Prospettive assistenziali, n. 82, aprile-giugno 1988

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

VENT'ANNI DI ADOZIONE INTERNAZIONALE: ANALISI E RIFLESSIONI

(prima parte)

 

Quando ci si pone di fronte al problema com­plesso e delicato dell'adozione, il solo criterio ammissibile è la preminenza dell'interesse del minore, il suo diritto ad avere una famiglia e so­lo una famiglia idonea.

Si tratta, infatti, di rendere giustizia, attraver­so un atto di amore, a un innocente che è stato privato di un bene primario e essenziale.

Tale criterio deve essere tenuto sempre presente sia dagli aspiranti all'adozione, sia da quanti - con differenti ruoli e funzioni - diventano tramite fra il minore e la famiglia che dichiara la propria disponibilità ad accoglierlo.

Ci riferiamo ai magistrati minorili. agli opera­tori sociali, agli amministratori pubblici, ai fun­zionari ministeriali, ai rappresentanti diplomati­ci, ai responsabili degli istituti per l'assistenza all'infanzia, agli organismi e associazioni impe­gnate su questo fronte di solidarietà.

- Se siamo convinti che l'ambito familiare sia ancora l'unico nel quale il minore trova i nu­trimenti indispensabili al suo pieno ed equilibra­to sviluppo psico-fisico;

- se siamo convinti che i migliori modelli di riferimento per lui sono ancora i due adulti as­sunti come padre e come madre;

- se siamo convinti che l'istituto può essere soltanto, per il bambino in condizione di abban­dono, un luogo di provvisorio aiuto, in attesa di una più valida e definitiva collocazione,

nessun dubbio può sussistere circa la direzione nella quale si deve agire: trovare al più presto i migliori genitori possibili per ogni minore che ne sia privo.

Questo é l'obiettivo che deve vincolare in co­scienza chi ha scelto di occuparsi dell'infanzia più infelice sia essa in Italia o in qualsiasi altro Paese.

 

Adozione internazionale

La legge n. 184 del 4 maggio 1983 amplia ul­teriormente il concetto ispiratore della prece­dente legge del 1967: «Il minore in condizioni di abbandona è il soggetto intorno al quale si co­struisce l'adozione».

Questo salto culturale, questo progresso nella direzione della promozione umana nell'ambito della nostra società, è sottolineato dalla norma­tiva con cui viene per la prima volta regolamen­tata l'adozione internazionale; quella adozione di minori che nulla hanno in comune con i loro fu­turi genitori adottivi: né la lingua, né la cultura, né la nazionalità, né i caratteri somatici.

Il criterio generale assunto nella nuova norma­tiva, maturato nella coscienza e nella cultura, è il diritto prioritario del minore ad essere educato nella sua famiglia.

Si tratta di un criterio generale che per la pri­ma volta viene affermato nella nostra legislazio­ne, ma che ritroviamo anche in altri autorevoli documenti quali la: «Declaration on social and legal principles relating to the protection and welfare of children, with special reference to foster placement and adoption nationally and in­t-ernationally» (risoluzione adottata dall'Assem­blea Generale delle Nazioni Unite il 3-12-1986).

È questa l'importante conclusione di un lavo­ro promosso dal CIAI e dall'ANFAA nel 1971. Ci sentiamo particolarmente orgogliosi di aver con­tribuito a creare i presupposti affinché gli Stati membri delle Nazioni Unite, all'unanimità, appro­vassero ed emanassero i principi da seguire nel caso in cui si verifichi la necessità che un bambi­no, per diversi motivi, debba essere accudito al di fuori del suo nucleo familiare.

Detti principi sono stati fissati in 24 articoli e nell'introduzione alla dichiarazione si riafferma e sottolinea che i bambini, quando possibile, do­vrebbero crescere con i propri genitori in un'at­mosfera di amore e sicurezza. Nel caso si debba procedere ad un affidamento familiare o adozio­ne, la principale considerazione deve essere il miglior interesse del bambino.

La nostra legge anticipando e portando in pri­mo piano questi concetti si proponeva anche di tutelare, per quanto di competenza, i diritti dei minori di nazionalità straniera, cercando nei li­miti del possibile di mantenere presupposti e garanzie valide per i bambini italiani.

Ciò significa che soltanto la reale condizione di abbandono del minore, qualunque sia la sua nazionalità, rappresenta il presupposto accetta­bile per l'adozione. Le condizioni sociali, spesso drammatiche, in cui si trova il minore nel proprio Paese d'origine, non devono in alcun caso interfe­rire nella scelta della famiglia che dovrà essere sempre quella ritenuta più adatta per quello spe­cifico bambino.

In quattro anni di applicazione della legge sull'adozione di bambini stranieri, ci sentiamo di af­fermare che questa ipotizzata unificazione di ga­ranzie è venuta a mancare, mentre si continuano a perpetrare abusi nei loro confronti.

La «crescita zero» della popolazione italiana e quindi la diminuita disponibilità di bambini adottabili nel nostra Paese, ha fatto sì che molte coppie rivolgessero la propria attenzione all'ado­zione internazionale, ritenuta ormai «l'adozione del futuro».

Il rischio che una corretta impostazione del problema venga compromessa e capovolta è se­rio, e lo dimostra il fenomeno sempre più diffuso delle adozioni compiute con iniziativa privata all'estero. In troppi casi, invece di guarire l'infeli­cità del «bambino solo» si cerca di guarire l'in­felicità della coppia sterile, usando il minore co­me terapia per il matrimonio senza figli.

Abbiamo allora adozioni in cui il bambino da soggetto dell'intervento viene trasformato, suo malgrado, in oggetto; abbiamo situazioni in cui al grande desiderio di avere un figlio (che si con­cretizza in una ricerca spasmodica ed estenuante compiuta in prima persona dalle coppie nei Paesi stranieri) non corrisponde una equilibrata capa­cità di rapportarsi a lui ed accettarlo per quello che è.

Non poche sono le coppie che illuse da un in­dirizzo e dalla speranza di un ipotetico bambino - che magari ancora deve nascere e che poi maga­ri non c'è più - pur di non tornare a casa con le mani vuote prendono qualsiasi bambino possa essere portato via. Sono queste le situazioni in cui si giunge anche a far pressione sui genitori biologici affinché questo bambino sia dato in ado­zione e venga a «star bene» nel nostro Paese.

Se si cerca di comprendere i motivi per cui tutto ciò può accadere, sotto accusa viene im­mediatamente posta la legge sull'adozione. Noi crediamo che non si tratti di una legge perfetta, che abbia le sue pecche, forse delle maglie un po' troppo larghe, ma che non si possa assoluta­mente parlare di «pessima legge»; sotto alcuni aspetti è all'avanguardia ed infatti è una delle poche che riconosce l'adozione senza aggettivi (speciale, piena, legittimante ecc.).

Avevamo adozioni corrette e scorrette prima dell'entrata in vigore della legge e ugualmente le abbiamo ora.

Non possiamo non esternare delle riflessioni maturate in venti anni di attenta osservazione delle realtà sociali e di partecipazione attiva al­le problematiche dell'adozione internazionale, perché crediamo che le ragioni che impediscono il raggiungimento degli obiettivi che ci si era po­sti siano da ricercare altrove.

- La coppia desidera ardentemente un bambi­no (e non si può pretendere che sia in grado di analizzare in ogni sua sfaccettatura il proprio de­siderio).

- L'avvocato incaricato dalla coppia non ha altro mandato che quello di riuscire appigliando­si a tutti i cavilli consentiti, a soddisfare il desi­derio del proprio cliente, (perché il cliente è la coppia e non il bambino).

- Il magistrato accoglie o respinge quello che l'interpretazione della legge gli consente, in fun­zione anche del proprio atteggiamento culturale.

- Il Ministero di grazia e giustizia sembra non essere competente nell'emanare direttive, data la sovranità del giudice nell'ambito delle sue funzioni.

- Il Ministero degli affari esteri tende a pre­occuparsi del problema in termini di «diploma­zia politica» privilegiando, a volte, la salvaguar­dia del rapporto tra Stati.

- I servizi sociali si sono trovati a doversi occupare di adozioni internazionali, in quanto in­caricati ad esprimere il parere sull'idoneità della coppia, senza che sia stata fornita loro la possi­bilità di una preparazione specifica e/o di aggior­namento professionale.

- La giurisprudenza si esprime con pareri estremamente diversificati, privilegiando l'aspet­to giuridico al punto di sottovalutare, quando non li ignora, gli aspetti psicologici, sociali, emotivi, etnici, culturali e razziali, equamente presenti nell'adozione di un minore straniera.

- I mass media, dal canto loro, si occupano del problema solamente in presenza del fatto di cronaca, dello scandalo, con atteggiamenti per lo più pietistici e superficiali, tesi a creare la no­tizia piuttosto che analizzare la realtà nella sua complessità.

Questa situazione mortifica ogni genuina offerta d'amore nei confronti di un bambino indifeso, e non è certamente stata generata esclusivamen­te da una errata formulazione della legge.

Crediamo che una seria ed approfondita valu­tazione sugli atteggiamenti che ognuno di noi, nel proprio intimo, riserva al problema sia, ora come non mai, d'obbligo.

Forse non abbiamo saputo creare e coltivare una «cultura» sana dell'adozione internazionale; forse hanno perduto vigore l'impegno sociale, il desiderio di rendere giustizia, l'assunzione di re­sponsabilità collettiva nei confronti del più debo­le che hanno consentito negli anni passati il su­peramento del vincolo di sangue quale unica espressione di maternità e paternità

È fuori dubbio che si ritrovino nella realtà odierna contraddizioni macroscopiche e vergo­gnose per chiunque si ponga nei confronti della adozione internazionale con coscienza e serietà.

Possiamo avvalerci di una legge che ha antici­pato i principi sanciti nella Dichiarazione delle Nazioni Unite e di contro assistiamo ancora oggi alla legittimazione da parte della Corte di cassa­zione delle adozioni consensuali di bambini bra­siliani e salvadoregni. (Ricordiamo che tali ado­zioni avvengono con il consenso dei genitori bio­logici ed essendo considerate adozioni semplici o ordinarie non troncano i legami con la famiglia d'origine). Il fatto che in Italia l'adozione sempli­ce venga poi considerata efficace come «adozio­ne» sembra non creare alcun conflitto di diritto internazionale privato.

Ci piacerebbe molto sapere se in quanti casi i genitori biologici sono stati o saranno adegua­tamente informati che la cessione del figlio è de­finitiva e irreversibile per l'Italia. Come ci piace­rebbe molto sapere se le coppie che hanno adot­tato o adotteranno bambini dal Brasile o da El Salvador, a da altri paesi con analoghe normati­ve, sono debitamente informati delle eventuali ripercussioni che potrebbero emergere in futuro.

Abbiamo sempre sostenuto e ancora lo soste­niamo con fermezza, che l'adozione 'internazio­nale è valida solo quando resta un estremo rime­dio per il bambino orfano o abbandonato e che deve essere proposta nel caso non si trovino al­tre alternative nel Paese d'origine. Ma nel caso dell'adozione consensuale i genitori naturali non solo esistono ma sono presenti nel momento in cui si concretizza l'adozione. Allora è lecito do­mandarsi, quale aiuto e sostegno è stato dato lo­ro affinché tenessero il bambino?

Questo è uno degli obiettivi mancati nell'appli­cazione della legge laddove intendeva dare al bambino straniero le stesse garanzie previste per il bambino italiano.

In parte dal 1967 e totalmente dal 1983, con la nuova legge non è consentito alla coppia che fa domanda di adozione nazionale di scegliersi il bambino o di contattare genitori con lo scopo di farsi cedere il figlio. Tutto ciò è considerato ille­gale se avviene in Italia, ma lo si riconosce lega­le se avviene all'estero.

Sono ormai troppo noti e denunciati non solo in Italia, ma in tutta Europa i rischi connessi al­l'adozione internazionale condotta da privati e/o da associazioni con criteri privatistici sostenute da tanta buona volontà, ma sprovvisti di prepara­zione professionale e esperienza consolidata, te­se a realizzare il maggior numero di adozioni pos­sibili sottovalutando la portata di responsabilità del loro intervento, che se vengono ignorati è solo perché li si vuole ignorare.

L'art. 38 della legge 184/83 recita: «Il Mini­stero degli esteri di concerto con il Ministero di grazia e giustizia può autorizzare enti pubblici o altre organizzazioni idonee allo svolgimento del­le pratiche inerenti all'adozione di minori stra­nieri».

Ebbene a distanza di quattro anni la giurispru­denza sta ancora disquisendo sull'interpretazio­ne da dare a quel «può», nel senso che si deve ancora decidere se interpretarlo come obbligato­rietà o meno. (Chi sia poi competente a decidere da quale parte far pendere l'ago della bilancia, non è dato sapere).

Nel 1986 i Ministeri hanno ravvisato nell'ope­rato di cinque Enti, tra i quali il CIAI il sussistere dei criteri di idoneità da loro previsti, e di conse­guenza hanno concesso l'autorizzazione ad effet­tuare adozioni internazionali.

Ora fra gli intermediari che operano sul terri­torio italiano ci ritroviamo: gli enti autorizzati, le associazioni non riconosciute, i gruppi sponta­nei, gli avvocati, le rappresentanze diplomatiche straniere, i religiosi che hanno collegamenti con i missionari all'estero, le singole coppie che si fanno parte diligente nel fornire notizie utili alla ricerca di un bambino, e anche alcuni operatori sociali inseriti in strutture pubbliche che «dan­no una mano a compiere l'opera buona, a salvare un bambino».

Alcuni controlli, più formali che sostanziali, sono previsti solo per gli enti autorizzati, nulla invece per tutti gli altri.

 

(Segue)

 

GABRIELLA MERGUICI

 

www.fondazionepromozionesociale.it