Prospettive assistenziali, n. 79, luglio-settembre 1987

 

 

Notizie

 

 

L'ANFFAS CONTRARIA ALL'INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI HANDICAPPATI PSICHICI?

 

A pagina 18 del n. 28, gennaio-marzo 1987 di ANFFAS Famiglie, è apparso il seguente com­mento redazionale: «Difficilmente i giornali af­frontano i temi legati all'handicap con rigore e serietà; ci sono ovviamente delle eccezioni. In questo fascicolo dedicato ad handicap e lavoro riportiamo due articoli comparsi sul quotidiano "Il Sole - 24 Ore" del 9 e 16 settembre scorso nella rubrica "Il lavoro e la legge" curata da Fe­lice Mortillaro».

Sorprende, però, il fatto che ANFFAS Famiglie indichi come «rigoroso e serio» l'articolo che qui riproduciamo integralmente, il cui filo conduttore è costituito dal tentativo di giustificare l'esclu­sione degli handicappati psichici (insufficienti mentali e malati mentali) dall'assunzione obbliga­toria al lavoro sancita dalle leggi 482/1968 e 118/1971. Le esperienze di inserimento lavorati­vo realizzate a Torino dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base dimostrano, invece, che gli insufficienti mentali possono po­sitivamente inserirsi in attività proficue insieme ai lavoratori non handicappati (1).

 

Testo dell'articolo

A differenza di quanto mostra di ritenere la Cassazione, l'inapplicabilità delle norme sull'av­viamento obbligatorio ai minorati psichici non è la conseguenza di un problema di condizioni di sicurezza (questo problema si pone, infatti, an­che per i minorati fisici); è questione che, di fronte all'assunzione di un'obbligazione di dare (corresponsione della retribuzione), l'irregolare psichico non è in grado di promettere un lavoro (maggiore o minore), ma piuttosto offre per defi­nizione una prestazione che non si sa di quale quantità e qualità potrà essere, e quindi impreve­dibile per definizione.

Mentre, se si ponesse solo un problema di quantità, ridotta, ma entro certi limiti sicura e prevedibile, il problema non sarebbe diverso da quello che pongono i minorati fisici, nel caso degli irregolari psichici la quantità di lavoro che essi sono in grado di conferire nel contratto è assolutamente imponderabile e la qualità del tut­to imprevedibile. Ciò colora il rapporto di una aleatorietà che è incompatibile con la sua stessa natura o meglio, più giuridicamente parlando, con la sua causa.

 

Gli obiettivi della legislazione

Ecco allora che la separata, specifica legisla­zione per gli irregolari psichici ha una sua ben precisa ragion d'essere. Si tratta di garantire loro assistenza e recupero, ciò che avviene con la frequenza di corsi di addestramento e con la ammissione a sistemi di lavoro protetto, che per­seguono finalità e realizzano cause tipiche del tutto diverse da quelle del contratto di lavoro, sia pure coattivamente costituito attraverso l'av­viamento obbligatorio.

Il che, d'altra parte, è coerente con obiettive esigenze del mercato. Quando l'azienda stipula contratti di lavoro, assolve ad una funzione orga­nizzativa dell'impresa finalizzata alla produzione, e di conseguenza ha bisogno di certezze, di ri­sultati, di acquisizioni sicure. Non è attraverso il contratto di lavoro che le si possono addos­sare compiti con primarie e contrarie finalità as­sistenziali e di recupero. Fin che si incide solo sui costi, tutto si può fare e contrattare, purché, però, il quadro nel quale l'imprenditore è chia­mato ad operare abbia i caratteri della prevedi­bilità e dell'affidabilità. Ad ogni causa deve cor­rispondere un diverso, appropriato strumento giuridico, altrimenti si finisce con l'assegnare al­la produzione scopi impropri, con il risultato che, forse, si penalizzerebbero sia l'assistenza sia il recupero e sia la produzione.

Di questa inammissibile inclusione di un ele­mento di aleatorietà nel contratto di lavoro che conseguirebbe all'estensione delle norme sul col­locamento obbligatorio anche agli irregolari psichici hanno avuto sentore in verità anche i giu­dici della malattia psichica, questa colpisce il soggetto nella sua capacità di intendere e di vo­lere, con la conseguenza che essa può far ve­nir meno i presupposti per l'instaurazione di un rapporto di lavoro, fonte anche per il minorato, nonostante il collocamento obbligatorio, di spe­cifici obblighi e soggetto ad un trattamento giu­ridico normativo del quale entrambe le parti de­vono avere consapevolezza.

A parte il rilievo che la considerazione così com'è formulata resta in sostanza priva di con­seguenze, perché non si inserisce come motiva­zione dell'affermata inestensibilità del colloca­mento obbligatorio agli irregolari psichici, il fat­to è che l'asserita e peraltro ipotetica possibilità di far venire meno i presupposti per l'instaura­zione del rapporto di lavoro è considerazione im­propriamente riferita alla capacità di agire e quindi di contrattare del minorato psichico. La non riconducibilità di questo tipo di infermità a causa giustificativa di un'assunzione obbligatoria non si fonda, infatti, sulla incapacità di assumere l'impegno al momento della manifestazione del consenso (che dovrebbe essere dimostrata di volta in volta e che, se permanente, dovrebbe condurre almeno alla inabilitazione del minorato psichico), ma piuttosto sul fatto che essa com­porta un dubbio intrinseco ed obiettivo sulla ca­pacità di mantenere un predeterminato o almeno predeterminabile livello quantitativo e qualitativo nell'assolvimento degli impegni assunti. E questa aleatorietà è contrastante, come si è detto, con la causa del rapporto di lavoro.

L'altro aspetto del problema (e cioè il concor­so di minorazioni fisiche e di irregolarità psi­chiche non causalmente connesse fra di loro) non è tale da comportare conclusioni differenti.

La presenza di irregolarità psichiche non può essere eliminata dall'esistenza anche di minora­zioni fisiche, non esclude l'inserimento di una quota di aleatorietà nel contratto di lavoro e, siccome questo non è consentito dalla causa del contratto, viene meno di conseguenza anche in questo caso l'applicabilità delle norme sull'av­viamento obbligatorio.

Queste considerazioni, dal momento che esse non contrastano con la lettera della legge n. 482/ 1968 e della legge n. 118/1971, valgono pertanto ad ulteriormente convincere non soltanto della correttezza delle conclusioni cui la Cassazione è giunta con la sentenza n. 1072/1986, ma anche della validità sostanziale delle scelte di merito fatte dal legislatore, prevedendo per gli irrego­lari psichici forme di assistenza e di aiuto del tutto autonome rispetta a quelle stabilite per gli invalidi civili.

 

 

QUANTI SOLDI PER LE FERROVIE: MA AI VIAGGIATORI CHI CI PENSA?

 

Pubblichiamo il testo integrale della lettera in­viata da Rosanna Benzi in data 14 maggio 1987 ai Presidenti della Repubblica, del Senato, della Camera e del Consiglio, al Ministro dei Trasporti, al Presidente delle Ferrovie dello Stato, alla Com­missione trasporti e ai Capi gruppo parlamentari.

 

Testo della lettera

Sono Rosanna Benzi, direttore del periodico «Gli Altri», giornale che da dodici anni si occupa dei problemi dell'emarginazione sociale, anche se forse mi conoscerete come «la donna che da 25 anni vive nel polmone d'acciaio».

Ma non sono qui per parlare di questo. Ap­prendo dai giornali che l'Ente Ferrovie dello Sta­to ha varato un programma di ammodernamento per una spesa di ben 5.000 miliardi.

Non nascondo la mia perplessità di fronte alla notizia di procedure insolitamente veloci per esperire le gare d'appalto, non perché non siano urgenti dei cambiamenti ma perché ben poco spazio vi sarà par il confronto «concorrenziale».

Polemiche a parte, mi chiedo quali criteri stan­no ispirando le azioni dell'Ente Ferrovie. Tutti sappiamo quali e quanti disagi sopportano i viag­giatori; considerate ad esempio quanti anziani prendono il treno; quanta difficoltà a salire le scale, cercare il binario giusto, scalare i vagoni. E poi arrivati in cima, capita di dover stare in piedi anche se hai il biglietto con la prenotazione.

Le statistiche dicono che nel 2000 gli anziani sopra i 65 anni saranno circa il 30% dell'intera popolazione.

Ho degli amici che spesso mi vengono a tro­vare a Genova.

Partono da Napoli e sono portatori di handicap: non vi dico quali acrobazie per salire, poi la car­rozzella che non ci sta, e tutte le altre cose.

Una volta sono arrivati alla stazione di Principe e sono rimasti per più di un'ora sul binario per­ché gli ascensori bagagli erano rotti, quindi, non c'era altra scelta: o attraversare i binari o aspet­tare tutta la notte.

Niente scuse per gli amministratori: a chi mi dice «Non ci sono i soldi» per migliorare il ser­vizio, faccio notare che mettere un ascensore o adeguare il regolamento di quelli esistenti nelle principali stazioni costa ben poco, soprattutto di fronte a cifre come i 41.000 miliardi stanziati per la modernizzazione degli impianti ferroviari. An­che attrezzare una carrozza accessibile su ogni treno è una cosa fattibile. Basta mettersi in­torno ad un tavolo e fare le cose con serietà e non per motivi «di prestigio».

Oggi, invece, i «politici» sembrano interessati a parlare delle meraviglie nel futuro dei traspor­ti, ma nessuno pensa ai trasportati. Da tanti anni c'è una legge dello Stato - il D.P.R. 384/78 - che impone di modificare le cose, ma non è stato fatto nulla.

Nel 1986 la legge finanziaria prevedeva uno stanziamento dell'1% allo scopo, ma le ferrovie non l'hanno neppure richiesto!

Molte Associazioni dei disabili hanno scritto all'Onorevole Ligato, Presidente delle FF.SS., ma invano.

Mi hanno detto che c'è il progetto di una car­rozza ferroviaria finalmente per tutti, che si in­tenderebbe inserire qua e là nei convogli: ma quali? E su quali linee? Chi si metterebbe in viaggio con il rischio di rimanere appiedati al primo cambio?

Non mi rimane che chiedere: quale impegno vi sarà fra le forze politiche nel dopo elezioni? Ormai non vi sono più scuse per non affrontare i problemi, occorre varare al più presto una nuo­va legge sul problema delle barriere architetto­niche che tenga conto finalmente di quanto dico­no i diretti interessati.

Se non si fa qualche casa ora, se si butta via la «nostra» disponibilità a lavorare insieme alle istituzioni, dopo sarà tutto molto più difficile, perché la sfiducia sarà troppo grande.

Io penso che ognuno oggi debba prendersi le proprie responsabilità dinanzi al futuro del paese.

 

 

CULTURA, PREVENZIONE, INFORMAZIONE, HANDICAP

 

«Cultura, prevenzione, informazione, handicap e/è quotidiano»: questo il tema dell'incontro che i Comitati regionali emiliano-romagnoli dell'ANFFAS e dell'AIAS hanno presentato ad «Ho­spital '87» (Bologna 10 giugno 1987).

Si tratta di un'iniziativa che prosegue, appro­fondendo e ampliando, le tematiche già affron­tate nel 1981 dal seminario di studio «Prevenzio­ne dell'handicap» e nel 1984 dal convegno nazio­nale «Crisi del Welfare, handicap, richiesta di nuovi servizi». Promozione di cultura quindi, di riflessioni che servono da un lato a riordinare ciò che è già acquisito, dall'altro a produrre nuove idee, nuovi obiettivi, ma anche conoscenza. Per­ché l'esperienza quotidiana di chi vive l'handicap a vari livelli (dal disabile alla famiglia, dall'edu­catore al tecnico, dal politico allo studioso) indi­ca sempre una necessità e una mancanza: per uscire dall'emarginazione è indispensabile po­tenziare un processo culturale di informazione e formazione della società intera.

I mass-media si collocano quindi come anello di congiunzione tra handicap e società, tra ope­ratori socio-sanitari, ricerca scientifica e tecno­logica ed il singolo cittadino. Si tratta di chia­mare in causa gli operatori culturali e dell'in­formazione, di coloro che formano l'opinione pub­blica per far sì che l'immagine dell'handicap pas­si dalla dimensione pietistica o episodica o set­toriale a quella quotidiana: fa conoscenza e la familiarità rendono infatti possibile il rapporto con ciò che ci circonda.

L'incontro di Bologna ha voluto essere in defi­nitiva un'occasione per gli operatori dell'infor­mazione e della cultura e gli operatori socio-sa­nitari, che lavorano direttamente nel campo dei servizi per l'handicap, per riflettere ed individua­re il rapporto tra cultura nel suo complesso, pro­gresso scientifico e integrazione della persona handicappata, nonché dei modi con cui attivare un processo culturale di cambiamento.

L'apertura dei lavori è stata già di per sé un modo per evidenziare questo obiettivo: far con­vergere e cooperare forze apparentemente lonta­ne e dissimili quali i mass-media e l'handicap nel­le sue diverse realtà. La proiezione del film au­straliano «A test of love» di Gill Brealey, vinci­tore della 2ª rassegna cinematografica «Lo sguar­do degli altri - cinema ed handicap» promosso dalla LEDHA di Milano nel marzo di quest'anno, voleva infatti essere un esempio di come fare cinema d'autore su problematiche quali quelle della riabilitazione dell'handicap.

La mattinata è stata quindi dedicata al tema della «Prevenzione fra ricerca scientifica, educa­zione ed informazione per una migliore qualità di vita» con interventi di esperti che si sono fo­calizzati sull'esigenza di orientare la ricerca scientifica verso una conoscenza dei rischi am­bientali e genetici cui l'uomo è esposto.

Nel pomeriggio i lavori sono proseguiti con l'importante momento di confronto sul tema «Cultura, informazione, mass-media specchio del­la realtà?» cui hanno partecipato rappresentanti della stampa, dell'emittenza radio-televisiva, del­la pubblicità, del mondo scientifico, dello spetta­colo e della cultura.

Positivo l'esito finale dell'intera giornata non solo per l'adesione di un pubblico ricettivo e in­teressato (numerosi infatti gli interventi svolti durante i lavori), ma anche per alcune risposte emerse: la cineteca comunale di Bologna si è impegnata ad organizzare una rassegna su cine­ma ed handicap e la Rai regionale si è dichiarata disponibile a dare maggiore spazio all'informa­zione sull'handicap.

 

 

 

(1) Cfr. Deliberazioni sulla formazione prelavorativa de­gli handicappati, in Prospettive assistenziali, n. 67, luglio-­settembre 1984; F. Santanera, Esperienze in materia di for­mazione professionale e di inserimento lavorativo di han­dicappati, ibidem, n. 70, aprile-giugno 1986; G. Callegari, Riflessioni sull'inserimento nei ruoli del Comune di To­rino di persone con handicap, ibidem, n. 71, luglio-settem­bre 1985; Proposte del CSA per la riforma della legge sul collocamento obbligatorio, ibidem, n. 72, ottobre-dicembre 1985; L'inserimento lavorativo degli handicappati: l'espe­rienza della Provincia di Torino, ibidem, n. 73, gennaio-mar­zo 1986; Intesa tra Comune di Torino, Sindacati e CSA sui corsi prelavorativi per insufficienti mentali, ibidem, n. 74, aprile-giugno 1986; G. Selleri, Per una adeguata riforma del collocamento obbligatorio, ibidem, n. 75, luglio-settembre 1986; C.M. Martini, Handicappati, società e lavoro, ibidem, n. 76, ottobre-dicembre 1986; G. Oberto, Invalidità psichi­che ed invalidità fisiche ai fini del collocamento obbligato­rio, ibidem, n. 77, gennaio-marzo 1987.

 

 

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