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L'ANFFAS CONTRARIA ALL'INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI
HANDICAPPATI PSICHICI?
A pagina 18 del n. 28, gennaio-marzo 1987 di ANFFAS Famiglie,
è apparso il seguente commento redazionale: «Difficilmente i giornali affrontano i temi legati all'handicap con
rigore e serietà; ci sono ovviamente delle eccezioni. In questo fascicolo
dedicato ad handicap e lavoro riportiamo due articoli
comparsi sul quotidiano "Il Sole - 24 Ore" del 9 e 16 settembre
scorso nella rubrica "Il lavoro e la legge" curata da Felice Mortillaro».
Sorprende, però, il fatto che ANFFAS Famiglie indichi come «rigoroso e
serio» l'articolo che qui riproduciamo integralmente, il cui filo conduttore è
costituito dal tentativo di giustificare l'esclusione degli handicappati
psichici (insufficienti mentali e malati mentali) dall'assunzione obbligatoria
al lavoro sancita dalle leggi 482/1968 e 118/1971. Le esperienze di inserimento lavorativo realizzate a Torino dal
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base dimostrano, invece,
che gli insufficienti mentali possono positivamente inserirsi in attività
proficue insieme ai lavoratori non handicappati (1).
Testo dell'articolo
A differenza di quanto mostra di ritenere la
Cassazione, l'inapplicabilità delle norme sull'avviamento obbligatorio ai
minorati psichici non è la conseguenza di un problema di condizioni di sicurezza (questo problema si pone, infatti, anche per i
minorati fisici); è questione che, di fronte all'assunzione di un'obbligazione
di dare (corresponsione della retribuzione), l'irregolare psichico non è in
grado di promettere un lavoro (maggiore o minore), ma piuttosto offre per definizione
una prestazione che non si sa di quale quantità e qualità potrà essere, e
quindi imprevedibile per definizione.
Mentre, se si ponesse solo un problema di quantità,
ridotta, ma entro certi limiti sicura e prevedibile,
il problema non sarebbe diverso da quello che pongono i minorati fisici, nel
caso degli irregolari psichici la quantità di lavoro che essi sono in grado di
conferire nel contratto è assolutamente imponderabile e la qualità del tutto
imprevedibile. Ciò colora il rapporto di una aleatorietà che è incompatibile con la sua stessa natura o
meglio, più giuridicamente parlando, con la sua causa.
Gli obiettivi della legislazione
Ecco allora che la separata,
specifica legislazione per gli irregolari psichici ha una sua ben precisa
ragion d'essere. Si tratta di
garantire loro assistenza e recupero, ciò che avviene con la frequenza di corsi
di addestramento e con la ammissione a sistemi di
lavoro protetto, che perseguono finalità e realizzano cause tipiche del tutto
diverse da quelle del contratto di lavoro, sia pure coattivamente costituito
attraverso l'avviamento obbligatorio.
Il che, d'altra parte, è coerente
con obiettive esigenze del mercato.
Quando l'azienda stipula contratti di lavoro, assolve ad
una funzione organizzativa dell'impresa finalizzata alla produzione, e di
conseguenza ha bisogno di certezze, di risultati, di acquisizioni sicure. Non
è attraverso il contratto di lavoro che le si possono
addossare compiti con primarie e contrarie finalità assistenziali e di
recupero. Fin che si incide solo sui costi, tutto si
può fare e contrattare, purché, però, il quadro nel quale l'imprenditore è chiamato
ad operare abbia i caratteri della prevedibilità e dell'affidabilità. Ad ogni
causa deve corrispondere un diverso, appropriato
strumento giuridico, altrimenti si finisce con l'assegnare alla produzione
scopi impropri, con il risultato che, forse, si penalizzerebbero sia
l'assistenza sia il recupero e sia la produzione.
Di questa inammissibile
inclusione di un elemento di aleatorietà nel
contratto di lavoro che conseguirebbe all'estensione delle norme sul collocamento
obbligatorio anche agli irregolari psichici hanno avuto sentore in verità anche
i giudici della malattia psichica, questa colpisce il soggetto nella sua
capacità di intendere e di volere, con la conseguenza che essa può far venir
meno i presupposti per l'instaurazione di un rapporto di lavoro, fonte anche
per il minorato, nonostante il collocamento obbligatorio, di specifici
obblighi e soggetto ad un trattamento giuridico normativo del quale entrambe
le parti devono avere consapevolezza.
A parte il rilievo che la considerazione così com'è
formulata resta in sostanza priva di conseguenze,
perché non si inserisce come motivazione dell'affermata inestensibilità
del collocamento obbligatorio agli irregolari psichici, il fatto è che
l'asserita e peraltro ipotetica possibilità di far venire meno i presupposti
per l'instaurazione del rapporto di lavoro è considerazione impropriamente
riferita alla capacità di agire e quindi di contrattare del minorato psichico.
La non riconducibilità di questo tipo di infermità a causa giustificativa di un'assunzione
obbligatoria non si fonda, infatti, sulla incapacità di assumere l'impegno al momento
della manifestazione del consenso (che dovrebbe essere dimostrata di volta in
volta e che, se permanente, dovrebbe condurre almeno alla inabilitazione del
minorato psichico), ma piuttosto sul fatto che essa comporta un dubbio
intrinseco ed obiettivo sulla capacità di mantenere un predeterminato o almeno
predeterminabile livello quantitativo e qualitativo nell'assolvimento degli
impegni assunti. E questa aleatorietà
è contrastante, come si è detto, con la causa del rapporto di lavoro.
L'altro aspetto del problema (e cioè
il concorso di minorazioni fisiche e di irregolarità psichiche non causalmente connesse fra di loro) non è tale da comportare
conclusioni differenti.
La presenza di irregolarità
psichiche non può essere eliminata dall'esistenza anche di minorazioni
fisiche, non esclude l'inserimento di una quota di aleatorietà
nel contratto di lavoro e, siccome questo non è consentito dalla causa del
contratto, viene meno di conseguenza anche in questo caso l'applicabilità delle
norme sull'avviamento obbligatorio.
Queste considerazioni, dal momento
che esse non contrastano con la lettera della legge n. 482/ 1968 e della
legge n. 118/1971, valgono pertanto ad ulteriormente convincere non soltanto
della correttezza delle conclusioni cui la Cassazione è giunta con la sentenza
n. 1072/1986, ma anche della validità sostanziale delle scelte di merito fatte
dal legislatore, prevedendo per gli irregolari psichici forme di assistenza e
di aiuto del tutto autonome rispetta a quelle stabilite per gli invalidi
civili.
QUANTI
SOLDI PER LE FERROVIE: MA AI VIAGGIATORI CHI CI PENSA?
Pubblichiamo
il testo integrale della lettera inviata da Rosanna Benzi
in data 14 maggio 1987 ai Presidenti della Repubblica, del Senato, della Camera
e del Consiglio, al Ministro dei Trasporti, al Presidente delle Ferrovie dello
Stato, alla Commissione trasporti e ai Capi gruppo parlamentari.
Testo della lettera
Sono Rosanna Benzi,
direttore del periodico «Gli Altri», giornale che da
dodici anni si occupa dei problemi dell'emarginazione sociale, anche se forse
mi conoscerete come «la donna che da 25 anni vive nel polmone d'acciaio».
Ma non sono qui per parlare di questo. Apprendo dai
giornali che l'Ente Ferrovie dello Stato ha varato un
programma di ammodernamento per una spesa di ben 5.000 miliardi.
Non nascondo la mia perplessità di fronte alla
notizia di procedure insolitamente veloci per esperire le gare d'appalto, non
perché non siano urgenti dei cambiamenti ma perché ben poco spazio vi sarà par
il confronto «concorrenziale».
Polemiche a parte, mi chiedo quali criteri stanno ispirando le azioni dell'Ente Ferrovie. Tutti sappiamo quali e quanti disagi sopportano i viaggiatori;
considerate ad esempio quanti anziani prendono il treno; quanta difficoltà a
salire le scale, cercare il binario giusto, scalare i vagoni. E poi arrivati in cima, capita di dover stare in piedi anche
se hai il biglietto con la prenotazione.
Le statistiche dicono che
nel 2000 gli anziani sopra i 65 anni saranno circa il 30% dell'intera
popolazione.
Ho degli amici che spesso mi vengono a trovare a
Genova.
Partono da Napoli e sono portatori di handicap: non
vi dico quali acrobazie per salire, poi la carrozzella che non ci sta, e tutte
le altre cose.
Una volta sono arrivati alla stazione di Principe e
sono rimasti per più di un'ora sul binario perché gli
ascensori bagagli erano rotti, quindi, non c'era altra scelta: o attraversare i
binari o aspettare tutta la notte.
Niente scuse per gli
amministratori: a chi mi dice «Non
ci sono i soldi» per migliorare il servizio, faccio notare che mettere un
ascensore o adeguare il regolamento di quelli esistenti nelle principali
stazioni costa ben poco, soprattutto di fronte a cifre come i 41.000 miliardi
stanziati per la modernizzazione degli impianti
ferroviari. Anche attrezzare una carrozza accessibile su
ogni treno è una cosa fattibile. Basta mettersi intorno ad un tavolo e
fare le cose con serietà e non per motivi «di prestigio».
Oggi, invece, i «politici» sembrano interessati a
parlare delle meraviglie nel futuro dei trasporti, ma nessuno pensa ai
trasportati. Da tanti anni c'è una legge dello Stato - il D.P.R. 384/78 - che
impone di modificare le cose, ma non è stato fatto nulla.
Nel 1986 la legge finanziaria prevedeva uno
stanziamento dell'1% allo scopo, ma le ferrovie non
l'hanno neppure richiesto!
Molte Associazioni dei disabili hanno scritto
all'Onorevole Ligato, Presidente delle FF.SS., ma invano.
Mi hanno detto che c'è il
progetto di una carrozza ferroviaria finalmente per tutti, che si intenderebbe
inserire qua e là nei convogli: ma quali? E su quali
linee? Chi si metterebbe in viaggio con il rischio di rimanere appiedati al
primo cambio?
Non mi rimane che chiedere: quale impegno vi sarà fra
le forze politiche nel dopo elezioni? Ormai non vi sono più scuse per non
affrontare i problemi, occorre varare al più presto una nuova legge sul
problema delle barriere architettoniche che tenga
conto finalmente di quanto dicono i diretti interessati.
Se non si fa qualche casa
ora, se si butta via la «nostra» disponibilità a lavorare insieme alle
istituzioni, dopo sarà tutto molto più difficile, perché la sfiducia sarà
troppo grande.
Io penso che ognuno oggi debba prendersi
le proprie responsabilità dinanzi al futuro del paese.
CULTURA,
PREVENZIONE, INFORMAZIONE, HANDICAP
«Cultura, prevenzione, informazione, handicap e/è
quotidiano»: questo il tema dell'incontro che i Comitati regionali emiliano-romagnoli dell'ANFFAS e
dell'AIAS hanno presentato ad «Hospital '87»
(Bologna 10 giugno 1987).
Si tratta di un'iniziativa che prosegue, approfondendo
e ampliando, le tematiche già affrontate nel 1981 dal
seminario di studio «Prevenzione dell'handicap» e nel
1984 dal convegno nazionale «Crisi del Welfare, handicap, richiesta di nuovi servizi». Promozione di cultura quindi, di riflessioni che servono da
un lato a riordinare ciò che è già acquisito, dall'altro a produrre nuove idee,
nuovi obiettivi, ma anche conoscenza. Perché
l'esperienza quotidiana di chi vive l'handicap a vari livelli (dal disabile
alla famiglia, dall'educatore al tecnico, dal politico allo studioso) indica
sempre una necessità e una mancanza: per uscire dall'emarginazione è
indispensabile potenziare un processo culturale di informazione e formazione
della società intera.
I mass-media si collocano quindi
come anello di congiunzione tra handicap e società, tra operatori
socio-sanitari, ricerca scientifica e tecnologica ed il singolo
cittadino. Si tratta di chiamare in causa gli
operatori culturali e dell'informazione, di coloro che formano l'opinione pubblica
per far sì che l'immagine dell'handicap passi dalla dimensione pietistica o
episodica o settoriale a quella quotidiana: fa conoscenza e la familiarità
rendono infatti possibile il rapporto con ciò che ci circonda.
L'incontro di Bologna ha voluto essere in definitiva
un'occasione per gli operatori dell'informazione e della cultura e gli operatori socio-sanitari, che lavorano direttamente nel
campo dei servizi per l'handicap, per riflettere ed individuare il rapporto
tra cultura nel suo complesso, progresso scientifico e integrazione della
persona handicappata, nonché dei modi con cui attivare un processo culturale di
cambiamento.
L'apertura dei lavori è stata già di per sé un modo
per evidenziare questo obiettivo: far convergere e
cooperare forze apparentemente lontane e dissimili quali i mass-media e
l'handicap nelle sue diverse realtà. La proiezione del film australiano «A
test of love» di Gill Brealey,
vincitore della 2ª rassegna cinematografica «Lo sguardo degli altri - cinema
ed handicap» promosso dalla LEDHA di Milano nel marzo di quest'anno,
voleva infatti essere un esempio di come fare cinema
d'autore su problematiche quali quelle della riabilitazione dell'handicap.
La mattinata è stata quindi dedicata al tema della
«Prevenzione fra ricerca scientifica, educazione ed informazione per una
migliore qualità di vita» con interventi di esperti
che si sono focalizzati sull'esigenza di orientare la ricerca scientifica
verso una conoscenza dei rischi ambientali e genetici cui l'uomo è esposto.
Nel pomeriggio i lavori sono proseguiti con
l'importante momento di confronto sul tema «Cultura, informazione, mass-media specchio della realtà?» cui hanno partecipato
rappresentanti della stampa, dell'emittenza
radio-televisiva, della pubblicità, del mondo scientifico, dello spettacolo e
della cultura.
Positivo l'esito finale dell'intera giornata non solo per
l'adesione di un pubblico ricettivo e interessato (numerosi infatti gli
interventi svolti durante i lavori), ma anche per alcune risposte emerse: la
cineteca comunale di Bologna si è impegnata ad organizzare una rassegna su cinema
ed handicap e la Rai regionale si è dichiarata disponibile a dare maggiore spazio
all'informazione sull'handicap.
(1) Cfr.
Deliberazioni sulla formazione prelavorativa degli
handicappati, in Prospettive assistenziali, n. 67, luglio-settembre 1984; F. Santanera, Esperienze in
materia di formazione professionale e di inserimento lavorativo di handicappati,
ibidem, n. 70, aprile-giugno 1986; G. Callegari, Riflessioni sull'inserimento nei ruoli del Comune di Torino di
persone con handicap, ibidem, n. 71, luglio-settembre 1985; Proposte del CSA
per la riforma della legge sul collocamento obbligatorio, ibidem, n. 72,
ottobre-dicembre 1985; L'inserimento lavorativo degli handicappati: l'esperienza
della Provincia di Torino, ibidem, n. 73, gennaio-marzo 1986; Intesa tra
Comune di Torino, Sindacati e CSA sui corsi prelavorativi
per insufficienti mentali, ibidem, n. 74, aprile-giugno 1986; G. Selleri, Per una adeguata riforma
del collocamento obbligatorio, ibidem, n. 75, luglio-settembre 1986; C.M.
Martini, Handicappati, società e lavoro, ibidem, n. 76, ottobre-dicembre 1986;
G. Oberto, Invalidità psichiche ed invalidità fisiche ai
fini del collocamento obbligatorio, ibidem, n. 77, gennaio-marzo 1987.
www.fondazionepromozionesociale.it