Prospettive assistenziali, n. 81, gennaio-marzo 1988

 

 

CRONICI: COMPARTO SANITARIO O ASSISTENZIALE?

FABRIZIO FABRIS - ERMANNO FERRARIO (1)

 

 

Più che di perdita di salute nell'anziano è opportuno parlare di perdita dell'autosufficienza, esprimendo questo termine anche sotto l'aspetto più strettamente sanitario, un concetto più comprensivo ed assai più rispondente alla realtà del soggetto invecchiato. La perdita del coniuge o l'insufficienza di mezzi economici può rivestire ad esempio maggior effetto patogeno della malat­tia medesima. Non sono quindi possibili, ma anzi dannose, separazioni rigide tra i vari settori di intervento. La filosofia che deve guidare la poli­tica sanitaria per l'anziano è invece quella di non privilegiare il sanitario come regola generale, ma di dare tutto il sanitario di cui l'individuo ha bisogno in caso di necessità.

La concezione dell'ospedale come deputato esclusivamente al trattamento delle affezioni acute non è più rispondente alla attuale realtà ed al tipo di patologia prevalente di carattere degenerativo. Ben poche sono oggi le malattie che si possono definire rigorosamente acute; ab­biamo frequentemente degli eventi acuti nel cor­so di malattie croniche: dall'ictus, all'infarto, al­la riacutizzazione della bronchite, alla frattura nell'osteoporotico, all'evento anemizzante nel neoplastico. È la nuova realtà della patologia pre­valentemente degenerativa, diversa rispetto a quella precedente prevalentemente infiammato­ria. Deve modificarsi di conseguenza anche il «privilegio dell'acuto» che caratterizza la menta­lità medica, soprattutto, ma anche la mentalità generale. Alcuni concetti devono essere rivisitati. Ad esempio l'idea di guarigione da una malattia va riconsiderata: dall'appendicite si guarisce completamente quando l'intervento è condotto a regola d'arte e quando le condizioni generali consentono una adeguata risposta dell'organi­smo; da altri tipi di intervento la guarigione av­viene con una sia pur piccola diminuzione dell'«inabilità»; dalla maggioranza delle malattie de­generative si guarisce da una fase, si supera un episodio, si compensa una situazione alterata, la si rende compatibile con un determinato livello di richiesta.

Altro concetto da rivisitare è quello relativo alla malattia curabile: malattia curabile non vuol dire guaribile; la cura va vista estensivamente, come riferibile a qualsiasi condizione anche la peggiore che si possa immaginare. In questo sen­so diventa cura l'intervento assolutamente pallia­tivo: prestare attenzione ad un uomo che tra mezz'ora è destinato a morire, togliergli un po' di dolore, alleviargli il disagio di una posizione scomoda.

Da queste premesse nasce l'esigenza per la medicina di prestare la massima attenzione al malato cronico e quando possibile alla prevenzio­ne della cronicità stessa. Le aspettative del «cro­nico» per l'immediato futuro sono legate, da un lato, al progresso della tecnologia, quindi alle possibilità di protesi, di trapianti e di tante altre nuove e sofisticate metodologie di intervento, dall'altro, e ancor più, allo sviluppo di una medi­cina più mirata alla valutazione della complessa e irrepetibile situazione esistenziale dell'indi­viduo.

L'intervento sanitario, dunque, quando corret­to e tempestivo non genera cronicità, ma la con­trasta. Appare pretestuosa la contrapposizione tra il compartimento assistenziale e quello sani­tario: il secondo viene accusato dal primo di oc­cuparsi poco e male del cronico. Quando ciò av­viene, e non infrequentemente purtroppo, è per­ché si fa una cattiva medicina; il rimedio non è certamente quello di attribuire le competenze di cura del cronico al compartimento assistenziale, ma di rinnovare e migliorare la qualità dell'in­tervento sanitario. Questa operazione culturale passa attraverso una formazione del personale medico e non medico adeguata alla nuova realtà, facilitando anche gli scambi professionali tra l'ospedale e le attuali strutture per cronici.

 

 

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