Prospettive assistenziali, n. 80, ottobre-dicembre 1987

 

 

TELEFONO AZZURRO: COME BANALIZZARE LA COMPLESSITA DEI PROBLEMI SOCIALI

 

 

Da sempre i benpensanti rifiutano di ammet­tere l'esistenza di responsabilità sociali nelle genesi delle difficoltà che incidono sulla vita dei cittadini più deboli. Pertanto, hanno sempre avu­to un notevole successo, anche per l'appoggio dei mezzi di comunicazione di massa, le iniziative finalizzate a ridurre a casi personali le problema­tiche di natura collettiva, che coinvolgono cioè la responsabilità di tutti, ma soprattutto quelle delle autorità politiche, dei poteri economici e delle agenzie sociali,

Vi sono nel nostro Paese 70 mila minori ricove­rati in istituti di assistenza che - le ricerche scientifiche lo dimostrano senza ambra di dub­bio - soffrono gravemente per i deleteri effetti della carenza di cure familiari. Se lo volessero, sarebbe facile per i mezzi di informazione tenere desta l'attenzione degli uomini di governo, dei parlamentari, degli amministratori di Regioni, Unità locali. Comuni, Comunità montane, Pro­vince.

Ma parlare di minori ricoverati in istituto, si­gnifica mettere in discussione l'ordine (o meglio il disordine) costituito: molti interessi politici, elettorali, clientelari sono in gioco ed i bambini, per troppe persone, sona una merce che rende (si pensi elle rette, che sono l'ossigeno degli istituti). Si spiega così il successo propagandi­stico del «Telefono azzurro», iniziativa che ha avuto inizio nel giugno 1987, il cui scopo è quello dì raccogliere presso la sede di Bologna le se­gnalazioni di violenze (vere o presunte o inven­tate) compiute sui minori.

L'iniziativa del telefona azzurro viene sban­dierata come promossa dall'AIPAI, Associazio­ne italiana per la prevenzione dell'abuso all'in­fanzia. Abbiamo preso contatto con il Presidente di detta organizzazione, il giudice Giorgio Bat­tistacci, il quale non solo ha smentito che l'AIPAI sia coinvolta, ma ha anche manifestato alcune riserve sull'iniziativa.

Da parte nostra riteniamo che occorre in pri­mo luogo tener conto della frequente mitomania infantile e della malvagità di adulti irresponsabi­li, per evitare che persone del tutto innocenti sia­no colpite da accuse infamanti con le note disa­strose conseguenze: angosce personali, rotture familiari, perdita del posto di lavoro, isolamen­to sociale.

Per ovviare a detti deleteri risultati, è necessa­ria non solo una accurata preparazione del per­sonale (chi garantisce quella degli addetti a tele­fono azzurro? chi ne verifica le capacità?), ma è anche indispensabile predisporre strumenti per evitare che siano trasmesse a terzi le notizie che possono danneggiare persone e famiglie, colpendo sul piano civile e occorrendo su quello penale gli operatori che violano il principio di riservatezza.

Ci chiediamo anche: che senso ha segnalare a Bologna un caso verificatosi a Palermo? Non è più semplice e più serio informare i cittadini sulla possibilità di compiere segnalazioni ai tri­bunali e alle procure per i minorenni, alle unità socio-sanitarie locali e agli enti locali che gesti­scono i servizi socio-assistenziali?

Inoltre va detto che la segnalazione di episodi di violenza non può essere fine a se stessa: oc­corre che vi sia una continuità fra segnalazione, accertamento della veridicità della segnalazione stessa e interventi a difesa dei minori.

Perché si isola il problema della segnalazione dagli altri due? Perché non si informano i citta­dini sulle carenze spesso spaventose dei servi­zi assistenziali? Perché non si ricordano gli ob­blighi che la legge impone ai giudici tutelari (1) i quali, nella quasi totalità dei casi, non attuano i loro compiti e nulla fanno per richiedere la mes­sa a disposizione degli strumenti di intervento mancanti?

Da parte nostra riteniamo che si debba pre­mere per l'attuazione di adeguati interventi da parte del Parlamento (riforma dell'assistenza, ad esempio), delle Regioni, delle Province, delle Comunità montane e dei Comuni (trasferimento di tutte le funzioni assistenziali alle USL, pro­grammazione e istituzione di idonei servizi, in primo luogo quelli alternativi al ricovero in isti­tuto) (2).

Riteniamo inoltre che sarebbe opportuno ope­rare per ottenere l'istituzione degli uffici di pub­blica tutela (3), in modo che siano garantiti so­prattutto i diritti delle persone (minori, adulti, anziani) non in grado di autodifendersi a causa delle loro condizioni fisiche e/o psichiche.

Per queste persone non sempre c'è un familia­re che vi provvede e non sempre questo familia­re agisce nell'interesse del soggetto debole.

D'altra parte, abbastanza spesso avviene che l'ente preposto alla erogazione di servizi abbia anche la funzione di tutore e cioè di controllare l'efficacia del servizio stesso. In sostanza, nei casi suddetti, l'utente resta privo di ogni reale tutela.

Ritornando a telefono azzurro, non possiamo non manifestare la nostra vivissima preoccupa­zione in merito alla notizia riferita dalla stampa, notizia che speriamo sia infondata, secondo la quale il Ministro per gli affari speciali, Rosa Rus­so Jervolino, avrebbe richiesto ben sette miliar­di per l'istituzione di nuovi telefoni azzurri.

 

 

(1) Il giudice tutelare deve provvedere non solo alla tutela dei minorenni, ma ha anche il compito di esaminare gli elenchi dei fanciulli ricoverati negli istituti pubblici e privati di assistenza ai fine di trasmettere al tribunale per i minorenni i nominativi di coloro che versano in presun­to stato di abbandono. Spetta inoltre al giudice tutelare controllare, almeno una volta ogni sei mesi, le condizioni personali e familiari dei minori ricoverati in istituto. Infine compete al giudice tutelare rendere esecutivi gli affida­menti familiari a scopo educativo disposti dagli enti locali con il consenso dei genitori.

(2) Si vedano le numerose proposte ed iniziative segna­late da anni su Prospettive assistenziali.

(3) Cfr. Alfredo Carlo Moro, Per una migliore protezione del minore: l'ufficio di pubblica tutela, Bambino incom­piuto, n. 2, 1985 e Francesco Santanera, Per un ufficio uni­co del pubblico tutore per minori, adulti, anziani, ibidem, n. 1, 1987.

 

 

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