HANDICAPPATI NON PIÙ CLANDESTINI NELLE SCUOLE MEDIE SUPERIORI COMUNI UNA IMPORTANTE SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
MARISA PAVONE
Con sentenza n. 215 depositata l'8 giugno 1987 (qui
di seguito riportata integralmente) la Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità dell'art. 28, terzo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118
(1), nella parte in cui - in riferimento agli alunni portatori di handicap -
prevede che «sarà facilitata» la
frequenza alle scuole medie superiori comuni.
La Corte costituzionale ha disposto che alle parole «sarà facilitata» venga sostituita
l'espressione «è assicurata». Si
tratta di una sentenza importantissima: la «magna carta» - come ha giustamente
annotato Salvatore Nocera (2) - dell'integrazione scolastica degli handicappati.
D'ora in avanti, gli alunni portatori di handicap hanno diritto di iscriversi
(e di frequentare) non solo le istituzioni pre-scolastiche e dell'obbligo comuni,
ma anche le normali scuole medie superiori. Amministrazione scolastica ed Enti
locali debbono garantire tutti gli interventi necessari per l'inserimento.
La situazione prima della sentenza n.
215/87
Sull'inserimento degli alunni portatori di handicap
nella scuola media superiore non esistono dati ministeriali precisi: né sul
numero di giovani ultraquattordicenni accolti nelle classi comuni, né sul
tipo e grado di handicap (3).
Tuttavia, negli ultimi anni, sono state avviate nel
Paese esperienze interessanti che riguardano per lo più allievi audiolesi, non
vedenti e spastici. Ne fa fede, anche, una ancora scarna ma significativa
bibliografia in materia (4).
Questi inserimenti rappresentano una logica
continuità con la prassi dell'integrazione nella scuola materna e dell'obbligo,
sancita proprio dalla legge 118/1971 e sostenuta dalla successiva legge
517/1977. Nessuna norma legislativa ha contemplato, però, sinora, questo
specifico aspetto del problema a livello di scuola media superiore.
Tuttavia, che il fenomeno fosse reale e altrettanto
sentita fosse l'esigenza di indicazioni univoche e chiare a questo riguardo,
lo dimostra il fatto che il Ministero della pubblica istruzione abbia sentito
l'esigenza di intervenire con due circolari per «richiamare» l'attenzione dei
Provveditorati agli studi (5).
Con la prima
circolare ministeriale (C.M. 28 aprile 1982, n. 129) viene messo l'accento
su alcuni aspetti importanti, che coinvolgono anche altri ordini di scuola ed
altre amministrazioni:
a) l'esigenza di potenziare le iniziative di orientamento
scolastico e professionale;
b) la necessità di fornire informazioni esaurienti
su tutti gli indirizzi scolastici, nonché sui corsi di formazione professionale
regionali;
c) il ruolo degli enti locali, sia per garantire gli
strumenti indispensabili all'inserimento scolastico ed alla attuazione del diritto
allo studio, sia per eliminare le barriere architettoniche che ostacolano gli
spostamenti degli alunni portatori di handicap;
d) la richiesta (rivolta da più parti) di poter
predisporre piani di studio differenziati anche nella scuola media superiore.
Su questo punto, però, la C.M. dà una risposta negativa.
Con la seconda
circolare ministeriale (C.M. 16 giugno 1983, n. 163), il Ministero della
pubblica istruzione dispone particolari agevolazioni durante lo svolgimento
delle prove scritte ed orali a favore degli studenti portatori di handicap
fisici e/o sensoriali che sostengono gli esami di maturità, di qualifica negli
istituti professionali e di idoneità nelle scuole medie superiori.
Il «ragionamento» della Corte
costituzionale
Come sintetizza ancora S. Nocera, la Corte costituzionale
ha fatto questi ragionamenti.
1. In base all'art. 34 della Costituzione, la scuola
è aperta a tutti, anche nei gradi superiori. I «capaci e meritevoli», «anche se
privi di mezzi», hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
Tant'è che, con borse di studio ed assegni, si consente in certi casi la
frequenza della media superiore.
2. Gli handicappati non sono «a priori» incapaci.
Verificate le loro reali possibilità, occorre consentire un certo periodo di
frequenza e poi giudicare se essi hanno raggiunto risultati compatibili con
tali possibilità. Le loro condizioni possono essere un impedimento alla
frequenza; ma la Repubblica ha il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva
partecipazione» (Cost., art. 3).
3. La Repubblica deve, quindi, «assicurare le
condizioni che consentano anche agli handicappati fisici, psichici e
sensoriali la frequenza della scuola media superiore». Quell'inciso dell'art.
34 della Costituzione («anche se privi di mezzi») non può intendersi riferito -
oltre che ai mezzi di natura economica - anche a quelli di natura organica e strumentale?
4. Non si può, perciò, a priori, rifiutare l'iscrizione
di un alunno handicappato. Solo dopo un periodo di frequenza ed una verifica si
può decidere se deve essere promosso o no.
5. La scuola media superiore, così come quella
dell'obbligo, garantisce il processo di crescita delle persone handicappate,
non solo per quanto- riguarda la loro socializzazione, ma anche per il loro
apprendimento, in ossequio al dettato della Costituzione.
6. La Repubblica deve garantire condizioni di
crescita dei giovani (Cost., art. 21). Per gli handicappati, lo Stato -
attraverso le sue articolazioni centrali e regionali - deve provvedere con
appositi interventi (Cost., art. 38).
7. La Corte costituzionale, quindi, ha sentenziato
che è illegittimo rifiutare l'iscrizione di un alunno portatore di handicap
nelle scuole medie superiori e fa obbligo allo Stato ed agli Enti locali
territoriali di garantire le condizioni che consentano la frequenza, secondo
le diverse competenze amministrative e finanziarie.
Con effetto immediato, perciò, l'art. 28, terzo
comma, della legge 118/1971 («Sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli
invalidi e mutilati clvili alle scuole superiori ed universitarie») è così
modificato: «È assicurata, inoltre, la
frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed
universitarie» (6).
Un messaggio molto positivo
A di là dello specifico fatto giuridico (di per sé
già molto importante), ci pare che la sentenza della Corte costituzionale abbia
una grandissima valenza sul piano culturale e politico.
Come annota S. Nocera, la Corte ha dato un enorme
sostegno giuridico e morale a quanti si battono per una razionale integrazione
scolastica e sociale. Si tratta di un messaggio molto positivo alla scuola,
alle altre istituzioni ed alla società che arriva da una sede autorevolissima.
E che giunge proprio nel momento in cui «frange reazionarie e restauratrici»
sembrano voler mettere in dubbio conquiste importanti raggiunte negli anni
'70, che occorre invece difendere e potenziare (7).
La sentenza n. 215/87, si è detto, va ben oltre il
problema specifico della scuola media superiore. Le considerazioni «in diritto»
interessano anche gli altri ordini di scuola e le altre istituzioni. Si
rileggano con attenzione i punti 5 e 6 della sentenza stessa, che qui si
richiamano in sintesi.
a) «Per valutare la condizione giuridica dei
portatori di handicap in riferimento all'istituzione scolastica occorre
innanzitutto considerare, da un lato, che è ormai superata in sede scientifica
la concezione di una loro radicale irrecuperabilità, dall'altro che
l'inserimento e l'integrazione nella scuola ha fondamentale importanza al fine
di favorire il recupero di tali soggetto. (...) Insieme alle pratiche di cura
e riabilitazione ed al proficuo inserimento nella famiglia, la frequenza
scolastica è dunque un essenziale fattore di recupero del portatore di
handicaps e di superamento della sua emarginazione (...)».
b) «... è innegabile che le esigenze di apprendimento
e socializzazione che rendono proficua a questo fine la frequenza scolastica
non vengono meno col compimento della scuola dell'obbligo (...). Altrettanto
innegabile è, d'altra parte, che l'apprendimento e l'integrazione nella scuola
sono, a loro volta, funzionali ad un più pieno inserimento dell'handicappato
nella società e nel mondo del lavoro».
c) «... non a caso nelle leggi del 1971 e del 1977
(il legislatore) ha al riguardo congiuntamente indicato i fini dell’“istruzione” e della "piena formazione della personalità"
(ovvero - il che è lo stesso - quelli dell’“apprendimento”
e dell'“inserimento"),
inquadrando in tale contesto le specifiche disposizioni dettate in favore dei
minorati».
Che cosa cambia con la sentenza 215/87
In base alle considerazioni esposte nella sua
sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo
l'art. 28, terzo comma della legge 118/1971, nella parte in cui prevede che «sarà facilitata» la frequenza alle
scuole medie superiori, anziché disporre che «è assicurata».
In questo modo - come ricorda ancora la sentenza - «la
disposizione acquista valore immediatamente precettivo e cogente, ed impone
perciò ai competenti organi scolastici sia di non frapporre a tale frequenza
impedimenti non consentiti alla stregua delle precisazioni sopra svolte, sia
di dare attuazione delle misure che, in virtù dei poteri-doveri loro istituzionalmente
attribuiti, ovvero dell'esistente normazione regionale, secondaria o
amministrativa (...), possano già allo stato essere da essi concretizzate o promosse».
Spetta ovviamente al legislatore, conclude la Corte
costituzionale, «il compito - la cui importanza e urgenza è sottolineata dalle
considerazioni svolte - di dettare nell'ambito della propria discrezionalità
una compiuta disciplina idonea a dare organica soluzione a tale rilevante
problema umano e sociale».
Tuttavia, in attesa che il legislatore si pronunci e
con l'augurio che faccia quanto prima, pare opportuno richiamare alcuni punti
fermi a sostegno dell'integrazione scolastica e sociale dei portatori di
handicap.
A) - Stato ed Enti locali, nell'ambito delle rispettive
competenze, devono assicurare «la necessaria integrazione specialistica, il
servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno» anche nella
scuola media superiore (legge 517/1977, artt. 2 e 7).
B) - Regioni, Province e Comuni devono apprestare
strutture scolastiche idonee, cioè senza barriere architettoniche e dotate di
tutto il materiale ed i sussidi didattici necessari per una effettiva
integrazione e scolarizzazione (assicurando tali strumenti in tempo utile,
pare non superfluo ribadire). Come ricorda e denuncia ancora Nocera, gli Enti
locali devono garantire agli handicappati che intendono frequentare le scuole
comuni «i finanziamenti per il diritto allo studio che troppo spesso e
volentieri danno sotto forma di rette agli istituti; e ciò non solo al Sud».
C) - Le «Intese» fra Amministrazione scolastica, Usl
ed Enti locali caldeggiate dalle circolari ministeriali n. 258/1983 e n.
250/1985 allo scopo di coordinare le rispettive competenze in un unico servizio
pubblico (quello «dell'integrazione scolastica») debbono riguardare anche l'inserimento
nella scuola media superiore.
D) - Parlamento, Governo, Regioni, Province, Comuni,
Usl non possono più ignorare questo problema. Per limitarci al solo potere
legislativo nazionale, esso va tenuto presente - ad esempio - a livello della
legge di riforma della secondaria superiore (sinora, tutti i progetti presentati
e discussi alle Camere non hanno mai preso in considerazione questo fenomeno
specifico, anche se nella scuola post-obbligo esso era presente), della legge
sull'orientamento scolastico e professionale, della legge quadro sul diritto
allo studio...
Un errore da scongiurare
Sarebbe certamente un errore grave, farsi scudo di
questa importantissima sentenza per trasformare in alcuni casi la scuola media
superiore in un «parcheggio», anziché impegnarsi seriamente nella ricerca e
nella predisposizione delle strutture più opportune per rispondere in modo
adeguato al variegato ventaglio di situazioni diverse.
Quando si parla di alunni handicappati nella scuola
media superiore ci si deve riferire, a nostro avviso, ad allievi i quali - pur
essendo in condizione di frequentare le classi del post-obbligo - sono
portatori di handicap tali per cui l'inserimento nella struttura scolastica
comporta difficoltà. Secondo logica, non avrebbe senso Invece riferirsi a quei
casi per i quali la frequenza non pone particolari problemi. La puntualizzazione
è necessaria perché non è raro sentire parlare impropriamente di «inserimento»
per alunni il cui handicap non costituisce svantaggio rispetto agli altri
coetanei.
D'altra parte, come suggerisce L. Serpico Persico
(8), è legittimo l'interrogativo: «Quale scuola superiore per quali soggetti
handicappati?». «Un inserimento negli istituti di 2° grado ha possibilità di
successo solo se è “mirato”, vale a dire se dà al soggetto portatore di
handicap il tipo di scuola - piano di studio, orario, programmi, durata, ecc.
- che si confà alla natura e all'entità del suo handicap; in altri termini,
anche qui - e a maggior ragione che nella scuola dell'obbligo - vale l'esigenza
di rispondere alle possibilità del soggetto nel senso di porlo in condizioni
di affrontare un impegno a cui può sottoporsi con ragionevole speranza di
successo. È dunque impensabile che si scelgano strade velleitarie, così come
vanno scartati i ripieghi dettati da ingiustificate rinunce; si guardi al
soggetto, al di sopra di ogni considerazione accessoria e si pensi che, se uno
sbaglio nella scelta è sempre dannoso per qualsiasi alunno, può esserlo in
modo irreversibile per il portatore di handicap, al quale l'insuccesso può
apportare tragiche conseguenze sul piano psicologico. Non si possono, comunque
Indicare tipi di scuola secondaria superiore confacenti o meno a determinati
tipi di handicappati; per farlo, con sufficiente attendibilità, non tanto
all'handicap occorrerebbe riferirsi, quanto piuttosto a quel soggetto handicappato,
portatore di individuali connotazioni» (9).
Va ribadita, comunque, che «la mancanza di strutture
formative dopo la scuola dell'obbligo (eventuale inserimento nella scuola media
superiore, frequenza di normali corsi di formazione professionale o di corsi
pre-lavorativi..., ndr) da un lato, costringe i ragazzi a rimanere nell'inattività
con conseguente caduta dei livelli di autonomia raggiunti e, dall'altro lato,
aggrava il già pesante carico dei familiari, determinando tensioni negative
che possono anche sfociare nella richiesta di un ricovero in istituto» (10).
Inoltre, al termine della scuola dell'obbligo, salvo
che per i soggetti gravissimi, «non vi sono possibilità concrete di valutare se
i minori in situazione di handicap sono o non sono in grado di inserirsi
proficuamente nel lavoro in mansioni di tipo specializzato o generico, sia per
la giovane età dei soggetti, sia per l'impostazione spesso nozionistica della
scuola media inferiore e, salvo rarissime eccezioni, per la sua netta separazione
dal mondo del lavoro» (11).
Tuttavia, l'inserimento degli handicappati ultraquindicenni
in strutture di tipo assistenziale come i Centri socio-terapeutici «deve essere
rigorosamente riservato, a nostro avviso, ai soggetti gravi, i quali a causa
delle loro condizioni non sono in possesso dell'autonomia necessaria per lo
svolgimento di attività lavorative» (12).
Sotto questo profilo, ed alla luce della sentenza
della Corte costituzionale, la famiglia - che pure ha il diritto di scegliere
liberamente - non può essere lasciata sola. Stato ed Enti locali debbono, da un
lato, applicare la legislazione e la normativa vigente e, dall'altro,
predisporre quella gamma di strutture e di interventi necessari per dare una
risposta adeguata alle diversificate esigenze. In caso contrario, verrebbe
tradito quello che Nocera chiama «il più bel regalo che la Corte
costituzionale poteva fare agli italiani nel decennale della entrata in vigore
della legge n. 517/1977».
TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA DELLA
CORTE COSTITUZIONALE (*)
La Corte costituzionale, composta dai signori: Prof.
Antonio La Pergola, Presidente e dai giudici: Prof. Virgilio Andrioli, Prof.
Giuseppe Ferrari, Dott. Francesco Saja, Prof. Giovanni Conso, Dott. Aldo
Corasaniti, Prof. Giuseppe Borzellino, Dott. Francesco Greco, Prof. Renato
Dell'Andro, Prof. Gabriele Pescatore, Avv. Ugo Spagnoli, Prof. Francesco Paolo
Casavola, Prof. Vincenzo Caianiello, ha pronunciato la seguente sentenza nel
giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 30 marzo 1971, n.
118 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in
favore dei mutilati ed invalidi civili), di conversione del D.L. 30 gennaio
1971, n. 5, promosso con la seguente ordinanza:
1) ordinanza emessa il 28 novembre 1984 dal Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio sul ricorso proposto da Salvi Giovanni ed
altri iscritta al n. 197 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno
1986.
Visti gli atti di costituzione di Salvi Giovanni ed altri;
udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1987 il Giudice
relatore Ugo Spagnoli;
uditi l'avv. Giovanni C. Sciacca per Salvi Giovanni ed
altri.
RITENUTO IN FATTO
1. - Con ricorso del 19 novembre 1983 i coniugi
Giovanni Salvi e Liliana Carosi impugnavano innanzi al TAR del Lazio la
mancata ammissione della loro figlia Carla, diciottenne portatrice di
handicap, a ripetere nell'anno scolastico 1983-84 la frequenza della prima
classe dell'istituto Professionale di Stato per il Commercio «N. Garrone» di
Roma. Costei nell'anno precedente era stata ritenuta inclassificabile, ed il
Preside, accettata con riserva la domanda di reiscrizione, aveva rimesso la
questione al Provveditore agli studi, facendo presente che - secondo gli
insegnanti - la giovane non avrebbe potuto trarre un qualche profitto dalla
permanenza nella scuola media superiore. Il Provveditore agli Studi, a fronte
della certificazione medica allegata all'istanza, aveva invitato il Preside ad
acquisire presso i competenti servizi specialistici dell'USL un parere medico
legale, da esprimersi sulla base sia di accertamenti di carattere sanitario e
psicologico, sia della conoscenza della situazione determinatasi nell'anno
precedente e dei giudizi espressi dal Consiglio di classe in sede di verifica
finale. Il responso sanitario, peraltro, aveva escluso che l'handicap - di
tipo neuropsichico - fosse da considerarsi grave, ed aveva sottolineato che la
giovane poteva trarre dalla frequenza un beneficio che, se relativo quanto
all'apprendimento, era viceversa notevole sul terreno della socializzazione e
dell'integrazione, sì da far ritenere fondamentale la riammissione della giovane,
per la quale l'isolamento avrebbe contribuito in maniera assolutamente negativa
alla formazione del carattere.
Ciononostante, la richiesta di reiscrizione era stata
respinta di fatto, con il rifiuto opposto alla giovane ad assistere alle
lezioni.
2. - Con ordinanza del 28 novembre 1984, il TAR ha
sollevato questione di illegittimità costituzionale dell'art. 28 della legge
30 marzo 1971, n. 118, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 30, 31 e 34
Cost.
All'inserimento scolastico degli handicappati -
ricorda innanzitutto il TAR rimettente - si provvide solo a partire dagli anni
sessanta, prima mediante classi speciali e differenziali (circolari nn. 4525
del 1962 e 93 del 1963), poi con l'ammissione in classi normali,
opportunamente dimensionate, e l'utilizzazione in esse di insegnanti di
sostegno (circolari nn. 227 del 1975, 228 del 1976 e 216 del 1977).
Con la legge 4 agosto 1977, n. 517 furono poi
previste (artt. 2 e 7) forme di integrazione e di sostegno in favore degli
alunni handicappati, in particolare con l'impiego di insegnanti specializzati
e, nella scuola media, anche di attività scolastiche integrative.
Con l'art. 12 della legge 20 maggio 1982, n. 270 si
provvide poi a fissare le dotazioni organiche del personale docente delle
scuole materne, elementari e medie, tenendo conto dei posti di sostegno da
istituire a favore degli alunni portatori di handicap.
Ciò premesso, il TAR del Lazio osserva che
l'impugnato art. 28 legge n. 118/1971 - recante «Conversione in legge del
decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed
invalidi civili» - disponendo in ordine alla frequenza scolastica di costoro,
prevede, al secondo comma, che «L'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle
classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano
affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale
gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento
nelle predette classi normali»; ed al terzo comma, che «Sarà facilitata,
inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie
superiori ed universitarie».
Richiamando le deduzioni dei ricorrenti, il giudice a quo lamenta che tali disposizioni
nulla prevedano in favore degli handicappati, diversamente che per i mutilati
ed invalidi civili, cui si assicura la frequenza scolastica anche se afflitti
da menomazioni fisiche o psichiche pari a quelle dei primi. Ma avverte che «la
questione investe più direttamente» le richiamate disposizioni delle leggi nn.
517 del 1977 e 270 del 1982, in quanto non garantiscono agli handicappati la
frequenza nella scuola media di secondo grado; ed assume che tale carenza
legislativa sia incostituzionale: «in particolare rispetto all'art. 3 che, dopo
affermato il principio di uguaglianza, affida all'Ordinamento il compito di
rimuovere gli ostacoli impedenti il pieno sviluppo della persona umana;
rispetto all'art. 30 che consacra il diritto all'istruzione di ogni cittadino;
all'art. 31 che affida alla Repubblica il compito di proteggere la gioventù,
favorendo gli istituti necessari allo scopo; come anche all'art. 34 ove si
afferma che la Repubblica rende effettivo il diritto di tutti a frequentare la
scuola».
3. - Il Presidente del Consiglio del ministri non è
intervenuto.
Si sono invece costituite le parti private Giovanni
e Carla Salvi e Liliana Carosi, a mezzo degli avv.ti G.C. Sciacca e P.
d'Amelio.
Nella relativa memoria vengono svolte considerazioni
analoghe a quelle prospettate nell'ordinanza di rimessione.
Si assume, in particolare, essere privo di giustificazione
che si prevedano per l'invalido civile misure atte ad agevolarne l'inserimento
nella vita sociale e lavorativa, mentre l'handicappato sarebbe tutelato «solo
per quanto riguarda il suo inserimento nella scuola dell'obbligo, dopo di che,
essendo le sue minorazioni tali da impedirgli un'attività lavorativa normale,
viene completamente abbandonato». Ciò sarebbe in contrasto con i principi
posti dagli artt. 30, 31, 34 e 38, 3° comma, Cost., dai quali discenderebbe il
compito dello Stato di garantire anche ai minorati formazione ed educazione
(intese come sviluppo integrale della persona: art. 2 Cost.), nonché il
conseguente avviamento professionale. La permanenza nel contesto scolastico
dopo la scuola dell'obbligo sarebbe invero uno dei mezzi di attuazione di tali
fini, in mancanza della quale dovrebbe preventivarsi «una sicura regressione,
in termini di maturazione psico-intellettuale e di socialità» e si renderebbero
perciò vani i risultati già raggiunti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio dubita, in riferimento agli artt. 3, 30, 31
e 34 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 28 della leqqe 30 marzo
1971, n. 118, recante «Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e
nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili».
Tale disposizione detta «Provvedimenti per la
frequenza scolastica» di questi ultimi: ed in particolare, dopo aver previsto,
nel primo comma, misure dirette a rendere possibile o comunque ad agevolare in
generale l'accesso e la permanenza nella scuola (trasporto gratuito dalla abitazione
alla scuola, accesso a questa mediante adatti accorgimenti ed eliminazione
delle cosiddette barriere architettoniche, assistenza agli invalidi più gravi
durante le ore scolastiche) prescrive, nel secondo comma, che, per quanto riguarda
l'istruzione dell'obbligo, questa «deve avvenire nelle classi normali della
scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi-
deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o
rendere molto difFicoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette
classi normali».
Il terzo comma dispone che «sarà facilitata, inoltre,
la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed
universitarie»; il quarto comma infine, estende la medesima disciplina alle
istituzioni prescolastiche e ai doposcuola.
Come precisato in narrativa, nel caso di specie il
TAR rimettente era chiamato a decidere in ordine alla legittimità della mancata
reiscrizione di una giovane portatrice di handicap alla prima classe di un
istituto professionale di Stato, manifestata col rifiuto oppostole ad
assistere alle lezioni nonostante il contrario parere espresso dai competenti
servizi specialistici sotto il profilo sanitario e psicologico; parere nel
quale era stata sottolineata la non gravità dell'affezione e la fondamentale
importanza della frequenza scolastica nell'indurre momenti di socializzazione
ed integrazione atti a favorirne un'evoluzione positiva.
La questione è indubbiamente rilevante, posto che la
disposizione impugnata, nella prospettazione del giudice a quo, non assicura ai portatori di handicap il diritto alla
frequenza delle scuole secondarie superiori.
2. - Giova anzitutto premettere all'esame della
specifica questione sollevata, un sia pur sintetico cenno all'evoluzione
normativa sull'inserimento nella scuola dei portatori di handicaps, in quanto
è anche sulla considerazione di taluni suoi caratteri che l'ordinanza di
rimessione fonda le proprie censure.
Come è noto, il problema dell'inserimento di minorati
nella scuola è stato per lungo tempo affrontato e risolto, nel nostro
ordinamento, con ali strumenti delle scuole speciali e delle classi
differenziali.
Ancora negli anni sessanta, le leggi 24 luglio 1962,
n. 1073 (recante i «Provvedimenti per lo sviluppo della scuola nel triennio dal
1962 al 1965») e 31 ottobre 1966, n. 942 (relativa al «Finanziamento del piano
di sviluppo della scuola nel quinquennio dai 1966 al 1970») prevedono
stanziamenti per il funzionamento di tali strutture speciali. La legge 31
dicembre 1962, n. 1859, istitutiva della scuola media statale, contempla
classi differenziali per «alunni disadattati scolastici» (art. 12) e la legge
18 marzo 1968. n. 444, relativa alla scuola materna statale, istituisce
sezioni o, per i casi più gravi, scuole speciali per i bambini da tre a cinque
anni affetti da disturbi dell'intelligenza o del comportamento o da menomazioni
fisiche o sensoriali.
Negli anni settanta, questo indirizzo viene sostanzialmente
ribaltato. La legge 30 marzo 1971, n. 118 - oltre a prevedere, per i «mutilati
ed invalidi civili», corsi di istruzione per l'espletamento o completamento
della scuola dell'obbligo presso i centri di riabilitazione, scuole per la formazione
di assistenti educatori e assistenti sociali specializzati e particolari misure
per l'addestramento professionale (artt. 4, 5 e 23) - stabilisce - come si è
visto - che «l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della
scuola pubblica» (art. 28) e che «esclusivamente quando sia accertata
l'impossibilità di far frequentare ai minorati la scuola pubblica dell'obbligo»
si istituiranno «per i minori ricoverati» nei centri di degenza e di recupero,
classi normali «quali sezioni staccate della scuola statale» (art. 29).
La legge 4 agosto 1977, n. 517, poi, «al fine di
agevolare l'attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena
formazione della personalità» prevede per la scuola elementare (art. 2) e
media (art. 7) forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni
portatori di handicap, da realizzarsi tra l'altro attraverso limitazioni
numeriche delle classi in cui costoro sono inseriti, predisposizione di
particolari servizi ed impiego di docenti specializzati. Con la medesima legge
(art. 7, ultimo comma) sono abolite le classi differenziali. La successiva
legge 20 maggio 1982, n. 270 provvede poi (art. 12) circa le dotazioni
organiche, nei ruoli di dette scuole, degli insegnanti di sostegno (di regola,
uno ogni quattro alunni portatori di handicap).
La disciplina così sommariamente richiamata concerne
peraltro solo la scuola materna, elementare e media; mentre per la scuola
secondaria superiore non ha avuto sviluppi, nella legislazione nazionale,
l'indicazione contenuta nel già citato terzo comma dell'art. 28 legge n. 118
del 1971.
Per la verità, la previsione di «forme di integrazione
educativa» atte a facilitare l'inserimento e la formazione degli handicappati
anche in tale ordine di scuola è diffusamente presente al livello di
legislazione regionale (cfr., in particolare, L.r. Veneto 8 maggio 1980, n.
46; L.r. Friuli-Venezia Giulia 21 dicembre 1981, n. 87; L.r. Sicilia 18
aprile 1981, n. 68; L.r. Calabria 3 settembre 1984, n. 28; ecc.).
Spazi per concrete iniziative di inserimento dei
portatori di handicaps nelle scuole superiori sono inoltre individuabili nella
definizione normativa dei compiti degli organi collegiali della scuola (cfr.
D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, artt. 3, 6, 12 e 15). Specifiche prescrizioni in
tal senso sono inoltre contenute nelle circolari ministeriali nn. 129 del 28
aprile 1982 e 163 del 16 giugno 1983 (quest'ultima relativa alle prove di esame
di maturità da parte di candidati portatori di handicap).
Nell'ottava e nella nona legislatura, infine, sono
state assunte molteplici iniziative legislative volte a disciplinare la
frequenza, da parte degli handicappati, delle scuole secondarie superiori e
dell'università, con la previsione di misure atte a realizzarla concretamente:
ma esse non sono riuscite a tradursi in provvedimenti legislativi.
3. - Al fine di puntualizzare l'oggetto dei presente
giudizio di costituzionalità, giova ricordare che il giudice rimettente, nel
dare inizialmente conto delle prospettazioni della parte privata, sembra
lamentare (senza però fare inequivocabilmente propria la censura) che le
disposizioni di cui al secondo e terzo comma dell'art. 28 legge n. 118 del 1971
concernono solo i mutilati ed invalidi civili, e ne siano viceversa esclusi i
portatori di handicap.
Così intesa, la questione muoverebbe però da un
erroneo presupposto. Dispone invero l'art. 2, secondo comma, di tale testo
legislativo che «Agli effetti della presente legge, si considerano mutilati ed
invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche
a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di
carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti
sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della
capacità lavorativa non inferiore ad un terzo o, se minori di anni 18, che
abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie
della loro età»; ed è pacifico in dottrina e giurisprudenza che in tale ampia
nozione sono ricompresi i soggetti affetti da menomazioni fisiche, psichiche e
sensoriali comportanti sensibili difficoltà di sviluppo, apprendimento ed
inserimento nella vita lavorativa e sociale, cui il concetto di «portatore di
handicap» comunemente si riferisce (anche se al riguardo non esiste, allo stato
- salvo che in talune leggi regionali - una precisa definizione legislativa).
Dopo il suddetto cenno iniziale, peraltro, l'ordinanza
di rimessione prosegue con una diffusa esposizione della soprarichiamata
normativa in materia e nella parte finale incentra le proprie censure sulla
genericità della previsione di cui all'impugnato art. 28, lamentando la carenza
di disposizioni, quali quelle di cui alle citate leggi nn. 517 del 1977 e 270
del 1982, idonee a garantire ai portatori di handicaps, con la predisposizione
di strumenti all'uopo idonei, la frequenza della scuola secondaria superiore.
La questione dedotta investe, perciò, i) terzo comma
del citato art. 28, in quanto, limitandosi a disporre che «sarà facilitata»
tale frequenza, non assicura l'effettiva e concreta realizzazione di tale
diritto: nel che il giudice rimettente ravvisa una violazione degli artt. 3,
30, 31 e 34 Cost.
4. - La disposizione impugnata ha indubbiamente un
contenuto esclusivamente programmatorio, limitandosi ad esprimere solo un
generico impegno ed un semplice rinvio ad imprecisate e future facilitazioni.
Il suo tenore non è perciò idoneo a conferire certezza alla condizione
giuridica dell'handicappato aspirante alla frequenza della scuola secondaria
superiore; a garantirla, cioè, come diritto pieno pur ove non sussistano (come
nel caso oggetto del giudizio a quo)
le condizioni che - se concretamente verificate - ne limitano la fruizione per
la scuola dell'obbligo a termini del precedente secondo comma del medesimo
articolo. Per la scuola secondaria superiore, inoltre, non solo mancano norme
che apprestino gli strumenti atti a corredare tale diritto di opportuni
supporti organizzativi e specialistici - come avviene per la scuola dell'obbligo
ai sensi dei richiamati articoli delle leggi nn. 517 del 1977 e 270 del 1982 -;
ma la disposizione impugnata, non è, per la sua formulazione, idonea a
costituire il fondamento cogente né della disciplina, che - pur se in modo parziale
e disorganico - è stata finora emanata a livello di normazione regionale o
secondaria, né delle iniziative che sul piano della gestione concreta
competono, come si è detto, agli organi scolastici.
5. - La questione, nei termini anzidetti, è fondata.
Per valutare la condizione giuridica dei portatori
di handicap in riferimento all'istituzione scolastica occorre innanzitutto
considerare, da un lato, che è ormai superata in sede scientifica la
concezione di una loro radicale irrecuperabilità, dall'altro che l'inserimento
e l'integrazione nella scuola ha fondamentale importanza al fine di favorire
il recupero di tali soggetti. La partecipazione al processo educativo con insegnanti
e compagni normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di
socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità
dello svantaggiato, al dispiegarsi cioè di quelle sollecitazioni psicologiche
atte a migliorare i processi di apprendimento, di comunicazione e di relazione
attraverso la progressiva riduzione dei condizionamenti indotti dalla
minorazione.
Insieme alle pratiche di cura e riabilitazione ed al
proficuo inserimento nella famiglia, la frequenza scolastica è dunque un
essenziale fattore di recupero del portatore di handicap e di superamento
della sua emarginazione, in un complesso intreccio in cui ciascuno di tali
elementi interagisce sull'altro e, se ha evoluzione positiva, può operare in
funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità.
Da siffatto ordine concettuale ha indubbiamente
preso le mosse il legislatore ordinario allorquando, con le già richiamate
disposizioni delle leggi del 1971 e 1977, ha da un lato previsto l'inserimento
in via di principio dei minorati nella normale scuola dell'obbligo - onde
evitare i possibili effetti di segregazione ed isolamento ed i connessi rischi
di regressione - dall'altro ha concepito le forme di integrazione, sostegno od
assistenza ivi previste come strumenti preordinati ad agevolare non solo
l'attuazione del diritto allo studio ma anche la piena formazione della
personalità degli alunni handicappati.
Ora, è innegabile che le esigenze di apprendimento e
socializzazione che rendono proficua a questo fine la frequenza scolastica non
vengono meno coi compimento della scuola dell'obbligo, anzi, proprio perché
si tratta di complessi e delicati processi nei quali il portatore di handicap
incontra particolari difficoltà, è evidente che una loro artificiosa
interruzione, facendo mancare uno dei fattori favorenti lo sviluppo della
personalità, può comportare rischi di arresto di questo, quando non di
regressione.
Altrettanto innegabile è, d'altra parte, che l'apprendimento
e l'integrazione nella scuola sono, a loro volta, funzionali ad un più pieno
inserimento dell'handicappato nella società e nel mondo del lavoro; e che lo
stesso svolgimento di attività professionali più qualificate di quelle attingibili
col mero titolo della scuola dell'obbligo - e quindi il compimento degli studi
inferiori - può favorire un più ricco sviluppo delle potenzialità del giovane
svantaggiato e quindi avvicinarlo alla meta della piena integrazione sociale.
6. - Dalle considerazioni ora svolte è agevole
arguire come sul tema della condizione giuridica del portatore di handicap
confluiscono un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi
ispiratori del disegno costituzionale: e che, conseguentemente, il canone
ermeneutico da impiegare in siffatta materia è essenzialmente dato
dall'interrelazione e integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano
espressione e tutela.
Statuendo che «la scuola è aperta a tutti»; e con ciò
riconoscendo in via generale l'istruzione come diritto di tutti i cittadini,
l'art. 34, primo comma, Cost. pone un principio nel quale la basilare garanzia
dei diritti inviolabili dell'uomo «nelle formazioni sociali ove si svolge la
sua personalità» apprestata dall'art. 2 Cost. trova espressione in riferimento
a quella formazione sociale che è la comunità scolastica. L'art. 2 poi, si raccorda
e si integra con l'altra norma, pure fondamentale, di cui all'art. 3, secondo
comma, che richiede il superamento delle sperequazioni di situazioni sia
economiche che sociali suscettibili di ostacolare il pieno sviluppo delle persone
dei cittadini.
Lette alla luce di questi principi fondamentali le
successive disposizioni contenute nell'art. 34 palesano il significato di
garantire il diritto all'istruzione malgrado ogni possibile ostacolo che di
fatto impedisca il pieno sviluppo della persona. L'effettività dell'istruzione
dell'obbligo è, nel secondo comma, garantita dalla sua gratuità; quella
dell'istruzione superiore è garantita anche a chi, capace e meritevole, sia
privo di mezzi, mediante borse di studio, assegni alle famiglie ad altre
provvidenze (terzo e quarto comma). In tali disposizioni, l'accento è
essenzialmente posto sugli ostacoli di ordine economico, giacché il
Costituente era ben consapevole che è principalmente in queste che trova
radice la disuguaglianza delle posizioni di partenza e che era perciò
indispensabile dettare al riguardo espresse prescrizioni idonee a garantire
l'effettività del principio di cui al primo comma. Ciò però non significa che
l'applicazione di questo possa incontrare limiti in ostacoli di altro ordine,
la cui rimozione è postulata in via generale come compito della Repubblica
nelle disposizioni di cui agli artt. 2 e 3, secondo comma: sostenere ciò
significherebbe sottacere il fatto evidente che l'inserimento nella scuola e
l'acquisizione di una compiuta istruzione sono strumento fondamentale per quel
«pieno sviluppo della persona umana» che tali disposizioni additano come meta
da raggiungere.
In particolare, assumere che il riferimento ai «capaci
e meritevoli» contenuto nel terzo comma dell'art. 34 comporti l'esclusione
dall'istruzione superiore degli handicappati in quanto «incapaci»
equivarrebbe a postulare come dato insormontabile una disuguaglianza di fatto
rispetto alla quale è invece doveroso apprestare gli strumenti idonei a
rimuoverla, tra i quali è appunto fondamentale - per quanto si è già detto -
l'effettivo inserimento di tali soggetti nella scuola.
Per costoro, d'altra parte, capacità e merito vanno
valutati secondo parametri peculiari, adeguati alle rispettive situazioni di
minorazione, come le stesse circolari ministeriali dianzi citate si sono in
certa misura sforzate di prescrivere (cfr. par. 2); ed il precludere ad essi
l'inserimento negli istituti d'istruzione superiore in base ad una presunzione
di incapacità - soprattutto, senza aver preventivamente predisposto gli
strumenti (cioè le «altre provvidenze» di cui all'art. 34, quarto comma) idonei
a sopperire all'iniziale posizione di svantaggio - significherebbe non solo
assumere come insuperabili ostacoli che è invece doveroso tentare di
eliminare, o almeno attenuare, ma dare per dimostrato ciò che va invece
concretamente verificato e sperimentato onde assicurare pari opportunità a
tutti, e quindi anche ai soggetti in questione. Inoltre, se l'obiettivo è
quello di garantire per tutti il pieno sviluppo della persona e se, dunque,
compito della Repubblica è apprestare i mezzi per raggiungerlo, non v'ha dubbio
che alle condizioni di minorazione che tale sviluppo ostacolano debba
prestarsi speciale attenzione e che in quest'ottica vadano individuati i
compiti della scuola quale fondamentale istituzione deputata a tal fine. Di ciò
si è mostrato consapevole il legislatore ordinario, che non a caso nelle leggi
del 1971 e 1977 dianzi citate ha al riguardo congiuntamente indicato i fini
dell'«istruzione» e della «piena formazione della personalità» (ovvero - il che
è lo stesso - quelli dell'«apprendimento» e dell'«inserimento»), inquadrando
in tale contesto le specifiche disposizioni dettate in favore dei minorati. Che
poi ai medesimi compiti sia deputata anche l'istruzione superiore è
dimostrato, prima ancora che da specifiche disposizioni in tal senso (cfr.
D.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, artt. 1 e 2) dall'ovvia constatazione che essa
stessa è strumento di piena formazione della personalità.
7. - Per i minorati, d'altra parte - a dimostrazione
della speciale considerazione di cui devono essere oggetto - il perseguimento
dell'obiettivo ora indicato non è stato dal Costituente rimesso alle sole
disposizioni generali. L'art. 38, terzo comma, prescrive infatti che «gli
inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione ed all'avviamento
professionale».
Attesa la chiara formulazione della norma, che
sancisce un duplice diritto, non potrebbe dedursi dalla sua collocazione nel
titolo dedicato ai rapporti economici che essa garantisca l'educazione solo in
quanto funzionale alla formazione professionale e che quindi solo per questa
via sia a tali soggetti assicurato l'inserimento nella vita produttiva: se così
fosse, il primo termine sarebbe evidentemente superfluo. Certo, la seconda
garanzia - che nei confronti dei portatori di handicap trova specifica
attuazione nella legge quadro in materia di formazione professionale,
attraverso la prescrizione alle regioni di «idonei interventi» atti ad «assicurarne
il completo inserimento nell'attività formativa e favorirne la integrazione
sociale» - art. 3, lett. m), leg. n. 845 del 1978 - ha per costoro fondamentale
importanza, specie per quei casi di handicaps gravi o gravissimi per i quali
risulti concretamente impossibile l'apprendimento e l'integrazione nella scuola
secondaria superiore: impedimenti che peraltro - alla stregua di quanto s'è
detto, ed in coerenza con quanto chiaramente prescrive, per la scuola
dell'obbligo, l'art. 28 della legge n. 118 del 1971 - vanno valutati
esclusivamente in riferimento all'interesse dei l'handicappato e non a quello
ipoteticamente contrapposto della comunità scolastica, misurati su entrambi
gli anzidetti parametri (apprendimento ed inserimento) e non solo sul primo e
concretamente verificati alla stregua di già predisposte strutture di
sostegno, senza cioè che la loro permanenza possa imputarsi alla carenza di
queste.
Se, quindi, l'educazione che deve essere garantita
ai minorati ai sensi del terzo comma dell'art. 38 è cosa diversa da quella
propedeutica o inerente alla formazione professionale - che si rivolge a chi ha
assolto l'obbligo scolastico o ne è stato prosciolto (art. 2, secondo comma,
legge n. 845 del 1978 cit.) - è giocoforza ritenere che la disposizione sia da
riferire all'educazione conseguibile anche attraverso l'istruzione superiore.
Benché non si esaurisca in ciò, l'educazione è infatti «l'effetto finale
complessivo e formativo della persona in tutti i suoi aspetti» che consegue
all'insegnamento ed alla istruzione con questo acquisita (cfr. sent. n. 7 del
1967).
Sotto quest'aspetto, dunque, la disposizione in
discorso integra e specifica quella contenuta nell'art. 34, per quanto concerne
l'istruzione che va garantita ai minorati; e la sua collocazione nel III,
anziché nel II titolo della I parte della Costituzione ben si giustifica coll'essere
l'istruzione in questione finalizzata anche all'Inserimento di tali soggetti
nel mondo del lavoro.
Garantire a minorati ed invalidi tale possibilità
anche attraverso l'istruzione superiore corrisponde perciò ad una precisa
direttiva costituzionale: e non a caso questa Corte, decidendo in ordine ad
una situazione per molti versi analoga, nella quale era stato posto in
discussione il rapporto tra il cittadino invalido e il suo inserimento nel
mondo del lavoro, ha affermato (sent. n. 163 del 1983) che «non sono
costituzionalmente, oltre che moralmente ammissibili esclusioni e limitazioni
dirette a relegare sul piano di isolamento e di assurda discriminazione soggetti
che, particolarmente colpiti nella loro efficienza fisica e mentale, hanno
invece pieno diritto di Inserirsi nel mondo del lavoro».
8. - Ciò che va ancora sottolineato, poi, è che, onde
garantire l'effettività del diritto all'educazione (nel senso ora precisato)
di minorati ed invalidi - e quindi dei portatori di handicap - lo stesso art.
38 dispone, al quarto comma, che ai compiti a ciò inerenti debbano provvedere «organi
ed istituti predisposti o integrati dallo Stato». Ciò, per un verso, evidenzia
la doverosità delle misure di integrazione e sostegno idonee a consentire ai
portatori di handicap la frequenza degli istituti d'istruzione anche superiore:
dimostrando, tra l'altro, che è attraverso questi strumenti, e non col sacrificio
del diritto di quelli, che va realizzata la composizione tra la fruizione di
tale diritto e le esigenze di funzionalità del servizio scolastico.
Per altro verso, la disposizione pone in risalto come
all'assolvimento di tali compiti siano deputati primariamente gli organi
pubblici. Di ciò si ha, sotto altro e più generale profilo, significativa
conferma nella disposizione di cui all'art. 31 primo comma, Cost., che, facendo
carico a tali organi di agevolare, con misure economiche e «altre provvidenze»,
l'assolvimento dei compiti della famiglia - tra i quali è quello dell'istruzione
ed educazione dei figli (art. 30) - presuppone che esso possa per vari motivi
risultare difficoltoso: ed è evidente che se vi è un settore in cui la
dedizione della famiglia può risultare in concreto inadeguata, esso è proprio
quello dell'educazione e sostegno dei figli handicappati. Ciò dà la misura
dell'impegno che in tale campo è richiesto tanto allo Stato quanto alle
Regioni, alle quali ultime spetta in particolare provvedere, con i necessari
supporti, all'assistenza scolastica in favore dei «minorati psicofisici»
(art. 42 D.P.R. n. 616 del 1977).
Nello stesso senso depongono, del resto, i compiti
posti alla Repubblica dall'art. 32 Cost., atteso l'ausilio al superamento od
attenuazione degli handicaps (ovvero ad evitare interruzioni di tali positive
evoluzioni) che può essere fornito, come si è già detto, dall'integrazione
negli istituti d'istruzione superiore: non a caso la legge di riforma
sanitaria n. 833 del 1978 pone l'obiettivo, tra l'altro, della «promozione
della salute nell'età evolutiva... favorendo con ogni mezzo l'integrazione dei
soggetti handicappati» (art. 2, secondo comma, lett. d).
9. - Alla stregua delle suesposte considerazioni,
l'art. 28, terzo comma, della legge n. 118 del 1971 va dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, in riferimento ai soggetti
portatori di handicap, prevede che «sarà facilitata», anziché disporre che «è
assicurata», la frequenza alle scuole medie superiori.
In questo modo, la disposizione acquista valore
immediatamente precettivo e cogente, ed impone perciò ai competenti organi
scolastici sia di non frapporre a tale frequenza impedimenti non consentiti
alla stregua delle precisazioni sopra svolte, sia di dare attuazione alle
misure che, in virtù. dei poteri-doveri loro istituzionalmente attribuiti,
ovvero dell'esistente normazione regionale, secondaria o amministrativa (cfr.
par. 2), possano già allo stato essere da essi concretizzate o promosse.
Spetta ovviamente al legislatore il compito - la cui
importanza ed urgenza è sottolineata dalle considerazioni sopra svolte - di
dettare nell'ambito della propria discrezionalità una compiuta disciplina
idonea a dare organica soluzione a tale rilevante problema umano e sociale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28,
terzo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 - recante «Conversione in legge
del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi
civili» - nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicap,
prevede che «sarà facilitata», anziché disporre che «è assicurata» la frequenza
alle scuole medie superiori.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 1987. Depositata in
Cancelleria l'8 giugno 1987.
(1) Legge 30 marzo 1971, n. 118,
«Conversione in legge del decreto legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in
favore dei mutilati ed invalidi civili», in Gazzetta
ufficiale, 2 aprile 1971, n. 82. Il testo della legge 118/1971 è riportato
su Prospettive assistenziali, n. 14,
aprile-giugno 1971.
(2) Cfr.: S. NOCERA, «Grazie alla
Corte costituzionale», in Notiziario del MAC, Movimento Apostolico Ciechi,
Roma, luglio 1987.
(3) Cfr.: M. PAVONE, «Riforma della
scuola media superiore: gli alunni portatori di handicaps restano clandestini»,
in Prospettive assistenziali, n. 61,
gennaio-marzo 1983, pp. 36 e segg. e M. PAVONE, «Alunni portatori di handicap
ed esami di maturità: nuove disposizioni», in Prospettive assistenziali, n. 64, ottobre-dicembre 1983, pp. 15 e
segg.
(4) Si veda, ad esempio: AA.VV., Ti presto un braccio, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1983; L. SERPICO
PERSICO, «I problemi dell'accesso alla scuola secondaria superiore», in L.
SANTELLI BECCEGATO (a cura di), Integrazione
scolastica e solidarietà sociale, La Scuola, Brescia, 1984; O. ARZUFFI (a
cura di), Alla ricerca dell'utopia.
Esperienze di inserimento di alunni handicappati in una scuola media superiore,
Juvenilia, Bergamo, 1985; E. CORSANI RAVAZZINI, Barriere di carta. L'handicap della scuola, Edizioni Gruppo Abele,
Torino, 1987.
(5) Cfr.: C.M. 28 aprile 1982, n.
129, «Problemi inerenti alla presenza di alunni handicappati nella scuola secondaria
superiore» e C.M. 16 giugno 1983, n. 163, «Prove d'esame di maturità da parte
di candidati portatori di handicaps fisici e/o sensoriali». I testi integrali
sono pubblicati in Prospettive
assistenziali, n. 64, ottobre-dicembre 1983, pp. 17 e segg.
(6) Si tenga presente che, al
momento, nella legislazione statale non esiste una vera e propria definizione
di handicap. La più estensiva è proprio quella contenuta nella legge 118/1971,
art. 2. Inoltre, durante il dibattito parlamentare per l'approvazione della
legge stessa, la Camera dei deputati - nella seduta del 16 marzo 1971 - ha approvato
un ordine del giorno così formulato: «La Camera (...) impegna il Governo,
perché in sede di applicazione della legge il concetto dell'estensione del
provvedimento a tutte le categorie
non sia deformato con interpretazioni limitative, specie per quanto attiene
alla definizione del concetto di minorazione (...); in particolare, si intende
evitare che, come per il passato, attraverso interpretazioni piuttosto
arbitrarie delle leggi vigenti, categorie di invalidi e mutilati civili (...)
siano esclusi dai vari tipi di provvidenze, in modo da far si che per ciascuno
di tali soggetti sia prevista una assistenza specifica rapportata al particolare
bisogno determinato dalla sua condizione, sia in termini medici, sia in
termini di riabilitazione in forme differenziate ed adeguate al bisogno».
(7) Sia sufficiente ricordare la
pronuncia del CNPI, Consiglio nazionale della pubblica istruzione del 2 luglio
1986, «in ordine alla revisione della normativa sull'integrazione scolastica degli
alunni in situazione di handicap nelle scuole materne, elementari e medie».
Cfr.: P. ROLLERO, «Handicap e scuola: una brutta pagina del CNPI ed alcuni
punti fermi per non tornare indietro», in Prospettive
assistenziali, n. 78, aprile-maggio 1987, pp. 17 e segg.
(8) Cfr.: L. SERPICO PERSICO, cit.
pag. 150.
(9) Ibidem.
(10) Cfr. Documento presentato alla
Regione Piemonte dal Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base torinesi), Torino, 1° dicembre 1983. Vedi: Prospettive assistenziali, n. 70, aprile-giugno 1985, p. 9.
(11) Ibidem.
(12) Ibidem.
(*) Sentenza n. 215 del 3.6.1987,
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
- serie speciale - del 17.6.1987.
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