è presente sempre con estrema concretezza e proprio per questo
incide e conta ed è protagonista - con noi e con il bambino - per tutta la
durata dell'affidamento, perché lui se la porta con sé, con i suoi ricordi, le
sue esperienze.
Qual è dunque il nostro compito? Il nostro compito
non consiste tanto nell'informare il nostro bambino sulla sua situazione, ma
piuttosto nel come utilizzare le informazioni che il bambino
stesso o la sua famiglia ci inviano con messaggi più o meno chiari e diretti.
In questo ci sarà di notevole aiuto l'appoggio degli
operatori del servizio.
Il bambino continua di fatto
a vedere i suoi genitori. Quando rientra a casa, dopo
un fine settimana o dopo una telefonata o una visita, o quando si limita a
confrontare un nostro modo di fare con quello della sua mamma o del suo papà...
Sono giudizi su come li vestiamo, sul tipo di «minestra» che devono mangiare...
critiche che, inutile negarlo, non sono piacevoli perché noi ne usciamo sempre
svantaggiati rispetto alle figure dei genitori d'origine.
Spesso ci capita di viverle male, come provocazioni
volutamente a cattive n, che ci portano a vivere in modo molto conflittuale e
competitivo l'altra famiglia. Non si contano a questo
punto le spiegazioni e i ragionamenti con il bambino nel tentativo di
convincerlo che è il «nostro modo di vita» il meglio in assoluto.
Ragionamenti inutili perché una cosa che certamente
l'esperienza ha insegnato è che i genitori d'origine sono per i loro figli «i
più buoni», «i più bravi», qualunque sia la
situazione.
Accettarlo è molto difficile, ma se ci mettiamo dalla
parte del bambino non possiamo che essere d'accordo con lui. Giudicare e
«condannare» la sua mamma o il suo papà, equivale pressappoco a dire che anche lui, tutto sommato, vale poco, perché quello
che lui è, è il risultato della sua vita con loro.
Ben presto egli finirebbe per non raccontare più o raccontare soltanto quello che sa che ci piace, che è in
linea con il nostro modo di vedere le cose.
È bene, invece, che si crei un clima che favorisca
il più possibile il ritorno di queste notizie, ma
questo succederà solo se verranno accolte per quello che sono e cioè dei
messaggi che il bambino ci lancia.
Le due famiglie non poche volte finiscono per
coinvolgere e strumentalizzare il bambino nella loro
contesa e spesso non riescono a cogliere il significato dei comportamenti che egli
mette in atto per adeguarsi o per trovare qualche vantaggio o solo per essere
visto o ascoltato.
Se non si interpretano
correttamente, anzi ci si allarma, alla fine si sarà sempre meno disponibili a
comprendere le sue reazioni e ad aiutarlo a superare «le sue difficoltà».
Il suo bisogno è, al contrario, che tra tutte e due
le famiglie, almeno una sia disposta a prenderlo così com'è, a dichiararlo
(come dice lo psicologo Cattabeni) O.K. a tutti gli
effetti. E quella famiglia deve per forza essere quella affidataria.
Non conta tanto che cosa dire, come rispondere alle
domande o anche alle provocazioni che il bambino, specie se grandicello,
ci sottopone pressoché quotidianamente.
Conta piuttosto come riusciamo a superare il rischio
di cedere a queste piccole forme dì ricatto, peraltro comprensibili, che la
famiglia d'origine ci manda attraverso il bambino.
Se noi non raccogliamo la «sfida» tutto è più facile,
perché non dobbiamo né trovare giustificazioni per i nostri comportamenti, né
pretendere troppo da lui.
Il tempo e la pazienza giocano molto più che tante
discussioni e, ad ogni modo, non siamo soli a dover fronteggiare situazioni a
volte un po' tese; gli operatori del servizio possono
sempre intervenire ad aiutare tutti e tre (famiglia affidataria
- bambino - famiglia d'origine) a meglio capirsi.
A differenza di cultura, si aggiungono spesso e
volentieri problemi di natura più psicologica. Un senso di colpa nei confronti del figlia, un sentimento di inferiorità nei confronti nostri,
un sentirsi una famiglia «cattiva», «incapace», a volte un rifiuto del figlio
che può scatenare sentimenti di rivalsa del tipo «ricordati che io sono sempre
tuo padre»..., possono provocare stati di tensione nel bambino che entra in
crisi, trovandosi a dover scegliere tra un genitore e l'altro.
Una delle mete che ci si prefigge nell'affidamento è proprio quella di riuscire ad instaurare, ove
possibile, un buon rapporto con i genitori d'origine, meta non sempre facile da
raggiungere perché gli elementi da considerare sono molteplici. Inoltre le
esperienze insegnano anche che non tutti gli affidamenti si concludono
necessariamente con il rientro in famiglia. Ricordo solo brevemente:
- gli affidamenti a lungo termine, che si realizzano quando non ci sono le condizioni per un
rientro, ma nemmeno gli estremi per pronunciare la dichiarazione di abbandono,
per cui sarà opportuno favorire e «in un certo senso» disciplinare i rapporti
tra i due nuclei;
- l'inserimento autonomo del ragazzo che, compiuti i
18 anni preferisce scegliere - ci si augura sempre sostenuto dal servizio
sociale - una sistemazione propria;
- affidamenti che proseguono oltre il 18° anno,
perché i ragazzi/e, pur avendo ancora legami con la famiglia d'origine,
vogliono continuare a vivere in quella affìdataria;
- affidamenti di minori handicappati, fisici o
psichici, per cui è pressoché impossibile ipotizzare
rientri in famiglia, che quasi mai esistono; - affidamenti che diventano
adozioni.
Quanto e
come conta la famiglia d'origine
Sia che la famiglia sia pressoché inesistente, sia che sia ancora presente o, che, come nell'affidamento a «rischio
giuridico di adozione» non ci siano più contatti, noi dovremo sempre fare i conti
con quell'immagine dei suoi genitori, più o meno
reale, che egli porta con sé, e che emerge, riaffiora, seppur mescolata a
fatti, cose, persone non sempre corrispondenti al vero.
A partire da questo ci sono comunque differenza ulteriori a
seconda del tipo di affidamento e delle modalità con cui si è dato avvio.
Diverso è se il bambino passa direttamente dalla sua
famiglia in quella affidataria
o se è stato per molto tempo in istituto.
In questo secondo caso succede, quasi sempre, che i
legami dei genitori, nei confronti del figlio, si affievoliscano,
mentre, al contrario, il bambino stravede per la sua famiglia, anche se la
frequenta poco, perché è l'unico affetto rimastogli; la resistenza all'affidamento
in questi casi è notevole.
Spesso e volentieri succede che il bambino idealizzi
la sua famiglia - o perché non ha potuto conoscerla
bene o perché dimentica, col tempo, come era la realtà. D'altronde ci si vede
al di fuori delle «fatiche quotidiane» della scuola e dei compiti... in giorni
di festa, con genitori quasi sempre pronti, almeno
per quelle poche ore, a colmarlo di mille attenzioni.
Ma può accadere, invece, che in questi incontri il
bambino o ragazzino si trovi a cocciare con una
realtà diversa da come se l'era immaginata; pensiamo a
genitori dediti all'alcool, che possono anche diventare violenti, o a persone
soggette a forti stati di depressione, apatiche... In presenza di queste
situazioni, cosa è lecito raccontare al bambino che ci chiede di spiegargli
perché i suoi genitori si sono picchiati?; perché la mamma è sempre a letto?
Molti di noi si domandano -addirittura che senso
abbia mantenere rapporti di questo tipo.
Non c'è una risposta specifica, per situazioni
precise, ma noi crediamo che sia bene salvaguardare e mantenere i legami con
la famiglia d'origine tutte le volte che esiste un legame affettivo significativo, che non vuol dire che debba necessariamente
essere un rapporto privo di incomprensioni o sempre idilliaco.
A seconda delle situazioni può essere opportuno diluire nel tempo,
forse, le visite, ma è sempre meglio per il bambino avere a che fare, tutte le
volte che è appunto possibile, con genitori reali, piuttosto che con genitori
che appartengano solo alla sua fantasia.
Inoltre, specie per i bambini più grandicelli,
ritornare a casa, stare in compagnia dei genitori (ma anche dei parenti)
permette di rivivere ricordi e cose passate, che appartengono a quel pezzo di
storia che noi non conosciamo e sul quale non possiamo dire assolutamente nulla
e che non deve essere perso.
Si tratterà di valutare, quindi, caso per caso come impostare e mantenere, nel tempo, questi legami.
Dipenderà molto anche dal tipo di progetto che guida l'affidamento.
Se il rientro è previsto a breve termine è evidente che i
rapporti con la famiglia saranno più che privilegiati; ma questi casi sono
generalmente quelli che creano meno problemi, in quanto le cause
dell'allontanamento non sono gravi.
Un po' più complessa si presenta la regolamentazione
dei rapporti quando l'affidamento non ha una
prospettiva ben definita. Sono gli affidamenti a medio-lungo termine.
In questi casi, che prevedono un lungo periodo di
relazione tra le due famiglie, è inevitabile che succedano,
soprattutto all'inizio, fatti poco chiari o comportamenti poco comprensibili da
parte di entrambi. Ad esempio i genitori del bambino non rispettano gli orari
di visita, dimenticando le date degli incontri o, al contrario, arrivano quando non sono previsti, telefonano in ore
inopportune...
Davanti a questi episodi il bambino ne esce sempre stordito, confuso e tenta di trovare giustificazioni
anche insostenibili del tipo «il mio papà ha sicuramente lavorato (anche di
domenica)» oppure «certamente è malato», «non ha trovato i gettoni per
telefonare» o semplicemente «non ha potuto...».
Ci sono poi attese ancora più dolorose da sopportare
per i fine settimana non passati a casa coi genitori,
che non sono venuti a prenderlo; per le vacanze di Natale mancate; per addirittura
i «rientri» definitivi promessi e non mantenuti perché impossibili da farsi.
Anche per questi momenti così duri per il bambino da
sopportare è importante non esagerare né nel tentativo di giustificare a tutti
i costi i genitori, né nel convincerlo all'opposto di
quanto essi siano stati «cattivi» con lui.
Qui, come sempre, vale molto di più il nostro
atteggiamento di comprensione, la capacità con cui riusciamo
a farci carico di questa sua sofferenza, più di tante parole.
Parallelamente si dovrà però tentare, insieme agli
operatori del servizio, di trovare una strada (e probabilmente se ne dovranno
provare tante prima), per incontrarsi sul comune interesse delle due famiglie
di rendere più facile e più vivibile al bambino la
sua situazione.
Il discorso cambia per chi ha un affidamento a rischio giuridico di adozione.
La famiglia d'origine c'è stata, il
bambino ha spesso vissuto con i suoi genitori, ma già anche in ambienti
spesso diversi dalla sua casa.
Incide molto l'età.
Se è molto piccolo non può
che avere tracce di ricordi che appunto nel momento in cui riaffiorano
comportano per la famiglia affidataria la necessità
di trasformarli in ricordi positivi, senza mitizzarli.
Nell'adozione di neonati, di figli di
ignoti, si cerca di immaginare insieme come poteva essere la famiglia;
in questa situazione un'idea della famiglia d'origine si ha, anche attraverso
le informazioni dell'assistente sociale e gli affidatari
gioco forza trasferiscono al bambino, seppur elaborate, le notizie in loro
possesso.
Se il bambino è già ragazzino e l'affidamento si
trasforma in adozione, la famiglia affidataria - ora
adottiva - dovrà ugualmente conservare l'atteggiamento che guida l'affidamento
e che parte dall'accettazione della storia che c'è stata prima, del suo vissuto
personale.
Si deve cioè tener ben
presente che l'affidamento a rischio giuridico di adozione, per la sua stessa
natura, presuppone che la famiglia affidataria
mantenga la sua disponibilità in questo senso perché:
- non è detto che l'affidamento si trasformi in
adozione;
- perché in ogni caso la famiglia d'origine del
bambino non verrà mai cancellata e continuerà a
riaffiorare in mille particolari.
Se nell'adozione di neonati ci troviamo, abbiamo
visto, davanti ad un vuoto da riempire, qui ci troviamo
davanti ad «un disordine di notizie, ricordi, flash», che vanno piano piano inseriti e organizzati nella nuova realtà.
E credo che questo discorso valga anche per l'adozione
dei ragazzini già grandicelli.
Tra gli affidamenti non dobbiamo dimenticare che, seppur
in minor misura, ci sono bambini handicappati fisici e/o psichici.
Si parla di affidamento, ma
quasi sempre o sono adozioni mancate o si trasformeranno in queste;
generalmente, infatti, la famiglia d'origine non c'è.
Per i fisici
A tutti i problemi relativi all'informazione
sulla loro situazione, purtroppo si aggiunge anche quello dell'handicap
fisico.
Oltre a convivere con l'idea di essere stato
rifiutato, deve anche convivere con l'idea di un corpo che lo rende diverso
dagli altri.
E noi, che possiamo fare? Noi non possiamo fare altro
che cercare, anche qui, di fargli vivere la sua diversità con naturalezza,
evitando falsità, imbarazzi, reticenze che non possono che farlo soffrire di
più, perché vivrebbe le nostre stesse insicurezze.
Il bambino imparerà che esistono altri come lui, a
non vergognarsi né dei suoi genitori, né di se stesso.
L'essenziale è che noi genitori affidatari
per primi ci siamo chiariti con naturalezza il perché della sua situazione e
riusciamo quindi a trasmettergli la certezza che va
bene così com'è.
Per gli psichici
Per chi accoglie un bambino handicappato psichico il
problema dell'informazione va osservato da un altro
punto di vista.
Se nell'affidamento normalmente l'informazione che riguarda la personalità, il carattere del bambino è
utile per evitare almeno gli errori più grossolani, qui è indispensabile.
Non può essere sufficiente la sola diagnosi (psicosi,
autismo, cerebropatia...); questa deve essere suffragata da una
attenta e scrupolosa osservazione della personalità del minore, prima
dell'affidamento, da parte dei tecnici che lo seguono o che lo seguiranno.
Alla famiglia verranno poi
date tutte le informazioni indispensabili per capire «la malattia» del bambino
che vivrà con loro e degli «strumenti» per poter fronteggiare la situazione.
Si dovrà cioè sostenere molto e bene la famiglia affidataria.
Il servizio sociale, invece, fornirà tutte le informazioni
utili per poter usufruire delle facilitazioni e dei diritti che spettano al
minore handicappato grave, supporti che non risolvono la problematicità che
comporta un affidamento di questo tipo, ma che sono di aiuto
alle difficoltà pratiche che una scelta del genere comporta (es. assicurazioni
per danni a terzi, rimborsi spese extra, protesi, ecc.).
Le informazioni che è
utile «sapere» come famiglia affidataria
Come famiglia affidataria
noi sappiamo che dobbiamo avere una grandissima disponibilità a farci carico di
questi rapporti, che fanno appunto la storia del
bambino, il suo vissuto, che ritorna periodicamente, nei momenti meno indicati
con domande, interrogativi che chiedono - sempre - una nostra risposta.
Quando va in affidamento il bambino non comincia una
nuova vita, non è una tabula rasa e tutto ciò che è successo «prima» è
importante e influenzerà la vita di tutti noi dal momento in cui entrerà in casa nostra. Egli non riparte da zero, anche se
la sua famiglia non è tra le più valide. Anche quando
è piccolo egli ha già proprie caratteristiche, tendenze, preferenze oltre a
modelli culturali e sociali differenti dai nostri. Sappiamo inoltre:
- che il bambino non è nostro figlio, né lo sarà mai,
né noi saremo per lui suo padre e sua
madre, ma questo non esclude che ci si voglia bene
ugualmente;
- che forse, prima o poi,
egli tornerà a casa, ma se questo succederà saremo tutti felici e non avremo
certamente perso il nostro tempo per niente, espressione che sovente usa la gente
intorno a noi. Tutto quello che si sarà vissuto
insieme farà per sempre parte della nostra e della sua vita;
- sappiamo che dobbiamo rapportarci a lui non solo
come educatori, ma anche come genitori, come persone cioè
capaci di amarlo «gratuitamente» e a fondo perduto, così com'è;
- che il nostro compito è quello di offrirgli
temporaneamente un ambiente familiare, che gli permetta di continuare a
crescere e a maturare, a partire però da quanto è già in suo possesso come
bagaglio di conoscenze, di affetti, di modi d'essere.
Non si può pensare di cambiare radicalmente tutte le
sue abitudini, semplicemente perché ha cambiato «famiglia». Anzi, proprio per
questo, almeno inizialmente sarà più facile per lui sopportare il cambiamento
se potrà «ripetere» alcuni gesti o abitudini che sono
della sua «famiglia».
Come famiglia affidataria
spesso non sappiamo però coniugare queste «cose che si
usano» con la pratica:
- si accetta l'idea che non sarà nostro figlio, più
difficilmente accettiamo che, proprio per questo, non
«restituisca» da subito affetto, gratitudine, riconoscenza per la situazione
migliore - a nostro giudizio - in cui si viene a trovare;
- ci dichiariamo a sua disposizione, pronti a capirlo
nelle difficoltà dovute alla situazione familiare, al cambiamento...
ma non sappiamo aspettare che il bambino ci conosca, impari le nostre
abitudini, il nostro modo di vivere, non gli lasciamo il tempo necessario a
decodificare quello che è il linguaggio «non verbale» tipico di ogni nucleo
familiare;
-vogliamo essere genitori non sostitutivi, ma ci risentiamo quando il bambino parla bene della sua famiglia,
la vede con occhi diversi dalla realtà, meglio di come è nella realtà, e non
apprezza, al contrario, i nostri sacrifici, la nostra fatica...
Ci si dimentica che chi ha bisogno di essere
riconosciuto, accettato, apprezzato, consolato è il bambino e non noi.
Cosa si rischia?
Innanzitutto di interpretare questo comportamento del bambino,
come un rifiuto nei nostri confronti, mentre invece lui vive inevitabilmente
con una grossa dose di preoccupazione tutto quanto gli proponiamo, ed ha quindi
bisogno di sentirci calmi e fiduciosi.
Un aspetto che spesso si è trascurato o non considerato affatto e che ha messo bene in luce sempre
lo psicologo Guido Cattabeni è che noi famiglia affidataria riteniamo che le difficoltà del bambino siano
da collegarsi al fatto che il bambino si trova ad avere «due» famiglie.
In realtà, almeno inizialmente, egli si sente
abbandonato dalla sua e non sa fino a che punto può fidarsi di questa nuova
realtà in cui si trova.
Benché ogni affidamento sia una storia a sé, ci sono,
comunque, alcuni elementi che possono aiutare tutti e
tre i protagonisti a superare questi momenti un po' particolari.
Quali notizie al bambino
Nel caso che la famiglia d'origine collabori la
preparazione al passaggio può cominciare dal suo
interno; si tratta di dare al bambino informazioni sufficienti, immaginando
ciò che sta per avvenire, con motivazioni adatte alla sua età e anche con
qualche spiraglio sui futuro.
È sempre qualcuno della famiglia che lo accompagna nella famiglia affidataria,
di solito con incontri brevi, preliminari, che sono preparatori al distacco
vero e proprio.
Se la famiglia d'origine non dà molto affidamento per
quanto riguarda le capacità di preparare il bambino, deve essere aiutata nelle
varie fasi dall'operatore sociale.
Preparare il bambino diventa assolutamente importante quando la famiglia sia in difficoltà o per nulla
capace di collaborare all'affido.
L'operatore deve supplire, in questi casi, alla
funzione rassicurante della famiglia; è lui la persona in grado di rassicurare
il bambino, di farsi riconoscere, per quel minimo rapporto interpersonale che
avrà necessariamente costruito insieme al bambino.
In caso di allontanamenti
improvvisi ed urgenti, disposti dal tribunale per i minorenni, non essendoci
il tempo di conoscere a sufficienza i bisogni del bambino o di stabilire con
lui un minimo di rapporto di fiducia, non è tecnicamente ammissibile
trapiantarlo da una famiglia all'altra. Si ricorre in questi casi ad un inserimento
provvisorio in un contesto ambientale emotivamente
meno pregnante, in una comunità cioè che consenta di svolgere un periodo di osservazione
e di conoscenza.
La preparazione della famiglia
d'origine
Le condizioni ideali perché il passaggio da una
famiglia all'altra avvenga in un clima affettivo disteso e rassicurante sono
molto rare.
È abbastanza comprensibile e legittimo che dei
familiari soprattutto le madri, affezionati ai loro figli, seppur a modo loro;
soffrano all'idea che altri se ne occupino e si
oppongano più o meno apertamente all'affidamento.
Tuttavia l'esperienza ci insegna
che, dati gli incalcolabili vantaggi che derivano al bambino in affidamento
dalla collaborazione della sua famiglia d'origine, è indispensabile dedicare
il massimo del tempo, delle energie, della competenza al lavoro di
preparazione della famiglia d'origine.
Si dovrà valorizzare molto ad esempio la loro scelta
in favore dell'affidamento come un atto d'amore nei confronti del figlio, un
vero volergli bene, sottolineando l'importanza che la
loro presenza continuerà ad avere prima dell'affidamento e - dopo - per non
far sì che si senta abbandonato.
Quali notizie alle famiglie affidatarie
Ogni affido deve essere programmato in funzione di obiettivi precisi; inizialmente sono solo gli operatori
sociali a possedere le «informazioni» necessarie a predisporre un programma di
lavoro. A loro tocca infatti chiarire agli affidatari il gioco che sono chiamati a svolgere assicurando
il massimo dell'informazione su tutto ciò che riguarda la vita del bambino.
È compito degli operatori preparare un profilo della personalità
del bimbo da affidare s prevedere anche un periodo minimo di
osservazione, che consenta di inquadrarne la figura ed evitare almeno
gli errori più grossolani. Naturalmente questo avrà la sua importanza tanto è
più grande il bambino e quindi maggiore il vissuto che egli si porta dietro.
Ma è meglio non illudersi pensando che se
l'inserimento sarà ben preparato, tutto funzionerà a
meraviglia.
Per quanto si sia pronti ad
affrontare nel modo migliore il nuovo venuto è proprio « nuovo » e ('incontro
tra quanto immaginato e quanto è effettivamente la realtà, sarà per forza
diverso.
Inoltre l'insieme delle informazioni che via via diventeranno in nostro
possesso, direttamente dal bambino se non proprio dalla sua stessa famiglia,
porterà a verificare e modificare di conseguenza, con aggiornamenti periodici,
le informazioni che si possedevano in partenza.
L'obiettivo non cambierà mai; si dovrà sempre mirare
alla crescita del bambino, ma il programma e gli
strumenti dovranno adattarsi di volta in volta. Così pure gli
operatori, la famiglia d'origine, la famiglia affidataria.
Una cosa che ci sembra opportuno
consigliare vivamente è la partecipazione delle famiglie, che intendono
rendersi disponibili all'affidamento, a gruppi di famiglie affidatarie o almeno
ad incontrarsi con qualcuno che viva già l'esperienza.
È soltanto dalla viva voce di chi racconta ciò che
sta vivendo che si può almeno captare cosa significa fare un posto in più;
quale sforzo si richiede a tutti i partecipanti della famiglia per
organizzarsi in funzione non più soltanto dei bisogni dei suoi vecchi componenti, ma anche in funzione dei bisogni del nuovo
arrivato.
Notizie, queste, che davvero aiutano
a comprendere più di altre quanto sia fondamentale disporsi all'affidamento con
un atteggiamento di disponibilità incondizionata.
Se si fa nostra l'idea che «cambiare», trasformarci
per l'altro, in funzione dell'altro è la sola vera condizione richiesta dal
l'affidamento, non avremo grosse difficoltà con il
bambino e acquisteremo molto come persone perché ci sentiremo coinvolti in un
continuo rinnovamento di noi stessi, quindi più ricchi, di quando siamo
partiti. E di questo grandi vantaggi ne ricaveranno
anche i nostri figli, che troveranno una famiglia che avrà almeno tentato di
trasformarsi gradualmente con l'evolversi ed il mutare dei bisogni, diversi
per ogni età.
www.fondazionepromozionesociale.it