Prospettive assistenziali, n. 81, gennaio-marzo 1988

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

ASPETTI PSICOLOGICI DEL PERIODO ADOLESCENZIALE (ultima parte) (1)

 

Se entriamo nel merito di una valutazione più generale del lavoro svolto a Marina Romea, prendendo in considerazione anche la parte più discorsiva dell'incontro, vediamo che il problema dell'integrazione, intesa come integrazione razziale e quindi come difficoltà inerenti a un senso di diversità somatica, ha assunto un valore meno intenso, come se da un primo piana più esterno di rapporto con la socialità si fosse passati a un piano più interno di rapporto con il sé e con i soggetti interagenti con i quali la relazione è più significativa. È interessante altresì notare come le risposte dei «non adottivi» (sia pure non significativi quantitativamente) siano praticamen­te omogenee a quelle degli «adottivi».

Rispetto quindi all'incontro dell'anno preceden­te vi sono dei mutamenti: più intimismo, più capa­cità/possibilità di esprimere i propri sentimenti, minore utilizzo delle difese.

La volta precedente c'era stato un continuo ri­ferirsi all'«essere altro», al «non sentirsi bene nella propria pelle», ora si ha l'impressione di tro­varsi di fronte a un gruppo che accetta, con mag­giore tolleranza, la propria «italianità» ed i pro­pri dubbi esistenziali, caratteristici di questa fa­se evolutiva.

A Lido Adriano erano più manifesti i problemi legati al passato, a Marina Romea sembra preva­lere l'«hic et nunc», il disagio quotidiano di un rapporto spesso conflittuale con il nucleo familia­re, con la scuola, con il gruppo dei pari.

Ciò non può voler dire che il passato non esi­ste, che magicamente sono scomparsi i problemi inerenti le proprie radici, l'abbandono, le fanta­sie riparatorie nei confronti dei genitori naturali, ma potrebbe significare che vi è comunque una evoluzione, una maggiore attinenza alla realtà, una maggiore assimilazione ai coetanei.

Quanto finora esposto può ricollegarsi con l'introduzione: l'adolescenza è un momento di crisi, questa crisi viene affrontata da ogni indi­viduo con le risorse che ha a disposizione. La qualità delle risorse dipende da come la perso­na attraversa le varie fasi di sviluppo, le caren­ze vissute nelle fasi di sviluppo possono deter­minare situazioni a rischio.

Il figlio adottivo è un soggetto a rischio: l'at­tivazione di misure compensatorie può ricondur­re i soggetti a rischio in ambiti di «crisi nor­male»?

Vanno ulteriormente ribaditi i limiti del mate­riale a disposizione, sia quantitativi (numero dei soggetti osservati e degli ambiti esplorati), sia qualitativi (profondità dell'indagine individuale e di gruppo, tipo di stimolazioni somministrate), ma è sembrato importante cogliere delle tenden­ze, visto che materiale di studio sistematico in questa area non esiste ancora.

Alcuni studi fatti sui figli adottivi, perlomeno quelli che hanno raggiunto maggior diffusione e sono quindi consultabili, pur nella serietà de­gli intenti e dell'esposizione, rischiano di raffor­zare alcuni elementi di pregiudizio che ancora permangono nei confronti dell'adozione, in ge­nerale, e dell'adozione internazionale in parti­colare.

È sicuramente interessante lo sforzo di valuta­re ed analizzare gli effetti che il fenomeno ado­zione comporta, ma se lo studio di casi individua­li viene poi utilizzato per audaci proiezioni ten­denti a classificazioni generiche, si rischia di pro­cedere per stereotipi e banalizzazioni; risulta quindi fondamentale che quando si estrapolano elementi di esperienze singole per costituire ca­tegorie generali, si utilizzino dei campioni di con­trollo (in questo caso minori adottati e minori non adottati) che consentano una migliore qua­lificazione e quantificazione delle problematiche emergenti. Da ciò si evince, ancora una volta, la necessità di uno studio ampio e sistematico dell'istituto adozionale e dei suoi effetti, che possa effettivamente divenire uno strumento di consul­tazione, dal quale partire per approfondimenti e analisi mirate. Questa esigenza è particolarmen­te intensa per evitare che anche gli operatori e gli esperti dell'argomento, oltre ai genitori adot­tivi, pensino che la luna abbia effettivamente di­mora in fondo al pozzo, senza rendersi conto che laggiù vi è solo il suo riflesso.

Ritornando al materiale raccolto va comunque ribadito che i concetti di rassicurazione affetti­va, senso di appartenenza, vissuto di accettazio­ne, sono lontani dalla realtà del minore abbando­nato ed anche quando, con l'adozione, si costitui­scono delle condizioni compensative, non si é sempre in grado di rimarginare le lacerazioni che si sono prodotte durante un percorsa distorto e inadeguato. Ciò nonostante è importante garantire la possibilità di ricucire la maggior parte de­gli strappi esistenti e, successivamente, fornire, attraverso la propria presenza, disponibilità e ca­pacità di comprensione, degli argini il più possi­bile resistenti che l'adolescente adottivo possa utilizzare per giungere non troppo malconcio ad una maggiore quiete e stabilità, cioè all'età adulta.

In conclusione, non si può certo sostenere che la crisi adolescenziale investa solo i figli adot­tivi, italiani o stranieri che siano, ma va ripropo­sto il fatto che un figlio adottivo è un individuo che «parte in salita» e che, come tutti coloro che devono sopportare delle difficoltà troppo preco­cemente, necessita di particolari interventi compensatori.

In sostanza, al di là dei problemi individuali dell'adolescente, in generale e di quello adotta­to in particolare, in ogni caso è nel rapporto che i genitori instaurano con la «crisi» che si pongono i presupposti per una sua parziale risoluzio­ne. Da qui si ripropone il problema che l'adozio­ne internazionale non è una possibilità di tutti, indiscriminatamente, bensì è una soluzione pro­ponibile solo ad alcune famiglie che presentino particolari e specifiche caratteristiche, non inglo­babili semplicemente nell'affettività e nel desi­derio di adottare, ma riconducibili a più comples­se capacità di elaborazione psicologica della pro­pria realtà e di quella del figlio adottivo. Si può naturalmente affermare che questa dovrebbe es­sere la caratteristica di tutti i genitori, adottivi e non, ma mentre nel secondo caso la natura consente che certe caratteristiche siano un «optional» nel primo si deve prevedere che esse siano presenti «di serie» permettendo così di non trasformare un «soggetto a rischio» in un «nucleo a rischio».

MASSIMO CAMIOLO

Specialista in psicologia e Giudice Onorario del Tribunale per i minorenni di Milano

 

 

 

(1) Le parti precedenti sono state pubblicate sui n. 79 e 80 di Prospettive assistenziali.

 

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