Notiziario del Centro italiano per
l'adozione internazionale
VENT'ANNI
DI ADOZIONE INTERNAZIONALE: ANALISI E RIFLESSIONI
(prima parte)
Quando ci si pone di fronte al problema complesso e
delicato dell'adozione, il solo criterio ammissibile è la preminenza
dell'interesse del minore, il suo diritto ad avere una famiglia e solo una
famiglia idonea.
Si tratta, infatti, di rendere giustizia, attraverso
un atto di amore, a un innocente che è stato privato di un bene primario e
essenziale.
Tale criterio deve essere tenuto sempre presente sia
dagli aspiranti all'adozione, sia da quanti - con differenti ruoli e funzioni -
diventano tramite fra il minore e la famiglia che dichiara la propria
disponibilità ad accoglierlo.
Ci riferiamo ai magistrati minorili.
agli operatori sociali, agli amministratori pubblici, ai funzionari
ministeriali, ai rappresentanti diplomatici, ai responsabili degli istituti
per l'assistenza all'infanzia, agli organismi e associazioni impegnate su
questo fronte di solidarietà.
- Se siamo convinti che l'ambito
familiare sia ancora l'unico nel quale il minore trova i nutrimenti
indispensabili al suo pieno ed equilibrato sviluppo psico-fisico;
- se siamo convinti che i migliori
modelli di riferimento per lui sono ancora i due adulti assunti come padre e
come madre;
- se siamo convinti che l'istituto può
essere soltanto, per il bambino in condizione di abbandono, un luogo di
provvisorio aiuto, in attesa di una più valida e definitiva collocazione,
nessun dubbio può sussistere circa la direzione nella
quale si deve agire: trovare al più presto i migliori genitori possibili per
ogni minore che ne sia privo.
Questo é l'obiettivo che deve vincolare in coscienza
chi ha scelto di occuparsi dell'infanzia più infelice sia essa in Italia o in
qualsiasi altro Paese.
Adozione internazionale
La legge n. 184 del 4 maggio 1983 amplia ulteriormente
il concetto ispiratore della precedente legge del 1967: «Il minore in
condizioni di abbandona è il soggetto intorno al quale si costruisce
l'adozione».
Questo salto culturale, questo progresso nella direzione
della promozione umana nell'ambito della nostra società, è sottolineato dalla
normativa con cui viene per la prima volta regolamentata l'adozione
internazionale; quella adozione di minori che nulla hanno in comune con i loro
futuri genitori adottivi: né la lingua, né la cultura, né la nazionalità, né i
caratteri somatici.
Il criterio generale assunto nella nuova normativa,
maturato nella coscienza e nella cultura, è il diritto prioritario del minore
ad essere educato nella sua famiglia.
Si tratta di un criterio generale che per la prima
volta viene affermato nella nostra legislazione, ma che ritroviamo anche in
altri autorevoli documenti quali la: «Declaration
on social and legal principles relating to the protection and welfare of
children, with special reference to foster placement and adoption nationally
and int-ernationally» (risoluzione adottata dall'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite il 3-12-1986).
È questa l'importante conclusione di un lavoro
promosso dal CIAI e dall'ANFAA nel 1971. Ci sentiamo particolarmente orgogliosi
di aver contribuito a creare i presupposti affinché gli Stati membri delle
Nazioni Unite, all'unanimità, approvassero ed emanassero i principi da seguire
nel caso in cui si verifichi la necessità che un bambino, per diversi motivi,
debba essere accudito al di fuori del suo nucleo familiare.
Detti principi sono stati fissati in 24 articoli e
nell'introduzione alla dichiarazione si riafferma e sottolinea che i bambini,
quando possibile, dovrebbero crescere con i propri genitori in un'atmosfera
di amore e sicurezza. Nel caso si debba procedere ad un affidamento familiare o
adozione, la principale considerazione deve essere il miglior interesse del
bambino.
La nostra legge anticipando e portando in primo
piano questi concetti si proponeva anche di tutelare, per quanto di competenza,
i diritti dei minori di nazionalità straniera, cercando nei limiti del
possibile di mantenere presupposti e garanzie valide per i bambini italiani.
Ciò significa che soltanto la reale condizione di
abbandono del minore, qualunque sia la sua nazionalità, rappresenta il
presupposto accettabile per l'adozione. Le condizioni sociali, spesso
drammatiche, in cui si trova il minore nel proprio Paese d'origine, non devono
in alcun caso interferire nella scelta della famiglia che dovrà essere sempre
quella ritenuta più adatta per quello specifico bambino.
In quattro anni di applicazione della legge sull'adozione
di bambini stranieri, ci sentiamo di affermare che questa ipotizzata
unificazione di garanzie è venuta a mancare, mentre si continuano a perpetrare
abusi nei loro confronti.
La «crescita zero» della popolazione italiana e
quindi la diminuita disponibilità di bambini adottabili nel nostra Paese, ha
fatto sì che molte coppie rivolgessero la propria attenzione all'adozione internazionale,
ritenuta ormai «l'adozione del futuro».
Il rischio che una corretta impostazione del problema
venga compromessa e capovolta è serio, e lo dimostra il fenomeno sempre più
diffuso delle adozioni compiute con iniziativa privata all'estero. In troppi
casi, invece di guarire l'infelicità del «bambino solo» si cerca di guarire
l'infelicità della coppia sterile, usando il minore come terapia per il
matrimonio senza figli.
Abbiamo allora adozioni in cui il bambino da soggetto
dell'intervento viene trasformato, suo malgrado, in oggetto; abbiamo situazioni
in cui al grande desiderio di avere un figlio (che si concretizza in una
ricerca spasmodica ed estenuante compiuta in prima persona dalle coppie nei
Paesi stranieri) non corrisponde una equilibrata capacità di rapportarsi a lui
ed accettarlo per quello che è.
Non poche sono le coppie che illuse da un indirizzo
e dalla speranza di un ipotetico bambino - che magari ancora deve nascere e che
poi magari non c'è più - pur di non tornare a casa con le mani vuote prendono
qualsiasi bambino possa essere portato via. Sono queste le situazioni in cui si
giunge anche a far pressione sui genitori biologici affinché questo bambino sia
dato in adozione e venga a «star bene» nel nostro Paese.
Se si cerca di comprendere i motivi per cui tutto ciò
può accadere, sotto accusa viene immediatamente posta la legge sull'adozione.
Noi crediamo che non si tratti di una legge perfetta, che abbia le sue pecche,
forse delle maglie un po' troppo larghe, ma che non si possa assolutamente
parlare di «pessima legge»; sotto alcuni aspetti è all'avanguardia ed infatti è
una delle poche che riconosce l'adozione senza aggettivi (speciale, piena,
legittimante ecc.).
Avevamo adozioni corrette e scorrette prima
dell'entrata in vigore della legge e ugualmente le abbiamo ora.
Non possiamo non esternare delle riflessioni maturate
in venti anni di attenta osservazione delle realtà sociali e di partecipazione
attiva alle problematiche dell'adozione internazionale, perché crediamo che le
ragioni che impediscono il raggiungimento degli obiettivi che ci si era posti
siano da ricercare altrove.
- La coppia desidera ardentemente un bambino (e non
si può pretendere che sia in grado di analizzare in ogni sua sfaccettatura il
proprio desiderio).
- L'avvocato incaricato dalla coppia non ha altro
mandato che quello di riuscire appigliandosi a tutti i cavilli consentiti, a
soddisfare il desiderio del proprio cliente, (perché il cliente è la coppia e
non il bambino).
- Il magistrato accoglie o respinge quello che
l'interpretazione della legge gli consente, in funzione anche del proprio
atteggiamento culturale.
- Il Ministero di grazia e giustizia sembra non essere
competente nell'emanare direttive, data la sovranità del giudice nell'ambito
delle sue funzioni.
- Il Ministero degli affari esteri tende a preoccuparsi
del problema in termini di «diplomazia politica» privilegiando, a volte, la
salvaguardia del rapporto tra Stati.
- I servizi sociali si sono trovati a doversi
occupare di adozioni internazionali, in quanto incaricati ad esprimere il
parere sull'idoneità della coppia, senza che sia stata fornita loro la possibilità
di una preparazione specifica e/o di aggiornamento professionale.
- La giurisprudenza si esprime con pareri
estremamente diversificati, privilegiando l'aspetto giuridico al punto di
sottovalutare, quando non li ignora, gli aspetti psicologici, sociali, emotivi,
etnici, culturali e razziali, equamente presenti nell'adozione di un minore
straniera.
- I mass media, dal canto loro, si occupano del
problema solamente in presenza del fatto di cronaca, dello scandalo, con
atteggiamenti per lo più pietistici e superficiali, tesi a creare la notizia
piuttosto che analizzare la realtà nella sua complessità.
Questa situazione mortifica ogni genuina offerta
d'amore nei confronti di un bambino indifeso, e non è certamente stata generata
esclusivamente da una errata formulazione della legge.
Crediamo che una seria ed approfondita valutazione
sugli atteggiamenti che ognuno di noi, nel proprio intimo, riserva al problema
sia, ora come non mai, d'obbligo.
Forse non abbiamo saputo creare e coltivare una «cultura»
sana dell'adozione internazionale; forse hanno perduto vigore l'impegno
sociale, il desiderio di rendere giustizia, l'assunzione di responsabilità
collettiva nei confronti del più debole che hanno consentito negli anni
passati il superamento del vincolo di sangue quale unica espressione di maternità
e paternità
È fuori dubbio che si ritrovino nella realtà odierna
contraddizioni macroscopiche e vergognose per chiunque si ponga nei confronti
della adozione internazionale con coscienza e serietà.
Possiamo avvalerci di una legge che ha anticipato i
principi sanciti nella Dichiarazione delle Nazioni Unite e di contro assistiamo
ancora oggi alla legittimazione da parte della Corte di cassazione delle
adozioni consensuali di bambini brasiliani e salvadoregni. (Ricordiamo che
tali adozioni avvengono con il consenso dei genitori biologici ed essendo
considerate adozioni semplici o ordinarie non troncano i legami con la famiglia
d'origine). Il fatto che in Italia l'adozione semplice venga poi considerata
efficace come «adozione» sembra non creare alcun conflitto di diritto
internazionale privato.
Ci piacerebbe molto sapere se in quanti casi i
genitori biologici sono stati o saranno adeguatamente informati che la
cessione del figlio è definitiva e irreversibile per l'Italia. Come ci piacerebbe
molto sapere se le coppie che hanno adottato o adotteranno bambini dal Brasile
o da El Salvador, a da altri paesi con analoghe normative, sono debitamente
informati delle eventuali ripercussioni che potrebbero emergere in futuro.
Abbiamo sempre sostenuto e ancora lo sosteniamo con
fermezza, che l'adozione 'internazionale è valida solo quando resta un estremo
rimedio per il bambino orfano o abbandonato e che deve essere proposta nel
caso non si trovino altre alternative nel Paese d'origine. Ma nel caso dell'adozione
consensuale i genitori naturali non solo esistono ma sono presenti nel momento
in cui si concretizza l'adozione. Allora è lecito domandarsi, quale aiuto e
sostegno è stato dato loro affinché tenessero il bambino?
Questo è uno degli obiettivi mancati nell'applicazione
della legge laddove intendeva dare al bambino straniero le stesse garanzie
previste per il bambino italiano.
In parte dal 1967 e totalmente dal 1983, con la nuova
legge non è consentito alla coppia che fa domanda di adozione nazionale di
scegliersi il bambino o di contattare genitori con lo scopo di farsi cedere il
figlio. Tutto ciò è considerato illegale se avviene in Italia, ma lo si
riconosce legale se avviene all'estero.
Sono ormai troppo noti e denunciati non solo in
Italia, ma in tutta Europa i rischi connessi all'adozione internazionale
condotta da privati e/o da associazioni con criteri privatistici sostenute da
tanta buona volontà, ma sprovvisti di preparazione professionale e esperienza
consolidata, tese a realizzare il maggior numero di adozioni possibili
sottovalutando la portata di responsabilità del loro intervento, che se vengono
ignorati è solo perché li si vuole ignorare.
L'art. 38 della legge 184/83 recita: «Il Ministero degli esteri di concerto con
il Ministero di grazia e giustizia può autorizzare enti pubblici o altre
organizzazioni idonee allo svolgimento delle pratiche inerenti all'adozione di
minori stranieri».
Ebbene a distanza di quattro anni la giurisprudenza
sta ancora disquisendo sull'interpretazione da dare a quel «può», nel senso
che si deve ancora decidere se interpretarlo come obbligatorietà o meno. (Chi
sia poi competente a decidere da quale parte far pendere l'ago della bilancia,
non è dato sapere).
Nel 1986 i Ministeri hanno ravvisato nell'operato di
cinque Enti, tra i quali il CIAI il sussistere dei criteri di idoneità da loro
previsti, e di conseguenza hanno concesso l'autorizzazione ad effettuare
adozioni internazionali.
Ora fra gli intermediari che operano sul territorio
italiano ci ritroviamo: gli enti autorizzati, le associazioni non riconosciute,
i gruppi spontanei, gli avvocati, le rappresentanze diplomatiche straniere, i
religiosi che hanno collegamenti con i missionari all'estero, le singole coppie
che si fanno parte diligente nel fornire notizie utili alla ricerca di un
bambino, e anche alcuni operatori sociali inseriti in strutture pubbliche che «danno
una mano a compiere l'opera buona, a salvare un bambino».
Alcuni controlli, più formali che sostanziali, sono
previsti solo per gli enti autorizzati, nulla invece per tutti gli altri.
(Segue)
GABRIELLA MERGUICI
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