FAMIGLIE DIVISE E TUTELA DEI MINORI
FRANCESCA ICHINO, ANNA VlRNO, PAOLA BEZZOLA (1)
É stato chiesto al CAM (2) di riferire che cosa accada, nella sua fascia di utenza, al bambino delle
famiglie divise.
Ora il CAM ha un suo bacino di
utenza che comprende il sottoproletariato urbano o rurale, per lo più
immigrato, o il proletariato privo di radici familiari allargate sul
territorio: se la famiglia è nucleare e il genitore rimasto solo deve uscir di
casa per lavorare (salvo lodevoli eccezioni), per i figli la norma è il
ricorso all'istituto o, in piccola misura, all'affido familiare, con risultati,
come vedremo, assai interessanti per quel che riguarda la responsabilizzazione
o la deresponsabilizzazione del genitore separato.
Teniamo presente che, nell'anno 1986, i figli di
genitori sposati e separati costituivano, nella nostra utenza, il 43% dei
minori collocati in affido familiare tramite CAM; il 30% dei
minori collocati in istituto; e il 20% dei minori collocati in
comunità.
Con la collega Danovi che si
è occupata della fascia che va dalla piccola alla media ed alta borghesia,
abbiamo avuto uno scambio di idee dal quale è
risultato che i suoi clienti, sia pur con risorse che vanno dall'aiuto di personale
domestico (governanti, babysitter, ecc.) al collocamento in collegi di lusso,
non presentano minori problemi, né evidenziano meno gravi segni di irresponsabilità
dei genitori, rispetto agli utenti del CAM.
Il CAM ha una banca-dati comprendente i minori di
competenza del tribunale per i minorenni di Milano, banca-dati che viene
semestralmente aggiornata attraverso lo spoglio di schede inviate dai 110
istituti (31 in Milano e 79 fuori) e dalle 55 comunità (25 in Milano e 30
fuori) per un totale di circa 2.836 minori, cioè circa
2.000 famiglie.
Alla fine dell'aprile 1987, solo il 62% degli
istituti avevano inviato le schede; ed è a questo 62%, più tutti i minori
ospitati in comunità, più tutti i minori collocati in affido tramite il CAM,
per un totale di 1.808 che si riferiscono le nostre osservazioni e riflessioni.
Così risulta che, sui 1.808
minori presi in esame, ben 490, pari al 28% circa, erano figli di genitori
sposati e poi separati.
Volutamente non abbiamo considerato le famiglie di
fatto - che pur sono «legione» -, che depositano i figli in istituto o altrove
quando si dividono.
Dei 490 figli di separati, la
stragrande maggioranza (cioè 398 pari all'81%) viene «parcheggiata» in
istituto; un piccolo contingente va in comunità (70 minori pari al 14%) e solo
per il 5% sì tenta l'avventuroso sentiero dell'affido familiare (22 minori
collocati tramite il CAM. Probabilmente qualcuno in più sarà collocato in
affido fra quelli trattati soltanto dagli enti territoriali; ma siamo sempre
sulle piccole cifre).
Lato caratteristico di questa fascia di utenza: le separazioni giudiziali sono soltanto il 20% del
totale, mentre l'80% che non è in condizioni economiche o culturali tali da
potersi pagare l'avvocato o da ottenere un qualsiasi patrocinio gratuito
(magari presso lo stesso ufficio legale del CAM) risolve i suoi problemi con
una semplice separazione di fatto e forma nuovi nuclei familiari con nuovi
partner e nuovi figli.
In genere, i figli del primo matrimonio vengono espulsi, mentre la nuova coppia alleva e tiene in
casa, i soli figli del secondo letto.
Nella cultura proletaria, il «patrigno» e la «matrigna»
non sono ancora diventate figure positive, tranne eccezioni con bimbi molto piccoli.
Col figlio o figlia adolescente è ben difficile che il nuovo partner vada d'accordo, e altissime sono le percentuali di espulsione,
come pure molto frequenti sono, purtroppo, i casi in cui il convivente della
madre insidia la figlia adolescente o bambina.
Il 60% dei figli di separati collocati in istituto e
il 99% in comunità sono a carico del comune di origine
e nessuno dei due genitori paga la retta. E questo è un primo segno concreto di
disaffezione, cioè di quanto poco i genitori si
sentano responsabili dei figli messi al mondo: eppure, dopo la promulgazione
delle leggi 431/1957 e 184/1983 la gente sta incominciando a sapere che pagare
la retta, visitare i bambini in istituto, ecc. sono elementi importanti per
conservare anche i «diritti sul figlio».
Segno di disaffezione ancora più grave è 1'altissimo
numero di genitori separati indicati dalle schede
come irreperibili che caratterizza soprattutto le separazioni di fatto.
Tra gli istituzionalizzati si hanno:
- 109 separazioni di fatto con padre irreperibile
(pari al 34% del totale);
- 38 separazioni ove irreperibile è la madre (pari al
12%);
- 7 casi in cui sono diventati
irreperibili entrambi i genitori (pari al 2,14%).
In totale, nel 47% dei casi di separati di fatto,
almeno un genitore si è reso irreperibile e nella irreperibilità
i padri hanno il triste primato sulle madri.
Nelle separazioni legali la percentuale delle
irreperibilità calano sensibilmente, anche se sono pur
sempre alte: in 16 casi pari al 22%, irreperibile si è reso il padre, in 7,
pari al 9,85%, la madre e in 1 caso (1,4%) si sono resi irreperibili entrambi.
Questo della irreperibilità,
cioè del genitore che scompare sottraendosi a tutti i suoi doveri, è uno dei
dati che differenziano la nostra fascia di utenza da quella borghese.
Dalla collega Danovi
abbiamo sentito auspicare un maggior intervento pubblico, una possibilità di
controllo dei servizi sociali sull'evento della separazione coniugale, che
eviti o neutralizzi soprattutto la contesa tra i coniugi per strapparsi i
figli l'un l'altro.
Nel nostro campione, vediamo più frequente la
tendenza dei genitori a «perdere» i figli in istituto, come i genitori di Pollicino nel bosco, soprattutto quando
si uniscono ad altro partner e privilegiano i figli avuti con questo.
Ricordiamo che circa un sesto del nostro contingente
di figli di genitori separati istituzionalizzati è, più o
meno gravemente, affetto da handicap e quindi tanto più bisognoso di
cure materne e paterne. (Si tratta, per la precisione
di 80 minori, 29 dei quali handicappati fisici e 51 psichici).
Bisogna, purtroppo, rilevare che il comportamento degli sposati che si separano non è molto
diverso da quello dei non sposati o delle famiglie di fatto che, pure, prima o
poi si separano o riconoscono tardivamente i figli.
Dai colloqui appare che i figli vengono
spesso concepiti, anche se in condizioni di massima instabilità della coppia,
deliberatamente, con motivazioni del tutto estranee a quella di «bene del
minore». Per quanto concerne le madri: «per tener legato l'uomo», «per avere
compagnia», «per realizzare se stesse» ecc., sempre in
base al concetto di fondo che «il figlio è mio e ne faccio quel che mi pare».
Quanto ai padri, spesso ritengono che l'esser lei
incinta sia la riprova tangibile della propria virilità, oppure considerano il
figlio come «uno spiacevole incidente capitato a lei».
In complesso, un quadro che è indice generale di
paternità irresponsabile e di ineducazione sessuale e
morale, che deve imporre dei ripensamenti seri a tutti gli organismi che
hanno, tra i loro compiti, l'orientamento del costume e della morale, non
esclusa la Chiesa cattolica e tutte le altre Chiese.
Non sappiamo se per deformazione professionale (dato
che ci occupiamo da tanti anni di affido familiare),
ci è sembrato che induca a maggior ottimismo il panorama di quella diversa forma
di intervento a tutela del minore, che è l'affido familiare.
Come abbiamo detto, il 43%
circa degli affidi operati nel 1986 tramite il CAM riguardava proprio figli di
genitori sposati e separati in giudizio o meno.
In genere, già il fatto che i genitori accettino
l'affido, cioè questa forma di intervento, che li
obbliga a rapporti col bimbo e con la famiglia affìdataria
assai più impegnativi e controllati che non l'istituto, dà a sperare che vi sia
maggior senso di responsabilità nei genitori stessi. Inoltre, il bambino in
affido ha possibilità molto maggiori di esprimersi, dì sfogare la sua angoscia
e di «elaborare il lutto» per la sua famiglia che gli sembra di aver perso, di
esprimere i suoi sensi di colpa, di esser curato in maniera personalizzata.
Infine, i genitori separati, al contatto con la
famiglia affidataria, sono stimolati ad una verifìca delle proprie posizioni
in senso emulativo.
Esponiamo brevemente qui di seguito uno dei nostri 22
casi che ci sembra esemplifichi un andamento globalmente positivo
da tener presente.
Dalla scheda del caso di affidamento familiare di Antonio
È nato a Milano nel novembre del 1977. È un bel
bambino, molto intelligente, ma affetto da disagio
psichico grave, con comportamenti bizzarri (fiutare, abbaiare, leccare). In
collegio, ha ingerito 3 pastiglie di barbiturici, imitando il gesto più volte
fatto dalla madre. È in psicoterapia dal 1984.
Il suo status giuridico è quello di figlio legittimo
di genitori sposati e separati: molto più giovane il padre e
piuttosto infantile, più anziana la madre, malata psichiatrica.
AI momento dell'affido, Antonio ha 8 anni e mezzo e frequenta
la 311 elementare con scarso profitto: legge abbastanza bene, ma non
sa praticamente scrivere.
È stato coinvolto, fin da piccolissimo, nei litigi
dei genitori ed ha assistito alle loro violenze verbali e fisiche. La madre ha
tentato più volte il suicidio, l'ultima volta coinvolgendo il bambino e facendo
ingoiare anche a lui pastiglie di barbiturici. A seguito di questo
episodio, il bimbo è stato ricoverato in istituto (all'età di 7 anni) e
vi è rimasto sino al collocamento in affido familiare, avvenuto nel giugno del
1986.
Antonio, quindi, é stato in istituto un anno e mezzo
ed è in affido familiare da 11 mesi.
Il Tribunale per i minorenni di Milano ha emesso due
decreti, affidando il bimbo al comune di origine «per il più idoneo collocamento» nell'84
e «per il collocamento in idonea famiglia
affidataria» nell'86.
Il CAM, su richiesta del
comune di origine, propone una famiglia affidataria a
lui ben nota, perché ha già fatto un ottimo servizio di affido con un
adolescente che è da poco rientrato nella famiglia d'origine.
Gli affidatari vivono
nell'hinterland milanese molto vicino al comune di Antonio,
in una villetta a schiera. Hanno 48 e 47 anni e due figlie studentesse di 20
e 18 anni.
Essi avevano, a suo tempo, risposto ad un appello su
«Famiglia cristiana», dichiarandosi disponibili per
l'accoglienza ad un maschio anche grandicello.
Oltre alle motivazioni sociali e religiose della coppia, inespressa, ma abbastanza
chiara era quella di avere esperienza di un figlio maschio in casa, dopo aver
avuto due figlie femmine.
Si prevede un affido per la durata dell'anno
scolastico 1986-87 con l'impegno per la famiglia affidataria,
di mantenere intensi i rapporti fra il minore e i genitori.
La madre trascorrerà ogni giovedì pomeriggio con
Antonio in casa degli affidatari e il padre andrà a
prenderlo ogni sabato a scuola, riportandolo la domenica sera presso gli affidatari.
Inoltre la affidataria dovrà accompagnare il bambino due volte alla
settimana presso la psicoterapeuta nella città più vicina.
La preparazione del bambino all'affido viene fatta dall'assistente sociale, dalla psicoterapeuta e
dalla stessa madre.
Il comportamento di Antonio
all'inizio è esasperante: abbaia, annusa, miagola, mette tutto in rima,
registra le sgridate sul registratore, si annusa, dice: «mi annuso perché se mi perdo, mi riconosco e mi ritrovo».
Incolpa i genitori di essere separati; ha un riso
isterico.
È, però, molto avanti per la sua età e dice frasi
come: «Io sono preoccupato per il mio futuro...», «Mi piacerebbe andare alla "settimana bianca" ma non posso, perché devo riunire i miei
genitori»; poi aggiunge: «Il problema
è che i miei genitori bisticciano» e ancora «La vita non è interessante, vorrei tirar
fuori tutte le lacrime che ho cacciato dentro».
A scuola rifiuta di fare il tema intitolato «Odori
di casa mia» e giustifica: «È che io non ho una casa, ho tre posti dove sto».
Però quando, avvicinandosi la scadenza dell'affido, l'affidatario gli dice: «Tu
tornerai o dal papà o dalla mamma e se hai bisogno di noi ci telefoni, eccoti
il numero di casa nostra», Antonio senza esitazione dice: «Sì va bene, ma dammi anche quella del tuo
studio!».
Nel corso dell'affido Antonio fa degli enormi
miglioramenti, anche a scuola. Dice: «Mi
sembra di diventare un po' più ambizioso» (ciò vuol dire
che ora è più contento di se stesso). Non annusa, non abbaia, non miagola più,
è meno irrequieto; ma ancora quando torna da casa sua, gli affidatari
se lo trovano fuori della porta di camera loro, seduto per terra che dice: «Ho lo stimolo, ma non riesco a dormire,
perché sono le lacrime che ho sempre cacciato dentro, che tornano fuori ...», «I miei genitori bisticciano, e io devo fare da arbitro»
e poi: «Ma io, da chi
devo prendere esempio?».
Gli affidatari partecipano
ai gruppi di sostegno del CAM. I rapporti tra le due famiglie non potrebbero essere migliori, ma il bambino si sente troppo
responsabile degli adulti e gli affidatari invocano
un regime di visite che lasci al bambino più spazio per essere bambino.
I frequenti colloqui dei genitori di
Antonio con gli psicoterapeuti del consultorio familiare della USSL
locale e il contatto settimanale con i coniugi affidatari
sono stati un'importante spinta verso un miglioramento del rapporto dei coniugi
fra loro, anche se non appare alcun segno concreto per una ricostruzione di un
focolare domestico.
La madre si è trovata un alloggio, e, sia pur
precariamente, un lavoro; il padre, dopo la separazione, ha reso agibile il
retrobottega del suo negozio di articoli casalinghi,
creando uno spazio di circa 30 mq. in cui è previsto un angolo di cottura e uno
di soggiorno dove ospitare Antonio.
Tuttavia, nessuno dei due genitori risulta, allo
scadere dell'anno di affido, disponibile a riaccogliere
Antonio: non la madre ancor fragile, che già lo aveva delegato all'istituto e
che si sente più tranquilla sapendolo dagli affidatari;
non il padre che ha lasciato intendere che lo potrebbe riaccogliere meglio alla
fine della scuola dell'obbligo, quando Antonio fosse in età di aiutarlo in
negozio.
Oggi, ad un anno quasi scaduto, il giudizio degli affidatari sull'affido è severo: hanno l'impressione di
curare i genitori attraverso e a spese del bambino.
Non si sentono disponibili a prolungare l'affido, a meno che sia dato loro maggiore spazio per decidere circa
le visite, gli impegni e gli svaghi di Antonio: lamentano che Antonio stia con
loro solo nei giorni di studio, di doveri e di paternali. Dicono agli operatori:
«Il nostro è un parcheggio per i soli
giorni di fatica». Gli operatori del territorio invece, dicono: «L'affido è perfettamente
riuscito; i genitori sono maturati; il bambino sta molto meglio».
La terapeuta dice: «Voi non ve ne accorgete, ma il bambino è irriconoscibile. Un rientro
in famiglia oggi è impensabile. Un rientro in istituto sarebbe tragico per la
salute di Antonio. Vi chiediamo di rinnovare la vostra
disponibilità e siamo a vostra disposizione per
trattare le condizioni. La prospettiva è di un affido protratto fino alla fine
della scuola dell'obbligo: forse allora sarà davvero possibile collocare un Antonio cresciuto e fortificata presso il padre, con
frequenti rapporti anche con la madre».
Proprio in questi giorni, gli affidatari
hanno sciolto la riserva e accettato il prolungarsi dell'affido con un notevole
cambiamento del programma, nel senso da loro auspicato.
Riflettendo su tutto questo, la prima tentazione è quella di dire: «Bella
forza: bambino intelligente, genitori bonaccioni e docili, affidatari
eccezionali, servizio sociale sollecito e duttile. ...
si fa presto a fare riuscire un affido; questa è una eccezione bella e buona!».
Ma non é così: questa situazione non aveva nulla di eccezionale, come dimostra il tenore del più recente dei
due decreti del Tribunale per i minorenni: «Considerato
che il minore si trova in comunità da più di un anno; che la situazione
personale dei genitori del minore (che nel frattempo si sono separati) non
garantisce ancora la possibilità di un rientro in famiglia né con l'uno né con
l'altro di loro; ritenuto, pertanto, opportuno che il minore sia
temporaneamente inserito in un nucleo familiare affidatario
che possa aiutarlo a superare i suoi problemi, mantenendo i rapporti con i
genitori; rilevato, altresì, che il minore presenta una situazione psicologica
preoccupante che richiede un intervento psicoterapetetico; visto il parere del P.M.;
visti gli artt. 333 c.c., 2 e 4 legge 4.5.83 n. 184; dispone:
1) che il
minore Antonio sia collocato in idonea famiglia affidataria
a cura del Comune di XY e dell'USSL per la durata dell'anno scolastico 1986-87;
2) che i servizi sociali dell'USSL regolamentino i rapporti del minore
con i genitori;
3) che il
minore sia sottoposto ad una opportuna psicoterapia;
si notifichi ai genitori, al Comune di XY, all'USSL.
Milano,
17.4.86 Il
Presidente»
Un decreto come tanti altri, in cui il tribunale,
sulla scorta delle notizie raccolte e in ossequio all'art. 2 della legge n.
184/1983, dichiara esplicitamente di preferire l'intervento-affido rispetto
all'intervento-istituto.
L'eccezionalità sta, forse, nella risposta dei
servizi sociali; come abbiamo visto, solo 22 bambini su 490, cioè solo il 4,5% di figli di separati trova, per ora, accoglienza
in famiglie affidatarie, mentre la norma degli interventi, a conti fatti, è
ancora i1 collocamento in istituto, più costoso per 1e Amministrazioni locali
in termini di denaro, ma molto più sbrigativo in termini di investimento
sociale e operativo.
Nel caso sopra esposto, il lavoro è stato tanto, ma
ben condotto e, quindi, soddisfacente; i frequenti contatti iniziali tra le
due famiglie hanno un po' stressato la famiglia affidataria, ma molto rassicurato quella d'origine, che,
all'inizio, era tutt'altro che collaborante ed aveva
fatto slittare, con manovre varie, tutta l'operazione di ben sei mesi. Forse si
potevano diluire le visite dei genitori naturali il primo anno o abbreviarne i
tempi: comunque i genitori sono maturati.
In affido, il bambino ha fruito di una
osservazione attenta, quotidiana, affettuosa, utile sia sui piano
diagnostico, sia su quello terapeutico: da un lato, Antonio ha potuto sfogare la
sua angoscia ed il suo lutto, dall'altro, ha avuto l'esperienza nuovissima di
una famiglia dove anche le sgridate danno sicurezza e dove genitori e figli
vanno d'accordo, anche senza regali e smancerie, nel disbrigo dei quotidiani
doveri.
I servizi del territorio della famiglia d'origine
hanno puntato correttamente i loro sforzi sul lato terapeutico oltre che su
quello puramente socioassistenziale; e non hanno mai
perso d'occhio l'obiettivo di responsabilizzare la coppia dei genitori
portandola a capire il bene del bambino s a posporre il proprio.
Non è dunque vero che gli affidi di figli di separati
vadano bene solo se le varie componenti siano tutte
eccezionali; basta che lavorino con disponibilità più simile a quella di un
medico di guardia in ospedale o di un giudice di turno in tribunale per i
minorenni (con reperibilità telefonica anche il sabato e sto per dire anche la
domenica) piuttosto che simile a quella di un normale nostro ufficio
burocratico, e che non si sottovaluti il volontariato che sta alla base
dell'intera operazione attraverso quei cardine dell'operazione stessa che è
la famiglia affidataria e la sua capacità di ispirare
fiducia alla famiglia di origine.
Famiglia in difficoltà e tutela del bambino ci sembra
meritino questo grosso sforzo.
* * *
ANNO 1986 Minori
osservati in: |
|
64
su 110 istituti di Milano e dintorni (mancano 46 istituti con circa 1028 minori)
perché non ancora inviate le schede in aprile 1987 .
. . . . . |
1399 |
55
comunità di Milano e dintorni . . |
356 |
53
affidi familiari tramite CAM . . |
53 |
Totale |
1808 |
|
|
Figli
di genitori separati: |
|
in
istituto |
398 |
in
comunità |
70 |
in
affido |
22 |
Totale |
490 |
|
|
Separazioni
legali |
74 |
Separazioni
di fatto |
346 |
Manca
informazione sulle separazioni dalle
comunità |
70 |
Totale |
490 |
(1) Relazione presentata al Convegno «Famiglie in difficoltà e tutela del bambino», Sirmione,
28-29-30-31 maggio 1987.
(2) CAM - Centro Ausiliario Minorile.
www.fondazionepromozionesociale.it