Prospettive assistenziali, n. 82, aprile-giugno 1988

 

 

Libri

 

 

FRANCO FOSCHI, Lettera a un giovane del 2000 sulla salute, Francisci Editore, Abano Terme, 1987, pp. 191, L. 25.000.

 

In un periodo in cui nel nostro paese il di­battito sulla salute tende a chiudersi tra le sole questioni legate alla spesa - con le conseguenti scelte che tendono sempre più a privilegiare gli aspetti economici -, l'Autore di questo interes­sante e importante testo allarga gli spazi della discussione, riprende i temi della riforma sanita­ria e aggiunge interrogativi che vanno ben altre i singoli problemi tecnici e specifici che pure ven­gono posti.

La salute come un impegno sociale e civile. Rileva l'Autore che «troppo spesso l'insistenza sul diritto del malato piuttosto che essere una conquista, rischia di rispondere alla tendenza pro­pria della nostra società a considerare preminen­te la lotta contro la malattia che il creare condi­zioni di vita più sana. Di conseguenza si privile­gia la medicina d'urgenza e riparatrice e si pensa all'ospedale come il luogo della salute». Giusta­mente secondo Foschi «il vero diritto dell'uomo sano a malato è nella partecipazione responsa­bile alla tutela della salute o al suo recupero. L'affermazione del diritto dell'uomo, di tutto l'uo­mo, va riferita al concetto di salute e non può es­sere relativizzata solo ad uno stato patologico. Coscienza e responsabilità della salute riguarda­no l'affermazione concreta delle libertà dell'uo­mo singolo e della società. Persona e comunità, uomo e ambiente, cittadino e società sono bino­mi inscindibili oggi, sia in termini strettamente scientifico-medici, sia in termini di realizzazione progressiva delle condizioni e dei comportamenti coerenti per la tutela della salute. Non si tratta di avere una visione riduttiva del ruolo del me­dico in questo campo, ma di evitare il rischio di attribuire all'attività medica un compito che non le appartiene, medicalizzando la società, co­me si dice facendo finta di non sapere che sa­lute, malattia, invalidità, malformazioni, dipendo­no in gran parte dall'importanza che la società accorda loro e dalla priorità delle scelte sociali e - talora - delle manipolazioni che le logiche puramente economiche determinano a danno dell'uomo sano o malato».

Il libro difende in modo non acritico i principi e la filosofia della riforma sanitaria; al riguardo nell'ultimo capitolo, vi è una analisi della sanità «made in USA» paese in cui «si è cominciato col chiedersi se le cure sanitarie sono un diritto del­l'uomo oppure solo un servizio per chi se le può pagare». Al riguardo Foschi cita sia il Prof. Wil­liam Schwartz dell'Università di Tufts, il quale af­ferma che «la sola maniera per ridurre i costi è di privare certe persone delle cure mediche o di negare l'assistenza per certe malattie», sia Richard Lamm, governatore del Colorado, il qua­le ha dichiarato: «Spendiamo troppo a tenere in vita dei vecchi giunti all'ultimo stadio della ma­lattia».

Negli Stati Uniti «si guarda con simpatia al si­stema inglese che ha già di fatto contingentato certe cure, ad esempio privando della dialisi i 2/3 dei sofferenti di insufficienza renale (i vecchi). Ma - aggiunge Foschi -, il sistema di paga­mento negli USA è già così orientato, avendo sta­bilito armai dei "barèmes" di 400 malattie, in fun­zione della diagnosi, per cui all'ospedale non vie­ne rimborsato più della cifra fissata. Se spende di meno si guadagna la differenza. Sembra evi­dente che, in queste condizioni, la libertà pro­fessionale e l'autonomia delle scelte mediche, è sempre più aleatoria. I medici stessi sono co­stretti a vendersi sul mercato. Vengono assoldati dalle assicurazioni e dalle catene ospedaliere, i loro salari vengono decurtati secondo l'interesse dell'azienda e il loro valore non é misurato sul­la capacità professionale, ma sulla produttività rispetto all'azienda. Se un medico alla fine dell'anno non ha prodotto un numero adeguato dl pazienti e, soprattutto, di pazienti che costino poco o rendano molto, viene licenziato, dice in parole semplici il Presidente della Humana».

Conclude l'Autore: «Persona e comunità devo­no realizzare un processo di autoresponsabiliz­zazione su cui fondare scelte di solidarietà. Solo così i diritti civili fondamentali verranno garan­titi, soprattutto ai più deboli, agli handicappati fisici o psichici, ai più gravi malati, ai malati men­tali, ai cronici e alle categorie sociali più povere o più emarginate, alle famiglie nell'ambito delle quali si ripercuote il malessere e il rischio per l'equilibrata evoluzione fisica e psichica delle nuove generazioni. Se la misura fosse quella dei costi-benefici, se prevalessero logiche monetari­stiche e regole di una economia non a servizio dell'uomo, se la scienza non fosse libera da con­dizionamenti e interessi, se il medico fosse un funzionario o un tecnico, presto ci troveremmo (a volte viene il dubbio che già "siamo") a giu­stificare con argomenti medici il disorientamento della cultura attuale e gli egoismi e le presunzioni di una società individualistica che classifica ed emargina».

 

 

CENTRO ITALIANO FEMMINILE, Stile di vita e comportamento delle adolescenti oggi in Italia, Direzione affari civili del Ministero dell'interno, Roma, 1987, pp. 222, Edizione fuori commercio.

 

La ricerca vuole presentare uno spaccato dell'adolescente «femmina» studiata attraverso i comportamenti manifestati nell'ambito familiare. scolastico; lavorativo e del tempo libero:

Fatta salva la presentazione che inquadra il problema da un punto di vista psicologico e sociologico, i limiti dei risultati e dei dati riportati sono molteplici, mentre le conclusioni rasenta­no l'ovvietà.

Forse non era necessario avviare un'indagine per arrivare a dedurre che un'adolescente che appartiene ad una famiglia agiata, che frequen­ta la scuola e partecipa alla vita associativa, ha meno problemi - o sono meno preoccupanti - di un'adolescente che non lavora, non studia, appartiene ad una famiglia con pochi mezzi eco­nomici e culturali e non fa vita di gruppo.

L'altro dato, che viene rivelato come nuovo ed è sottoposto come riflessione, è la mancanza di contenuti che le adolescenti segnalano sia nel­la scuola, che nell'ambito dei gruppi di apparte­nenza, persino nei confronti di quelli ecclesiali. Anche qui ci pare tuttavia che non si tratti di una peculiarità specifica della categoria, ma che sem­plicemente le adolescenti si limitino a registrare e a vivere il momento culturale e politico genera­le, segnato appunto da una sfiducia nelle istitu­zioni.

Ciò che comunque ci ha più rammaricato è la constatazione di quanta poca attenzione sia sta­ta data alla situazione degli adolescenti, che vi­vono in situazioni di svantaggio familiare e so­ciale.

Non una parola viene detta sul fronte della «prevenzione» (come evitare l'evasione e l'ab­bandono scolastico, che tipo di sostegno offrire all'adolescente e alla famiglia, come intervenire per evitare o limitare il disagio).

Evidentemente è più facile studiare e appron­tare soluzioni adeguate ai problemi di normalis­sime adolescenti, con normali problemi dell'età, piuttosto che indirizzare la ricerca nella individuazione delle cause che creano i bisogni e le in­soddisfazioni delle adolescenti problematiche.

 

 

AA.VV., Adozione internazionale: verifiche e pro­spettive legislative - Atti dell'incontro dibattito di Roma del 20 gennaio 1987, Stampa a cura della Sezione italiana del Servizio Sociale Internazio­nale, Roma, 1987, pp. 109, L. 20.000

 

In occasione della presentazione del volume «L'adozione dei minori nelle legislazioni euro­pee», si è svolto il 20 gennaio 1987 a Roma, presso la Camera dei Deputati, un incontro pro­mosso dalla Sezione italiana del Servizio Sociale Internazionale sul tema «Adozione internaziona­le: verifiche e prospettive legislative», al quale crediamo utile dare spazio in questa sede, in con­siderazione dell'attualità e dell'importanza dei ­temi che sono stati affrontati, oltre che per gli spunti pratici che ne sono emersi.

Pur non mancando periodicamente le occasio­ni in cui le problematiche dell'adozione interna­zionale vengono trattate diffusamente (talvolta si assiste addirittura ad una vera e propria esplo­sione di iniziative: da convegni a tavole rotonde, da pubblicazioni specialistiche a dibattiti radio­televisivi e ad inchieste su giornali e periodici, ecc.), troppo spesso accade di imbattersi in espo­sizioni che si perdono nelle secche di un arido tecnicismo o che tendono ad esaurirsi nell'enun­ciazione di mere affermazioni di principio, e co­me tali ben poco propizie al confronta delle idee e, quel che è peggio, prive di proposte concrete, se non anche dannose: fenomeni, questi, resi an­cora più gravi dal raffronto con una realtà come quella odierna, in cui da più di un segnale si va manifestando da un lato una certa qual caduta di cultura nell'accostarsi alle tematiche dell'abban­dono e dall'altro un serpeggiante atteggiamento di sfiducia e di critica nei confronti degli stessi principi ispiratori della legge 184/83 fino a pro­porre modifiche più o meno subdole e che ri­schierebbero di snaturare la portata pubblicistica sulla quale ci si era proposti di imperniare l'affer­mazione e la tutela del diritto del minore ad usufruire degli affetti famigliari.

Ricco di stimoli è stato invece, l'incontro di Roma, che ha saputo racchiudere nell'arco di una sola giornata di studio una fitta seria di interven­ti, tutti ispirati, pur nell'ambito delle diverse di­scipline e delle rispettive sfere di interesse e di operatività (docenti di diritto internazionale, ma­gistrati, operatori sociali, parlamentari, respon­sabili d'i associazioni, ecc.), all'intento di valuta­re costruttivamente il vigente assetto normativo dell'adozione internazionale e di verificarne criti­camente l'applicazione quotidiana nel rispetto della volontà del legislatore.

Nell'impossibilità di passare dettagliatamente in rassegna ogni singola comunicazione, ci si li­miterà qui a segnalare come particolarmente puntuale la relazione introduttiva svolta dal dr. Luigi Fadiga, Direttore dell'Ufficio giustizia mino­rile del Ministero di Grazia e Giustizia, il quale avvalendosi anche di ampi dati statistici acqui­siti presso i Tribunali per i minorenni relativa­mente al periodo 1979-1986 - ha posto in risalto come l'adozione internazionale abbia ormai deci­samente «sorpassato» l'adozione nazionale, ar­rivando a raggiungere da ultimo il 70% circa del­le adozioni realizzate sull'intero territorio. Ac­canto a questa constatazione, i rilievi secondo cui i Tribunali minorili hanno negli ultimi anni accol­to in totale l'88% circa delle domande presenta­te dalle coppie, e soltanto il 10% circa dei mino­ri stranieri adottati risulta entrato in Italia attra­verso l'intervento degli Enti autorizzati dall'art. 38 della L. 184, hanno portato il relatore a consi­derare in termini allarmanti che l'adozione inter­nazionale è diventata un «fenomeno di massa», non sempre filtrata a sufficienza da valide sele­zioni e procedure istituzionali, così avviandosi ad essere un fatto di indole privatistica, con la con­seguenza tra l'altro che il minore straniero, spes­so già insufficientemente tutelato nel paese di origine, non gode di adeguata attenzione nella fase dell'abbinamento, potendo di fatto venir af­fidato, a coppie meno «garantite» di quelle che la legge assicura al bambino italiano.

Sulla scorta di tali osservazioni, altri relatori (tra cui i magistrati Paolo Dusi e Paolo Vercello­ne, gli studiosi Angelo Davì e Ruggiero Cafari Panico e le senatrici Giglia Tedesco e Rosa Jer­volino Russo) hanno insistito sull'opportunità che alla dichiarazione di idoneità richiesta dall'art. 30 della legge si arrivi da parte dei Tribunali in maniera più pregnante ed intensa di quanto non si tenda a fare adesso, attraverso all'introduzio­ne nella prassi valutativa di accertamenti attitu­dinali di particolare rigore, sottolineando che in ogni casa (e ciò in netta opposizione ad una re­cente pronuncia del Tribunale per i minorenni di Trieste) essa deve sempre precedere l'introdu­zione del minore in Italia, non foss'altro che per scongiurare il pericolo che quest'ultimo a se­guito di un eventuale e non impossibile giudizio di inidoneità della coppia - sia sottoposto a trau­mi altrimenti evitabili.

Più di una voce, poi (Graziella Praturlon, Tania Tolstoy, Donata Micucci), ha posto in evidenza come molto resti da fare sul piano pratico per in­cidere positivamente sulla preparazione e sull'ef­ficienza degli operatori e per realizzare il neces­sario coordinamento tra i vari interventi profes­sionali cui fanno capo le diverse fasi dell'iter adozionale, prevedendo - ad esempio - la possibilità di creare occasioni di studio interdisciplinare sulle casistiche concrete di attuazione della leg­ge, ed insistendo sulla necessità che gli Enti lo­cali si dotino dì adeguate strutture territoriali in grado di dare risposte idonee in tema di valuta­zione e di orientamento delle coppie.

In quest'ottica è stato affermato che non si tratta, pertanto, di pensare ad una revisione del­la legge, ma bensì di mirare ad una sua applica­zione quanto più possibile completa.

 

 

CARLO HANAU, Fattori sanitari, sociali ed eco­nomici influenti sulla spedalizzazione, Universi­tà degli studi di Modena - Studi e ricerche del Di­partimento di Economia politica, Centro Stampa Baiesi, Bologna, 1986, pp. 166, senza indicazione di prezzo.

 

La pubblicazione raccoglie i dati emersi da una ricerca avente per oggetto i fattori socio-eco­nomici che influiscono sulle modalità di spedaliz­zazione: decisione di ammissione, urgenza, con­gruità, durata, utilizzo delle principali risorse sa­nitarie.

Viene sfatato, fra l'altro, come risulta anche da altre ricerche, «il mito giornalistico dell'ospe­dale usato prevalentemente come albergo o co­me deposito, particolarmente dagli anziani e dai diseredati».

L'incongruità dei ricoveri ospedalieri - precisa l'Autore - «può essere relativa (presenza di un motivo sanitario che di per sé non obbligherebbe alla ospedalizzazione) od assoluta (solo per moti­vi sociali)». Quest'ultima è una eccezione rara: per l'ospedale Malpighi di Bologna non riguarda più del cinque per cento del campione, e com­prende soggetti che vivono al proprio domicilio con familiari.

Ben diversa la situazione dei ricoveri impropri. Si tratta infatti di un «fenomeno molto diffuso (30-35%) a Bologna», fenomeno che lascia «am­pio margine alle politiche di deospedalizzazione, sulla cui necessità nessuno - a parole - dubita». Viene precisato che «il fenomeno dei ricoveri incongrui riguarda tutte le età, tutte le condizio­ni dei soggetti e le modalità di ingresso; non esi­stono inoltre differenze rilevanti nelle caratteri­stiche dei degenti; l'osservatore superficiale no­ta che il degente incongruo è per fa maggior par­te dei casi una donna anziana casalinga, ma di­mentica che tali sono le caratteristiche prevalen­ti nella generalità dei degenti».

 

 

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