ILLEGALE L'IMPOSIZIONE
DA PARTE DEGLI ENTI ASSISTENZIALI DI CONTRIBUZIONI
ECONOMICHE AI PARENTI TENUTI AGLI ALIMENTI
Numerosi
sono gli enti pubblici assistenziali che impongono ai
parenti tenuti agli alimenti il versamento di contributi economici, spesso molto
gravi. Al riguardo ricordiamo il caso di due anziani «che per non far pagare delle cifre così grosse ai
parenti, si sono lasciati morire, hanno smesso di mangiare e a
un certo punto se ne sono andati» (1). È
sintomatico che nessuno dei vari enti, ai quali la decisione di suicidio era
stata comunicata, si sia mosso: è stata in tal modo
fornita un'altra prova della «umanità» del settore assistenziale
Il problema
dei doveri dei familiari tenuti agli alimenti è stato affrontato da Massimo Dogliotti, giudice del Tribunale di Genova e docente alla Università della Calabria nell'articolo «I diritti dell'anziano» pubblicato sul numero 3, settembre 87,
della prestigiosa «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile».
Riprendendo
quanto già scritto per Prospettive assistenziali (2) Massimo Dogliotti afferma quanto segue:
«Accanto all'anziano non in grado di provvedere ai propri interessi, l’anziano privo di sufficienti
mezzi di sussistenza. È vero che in tal caso lo Stato interviene con la
pensione sociale, al compimento dei sessantacinque anni. Ma anche la pensione
sociale (di importo assai limitato) non esclude lo
stato di bisogno del soggetto. L'anziano (ed ogni soggetto) indigente ha
dunque diritto agli alimenti. L'obbligo alimentare è disciplinato dal titolo
XIII, libro I del codice civile, art. 433 ss. Si distingue in genere tra
alimenti, che costituirebbero lo stretto necessario per mantenere in vita il
soggetto, e mantenimento, che si configura come nozione più ampia, quale complesso
di prestazioni, che soddisfano le esigenze di vita dell'individuo, anche in relazione alla sua collocazione economico-sociale.
«Da un lato dunque obbligo di
mantenimento tra i coniugi e nei confronti dei figli minori, come contributo
ai bisogni della famiglia, in proporzione
alle sostanze e alle capacità di lavoro professionale e casalingo di ciascuno (artt. 143 e 148 c.c.). E in caso di inadempimento
dei genitori, saranno tenuti a concorrere al mantenimento della prole, in
ordine di prossimità, gli ascendenti legittimi o naturali (art. 148 c.c.).
L'obbligo di mantenimento tra i coniugi permane anche dopo la separazione, ove
uno di essi non abbia adeguati redditi propri (art.
156 c.c.) tranne che non sia a lui addebitabile la separazione: in tal caso
avrebbe diritto soltanto ad un assegno alimentare. Cessa ogni obbligo con il
divorzio, anche se è prevista la possibilità di un assegno, di natura
composita, ma prevalentemente alimentare, a favore dell'ex coniuge, finché non
passi a nuove nozze. È previsto infine un obbligo dei figli di contribuire al
mantenimento dei genitori, in caso di convivenza con essi
(art. 315 c.c.).
«Se dunque la nozione di mantenimento è strettamente
inerente al rapporto di coniugio e filiazione, al contrario quella di alimenti si estende ad una più ampia fascia di parenti.
All'obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell'ordine, il coniuge, i
figli legittimi, naturali, adottivi o, in mancanza, i discendenti prossimi,
l'adottante nei confronti del figlio adottivo, i genitori o, in mancanza, gli
ascendenti prossimi, i generi e le nuore il suocero e
la suocera, i fratelli (art. 433 c.c.). Ancora, il destinatario di una
donazione è tenuto, con precedenza su ogni altro, a prestare gli
alimenti al donante (art 437).
«Il codice civile detta, com'è noto, una disciplina
minuta e particolareggiata della materia: gli alimenti sono chiesti da chi
versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio
mantenimento, e sono assegnati in proporzione al bisogno appunto di chi li
domanda e alle condizioni economiche di chi li deve somministrare (art. 438
c.c.). Mutando le condizioni economiche di chi li somministra o di chi riceve
gli alimenti, l'autorità giudiziaria può provvedere per la cessazione,
riduzione, aumento, secondo le circostanze (art. 440 c.c.). Ancora, l'obbligo
alimentare può essere adempiuto, a scelta del
soggetto tenuto, mediante un assegno periodico ovvero accogliendo e mantenendo
nella propria casa colui che ne ha diritto (art. 443 c.c.). Ma
può la stessa autorità giudiziaria determinare il modo di somministrazione, e
quindi, secondo alcune interpretazioni, eventualmente disporre perché il
soggetto obbligato, anche contro la sua volontà, accolga in casa il congiunto
che ne ha diritto.
«In realtà l'obbligo alimentare, e soprattutto la
previsione di una così ampia fascia di parenti tenuti, appare indubbia
espressione di una società assai diversa dall'attuale,
nella quale era diffuso il modello di famiglia patriarcale, caratterizzata da
una solidarietà allargata, mentre l'assistenza pubblica era sostanzialmente
inesistente. Assai differente il quadro delineato dalla carta costituzionale
(e che meglio rispecchia l’odierno contesto sociale):
è vero che si richiede correttamente a tutti i cittadini (e quindi sicuramente
anche ai familiari) l'adempimento degli obblighi di solidarietà (art. 2 cost.),
tuttavia le funzioni assistenziali sona assunte direttamente dallo Stato:
servizi sociali (sanità, scuola, ecc.) per tutti i cittadini, sistema
previdenziale per i lavoratori, assistenza per gli inabili al lavoro sprovvisti
dei mezzi di sussistenza (art. 38 cost.). È noto altresì che a seguito del
d.p.r. n. 616 del 1977 tutte le funzioni assistenziali,
precedentemente disperse tra i più diversi enti ed organi, sono state per gran
parte attribuite ai Comuni, che naturalmente, in attesa di una legge-quadro
sull'assistenza, debbono fornire le loro prestazioni secondo le indicazioni e
nei limiti della legislazione fino ad oggi vigente.
«Si è detto talora che la disciplina alimentare si
porrebbe in contrasto con un avanzato sistema di sicurezza sociale: in realtà
sembra potersi affermare che non sussiste contrasto, in quanto obbligazione
alimentare e prestazione assistenziale, rispondano a
logiche e si muovono in prospettive tra loro totalmente differenti, l'una privatistica, l'altra pubblicistica, senza possibilità
alcuna di collegamento o - ancor peggio - di contaminazione. Non si potrebbe
dunque sostenere che l'assistenza pubblica si indirizzi
ai «poveri» solo in via sussidiaria, quando non esistano parenti tenuti agli
alimenti. E ciò, come si diceva, perché l'assistenza
è funzione fondamentale dello Stato moderno, e i suoi compiti non possono
essere delegati o meglio scaricati esclusivamente sulla famiglia. Tale
esigenza trova un preciso riscontra di carattere processuale: non è data
possibilità all'ente erogatore di assistenza di
chiamare in giudizio i parenti tenuti agli alimenti per sentirli condannare
all'adempimento della prestazione nei confronti del congiunto povero. Si
tratta di un rapporto privato tra il soggetto che ha diritto e il parente
obbligato, senza possibilità alcuna di interferenza da
parte dello ente pubblico. Spetterà solo a chi è privo di mezzi di
sostentamento, ancorché destinatario di prestazioni pubbliche, decidere
discrezionalmente se agire o meno nei confronti degli
obbligati, per alimenti. Ogni sostituzione processuale sarebbe inammissibile.
«Esclusa dunque ogni possibilità di
azione da parte dell'ente erogatore, che non è legittimato a rivalersi
sui parenti tenuti, esso potrebbe eventualmente indirizzare il «povero» al
gratuito patrocinio (ma sempre che questi intenda promuovere il giudizio
alimentare); più ampio spazio di manovra vi sarà soltanto nel caso che il povero
non appaia in grado di provvedere ai propri interessi: l'ente potrà inviare un
rapporto alla procura della Repubblica, che, ove lo ritenga opportuno,
promuoverà una causa di interdizione. In tal caso spetterà comunque
al tutore la scelta discrezionale sulla richiesta degli alimenti. È pur vero
infine che i parenti tenuti, se inadempienti alla relativa prestazione,
potrebbero incorrere in responsabilità penale per violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), ma ancora una volta
solo su querela del diretto interessato.
«È appena il caso di osservare che i tentativi di
giustificare un potere di sostituzione processuale dell'ente erogatore, di
fronte alla chiara dizione della legge, sono destinati al fallimento. Così il
riferimento all'art. 7 della legge del 1890, n. 6872, per cui
spetta alla congregazione di carità (poi Eca, oggi
Comune) la cura degli interessi dei poveri e la loro rappresentanza legale dinanzi
all'autorità amministrativa e a quella giudiziaria. La norma è stata da sempre
interpretata (e non poteva essere che così) come previsione
di salvaguardia e protezione verso i «poveri» visti come classe, collettività
(ad es. procurando che la volontà dei testatori o donanti genericamente a
favore dei poveri fosse pienamente attuata) e non nei confronti del singolo
individuo. Né miglior fortuna potrebbe avere l'uso di uno strumento privatistico, come l'azione per ingiustificato
arricchimento proposto dall'ente erogatore di assistenza,
cui in genere ci si riferisce come extrema ratio...
quando non si hanno altre risorse cui richiamarsi. In ogni caso il riferimento
è del tutto errato. Non si potrebbe parlare di ingiustificato
arricchimento per il parente tenuto agli alimenti finché questi non siano
richiesti appunto dal soggetto che ne ha diritto.
«Dunque, per concludere,
nessuna possibilità di sostituzione o rivalsa da parte dell'ente erogatore.
Non si vuole evidentemente, con queste affermazioni, incoraggiare la famiglia
ad infrangere gli obblighi verso un suo componente
che sono senza dubbio morali prima ancora che giuridici, si vuole invece
ancora una volta ribadire che obbligo alimentare e prestazione assistenziale
rispondono a logiche diverse e non vanno confusi (anche sé confusioni e
commistioni fanno molto comodo a chi - e sono oggi in molti - predica la fine
dei sistemi di sicurezza sociale). «Si sono dati due esempi molto significativi. Altri se ne potrebbero dare, ma non è questa la sede per farlo. Importante è che la dottrina (soprattutto
quella civilistica), colmando un
notevole ritardo culturale e recuperando il tempo perduto, si apra alla
problematica dell'anziano individuandone diritti e forme di protezione, pur
nell'ambito della normativa vigente, e delineandone di nuove, in prospettiva
di riforma (sempre peraltro senza cadere nella tentazione di ipotizzare una
normativa ad hoc, esclusiva per l'anziano, che potrebbe costituire fonte di
una nuova emarginazione).
«Alcuni anni fa, proponendosi una definizione particolarmente puntuale, si era affermato che non si
dovrebbe più parlare di “diritto dei minori”, ma di “diritto dei diritti dei
minori”. Perché dunque non parlare oggi più ampiamente che in
passato (e con i necessari approfondimenti) del “diritto dei diritti
dell'anziano”?».
(1) Cfr. Regione Emilia Romagna, Le
residenze protette per anziani - Atti del convegno di Modena del 28, 29 e 30
ottobre 1982. L'USSL Alta Val d’Elsa obbliga coloro che richiedono
un intervento assistenziale a sottoscrivere una
dichiarazione in cui devono essere addirittura indicati i redditi dei parenti,
anche non conviventi!
(2) Cfr.
Massimo Dogliotti, «Obbligo alimentare e prestazione
assistenziale», in Prospettive
assistenziali, n. 72, ottobre-dicembre 1985.
www.fondazionepromozionesociale.it