Notiziario del Centro italiano per
l'adozione internazionale
ASPETTI
PSICOLOGICI DEL PERIODO ADOLESCENZIALE
Uno dei fini principali dell'adolescenza, nell'ambito
dello sviluppo generale dell'individuo, è la conquista di uno stabile senso di
sé.
In questa fase, con la modificazione dei rapporti
tra super-io, io ed es, tende a dissolversi il senso di identità; il soggetto viene posto in uno stato di
incertezza profonda, dal quale potrà uscire solo dopo che avrà avuto la
possibilità di «ricomporsi» cioè di acquisire un nuovo senso di identità,
questa volta più stabile e duraturo.
In sostanza, il periodo adolescenziale è caratterizzato
dal manifestarsi, più o meno celatamente, di due
forze contrarie -ed entrambe estremamente virulente: una che tende a mantenere
il soggetto nel «mondo dell'infanzia» e quindi a consentirgli di adagiarsi
nella gregarietà e rassicurazione del «contenimento genitoriale»; l'altra, che spinge verso il mondo esterno,
verso «l'avventura», verso l'acquisizione di una propria immagine, di un
proprio ruolo, che tende quindi verso una più sostanziale differenziazione dai
genitori e ad una maggiore autonomia individuale. Tutto ciò sviluppa degli
evidenti conflitti, in quanto è facile comprendere come non possano esservi
coerenza e stabilità in un momento in cui gli impulsi prodotti da entrambe le forze si susseguono, in modo confuso e
disordinato, ed investono il soggetto come onde violente che si abbattono
incontenibili sulla spiaggia, travolgendo tutto ciò che incontrano.
Ogni individuo affronta questa tempesta con gli
strumenti che ha a disposizione e che non sono il risultato del caso e
dell'improvvisazione, bensì sono la conseguenza della qualità del processo di
sviluppo precedente, dì come gli elementi innati e
quelli acquisiti con la socialità si sono più o meno armonicamente integrati.
Sia ben chiaro che il concetto di socialità non deve
essere riferito unicamente ad una interazione completa con il mondo esterno, ma
va riferito a tutti quei momenti in cui l'individuo
entra in una relazione, di qualunque tipo e con qualunque linguaggio,
comprendendo quindi anche la complessa rete di messaggi che madre e figlio si
scambiano nel periodo prenatale.
L'assenza
o la presenza di gravi carenze, di strappi psicologici
e/o fisici, di disarmonie nel procedere lungo le fasi di sviluppo sono gli elementi
fondamentali che determinano le modalità di risposta individuale alle già
citate «tempeste adolescenziali».
In occasione delle assemblee annuali dei CIAI -
Centro italiano per l'adozione internazionale - nel 1984 a Lido Adriano e nel
1985 a Marina Romea, si è avuta la possibilità di costituire un gruppo di adolescenti adottati, attualmente dai quattordici ai
venti anni circa, che hanno fornito alcuni spunti di riflessione interessanti.
L'incontro di Lido Adriano ha probabilmente messo in
luce la presenza di situazioni di disagio, più o meno
accentuate, che alimentate dalla attivazione di un gruppo, eterogeneo al
proprio interno ma estremamente omogeneo nella relazione con il mondo esterno,
hanno trovato uno sbocco nel «problema razziale», in funzione difensiva
rispetto ad altre tensioni, avvertite come ben più pericolose e difficili da
affrontare.
Sia ben chiaro che il problema razziale esiste, non è possibile negare tale fenomeno, ma tanta
esasperazione dell'argomento può essere spiegata solo in termini di
spostamento difensivo delle ansie e delle frustrazioni, ma soprattutto dell'aggressività.
In alcuni brevi momenti questa sorta di omertà si è
parzialmente lacerata ed allora sono emersi dei quesiti legati all'esigenza di
conoscere i propri genitori naturali, utilizzando però modalità aggressive ed
auto ed etero svalutative
(... mi piacerebbe sapere chi è che ha avuto questa disgrazia di mettermi al
mondo), (... andare a ritrovare i propri genitori per dargli due sberle...).
Da una attenta osservazione dei verbali si è notato
che ci sono stati immediatamente interventi tendenti a riportare la
discussione sulla accettazione razziale e solo nel finale dell'incontro vi è
stato un altro accenno alle famiglie naturali, inconsapevolmente mascherato
con una razionalizzazione, che non ha però trovato eco (... mi interesserebbe
sapere, scoprire la mia discendenza... soprattutto i miei avi... la provenienza
della mia famiglia...).
Il rifiuto «dell'italianità» espresso da parte di
alcuni, risente sicuramente, oltre che di elementi
obiettivi, quali piccole discriminazioni subite, eccesso di curiosità da parte
degli altri, rifiuti veri e propri, anche di un'esigenza riparatoria
rispetto ai genitori naturali, immancabilmente vissuti come colpevoli (con
relativa assunzione da parte del ragazzo del senso di colpa), sia perché
effettivamente responsabili di un atto di abbandono, ma anche per non entrare
in conflitto con le aspettative sostitutive dei genitori adottivi che, al di là
delle razionalizzazioni, spesso entrano in competizione con il genitore
naturale, sentito come onnipotente e pericoloso, trasmettendo inconsciamente
le loro ansie al figlio adottivo.
C'è comunque la conferma di
una identificazione della propria terra di origine (e quindi della propria
razza) con il fantasma materno, visto anche che i caratteri somatici diversi
possano essere elementi di difficoltà per una corretta identificazione con le
figure parentali adottive.
Elementi più significativi
per una sommaria riflessione emergono dall'esperienza di Roleplaying, nella quale la
possibilità di assumere un atteggiamento recitativo, spesso comico e paradossale,
ha consentito di esprimere maggiormente i propri vissuti rispetto
all'adozione.
Nella prima scena relativa alla
prescrizione di simulare il primo incontro tra genitori e figlio adottivo, vi è
stato subito un tentativo di distanziarsi dal problema, attraverso la
decisione degli attori (o di uno di essi) di far arrivare una bambina dal Perù (nessuno dei presentì è sud-americano), ma lo sforzo
non ha successo perché la fanno parlare in inglese (come in India o nella Corea
del Sud) e questo è il segno di una progressiva entrata nei personaggi, con
una maggiore possibilità di far esprimere il proprio mondo interno. La
bambina, giunta in aeroporto, non vuole staccarsi dall'accompagnatrice e ciò,
oltre che legato a racconti di aneddoti reali,
potrebbe essere interpretato, unito ad un forte sarcasmo nei confronti della
gioia dei genitori adottivi e ad una esasperata interpretazione di difendersi
dall'ansia predatoria dei genitori. Non a caso il personaggio
che sblocca la situazione è il nonno, vissuto come «... colui
che ha sapienza ...» e quindi non investe
violentemente la bambina con le proprie tensioni.
Nella seconda scena (primi giorni in casa con la
bambina), vi è, in modo evidente, un legame con fatti realmente accaduti,
frammenti di ricordi uniti all'esigenza di dimostrare la percezione di piccole
«discriminazioni familiari» a favore del figlio adottivo, ma in parte
probabilmente vissute come gratificanti ma anche come ulteriore segno di
differenziazione. Viene infatti rappresentata la
difficoltà di adattamento alimentare (ma solo questo?) della nuova arrivata
che, guardinga di fronte ad un piatto di spaghetti, viene invogliata con varie
amorevolezze ad assaggiare la novità, mentre gli stessi genitori si rivolgono
al figlio naturale dicendo «... mangia tu, altrimenti prendi due sberle».
È a questo punto che la «bambina peruviana» viene sollecitata a capire e a parlare l'inglese. La terza
scena (rappresentazione dell'ambiente scolastico) segna effettivamente una
svolta: l'atteggiamento banalizzante tende ad attenuarsi e la recitazione
assume dei toni più impegnati, sia nella forma che nel
contenuto. C'è un accenno agli istituti di assistenza
al ricordo di quattro mura, allo stare in braccio a una suora. Quando il
dialogo tra i compagni di scuola si fa più impegnativo (perché sei diverso da
noi... perché i tuoi genitori sono diversi dai nostri... allora non è vero che
siamo tutti uguali... ma dove sono i tuoi veri
genitori...) scatta il meccanismo di fuga e terminano la recitazione
introducendo la campana dell'intervallo scolastico, giunta quanto mai provvidenziale.
Sicuramente il tempo a disposizione per questo primo incontro non ha consentito ampi margini di
discussioni e soprattutto il fatto che fosse la prima volta che si tentava una
esperienza dei genere (39 adolescenti dai 14 ai 20 anni quasi tutti adottati
con la adozione internazionale) non ha permesso un approfondimento degli
argomenti; certo è che il quadro emerso, sia pur confortante per la qualità e
la quantità degli interventi, per l'apparente disinvoltura con la quale si
sono espressi, per la capacità comunicativa a livello di forma e di contenuti,
per la creatività e la simpatia utilizzate, ha suscitato alcune perplessità
rispetto al presente dei ragazzi.
Hanno spesso trasmesso un forte senso di
sradicamento, come se non riuscissero a trovare una
collocazione né qui, né nel Paese di origine, come se non riuscissero a
terminare i processi identificatori nei genitori
adottivi non potendo altresì attivarli compiutamente nei confronti dei
genitori d'origine: una sorta di scissione che non consente l'esaurirsi di una
fase per iniziarne un'altra.
(segue al prossimo numero)
MASSIMO CAMIOLO
Specialista in psicologia e Giudice onorario
del Tribunale
per i minorenni di Milano
www.fondazionepromozionesociale.it