Prospettive assistenziali, n. 82, aprile-giugno 1988

 

 

MODELLO «FONDAZIONE FLORIANI» PER LE CURE PALLIATIVE

GIORGIO DI MOLA (*)

 

 

L'attività della «Fondazione Floriani», iniziata per un contributo privato nel 1977, è stata da sempre dedicata all'assistenza ed alla cura delle persone giudicate inabili od inguaribili. Il riferimento pressoché costante ai malati di cancro è stato dettato in questi dieci anni di attività dalla constatazione di un'urgente necessità di atten­zione per questi malati, in numero sempre crescente, lasciati dalle istituzioni alla cura dei pro­pri famigliari, che non sanno e spesso non pos­sono accudirli.

L'evidenza di una richiesta di cura continua ed attenta alle più piccole esigenze dei pazienti, an­cora maggiore quando la malattia non era più controllabile con i normali mezzi terapeutici, por­tò alla creazione di gruppi di intervento che po­tessero avere i seguenti attributi:

1) interdisciplinarità

2) coordinazione

3) mobilità

4) reperibilità.

La prima esperienza maturata presso il Servi­zio di terapia del dolore dell'istituto nazionale dei tumori di Milano, con un medico ed un'infermie­ra, che potevano «uscire» dalla struttura ospe­daliera per recarsi al domicilio del paziente diede risultati tanto soddisfacenti da far prevedere pro­spettive in rapido sviluppo di un modello di in­tervento domiciliare, collegato con un Centro specialistico nell'ospedale.

Vennero prese in considerazione esperienze di altri paesi e vennero contemporaneamente valu­tato le esigenze della famiglia e dei pazienti, per capire quale dovesse essere il modello più com­pleto e maggiormente rispondente alle necessità del nucleo di cura.

La lunga esperienza in terapia del dolore e dei sintomi, maturata in tanti anni dal Servizio dell'istituto, aveva indicato già l'obbligatorietà di un approccio «multimodale» al più importante e frequente dei sintomi di sofferenza: il dolore. Il contatto e gli stages effettuati all'estero in oc­casione di convegni e congressi sulle terapie nel cancro avanzato, avevano indicato come la filoso­fia dell'Hospice Movement fosse la più indicata ed avanzata per il controllo dei sintomi e il con­seguimento di una migliore qualità di vita per questi pazienti.

In base a queste considerazioni venne miglio­rato il Servizio assistenziale all'esterno dell'Isti­tuto, con un organico di tre infermiere, due me­dici e l'introduzione, per la prima volta in Italia, di un volontariato selezionato, istruito ed organiz­zato nella struttura dell'Unità di cura.

Si poteva finalmente parlare di un modello fun­zionante e che rispondesse alle più importanti richieste dei nostri assistiti. La presenza di un gruppo di psicologi, già in funzione nell'Istituto, la successiva introduzione di una figura indispen­sabile quale l'assistente sanitaria ed il supporto pastorale, completarono l'opera.

 

L'unità di intervento

Attualmente le équipes che lavorano secondo il modello della «Fondazione Floriani», si confi­gurano nel seguente modo:

 

struttura                     à               Medico/Infermiere

sanitaria                     ß              Volontari

specialistica

 

La prima garantisce gli interventi specialistici, la revisione dei casi e delle terapie, brevi ricove­ri, il supporto socio-psicologico e spirituale. Il nucleo medico/infermiere/volontari permette la necessaria mobilità al di fuori delle strutture ed interventi domiciliari continui sino alla morte del paziente.

I gruppi in contatto diretto con ospedali e strutture specialistiche, come ambulatori USL, sono attualmente nove e si avvalgono dei con­tributi offerti dalla Fondazione Floriani e dalia Sezione milanese della lega italiana per la lotta contro i tumori. I contributi che unitamente le due organizzazioni offrono non sono. come ovvio, esclusivamente economici, ma anche di educa­zione e culturali.

In particolare va sottolineata l'opera che da oltre dieci anni compie la Fondazione Floriani nel campo della lotta al dolore da cancro, attraverso campagne rivolte non solo ai medici, ma anche al pubblico meno qualificato, che hanno dato in­negabili frutti quali: a) l'aumento di una cono­scenza sulle più corrette tecniche analgesiche, b) il graduale smantellamento di falsi miti e cre­denze sui farmaci oppiodi, c) la diffusione di una mentalità maggiormente positiva sul problema del cancro e della morte, d) la dimostrazione del­le possibilità concesse da un approccio «pallia­tivo» alle malattie inguaribili.

Quest'ultimo punto è quello che maggiormen­te oggi impegna la Fondazione con i Centri che seguono te sue linee guida.

 

Il problema del «dolore totale»

Come per il problema del dolore da cancro, non correttamente inteso all'inizio, sottovalutato per ignoranza ed incapacità, affrontato solo da pochi ed in modo spesso scorretto, così nell'am­bito della «cura palliativa», si incontrano diffi­coltà ed ostacoli posti innanzitutto da un malin­teso: ciò che è «palliativo», non essendo utile per la guarigione, ha comunque in sé un conno­tato «negativo».

Da ciò deriva allora una deprecabile giustifica­zione all'ignoranza, che si esplica nel non voler sapere ciò che comunque non serve e la conse­guente giustificazione a non saper fare e a non fare.

Abbiamo combattuto una personale battaglia, anche nei confronti di molti che avevano impara­to ad affrontare correttamente il dolore da can­cro, per far comprendere quale fosse l'importan­za di tutti gli altri sintomi di disagio dei malati morenti (al di là della patologia primitiva, al di là del dolore). «Palliare» significa dare un apporto solidaristico e professionale a chiunque si trovi nella condizione di irreversibilità della malattia che lo ha colpito: professionale nell'approccio medico ed infermieristico che tenga conto di ogni acquisizione clinica, farmacologica e di ogni moderna tecnica capace di far fronte e limitare le sofferenze del malato. Solidaristico nel consi­derare la persona come essere totale, le cui esi­genze vanno oltre un corretto trattamento dei sintomi, coinvolgendo la sua dimensione metafi­sica e spirituale.

Un caso può valere per tutti.

Un uomo di oltre settant'anni, ebreo, ex diri­gente, in pensione, vive da solo con la moglie; senza figli. Gli viene riscontrata una neoplasia prostatica, ancora nei limiti dell'operabilità, ma che in parte aveva interessato i tessuti circo­stanti. L'operazione si svolge secondo i canoni e il periodo post-operatorio decorre positivamen­te. Viene sottoposto ad una terapia preventiva chemioterapica, poi dopo alcuni mesi dall'inter­vento iniziano dei dolori ossei lancinanti. Ulte­riori indagini confermano il sospetto di metastasi ossee particolarmente importanti all'anca ed al bacino, il malato è costretto a letto, con l'unico aiuto della moglie e la prescrizione di blandi se­dativi. La sua situazione peggiora quotidianamen­te con l'esacerbarsi dei dolori e l'impossibilità assoluta di muoversi. Ogni piccolo spostamento crea sofferenze indicibili, segnate da vere e pro­prie urla di dolore. L'isolamento del paziente au­menta (dolore sociale) per l'incapacità da parte anche dei migliori amici di dargli risposte, sol­lievo e per l'imbarazzo conseguente. È totalmen­te dipendente dalla maglie e se ne sente in col­pa (dolore psicologico). Le cure sempre più lun­ghe e sofisticate, non sortiscono nulla ed in più la sua assistenza costa ogni giorno di più (dolore finanziario). Anche la sua fede tende a vacillare di fronte a tanta inutile sofferenza (dolore spiri­tuale).

Un'unità della Fondazione Floriani. che fa capo all'Istituto nazionale dei tumori (dove si era rivol­ta la moglie), interviene con un'infermiera ed un medico che valutano la situazione, prescrivono un'adeguata somministrazione di morfina per bocca ad ore fisse, controllano la somministra­zione dei cibi, provvedono alla sostituzione del letto matrimoniale con un letto mobile di ospe­dale, garantiscono i controlli di un'infermiera e se desiderato l'intervento giornaliero di volontari istruiti (e parte del gruppo di intervento) per ogni necessità della famiglia, di ordine non medico. I dolori sotto l'effetto della morfina migliorano tan­to che il paziente può mettersi in piedi e compie­re qualche passo. Ciò non gli viene impedito, pur conoscendo il rischio di fratture spontanee che possono avvenire in questi casi, per permettergli di sentirsi autonomo, sinché possibile. La temuta frattura patologica avviene negli ultimi periodi della sua vita. Il dolore deve essere controllato con un intervento che viene eseguito nel Servizio di terapia del dolore e cure palliative dell'istitu­to. L'Unità di intervento della Fondazione Floriani e della Lega, provvede al trasporto da e per la ca­sa e alla compagnia all'ammalato con i volontari. La moglie è più sollevata, gli amici ritornano al letto del paziente senza imbarazzo. ed il malato muore senza più sofferenze inutili dopo circa tre mesi dal nostro intervento.

 

Il ruolo del volontariato

Il compito ed il ruolo del volontariato in questo ambito è insostituibile e della massima rilevan­za, proprio per una delle sue caratteristiche prin­cipali che è quella della capacità di donare sen­za chiedere nulla in cambio e per la sua presenza accanto al malato come «persona» comune, ma capace e preparata ad affrontare una comunica­zione completa e totale, che possa comprendere un coinvolgimento anche emotivo sicuramente superiore a quello che potrebbe interessare il professionista della sanità.

Nella preparazione dei nostri volontari, curia­mo particolarmente due aspetti:

1) riflessione accurata ed approfondita sulla morte individuale, sul lutto ed il cordoglio;

2) la comunicazione e l'ascolto attivo.

Non è sempre così semplice far riconoscere al volontariato, e proprio in quest'ottica di una pre­parazione professionalizzata il suo ruolo di «individuo» comune, e sviluppare contemporanea­mente quelle caratteristiche di discrezione, sem­plicità, non interferenza con gli altri professioni­sti accanto al malato, indispensabili perché pos­sa raggiungere i suoi obiettivi nell'assistenza:

Il volontario è una persona che ha scelto per vari motivi di stare accanto a chi soffre, sponta­neamente e dovrebbe differenziarsi dal profes­sionista, non solo per non aspettarsi nessun tipo di ricompensa, ma anche (e soprattutto) per aver più tempo per riflettere, per partecipare, per es­sere in contatto con il malato.

I volontari che hanno inteso questo ruolo che non li vede armati di fasce, siringhe o intenti a fornire consigli terapeutici, sono il migliore stru­mento di cura nel nostro lavoro di équipe al do­micilio dei pazienti morenti e sono entrati in tut­ta dignità nel modello assistenziale di medicina palliativa che stiamo perseguendo. richiesti e cercati dai nostri medici e dai nostri infermieri che con loro attivamente collaborano, rispettati ed amati dalle famiglie con le quali entrano in contatto.

 

Conclusioni

Il lavoro di questi anni ci ha visto totalmente assorbiti dall'assistenza a chi muore di cancro, e tutte le nostre energie e le risorse, che tutti hanno collaborato ad arricchire, sono state con­vogliate in questa continua operazione di sollievo per i pazienti e le loro famiglie. Contemporanea­mente si è sviluppata una nuova «peste», l'AIDS che non può coinvolgere solo marginalmente e solo pochi organismi di assistenza. Facendo parte di questi organismi sarà necessario riflettere con una certa urgenza sull'opportunità di orientare al­cune nostre forze anche nel campo dei malati di AIDS, come in ogni altro Paese dove si è svilup­pato un movimento per i morenti. Gli esempi, nel campo degli Hospices appunto, non mancano, e la stessa stracitata E.K. Ross, dal suo nuovo ere­mo di Head Waters, Virginia, lancia messaggi e raccomandazioni per l'assistenza a questi nuovi malati terminali.

Si può pensare che le risposte siano già pron­te e che non occorra che farle sentire e mettere in opera? Guardando alle iniziative di solidarietà sviluppatesi in questi ultimi tempi si direbbe di sì. Certo resteranno da affrontare nuovi ostacoli, nuovi tabù e la solita disinformazione che crea miti e fraintendimenti, spesso tanto radicati da dover richiedere anni per una corretta estirpa­zione. Se i modelli sono pronti, operiamo allora per correggere le mentalità.

 

 

(*) Vice Direttore Scientifico della Fondazione Floriani e Coordinatore Scientifico della Società Italiana Cure Palliative (Vicolo Fiori 2, Milano).

 

 

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