MODELLO «FONDAZIONE
FLORIANI» PER LE CURE PALLIATIVE
GIORGIO DI MOLA (*)
L'attività della «Fondazione Floriani», iniziata per
un contributo privato nel 1977, è stata da sempre dedicata all'assistenza ed
alla cura delle persone giudicate inabili od inguaribili. Il riferimento
pressoché costante ai malati di cancro è stato dettato in questi dieci anni di
attività dalla constatazione di un'urgente necessità di attenzione per questi
malati, in numero sempre crescente, lasciati dalle istituzioni alla cura dei
propri famigliari, che non sanno e spesso non possono accudirli.
L'evidenza di una richiesta di cura continua ed
attenta alle più piccole esigenze dei pazienti, ancora maggiore quando la
malattia non era più controllabile con i normali mezzi terapeutici, portò alla
creazione di gruppi di intervento che potessero avere i seguenti attributi:
1)
interdisciplinarità
2)
coordinazione
3)
mobilità
4)
reperibilità.
La prima esperienza maturata presso il Servizio di
terapia del dolore dell'istituto nazionale dei tumori di Milano, con un medico
ed un'infermiera, che potevano «uscire» dalla struttura ospedaliera per
recarsi al domicilio del paziente diede risultati tanto soddisfacenti da far
prevedere prospettive in rapido sviluppo di un modello di intervento
domiciliare, collegato con un Centro specialistico nell'ospedale.
Vennero prese in considerazione esperienze di altri
paesi e vennero contemporaneamente valutato le esigenze della famiglia e dei
pazienti, per capire quale dovesse essere il modello più completo e
maggiormente rispondente alle necessità del nucleo di cura.
La lunga esperienza in terapia del dolore e dei
sintomi, maturata in tanti anni dal Servizio dell'istituto, aveva indicato già
l'obbligatorietà di un approccio «multimodale» al più importante e frequente
dei sintomi di sofferenza: il dolore. Il contatto e gli stages effettuati
all'estero in occasione di convegni e congressi sulle terapie nel cancro
avanzato, avevano indicato come la filosofia dell'Hospice Movement fosse la più indicata ed avanzata per il
controllo dei sintomi e il conseguimento di una migliore qualità di vita per
questi pazienti.
In base a queste considerazioni venne migliorato il
Servizio assistenziale all'esterno dell'Istituto, con un organico di tre
infermiere, due medici e l'introduzione, per la prima volta in Italia, di un
volontariato selezionato, istruito ed organizzato nella struttura dell'Unità
di cura.
Si poteva finalmente parlare di un modello funzionante
e che rispondesse alle più importanti richieste dei nostri assistiti. La
presenza di un gruppo di psicologi, già in funzione nell'Istituto, la
successiva introduzione di una figura indispensabile quale l'assistente
sanitaria ed il supporto pastorale, completarono l'opera.
L'unità di intervento
Attualmente le équipes che lavorano secondo il
modello della «Fondazione Floriani», si configurano nel seguente modo:
struttura
à Medico/Infermiere
sanitaria
ß Volontari
specialistica
La prima garantisce gli interventi specialistici, la
revisione dei casi e delle terapie, brevi ricoveri, il supporto
socio-psicologico e spirituale. Il nucleo medico/infermiere/volontari permette
la necessaria mobilità al di fuori delle strutture ed interventi domiciliari
continui sino alla morte del paziente.
I gruppi in contatto diretto con ospedali e strutture
specialistiche, come ambulatori USL, sono attualmente nove e si avvalgono dei
contributi offerti dalla Fondazione Floriani e dalia Sezione milanese della
lega italiana per la lotta contro i tumori. I contributi che unitamente le due
organizzazioni offrono non sono. come ovvio, esclusivamente economici, ma anche
di educazione e culturali.
In particolare va sottolineata l'opera che da oltre
dieci anni compie la Fondazione Floriani nel campo della lotta al dolore da
cancro, attraverso campagne rivolte non solo ai medici, ma anche al pubblico
meno qualificato, che hanno dato innegabili frutti quali: a) l'aumento di una
conoscenza sulle più corrette tecniche analgesiche, b) il graduale
smantellamento di falsi miti e credenze sui farmaci oppiodi, c) la diffusione
di una mentalità maggiormente positiva sul problema del cancro e della morte,
d) la dimostrazione delle possibilità concesse da un approccio «palliativo»
alle malattie inguaribili.
Quest'ultimo punto è quello che maggiormente oggi
impegna la Fondazione con i Centri che seguono te sue linee guida.
Il problema del «dolore totale»
Come per il problema del dolore da cancro, non
correttamente inteso all'inizio, sottovalutato per ignoranza ed incapacità,
affrontato solo da pochi ed in modo spesso scorretto, così nell'ambito della
«cura palliativa», si incontrano difficoltà ed ostacoli posti innanzitutto da
un malinteso: ciò che è «palliativo», non essendo utile per la guarigione, ha
comunque in sé un connotato «negativo».
Da ciò deriva allora una deprecabile giustificazione
all'ignoranza, che si esplica nel non voler sapere ciò che comunque non serve e
la conseguente giustificazione a non saper fare e a non fare.
Abbiamo combattuto una personale battaglia, anche nei
confronti di molti che avevano imparato ad affrontare correttamente il dolore
da cancro, per far comprendere quale fosse l'importanza di tutti gli altri
sintomi di disagio dei malati morenti (al di là della patologia primitiva, al
di là del dolore). «Palliare» significa dare un apporto solidaristico e
professionale a chiunque si trovi nella condizione di irreversibilità della
malattia che lo ha colpito: professionale nell'approccio medico ed
infermieristico che tenga conto di ogni acquisizione clinica, farmacologica e
di ogni moderna tecnica capace di far fronte e limitare le sofferenze del
malato. Solidaristico nel considerare la persona come essere totale, le cui
esigenze vanno oltre un corretto trattamento dei sintomi, coinvolgendo la sua
dimensione metafisica e spirituale.
Un caso può valere per tutti.
Un uomo di oltre settant'anni, ebreo, ex dirigente,
in pensione, vive da solo con la moglie; senza figli. Gli viene riscontrata una
neoplasia prostatica, ancora nei limiti dell'operabilità, ma che in parte aveva
interessato i tessuti circostanti. L'operazione si svolge secondo i canoni e
il periodo post-operatorio decorre positivamente. Viene sottoposto ad una
terapia preventiva chemioterapica, poi dopo alcuni mesi dall'intervento
iniziano dei dolori ossei lancinanti. Ulteriori indagini confermano il
sospetto di metastasi ossee particolarmente importanti all'anca ed al bacino, il
malato è costretto a letto, con l'unico aiuto della moglie e la prescrizione di
blandi sedativi. La sua situazione peggiora quotidianamente con l'esacerbarsi
dei dolori e l'impossibilità assoluta di muoversi. Ogni piccolo spostamento
crea sofferenze indicibili, segnate da vere e proprie urla di dolore. L'isolamento
del paziente aumenta (dolore sociale) per l'incapacità da parte anche dei
migliori amici di dargli risposte, sollievo e per l'imbarazzo conseguente. È
totalmente dipendente dalla maglie e se ne sente in colpa (dolore
psicologico). Le cure sempre più lunghe e sofisticate, non sortiscono nulla ed
in più la sua assistenza costa ogni giorno di più (dolore finanziario). Anche
la sua fede tende a vacillare di fronte a tanta inutile sofferenza (dolore
spirituale).
Un'unità della Fondazione Floriani. che fa capo
all'Istituto nazionale dei tumori (dove si era rivolta la moglie), interviene
con un'infermiera ed un medico che valutano la situazione, prescrivono
un'adeguata somministrazione di morfina per bocca ad ore fisse, controllano la
somministrazione dei cibi, provvedono alla sostituzione del letto matrimoniale
con un letto mobile di ospedale, garantiscono i controlli di un'infermiera e
se desiderato l'intervento giornaliero di volontari istruiti (e parte del
gruppo di intervento) per ogni necessità della famiglia, di ordine non medico.
I dolori sotto l'effetto della morfina migliorano tanto che il paziente può
mettersi in piedi e compiere qualche passo. Ciò non gli viene impedito, pur
conoscendo il rischio di fratture spontanee che possono avvenire in questi
casi, per permettergli di sentirsi autonomo, sinché possibile. La temuta
frattura patologica avviene negli ultimi periodi della sua vita. Il dolore deve
essere controllato con un intervento che viene eseguito nel Servizio di terapia
del dolore e cure palliative dell'istituto. L'Unità di intervento della
Fondazione Floriani e della Lega, provvede al trasporto da e per la casa e
alla compagnia all'ammalato con i volontari. La moglie è più sollevata, gli
amici ritornano al letto del paziente senza imbarazzo. ed il malato muore senza
più sofferenze inutili dopo circa tre mesi dal nostro intervento.
Il ruolo del volontariato
Il compito ed il ruolo del volontariato in questo
ambito è insostituibile e della massima rilevanza, proprio per una delle sue
caratteristiche principali che è quella della capacità di donare senza
chiedere nulla in cambio e per la sua presenza accanto al malato come «persona»
comune, ma capace e preparata ad affrontare una comunicazione completa e
totale, che possa comprendere un coinvolgimento anche emotivo sicuramente
superiore a quello che potrebbe interessare il professionista della sanità.
Nella preparazione dei nostri volontari, curiamo
particolarmente due aspetti:
1) riflessione accurata ed approfondita sulla morte
individuale, sul lutto ed il cordoglio;
2) la comunicazione e l'ascolto attivo.
Non è sempre così semplice far riconoscere al volontariato,
e proprio in quest'ottica di una preparazione professionalizzata il suo ruolo
di «individuo» comune, e sviluppare contemporaneamente quelle caratteristiche
di discrezione, semplicità, non interferenza con gli altri professionisti
accanto al malato, indispensabili perché possa raggiungere i suoi obiettivi
nell'assistenza:
Il volontario è una persona che ha scelto per vari
motivi di stare accanto a chi soffre, spontaneamente e dovrebbe differenziarsi
dal professionista, non solo per non aspettarsi nessun tipo di ricompensa, ma
anche (e soprattutto) per aver più tempo per riflettere, per partecipare, per
essere in contatto con il malato.
I volontari che hanno inteso questo ruolo che non li
vede armati di fasce, siringhe o intenti a fornire consigli terapeutici, sono
il migliore strumento di cura nel nostro lavoro di équipe al domicilio dei
pazienti morenti e sono entrati in tutta dignità nel modello assistenziale di
medicina palliativa che stiamo perseguendo. richiesti e cercati dai nostri
medici e dai nostri infermieri che con loro attivamente collaborano, rispettati
ed amati dalle famiglie con le quali entrano in contatto.
Conclusioni
Il lavoro di questi anni ci ha visto totalmente
assorbiti dall'assistenza a chi muore di cancro, e tutte le nostre energie e le
risorse, che tutti hanno collaborato ad arricchire, sono state convogliate in
questa continua operazione di sollievo per i pazienti e le loro famiglie.
Contemporaneamente si è sviluppata una nuova «peste», l'AIDS che non può
coinvolgere solo marginalmente e solo pochi organismi di assistenza. Facendo
parte di questi organismi sarà necessario riflettere con una certa urgenza
sull'opportunità di orientare alcune nostre forze anche nel campo dei malati
di AIDS, come in ogni altro Paese dove si è sviluppato un movimento per i
morenti. Gli esempi, nel campo degli Hospices
appunto, non mancano, e la stessa stracitata E.K. Ross, dal suo nuovo eremo di
Head Waters, Virginia, lancia messaggi e raccomandazioni per l'assistenza a
questi nuovi malati terminali.
Si può pensare che le risposte siano già pronte e
che non occorra che farle sentire e mettere in opera? Guardando alle iniziative
di solidarietà sviluppatesi in questi ultimi tempi si direbbe di sì. Certo
resteranno da affrontare nuovi ostacoli, nuovi tabù e la solita disinformazione
che crea miti e fraintendimenti, spesso tanto radicati da dover richiedere anni
per una corretta estirpazione. Se i modelli sono pronti, operiamo allora per
correggere le mentalità.
(*) Vice Direttore Scientifico della
Fondazione Floriani e Coordinatore Scientifico della Società Italiana Cure
Palliative (Vicolo Fiori 2, Milano).
www.fondazionepromozionesociale.it