Notiziario del Centro italiano per
l'adozione internazionale
ASPETTI
PSICOLOGICI DEL PERIODO ADOLESCENZIALE (ultima
parte) (1)
Se entriamo nel merito di una valutazione più
generale del lavoro svolto a Marina Romea, prendendo in considerazione anche la
parte più discorsiva dell'incontro, vediamo che il problema dell'integrazione,
intesa come integrazione razziale e quindi come difficoltà inerenti a un senso di diversità somatica, ha assunto un valore meno
intenso, come se da un primo piana più esterno di rapporto con la socialità si
fosse passati a un piano più interno di rapporto con il sé e con i soggetti
interagenti con i quali la relazione è più significativa. È interessante
altresì notare come le risposte dei «non adottivi» (sia pure non significativi quantitativamente) siano praticamente
omogenee a quelle degli «adottivi».
Rispetto quindi all'incontro dell'anno precedente vi
sono dei mutamenti: più intimismo, più capacità/possibilità di esprimere i
propri sentimenti, minore utilizzo delle difese.
La volta precedente c'era stato un continuo riferirsi
all'«essere altro», al «non sentirsi bene nella propria pelle», ora si ha
l'impressione di trovarsi di fronte a un gruppo che
accetta, con maggiore tolleranza, la propria «italianità» ed i propri dubbi
esistenziali, caratteristici di questa fase evolutiva.
A Lido Adriano erano più manifesti
i problemi legati al passato, a Marina Romea sembra prevalere l'«hic et nunc»,
il disagio quotidiano di un rapporto spesso conflittuale con il nucleo familiare,
con la scuola, con il gruppo dei pari.
Ciò non può voler dire che
il passato non esiste, che magicamente sono scomparsi i problemi inerenti le
proprie radici, l'abbandono, le fantasie riparatorie
nei confronti dei genitori naturali, ma potrebbe significare che vi è comunque
una evoluzione, una maggiore attinenza alla realtà, una maggiore assimilazione
ai coetanei.
Quanto finora esposto può ricollegarsi con
l'introduzione: l'adolescenza è un momento di crisi, questa crisi viene affrontata da ogni individuo con le risorse che ha a
disposizione. La qualità delle risorse dipende da come la
persona attraversa le varie fasi di sviluppo, le carenze vissute nelle
fasi di sviluppo possono determinare situazioni a rischio.
Il figlio adottivo è un soggetto a rischio: l'attivazione di misure compensatorie
può ricondurre i soggetti a rischio in ambiti di «crisi normale»?
Vanno ulteriormente ribaditi i limiti del materiale
a disposizione, sia quantitativi (numero dei soggetti osservati e degli ambiti
esplorati), sia qualitativi (profondità dell'indagine individuale e di gruppo,
tipo di stimolazioni somministrate), ma è sembrato importante cogliere delle
tendenze, visto che materiale di studio sistematico in questa
area non esiste ancora.
Alcuni studi fatti sui figli adottivi, perlomeno
quelli che hanno raggiunto maggior diffusione e sono quindi consultabili, pur
nella serietà degli intenti e dell'esposizione, rischiano di rafforzare
alcuni elementi di pregiudizio che ancora permangono nei confronti dell'adozione,
in generale, e dell'adozione internazionale in particolare.
È sicuramente interessante lo sforzo di valutare ed
analizzare gli effetti che il fenomeno adozione comporta, ma se lo studio di
casi individuali viene poi utilizzato per audaci
proiezioni tendenti a classificazioni generiche, si rischia di procedere per
stereotipi e banalizzazioni; risulta quindi fondamentale che quando si
estrapolano elementi di esperienze singole per costituire categorie generali,
si utilizzino dei campioni di controllo (in questo caso minori adottati e
minori non adottati) che consentano una migliore qualificazione e
quantificazione delle problematiche emergenti. Da ciò si evince, ancora una
volta, la necessità di uno studio ampio e sistematico dell'istituto adozionale e dei suoi effetti, che possa
effettivamente divenire uno strumento di consultazione, dal quale partire per
approfondimenti e analisi mirate. Questa esigenza è particolarmente intensa
per evitare che anche gli operatori e gli esperti dell'argomento, oltre ai
genitori adottivi, pensino che la luna abbia effettivamente dimora in fondo
al pozzo, senza rendersi conto che laggiù vi è solo il suo riflesso.
Ritornando al materiale raccolto va comunque ribadito che i concetti di rassicurazione affettiva,
senso di appartenenza, vissuto di accettazione, sono lontani dalla realtà del
minore abbandonato ed anche quando, con l'adozione, si costituiscono delle
condizioni compensative, non si é sempre in grado di rimarginare le lacerazioni
che si sono prodotte durante un percorsa distorto e inadeguato. Ciò nonostante
è importante garantire la possibilità di ricucire la maggior parte degli
strappi esistenti e, successivamente, fornire,
attraverso la propria presenza, disponibilità e capacità di comprensione, degli
argini il più possibile resistenti che l'adolescente adottivo possa utilizzare
per giungere non troppo malconcio ad una maggiore quiete e stabilità, cioè
all'età adulta.
In conclusione, non si può certo sostenere che la
crisi adolescenziale investa solo i figli adottivi, italiani o stranieri che
siano, ma va riproposto il fatto che un figlio
adottivo è un individuo che «parte in salita» e che, come tutti coloro che
devono sopportare delle difficoltà troppo precocemente, necessita di
particolari interventi compensatori.
In sostanza, al di là dei
problemi individuali dell'adolescente, in generale e di quello adottato in
particolare, in ogni caso è nel rapporto che i genitori instaurano con la
«crisi» che si pongono i presupposti per una sua parziale risoluzione. Da qui
si ripropone il problema che l'adozione
internazionale non è una possibilità di tutti, indiscriminatamente, bensì è una
soluzione proponibile solo ad alcune famiglie che presentino particolari e
specifiche caratteristiche, non inglobabili semplicemente nell'affettività e
nel desiderio di adottare, ma riconducibili a più complesse capacità di
elaborazione psicologica della propria realtà e di quella del figlio adottivo.
Si può naturalmente affermare che questa dovrebbe essere la caratteristica di
tutti i genitori, adottivi e non, ma mentre nel secondo caso la natura consente
che certe caratteristiche siano un «optional» nel primo si deve prevedere che
esse siano presenti «di serie» permettendo così di non trasformare un «soggetto
a rischio» in un «nucleo a rischio».
MASSIMO
CAMIOLO
Specialista
in psicologia e Giudice Onorario del Tribunale per i minorenni di Milano
(1) Le parti precedenti sono state
pubblicate sui n. 79 e 80 di Prospettive
assistenziali.
www.fondazionepromozionesociale.it