Editoriale
ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI:
DELINEATI I NUOVI ORIENTAMENTI CULTURALI E OPERATIVI
I nuovi orientamenti culturali ed operativi sugli
anziani cronici non autosufficienti non sono più solamente un auspicio; ne sono
state poste le premesse indispensabili.
Lo testimoniano i contenuti delle relazioni del
convegno nazionale di studio «Anziani cronici non autosufficienti: nuovi
orientamenti culturali ed operativi», organizzato dal Centro Studi e Programmi
Sociali e Sanitari, dalla Fondazione Costantini, dalla Fondazione Zancan,
dall'Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali, dal Movimento di Volontariato
Italiano, Federazione regionale della Lombardia e provinciale di Milano e dalla
rivista Prospettive assistenziali, tenutosi a Milano il 20-21 maggio 1988
presso la sala dei congressi della Provincia.
Hanno preso parte, in qualità di relatori, Carlo
Maria Martini, arcivescovo di Milano; Norberto Bobbio, filosofo e senatore a
vita; Fabrizia Fabris, geriatra dell'Università di Torino; Marco Trabucchi,
farmacologo dell'Università di Roma; Domenico Casagrande, direttore dei servizi
psichiatrici dell'Ussl 16 di Venezia; Giovanna Bitto della segreteria
nazionale della Federazione pensionati Cisl di Roma; Pietro Rescigno, giurista
dell'Università di Roma; Massimo Dogliotti, giurista dell'Università della
Calabria, Giorgio Battistacci, presidente della sezione della Corte d'Appello
di Perugia; Paolo Cappellini. giurista dell'Università di Ferrara; Luigi
Pernigotti, geriatra dell'Università di Torino; Rita Lacava, psicologa
dell'Ospedale Molinette di Torino; Enrico Pascal, psichiatra dell'Ussl 28 di
Settimo Torinese; Silvia Marangoni, responsabile del volontariato familiare
Acap - Sant'Egidio di Roma. Ha concluso i lavori Carlo Trevisan, esperto di
programmazione socio-sanitaria.
Il convegno - cui hanno partecipato oltre 750
persone, con ampio dibattito (36 sono stati gli interventi) - segna a nostro
avviso una tappa importante nel confronto in atto nel Paese circa la tutela
dei diritti degli anziani cronici non autosufficienti.
Tanti risvolti
Come ha ricordato Maria Stefani dell’ISTISSS di Roma,
in apertura del convegno, il problema degli anziani cronici non autosufficienti
ha diversi risvolti: etici, sociali, culturali, giuridici, sanitari. Le
organizzazioni promotrici hanno ritenuto necessario affrontare la questione
proprio privilegiando questi aspetti, ben consapevoli che esiste altresì un
problema economico. Problema certamente rilevante, ma che non può avere una
attenzione prioritaria rispetto al diritto di ciascuno ad ottenere quello di
cui ha bisogno per sopravvivere. È stato anche precisato come nel programma
del convegno non siano state inserite tutte le questioni, quali ad esempio la
prevenzione, la riabilitazione, la formazione e l'aggiornamento degli
operatori, gli aspetti istituzionali che riguardano l'organizzazione del
sistema sanitario e il funzionamento delle unità socio-sanitarie locali. Temi
di estremo rilievo che non si potevano tuttavia affrontare nel convegno per mancanza
di tempo.
E’ stato altresì rilevato che il convegno, dalla
scelta dei relatori all'ampio spazio lasciato al dibattito, è stato
organizzato in modo da accentuare il carattere di studio e di approfondimento.
Pertanto non sono stati interpellati come relatori né politici, né
amministratori.
D'altronde, a causa della drammaticità del tema
degli anziani cronici non autosufficienti, occorre dare priorità assoluta ai
valori.
Il moderatore della prima sezione dei lavori,
Leonardo Valente, riprendendo un'intervista trasmessa recentemente dalla
televisione, ha rilevato che l'unico valore che rimane all'anziano che si
appresta al passo definitivo dell'esistenza è la sua dignità umana.
I valori e i diritti umani degli
anziani cronici non autosufficienti
La prima giornata del convegno si è aperta con (e
relazioni del cardinale Carlo Maria Martini e del filosofo e senatore a vita
Norberto Bobbio, rappresentanti significativi e autorevoli delle aree di
pensiero cattolica e laica.
Benché provenienti da differenti cammini di
riflessione e con patrimoni di esperienze maturate in ambienti con
caratteristiche diverse tra loro, entrambi i relatori sano giunti a sostenere
gli stessi orientamenti etici per quanti intendono affrontare - a partire
dall'uomo - il problema degli anziani cronici non autosufficienti.
«Il primo
dato fondamentale con cui siamo chiamati a confrontarci - ha detto
il cardinale Martini - è che l'anziano,
anche quello non autosufficiente, è “persona”... Come ogni persona, allora,
anche l'anziano non autosufficiente interpella profondamente ogni altro uomo
nella sua libertà (...). Questo appello alla libertà si esprime in due
direzioni: da una parte nell'invito ad accogliere l'altro e ciò che egli può
comunicare, dall'altra nell'urgenza di farsi vicino a lui per offrirgli l'aiuto
di cui ha bisogno (...). L'appello e la provocazione che l'anziano non
autosufficiente rivolge alla libertà altrui orienta, però, ineludibilmente
anche verso un tipo di attenzione che si fa servizio, nel prendersi cura di lui
e nella tutela e promozione di tutti i suoi diritti (...). Innanzitutto di
quello ad essere curato tanto da garantirgli non solo la sopravvivenza ma una
vita dignitosa, nella consapevolezza che egli, se spesso è inguaribile, non è
per questo incurabile».
«Aumentano i
vecchi e aumenta la longevità - ha rilevato il filosofo Bobbio - e ciò ha creato nuovi problemi sconosciuti
all'età precedente, quale il problema di chi non è autosufficiente (...). E chi
non è autosufficiente non è libero! Lo è giuridicamente, ma non lo è di fatto.
Qui sta la differenza tra libertà giuridica e libertà fisico-naturale. La
novità è proprio la vastità del problema che ha dato origine a uno dei grandi
temi oggi in discussione: il tema del diritto degli anziani, che si inserisce
nel tema più generale del riconoscimento dei diritti dell'uomo. Se c'è un
segno del progresso morale dell'umanità è il diffondersi del problema dei
diritti dell'uomo (...). È il crescente riconoscimento dell'importanza dei
diritti dell'uomo come fondamento di una convivenza fra tutti gli uomini.
Questo concetto non c'è mai stato prima nella storia».
«Rispetto
alla storia passata dei diritti dell'uomo - ha osservato il senatore Bobbio -
il nostro tempo ha conosciuto
due grandi trasformazioni: l'universalità e la moltiplicazione. Universalità
significa che il riconoscimento dei diritti dell'uomo è uscito dall'ambito
degli Stati nazionali e si è allargato a tutto il mondo; moltiplicazione
significa che il numero di questi diritti di cui si chiede il riconoscimento si
è enormemente esteso (...). Mentre in generale un diritto di libertà vale
indiscriminatamente per tutti, per l'uomo in quanto tale, una maggiore
differenziazione è necessaria per quel che riguarda i diritti sociali.
Rispetto ai diritti sociali non esiste l'uomo generico: esistono situazioni diverse
da uomo a uomo, secondo il sesso, l'età e la condizione sociale, che richiedono
prestazioni diverse».
Uguaglianza e rispetto delle differenze
L'attenzione dei due relatori si è rivolta poi alla
famiglia dell'anziano non autosufficiente. II Cardinale, avvalendosi dei
documenti della Chiesa, ha evidenziato come la «famiglia è, per sua natura, l'ambito privilegiato sia
dell'espressione socialmente utile della persona anziana, sia delle terapie
assistenziali di cui lo stesso anziano non autosufficiente ha bisogno»; il
filosofo Bobbio ha osservato come le raccomandazioni riportate da documenti
internazionali coincidano con quello che è il tema dei documenti pontifici: «occorre sviluppare ulteriormente - si dice - le cure a domicilio affinché gli anziani possano restare nella
propria comunità; le cure a domicilio sono cure complementari a quelle
ospedaliere; la famiglia, quale cellula di base della società, va protetta,
incoraggiata e rafforzata in accordo con il sistema dei valori culturali propri
ad ogni società».
Tanto il cardinale Martini, quanto il senatore
Bobbio, hanno affermato con vigore che «la
famiglia deve essere aiutata ad assumere le sue responsabilità. Deve poter
ricevere adeguati aiuti e sostegni sia di carattere tecnico, sia di carattere
economico, per poter sostenere le spese necessarie all'assistenza dell'anziano,
sia di carattere suppletivo in modo da venire incontro anche alle legittime
esigenze di qualche momento di distensione e di riposo per le famiglie stesse».
Affermare i diritti dell'anziano corrisponde all'affermazione
dei diritti della famiglia ad essere aiutata. Bobbio ha definito commoventi le
storie di anziani e dei loro familiari riportate nel libro “Vecchi da morire”. «Non si sa - ha precisato - se più per la sofferenza del vecchio che
non ha cure sufficienti, o per il sacrificio totale che il vecchio cronico
richiede al parente, spesso le figlie a loro volta anziane».
«Oggi, - ha concluso il cardinale - la carità può essere utilmente stimolata a individuare e a attuare
(...) altre coraggiose e innovative iniziative concrete in questo campo (...),
ma anche nel campo delle scelte sociali e politiche».
Bisogna riuscire a tradurre in scelte concrete i valori
che sono stati delineati: «La condizione degli anziani non
autosufficienti interpella tutta la civiltà - ha affermato nella replica il
Cardinale - una civiltà tutta presa dal
sapere utile, in uno scontro continuo tra efficienza tecnica e aumento della popolazione
non efficiente». «In questa
situazione estrema - ha continuato il filosofo Bobbio - non basta il diritto; bisogna appellarci alla forza morale. Le
soluzioni radicali ai problemi radicali possono soltanto essere di carattere morale (...). Ci troviamo di fronte
ad una mentalità che è quella caratteristica di una società industriale
avanzata, che porterebbe ad emarginare ancora maggiormente coloro che non possono
più entrare nella logica del mercato (...) L'avere consapevolezza di questo
problema è già un atto molto importante».
Il dott. Valente - concludendo la mattinata - ha
ricordato altre battaglie portate avanti da alcune delle organizzazioni
promotrici del convegno: la chiusura degli orfanotrofi, dei brefotrofi, la
battaglia per l'adozione, l'inserimento scolastico e lavorativo degli
handicappati. La battaglia a difesa dei diritti degli anziani cronici non autosufficienti
è difficile, sicuramente lunga, ma non si può e non si deve rinunciare a
condurla.
Gli aspetti
sanitari del problema della non autosufficienza
Introducendo i lavori del pomeriggio, Andrea Bartoli
ha posto l'accento sugli interrogativi significativi che il problema della non
autosufficienza con la sua drammaticità manifesta per passare da dichiarazioni
di principio, quale il riconoscimento del diritto alle cure sanitarie
all'anziano malato cronico non autosufficiente, a risposte operative concrete,
che devono coinvolgere la stessa organizzazione sanitaria.
Rassicurante a questo proposito l'intervento di
apertura del pomeriggio del geriatra Fabrizio Fabris che ha riconosciuto
l'importanza ancora grande in questo momento di affermare che «un cronico è un malato, é una persona che
ha problemi di ordine sanitario, naturalmente non esclusivamente di ordine
sanitario, ed in questa realtà va considerato affinché ci sia una risposta
giusta da parte della società».
Circa l'accusa di voler enfatizzare l'aspetto sanitario,
il prof. Fabris ha replicato sostenendo che non deve essere negato, al
contrario, tutto il sanitario di cui un individuo ha bisogno in caso di
necessità. Altra considerazione importante è che se è vero che gli anziani sono
in costante aumento e soprattutto sono in aumento le persone di età molto
avanzata, è altrettanto vero che «ciò non
comporta automaticamente un aumento degli anziani inabili».
Importanti sono le osservazioni circa il concetto di
malattia acuta, termine con il quale troppe volte gli ospedali ritengono di
dover esimersi dalla cura degli anziani cronici.
«La
concezione dell'ospedale come deputato esclusivamente al trattamento delle
affezioni acute, non è più rispondente all'attuale realtà e al tipo di
patologia prevalente di carattere degenerativo». Infatti - ha affermato Fabris - «ben poche sono oggi le malattie che si possono definire rigorosamente
acute; abbiamo frequentemente degli eventi acuti nel corso di malattie
croniche: dall'ictus, all'infarto, alla riacutizzazione della bronchite, alla
frattura dell'osteoporotico, all'evento anemizzante nel neoplastico». Ne
deriva - secondo il prof. Fabris - che «devono
essere potenziate forme di ospedalizzazione alternativa e integrativa del
ricovero tradizionale: l'ospedalizzazione di giorno, l'ospedalizzazione
ciclica di due-tre giorni, ogni tanto per il controllo della situazione sanitaria
del paziente e anche per il sollievo assistenziale delle famiglie».
Nelle conclusioni il prof. Fabris ha precisato che,
come più volte è stato detto nella mattinata dai relatori e dagli intervenuti,
anche la medicina non può esimersi dal tenere in maggiore considerazione
l'aspetto umano del problema. «Il medico
non può accettare oggi che ci sia una medicina che non cambi, che non si renda
conto che esiste una spinta che va oltre la malattia (. .), che non si faccia
carico di alcune cose che sembrerebbero distanti dalla biologia, dalla sanità;
questo è l'approccio nuovo che ci dobbiamo proporre».
Il prof. Marco Trabucchi ha precisato il concetto di
salute come funzione, e cioè come un insieme di componenti somatiche, di
componenti psicologiche, di componenti relazionali. «Quando noi oggi studiamo ad esempio le povertà - ha detto
Trabucchi - non facciamo soltanto un'osservazione
che può avere un rilievo sociologico, ma ci interessa invece moltissimo, come
medici, il ruolo che le povertà nell'anziano (le povertà relazionali, le
povertà economiche, le povertà culturali), hanno sullo stato di salute (...).
Al di là delle parole, l'unità della persona che invecchia invoca competenze
unitarie e non egoistiche, perché tutti (il medico, l’infermiere, l'operatore
sociale, l'operatore politico) hanno competenze che si ritrovano unitarie nella
difesa della funzione». Egli ha fornito inoltre una serie di indicazioni
e di orientamenti: un atteggiamento psicologico consapevole che è sempre
possibile curare, anche se molto spesso non è possibile guarire; non sottrarsi
mai all'uso di strumenti sofisticati, perché anche la geriatria è una scienza
che può richiedere interventi di alta tecnologia e consistenti investimenti;
accettare la sperimentazione, provare altri modelli; considerare la
specificità di ogni singolo vecchio, che permette di qualificare fino in fondo
le nostre capacità professionali e di collegarle con grande umanità; prestare
attenzione all'unità e alla globalità degli interventi, nonché all'eccesso di
medicalizzazione o di uso di farmaci.
Concludendo il prof. Trabucchi ha sottolineato come
tutto questo non significa «affidarsi al
buon cuore dell'uno o dell'altro od all'ideologia dell'uno o dell'altro, ma si
tratta di un dovere preciso che è imposto prima di tutto dalla professionalità».
Con il prof. Domenico Casagrande si è invece riposto
l'accento sulla definizione di cronico, non più intesa, come un tempo, quale
persona che avesse concluso ormai il proprio ciclo di vita, ma cronicità intesa
come aspetto che ripropone la persona al medico per ottenere almeno dei miglioramenti,
se non è più possibile la guarigione. In particolare il prof. Casagrande ha
affrontato il difficile problema della non autosufficienza in anziani con
disturbi psichiatrici, con particolare riguarda alla realtà di Venezia in cui
opera.
Egli ha evidenziato come ancora troppo spesso
l'attuale sistema assistenziale privilegi l'istituzionalizzazione: una
risposta univoca, oggettivante, che non tiene conto del bisogno del singolo.
Spesso la persona dimessa dall'ospedale psichiatrica finisce per essere
ricoverata nuovamente, con un atto che viene però presentato come
de-ospedalizzazione, solo perché non c'è l'assistenza sanitaria. Ma resta il
fatto che attualmente i pazienti anziani, che potrebbero essere dimessi dagli
ospedali, continuano a restare ricoverati solo perché non esistono
alternative. II problema sollevato da Casagrande è estremamente grave anche
perché si confonde il problema sanitario con il problema assistenziale.
Per realizzare le finalità della legge 180 sono
quindi necessarie precise scelte politiche: se non vengono fatte, la situazione
non muta. Per questo, ritornando alla realtà in cui opera, Casagrande ha
ribadito: «Noi vogliamo la chiusura dell'ospedale
psichiatrico, ma le 180 persone che vi sono ricoverate devono ricevere una
risposta adeguata alla loro situazione».
La posizione del sindacato
Giovanna Bitto ha espresso la posizione del sindacato
sul problema degli anziani cronici non autosufficienti.
Premesso che «la
politica sociale non è un insieme di concessioni oggetto di mercanteggiamento,
ma è una risposta precisa al diritti della gente», la rivendicazione del
sindacato pensionati è precisa: si chiede il rispetto dell'uguaglianza e parità
di trattamento per gli anziani cronici non autosufficienti. Ha ribadito la
Bitto: «Non rivendicazioni particolari
per gli anziani, ma spazi paritari dentro strutture più funzionati e più
rispondenti alle esigenze di tutte le persone giovani e anziane». Questa
linea - ha informato la Bitto - si è espressa in un documento unitario
presentato da Cgil-Cisl-Uil al ministro Donat Cattin in data 17 marzo 1988, nel
quale si richiede che il progetto-obiettivo sugli anziani preveda quanto segue:
«1) le
strutture protette comunque denominate che ospitino anziani cronici non
autosufficienti bisognosi di assistenza sanitaria, siano poste a carico del
Fondo sanitario nazionale e conseguentemente dotate di strumenti e personale
atti a rispondere alle esigenze di questo tipo di malati;
«2) sia con
urgenza avviato lo smantellamento e la conseguente ristrutturazione di tutte
le mega-strutture per cronici non autosufficienti, comunque denominate;
«3) le
strutture che ospitano anziani autosufficienti o parzialmente autosufficienti
garantiscano, nelle modalità più opportune, prestazioni sanitarie a carico
del Fondo sanitario nazionale:
«4) sia
avviata la realizzazione di servizi sanitari territoriali alternativi al
ricovero, in particolare attraverso l'estensione e qualificazione delle
prestazioni domiciliari mediche, specialistiche e infermieristiche realizzate
da équipes organicamente collegate con gli altri servizi sanitari territoriali
di cui va prevista e Incentivata l'attivazione;
«5) sia
avviata una azione volta a rimuovere le cause che generano la cronicizzazione
dei malati anziani, In particolare nel corso del ricoveri ospedalieri».
Questo é necessario - secondo la Bitto - al fine di
cominciare a «costruire attorno al mondo
del non autosufficienti una impalcatura di tutela simile a quella costruita in
passato per i minori, pensando ad esempio a introdurre i permessi per
assentarsi dal lavoro. Occorre creare una cultura sanitaria per superare il
limite della definizione "inguaribile uguale incurabile", che eviti
di portare a inconcepibili atteggiamenti che diventano poi pratica di
eutanasia».
La posizione dei giuristi
Mons. Giovanni Nervo, presentando la terza tavola
rotonda, ha rilevato che «perché i
diritti umani e civili degli anziani siano resi esigibili da loro stessi e dai
loro familiari devono trovare riscontro nelle leggi positive dello Stato a
livello nazionale e regionale».
Compito quindi del convegno, in questo senso, non è
solo quello di «prendere coscienza della
legislazione esistente», ma «di
verificarne la corretta applicazione e, se necessario, anche stimolare
l'evolversi della legislazione per una piena tutela dei diritti degli anziani
malati cronici».
L'intervento del prof. Pietro Rescigno ha evidenziato
l'evoluzione del concetto di diritto da una visione dominata dalla
preoccupazione della tutela patrimoniale dei soggetti, ad un concetto di diritto
che, pur con tutti i limiti e incertezze, nella fase attuale considera gli
uomini indipendentemente dalla loro capacità di guadagno, dotati di uguale
dignità e tutti meritevoli della protezione e della tutela del diritto.
Il tema degli anziani malati cronici non autosufficienti
si inserisce in questa nuova prospettiva. .
Questa trasformazione del concetto e del ruolo del diritto presuppone un
concorso dello Stato, delle istituzioni, che devono essere le prime a recepire
e a tradurre in norme questi principi, ma anche dei privati e della famiglia.
Il prof. Rescigno ha ribadito nella parte finale
della sua relazione il ruolo della famiglia prospettando una rivalutazione
dell'istituto familiare, non solo sul piano dei valori che essa racchiude, ma
anche sotto il profilo dei compiti, rilevanti per il diritto, che alla
famiglia possono e debbono essere attribuiti dallo Stato.
La relazione di Massimo Dogliotti, letta da Anna
Ansaldo, si è soffermata sui «diritti
fondamentali, e in particolare, su quelli che attengono alla personalità. e
alla dignità dell'individuo, spesso violati quando si tratta di anziani (...):
diritto al nome, all'immagine, all'onore, all'identità personale, alla riservatezza,
alla libertà, ecc.». Quando l'anziano non è in grado, neppur parzialmente,
di gestire se stesso e tutelare da sé i propri diritti, «si pone la questione di trovare un soggetto che si occupi della difesa
dei suoi diritti e della sua rappresentanza in giudizio». A questo
riguardo vengono evidenziati i limiti degli attuali istituti della tutela e
curatela «ben poco adatti a garantire i
diritti della persona perché costruite sulla gestione del patrimonio e caratterizzate
da una eccessiva rigidezza».
Per questo si parla da tempo di modificare la
disciplina in materia e sì ipotizza la istituzione di un ufficio di pubblica
tutela, problema che verrà ripreso nella relazione specifica del dott. Giorgio
Battistacci.
Ribadito sulla base della legislazione vigente il
diritto alle cure sanitarie, comprese quelle ospedaliere, degli anziani cronici
non autosufficienti, il prof. Dogliotti ha precisato come questo costituisce «un diritto soggettivo perfetto, che ogni individuo
può far valere davanti all'autorità giudiziaria nel confronti dei poteri
pubblici, come nel rapporto tra i privati».
Ben diversa è la questione relativa ai diritto
all'assistenza in quanto l'art. 38 della Costituzione lo limita al cittadino
inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere. Tale diritto non
solo è incerto e impreciso in mancanza di leggi attuative, ma - ha sostenuto
Dogliotti - «anche se si addivenisse ad
una legge-quadro sull'assistenza, vi sarebbe sempre un margine di indeterminatezza
a causa della difficoltà di definire il cittadino inabile e sprovvisto di mezzi
necessari per vivere».
«Preoccupante - secondo il prof. Dogliotti - il decreto 8 agosto 1985 del Capo del Governo, che trasferisce
rilevantissime attività (guarda caso proprio quelle relative ai soggetti più
deboli: handicappati, malati mentali, tossicodipendenti, anziani) dal settore
sanitario a quello socio-assistenziale, da un terreno sicuro e certo (dove le
prestazioni e i destinatari sono esattamente individuati e le violazioni dei
diritti possono essere fatte valere davanti al giudice) ad uno assolutamente
fluido ed incerta».
Il prof. Rescigno, rispondendo ad un quesito, ha
confermato l'illegittimità del suddetto decreto in quanto «è un atto di natura amministrativa che, nella graduatoria delle fonti,
si colloca all'ultimo gradino: ciò indica che non può contraddire le norme di
leggi vigenti (e quindi il diritto alle cure sanitarie degli anziani malati
cronici non autosufficienti) ed i principi costituzionali».
Il prof. Dogliotti ha evidenziato inoltre i limiti
del provvedimento che, in base al citato decreto 8 agosto 1985, diverse Regioni
(Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia, ecc.) hanno assunto. La discriminazione,
introdotta da questi provvedimenti regionali; ha come conseguenza quella di
scaricare le prestazioni sanitarie nel settore socioassistenziale e di
costringere inoltre i parenti, in base a una prassi consolidata degli enti di
assistenza, al pagamento delle rette. Al riguardo il relatore ha ribadito con
forza che «non è data possibilità
all'ente erogatore di assistenza di chiamare in giudizio i parenti tenuti agli
alimenti per sentirli condannare all'adempimento delle prestazioni nei
confronti del congiunto: solo il diretto destinatario delle prestazioni
pubbliche può decidere discrezionalmente se agire o meno nel confronti degli
obbligati per gli alimenti».
Il prof. Paolo Cappellini, in qualità di storico del
diritto, ha rilevato nella sua relazione il diverso ruolo che l'anziano ha
avuto nelle diverse società, fino ad arrivare alla situazione attuale in cui la
tutela dei suoi diritti fondamentali sembra essere disattesa anche nelle
società più evolute, proprio in ragione dell'età senile. Citando un articolo
del prof. Claudio Magris, ha evidenziato la situazione esistente in Svezia
dove è stato deciso, ad esempio, che non dovessero più essere applicate
terapie al cobalto agli ammalati di cancro ultrasettantacinquenni e non
compiuti interventi chirurgici per l'applicazione di by-pass a malati
ultrasessantottenni. «Sono queste le
cosiddette scelte tragiche cui anche il giurista si trova davanti, scelte
tragiche che sono evidentemente indotte da privilegi in altri settori»
Proseguendo nella sua relazione, il prof. Cappellini
ha affermato che queste scelte tragiche presuppongono un duplice grado di
decisione: anzitutto quali beni o persone privilegiare e, quindi, come distribuire
le scarse risorse restanti nei settori non privilegiati.
Ha passato poi in rassegna una serie di metodi - per
«risolvere» queste scelte tragiche. La decisione può essere lasciata alle
leggi di mercato, oppure attribuita alle decisioni dei politici, o decisa in
base al sorteggio, o tenendo conto dell'efficienza a fini produttivistici del
trattamento medico, discriminando l'utente secondo precisi parametri.
Appare pertanto evidente che solo una presa d'i
coscienza di questa situazione e delle scelte in gioco può portare - secondo il
prof. Cappellini - a concretizzare i diritti che il nostro ordinamento
riconosce a tutti i cittadini e quindi anche agli anziani cronici non
autosufficienti, ma che non sono rispettati. Ciò richiede una diversa cultura
non solo dei giuristi ma di tutti i cittadini.
Nel quadro di una migliore tutela dei cittadini si inserisce
la proposta avanzata da Giorgio Battistacci circa l'istituzione dell'ufficio
di pubblica tutela, necessario per tutti i soggetti sottoposti a rischio di
emarginazione (minori, anziani, handicappati). «Ad esso potrebbero pervenire segnalazioni di casi per i quali si
rendono necessari interventi del servizi socio-sanitari e ogni altro tipo di
intervento socializzante (...). Tale ufficio non dovrebbe mai sostituirsi al
servizi o deresponsabilizzare i servizi che anzi dovrebbero essere capaci di
individuare le situazioni di rischio e di difficoltà, farsene carico e porvi
rimedio facendo, nei casi In cui è consentito e appare necessario, ricorso ad
Istituti giuridici o richiedendo l'intervento giurisdizionale».
Battistacci ha osservato che «quando poi si riflette sui diritti dei cittadini - in particolare degli anziani e per di più
non autosufficienti - non basta pensare ai diritti dei singoli, ma anche ai cosiddetti
diritti e interessi diffusi e generalizzati. In questo piano basterà ricordare i
rischi per la vita, la salute, la possibilità di rapporti conseguenti alla
società industriale con i suoi inquinamenti, rumori, isolamento per tutti».
Precisata l'esigenza della modifica delle norme
concernenti l'interdizione e l'inabilità, Battistacci ha sostenuto: «Il pubblico tutore potrebbe essere
istituito a livello provinciale o a livello del territorio di ogni USSL ed
essere una persona con particolare preparazione e sensibilità alle
problematiche dei soggetti a rischio di emarginazione (...). L'ufficio non
dovrebbe avere un carattere burocratico, pena il suo fallimento, ma essere
agile e operativo, non sostituirsi al servizi, pur essendo dotato di un certo
personale e far leva sulle risorse del volontariato (...). Forse potrebbero
essere allo stesso attribuiti dei compiti oggi spettanti ai giudici tutelari».
I nuovi orientamenti operativi
Le relazioni della quarta e ultima sessione del
convegno, introdotta dall'avv. Annamaria Dente del MOVI, hanno riportato
l'attenzione sulla possibilità di avviare sul territorio interventi che -
tenendo conto delle esigenze fondamentali delle persone - ne privilegiano la
permanenza nel proprio ambiente familiare, assicurando loro le cure di cui
necessitano.
Presentando l'esperienza dell'ospedalizzazione a domicilio
il dott. Luigi Pernigotti ha affermato come essa sia «un modo per curare alcune persone, affette da gravi patologie, che
hanno bisogno di interventi medici (...) con un modello non generalizzabile a
tutti gli anziani cronici non autosufficienti» e che quindi «non si
contrappone alle altre reti di supporto
alla popolazione anziana». Il dott. Pernigotti ha sottolineato la necessità
che anche le altre strutture sanitarie, quali l'ospedale, debbano essere
«ripensate» nella loro organizzazione, per diventare, anch'esse, «a misura
d'uomo».
La positività dell'ospedalizzazione a domicilio
(innanzitutto, per il malato) è stata evidenziata dalla psicologa Rita Lacava:
«Nelle condizioni di scadimento generale
in cui si trova l'anziano, la relazione con i propri familiari, nel proprio ambiente,
non può che agevolare la sua ripresa».
Pur essendo un impegno molto coinvolgente per il
coniuge ed i figli - peraltro non più giovanissimi - la possibilità di curare
a casa i propri congiunti anziani malati rappresenta indubbi vantaggi. «Il miglioramento delle relazioni paziente-personale-familiari
permette una maggiore comunicazione; l'ospedalizzazione consente di affrontare
meglio la comprensibile ansia del familiari: è importante sapere che si sta
facendo tutto il possibile per lui».
«Anche per
il personale medico e infermieristico questa esperienza è stata -
secondo la dottoressa Lacava - significativa:
è cambiato il modo in cui vive il suo ruolo che è meno spersonalizzato».
Non tutti gli ammalati cronici passano essere curati
a casa loro; spesso non possono essere assistiti continuamente, 24 ore su 24,
dal loro anziano coniuge, anch'esso malato, o dai figli per motivi di lavoro.
Questo non deve far perdere di vista la necessità di impegnarsi per creare una
rete di risposte adeguate, che rispettino l'individualità di ognuno.
La deistituzionalizzazione degli
anziani malati di mente
In questa prospettiva si colloca l'esperienza
riportata da Enrico Pascal, responsabile del Servizio di salute mentale dell'USSL n. 28 di Settimo Torinese.
Chi sono le persane che sono andate a vivere in
comunità? Così le presenta il dottor Pascal: «Erano un gruppo di nove donne, che avevano in complesso totalizzato
220 anni di internamento, con una media di oltre 24 anni a testa, di età
compresa tra i 50 e i 60 anni, con una punta in alto (86 anni) e una in basso
(43 anni). Erano state prelevate da un reparto dove erano giudicate irrecuperabili
e tendenzialmente pericolose dal personale che le custodiva e adibiva alcune di
loro a lavori umilianti di bassa manovalanza».
La scelta di «interessarsi
a questa situazione, lottare per modificarla, intervenire sul rapporto
vittima-istituzione, costruire una possibile alternativa meno disumana è stato
ed è tuttora - poiché i cronici istituzionalizzati sono ancora molti - il
senso della attivazione di strutture territoriali comunitarie per ex-degenti.
Significato che può essere compendiato in tre punti: provocazione indubbia del
contesto manicomiale restio a cedere le sue vittime, ma anche fatalmente del
contesto sociale esterno che deve riaccoglierle (famiglia, caseggiato,
quartiere). Testimonianza circa una realtà che si cercava in tutti i modi di
occultare e sulla quale rischiava, e rischia tuttora di gravare, un silenzio e
una omertà carichi di complicità. Sensibilizzazione del tessuto sociale, che,
superato la diffidenza e il pregiudizio, finisce per accettare e riaccogliere
queste persone».
La creazione di queste strutture rappresenta una
coerente e concreta applicazione dei principi ispiratori della legge 180, di
cui il dottor Casagrande aveva evidenziato la scarsa e discutibile
applicazione nella Regione Veneto.
Esse si caratterizzano, secondo Pascal, come «strutture di riabilitazione. Ora, se in
senso propriamente medico, riabilitazione significa ricupero di funzioni
debilitate e perdute, nel campo psichico la riabilitazione assume molti altri
aspetti. Dal punto di vista giuridico ha significato ricupero dei diritti
civili e politici che tutti avevano automaticamente perso all'atto del
ricovero secondo la legge del 1904. Significa ricupero dei diritti sanitari e
sociali: ognuna ha il proprio medico di base personale e può fruire di tutti i
servizi della USSL. Ciò comporta ricupero di stima di sé e autonomia circa
l'uso dello spazio privato e del tempo "ritrovato"».
«Ma la
riabilitazione in una comunità significa anche discutere di sé e degli altri,
mettere In piazza il proprio modo di fare, le proprie abitudini, lasciar
riaffiorare tratti di carattere personale prima appiattiti dalla violenza
Istituzionale. Possono riaffiorare antichi conflitti; di certo si presentano
nuove contraddizioni legate alla convivenza, non sempre facile. Infine
riabilitazione significa ristoricizzazione; cioè ricupero di una storia
personale che l'internamento aveva infranto, opponendovi una vita istituzionale
priva di spazio personale perché totalmente promiscua, priva di tempo
significativo perché fatta di monotonia e a volte di terrore destrutturante
ogni possibile esperienza».
Pascal ha ricordato il difficile, faticoso cammino
delle ospiti della comunità: «Resta
evidente che per molte di queste persone con un lungo passato di internamento
le ferite non possono essere riparate se non parzialmente. Ma chiunque può
dimostrare che nella piccola dimensione comunitaria ogni persona riacquista
almeno qualcosa di personale, di suo, si responsabilizza, riprende almeno in
parte a vivere (..). Il ruolo degli operatori (così come quello degli
amministratori, ndr) come primi
rappresentanti in una società che riaccoglie, è importante. Insostituibile, ma
certamente Insufficiente, poiché occorre una rete sociale di supporto ben più
solida e ampia, e questa deve essere costruita nel tempo, utilizzando tutte le
risorse disponibili (parenti; amici, volontari, autorità, ecc.)».
L'esperienza di volontariato familiare agli anziani
- riferita da Silvia Marangoni dell'AGAP di Roma - si colloca in questa
prospettiva.
Una esperienza di volontariato a
domicilio
«Il nostro
intervento - ha detto Silvia Marangoni
- è strutturato normalmente come una
visita periodica che l'operatore fa all'anziano. È all'interno di questa visita
che si collocano tutti gli interventi». «La visita a casa, in ospedale, nei momenti ordinari come in quelli più
critici, uscire insieme, parlare, compiere piccoli e grandi gesti della vita
quotidiana, la compagnia, la vicinanza affettiva, possono sembrare antidoti inadeguati
a risolvere i complessi problemi di chi è anziano. Eppure nei quindici anni del
nostro servizio fin dall'inizio abbiamo constatato che spesso queste sono le
armi più efficaci per contrastare la spirale dell'emarginazione, per rompere
l'isolamento a cui gli anziani sono costretti».
Più di un terzo degli oltre 1200 anziani seguiti da
200 volontari della comunità risultano essere non autosufficienti o
parzialmente non autosufficienti. «Sono
stati stabiliti rapporti più o meno stabili con tutti i servizi sociali,
sanitari, di volontariato e, soprattutto, se presente, con il servizio di
assistenza domiciliare al fine di permettere che tutte le risorse esistenti
possano, al bisogno, essere canalizzate sul singolo anziano». Per questo i
volontari si muovono per sostenere e rinsaldare i rapporti degli anziani con i
loro familiari, ma «frequenti e
significativi sono gli interventi per anziani soli, per i quali - ha riconosciuto
Silvia Marangoni - la nostra presenza
costituisce un polo affettivo, un riferimento indispensabile».
«Vivere
accanto agli anziani - ha concluso -
confrontarsi costantemente, in tutti
questi anni ha fatto crescere un patrimonio di esperienza e di sensibilità.
Questo patrimonio nella sua originalità è stato spesso messo al servizio di tanti
per sconfiggere una mentalità emarginante e per costruire una cultura della
solidarietà e dell'accoglienza a chi è anziano. Hanno preso l'avvio, allora,
tutta una serie di iniziative volte a questo scopo e a difendere gli anziani
stessi sul terreno dei diritti civili».
È questa una direzione nuova del volontariato
«promozionale», che apre nuove prospettive di intervento.
Conclusioni.
Carlo Trevisan, esperto di programmazione
socio-sanitaria, ha sottolineato l'importanza dell'azione del volontariato «per una continua promozione del diritti
delle fasce più deboli della popolazione» ed ha portato all'attenzione dei
presenti alcuni temi discussi nelle due giornate:
1. la significativa convergenza verso obiettivi
comuni degli orientamenti etici, culturali, medici, giuridici emersi dal convegno.
Rispetto alle relazioni introduttive, ha richiamato il concetto del Card. Martini
della «accoglienza che non coinvolge
solo il singolo ma anche la comunità» e del prof. Bobbio: «Il fatto nuovo della condizione dell'anziano
nella nostra società è la specificità dei diritti sociali su cui operare per il
futuro»;
2. il passaggio della autosufficienza alla non
autosufficienza è un percorso complesso: è un processo che richiede un più
ampio coinvolgimento e in cui ognuno ha un suo ruolo per costruire insieme un
progetto integrato di interventi. La prevenzione richiede impegni di grande rilevanza,
richiede una politica sociale globale per una migliore qualità della vita;
3. è importante un'educazione alla vecchiaia come
fatto culturale: la non autosufficienza é legata a diverse cause: economiche,
relazionali, ambientali, ecc.;
4. è necessario un sistema integrato di interventi;
è necessario un salto culturale, un'impresa di civiltà; urge l'impegno di una
presa in carico complessiva da parte della comunità perché in ogni realtà
siano disponibili tutte le risorse necessarie per rispondere alle esigenze dei
cittadini. È importante, per raggiungere questo obiettivo, una nuova cultura e
formazione degli operatori, dei politici, dei tecnici e dei volontari.
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